Introduzione
Casoria è una città di ottantamila abitanti inserita, senza discontinuità, nell’agglomerazione della prima corona settentrionale dell’hinterland di Napoli. Dopo decenni di deregolamentazione e piani espansivi - basati sull’urbanizzazione e la crescita edilizia - Casoria si è recentemente dotata di un nuovo Piano urbanistico [1] impostato sulla riscoperta dello spazio aperto marginale e fondato sull’ipotesi di un suo riciclo come motore di una rigenerazione più ampia, della città e dell’ambiente [2]. I materiali fondamentali di questo Piano sono il tempo e la natura; il campo in cui tali materiali sono messi in opera è lo spazio-aperto dismesso o sottoutilizzato, i residui dimenticati e gli scarti del vortice urbanizzativo degli ultimi sessant’anni [3].
Dalla rigenerazione e messa in rete di questi spazi terzi si ritiene possibile trarre le energie per affrontare, nel medio periodo, la trasformazione delle parti più dure e resistenti dei sistemi insediativi prodotti dal 900: le piattaforme industriali dismesse, la città residenziale senza qualità, la rete delle attrezzature ed il sistema delle connessioni infrastrutturali pubbliche. [Figura 1].
Casoria costituisce uno dei comuni in cui si articola l’urbanizzazione della prima corona esterna di Napoli. A partire dall’industrializzazione dell’immediato dopoguerra ed almeno fino alla fine degli anni 70, è stata un polo industriale di rilievo, sede di importanti industrie, siderurgiche e chimiche [4].
La presenza dei poli produttivi (e la conseguente necessità di addetti), unita alla facilità di accesso dai comuni limitrofi e dal capoluogo (sostanzialmente affidato, fino ad un tempo piuttosto recente, alla storica strada Sannitica), ha determinato una espansione edilizia e demografica notevolissima che ha portato il comune a risultare tra i più densamente urbanizzati dell’intera Provincia di Napoli [5]. [Figura 2].
Da almeno un ventennio, tuttavia, le attività produttive di tipo manifatturiero hanno in larga parte dismesso i loro stabilimenti cittadini, determinando alcune aree non utilizzate di grande estensione su cui la comunità locale dibatte da decenni, riconoscendo nella possibile trasformazione delle stesse un potenziale elemento di svolta. Questi grandi recinti ex produttivi, posti nelle aree urbane più centrali, sono a tutt’oggi inutilizzati; è nel frattempo cresciuta una rigogliosa vegetazione che, come nell’inner Detroit, sta negli anni erodendo persino le parti più dure dell’urbanizzazione industriale; trasformando gli edifici in reperti, frantumando le spianate mineralizzate dei parcheggi e delle aree di stoccaggio, punteggiando il paesaggio urbano con rigogliosi nuovi boschi.
Dagli anni 80, mentre il settore produttivo è già in crisi, si sviluppa un’offerta produttiva legata alla grande distribuzione commerciale e all’intrattenimento che utilizza, come fascia di impianto, la direttrice della cosiddetta “strada degli Americani”, la prima tangenziale esterna di Napoli [6].
Tuttavia anche il settore terziario attraversa oggi una fase di profonda crisi, ben rappresentata dalla dismissione del primo centro commerciale all’americana dell’area metropolitana di Napoli: l’Eurostanda (poi Euromercato) di Casoria [7].
Il fenomeno precorre una tendenza che, così come avvenuto per la dismissione dell’industria pesante negli anni 80, sembra presentare tratti comuni a livello nazionale: la decadenza della piastra-recinto che concentra in un unico contenitore la grande distribuzione ed i luoghi d’intrattenimento8]. D’altro canto la concorrenza delle più moderne e sempre più iperboliche gallerie commerciali realizzate nei comuni contermini (in ordine di costruzione: Le Porte di Napoli ad Afragola, il Vulcano Buono a Nola, il Centro Campania a Marcianise) ha ridotto il richiamo delle strutture preesistenti, diminuendo il relativo bacino d’utenza e determinando un ulteriore motivo di crisi per un settore già in difficoltà a causa della congiuntura socio-economica.
La crisi del sistema produttivo è amplificata dalle difficoltà dei sistemi insediativo ed ambientale: le irrazionalità urbanistiche peggiorano la produttività commerciale e determinano conseguenze sull’ambiente che amplificano a loro volta le pesanti eredità della industrializzazione del dopoguerra. [Figura 3]
La città ed il territorio storico sono schiacciati da un’edificazione densa e “parassitaria”, strutturalmente aggrappata alle preesistenze [9]. Le preesistenze ambientali (edifici di tessuto