Sicuramente non fa difetto alla Architettura di Renzo Piano l’attenzione costante ai principi della sostenibilità sia sotto l’aspetto ambientale che, più specificatamente, sotto l’aspetto energetico. Sono fin troppo noti la gran parte dei suoi progetti capaci di testimoniare la grande sensibilità dello studio RPBW spesa in questa direzione. Ritengo tuttavia, che la grande abilità dell’architetto Piano risieda soprattutto nella capacità di saper coniugare, in ogni occasione, tutte le variabili che concorrono alla realizzazione del progetto, anche quando, come spesso accade, risultano conflittuali tra loro. La complessità dei programmi funzionali e la spazialità attraverso la quale si configurano, le condizioni particolari del contesto e la scelta dei materiali che lo esprimono, la ricerca continua della riduzione dei consumi e i sistemi costruttivi che ne integrano le tecnologie. Una sperimentazione ossessiva e sapiente che trasforma ogni volta il progetto in una dimensione avventurosa, che si nutre di esplorazioni, nella convinzione che il lavoro del progettista possa davvero cambiare il mondo, anche se così non è. Ogni volta il luogo diventa una sorta di cava dalla quale sottrarre i materiali del progetto. Penso al controllo della luce nei tanti musei realizzati; alle diverse forme che può assumere il suono nei molti auditorium sparsi per il mondo; allo spirito dei luoghi che si manifesta in alcune tra le sue architetture più belle, sia urbane che alla scala del paesaggio.
Anche qui a Trento il compito non era facile, restituire alla città un frammento della sua identità e, nello stesso tempo, assicurare a questa parte di città nuovi modi e nuove forme dell’abitare, in sintonia con la contemporaneità delle trasformazioni urbane ed in armonia con la forza della natura e la bellezza del paesaggio che la circonda.
116.000 mq di superficie complessiva, sulla quale insistevano, ancora fino a qualche anno addietro, i grandi capannoni della ex Michelin dismessa ormai da tempo ed in attesa di riconversione. Dell’intera estensione dell’intervento, oltre la metà (75.000 mq ) sono stati restituiti alla città ed alla collettività che la abita, sotto forma di parco attrezzato, spazi pubblici, attrezzature e servizi urbani, spazi museali e luoghi dedicati ad attività ludiche e commerciali. Oltre 300 unità residenziali, il nuovo Museo delle Scienze, un centro polifunzionale con uffici e sala congressi, un polo commerciale (in fase di ultimazione), il tutto servito da un ampio parcheggio sotterraneo di oltre 2.000 posti auto e collegato alla città storica da tre sottopassaggi (uno carrabile e due ciclopedonali) che superano, ormai definitivamente, la barriera storica della ferrovia che divideva l’area dalla città.
L’incarico fu affidato allo studio RPBW nei primi anni del Duemila, e già da allora l’architetto Renzo Piano aveva messo in atto strategie concrete di recupero per quell’area periferica attraverso la costruzione di una nuova centralità basata sulla realizzazione di grandi attrattori collettivi per “rammendare” (come ama dire oggi) brani di città da restituire al dialogo urbano. Il grande parco (oltre 5 ettari di verde), il MUSE (oltre 100.000 visitatori l’anno), il centro polifunzionale (terziario e commerciale ancora da realizzare), si integrano alla residenza (1.500 nuovi abitanti circa) realizzando un vero e proprio “pezzo di città” da restituire alla storia delle trasformazioni di questo territorio.
Tutta l’area viene ricucita al centro storico, sul lato est, attraverso le nuove connessioni che eludono la barriera della linea ferroviaria; e viene restituita al fiume, sul lato ovest, estendendo il parco fino all’argine più prossimo dell’Adige, con il parziale interramento della via Sanseverino che la divideva dall’acqua. Dopo 150 anni di attesa, dalla deviazione dell’Adige, il fiume ritorna a dialogare con la città, non tanto e non solo per l’apertura di un nuovo fronte sulle sue rive, quanto anche per la realizzazione di piccoli canali artificiali (della larghezza di 4 metri circa) che attraversano il nuovo complesso residenziale caratterizzandone l’assetto distributivo e spaziale.
Osservando il nuovo intervento, ormai realizzato, ci si rende conto che tutto il nuovo quartiere, tranne l’area del MUSE interessata dall’inaugurazione, è ancora disabitato; ma percorrendo le sue strade e attraversando i piccoli canali d’acqua si avverte già la vita nei suoi spazi. L’impressione è quella di un grande vuoto che, tuttavia, esprime tutta la sua vitalità in attesa di essere abitato, una sorta di “vuoto attivo” capace di vibrare anche in assenza dei suoi residenti.
Renzo Piano riesce a costruire, in questo nuovo complesso de “Le Albere”, un vero e proprio modello di rigenerazione urbana, affidando a una sorta di “stratificazione compressa”, di funzioni e di storie, una nuova identità; le residenze e gli spazi pubblici, la natura e la cultura, le attività commerciali e i servizi si integrano nella costruzione di un equilibrio miracoloso di parti, che restituisce nuova vita ad un area in perenne attesa di riscatto. Quello che era un “brownfield”, una terra bruna, un’area usurata e contaminata è tornata ad essere parte attiva della storia urbana, ma “per dare a un brownfield la dignità di vero spazio urbano – come dice lo stesso Piano - l’architettura deve scrivere una storia nuova. Una storia diversa, ma ugualmente compiuta, ricca fin dall’inizio di tutti quegli elementi funzionali ed estetici che i centri storici possono invece accumulare attraverso il trascorrere lento degli anni”.
Credo sia questa la qualità maggiore dell’intervento, la capacità di costruire una visione al futuro di come le persone potranno vivere questi spazi, entrare in relazione con una nuova dimensione dell’abitare sia dal punto di vista funzionale che da quello compositivo ed emozionale. E’ tutta qui la “sostenibilità” di questo intervento che esplicita il suo grande interesse, al di là di tutte le altre ragioni che pure sono alla base del progetto. Ragioni che fondano la sua “fortuna critica” e che pongono proprio sulla “sostenibilità”, ambientale ed energetica, la sua attenzione, sia in termini di armonia con la natura e la storia dei luoghi, sia in termini di compatibilità con l’adeguamento ai consumi delle risorse energetiche.
Il fiume Adige e lo scorrere delle sue acque immediatamente a ridosso dell’area da una parte, e la presenza incombente dell’affaccio sul monte Bondone con il riflesso della sua luce dall’altra, diventano veri e propri materiali da costruzione per Renzo Piano. L’acqua entra a far parte del progetto non solo per la sua naturale piacevolezza dello scorrere lungo i canali, ma quegli stessi canali sono utilizzati per la raccolta delle acque piovane e per il loro accumulo utile all’irrigazione del parco e di tutte le aree verdi del complesso residenziale (oltre a diventare luogo di sperimentazione scientifica per alcune attività del museo). La vista sul monte Bondone diventa riferimento fondamentale della giacitura dei blocchi residenziali che su questa aprono gli affacci principali delle singole unità abitative, costruendo un dialogo a distanza di rimandi di luce e di sguardi che amplia l’orizzonte ad un paesaggio nascosto, ed oggi finalmente svelato alla città.
Sotto il profilo più propriamente energetico “Tutto è concepito e realizzato per risparmiare energia ed essere ragionevoli e sostenibili sul piano della gestione – dice l’architetto Piano descrivendo il proprio progetto – perché l’ispirazione di base su cui si apre questo nuovo secolo per un architetto è capire che la fragilità della terra non va soltanto difesa facendo economia ma anche andando a cercare quali sono le espressioni architettoniche migliori”.
E’ proprio qui la grande abilità di Piano. Nella capacità di integrare le tecnologie più sofisticate sul risparmio energetico all’interno della configurazione architettonica complessiva degli spazi e dei suoi elementi costruttivi. Tutto il quartiere (limitatamente alle unità residenziali) è certificato Casa Clima, e le residenze in generale utilizzano il 30% dell’energia di quella consumata negli insediamenti tradizionali mentre, per quanto riguarda il Museo e il centro Polifunzionale, l’intervento è stato studiato per ottenere la qualificazione più alta della certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design).
Una grande centrale suddivisa in tre generatori di calore (realizzata al di là del fiume) provvede alla produzione di circa 15 Mw , che attraverso una rete di distribuzione autonoma raggiunge 12 sottocentrali sotto ciascun edificio, provvedendo sia al riscaldamento che al raffrescamento degli ambienti. Per il Museo, inoltre, è sfruttata anche la tecnologia geotermica, in aggiunta al teleriscaldamento, quando questo non dovesse essere in grado di soddisfare le esigenze richieste.
Tutte le unità residenziali sono raggiunte dalla distribuzione in rete di fibre ottiche e ogni singolo appartamento è gestito da sistemi di controllo domotico. Le grandi coperture monofalda sono tutte integrate con un sistema fotovoltaico che produce energia per il funzionamento degli impianti sia pubblici che privati. L’involucro degli edifici, infine, utilizza una tecnologia molto avanzata per l’abbattimento termico, favorita sia dalla particolare esposizione degli affacci che dall’articolazione delle logge e dal sistema di verde distribuito lungo i montanti in legno che solcano in verticale le facciate degli edifici.
È in questa integrazione tra funzionalità e forma, tra invenzione tecnica e qualità estetica che il progetto restituisce il suo esito migliore. La ricchezza compositiva fa tesoro dell’innovazione tecnologica e del corretto uso dei materiali, il fascino del legno, la forza della pietra, la vibrazione dei colori dei tendaggi esterni, l’abbraccio avvolgente del verde, lo scorrere dell’acqua e la “leggerezza” degli edifici restituiscono un equilibrio ed un’armonia palese che rendono l’intero complesso di indubbia qualità.
Renzo Piano utilizza, ormai, registri collaudati da tempo, che gli consentono di sperimentare ma senza esagerare, ha raggiunto quella maturità che gli permette di fare le cose “a memoria”, quella saggezza di chi riesce a fare talmente bene il proprio lavoro da potersene dimenticare.
Alcune note conclusive non possono tuttavia non tenere in considerazione che, ancora oggi, il complesso (a parte il Museo che risponde a pieno alle richieste iniziali, ben oltre le attese preventivate) risulti essere ancora non abitato. L’investimento certo è stato cospicuo e gli imprenditori e le società (in gran parte privati) che hanno creduto nell’operazione avranno fatto i loro conti per rendere remunerativa l’intera operazione. Anche loro, tuttavia, rimangono in attesa di una risposta da parte del mercato, che nonostante l’adeguamento sostanziale dei prezzi (inizialmente abbastanza alti) non ha ancora dato segnali di rilievo. Certo la crisi non accenna ad allentare e l’investimento immobiliare rimane ancora fortemente penalizzato, nonostante, come in questo caso, la qualità dell’intervento sia davvero elevata, sia sotto l’aspetto dell’architettura, della funzionalità e del confort in generale che della rimuneratività nel tempo, considerate le premesse alla base della realizzazione. Il nuovo insediamento residenziale rimane in attesa di tempi migliori, almeno per adesso e nonostante l’elevata qualità complessiva della sistemazione dell’intera area.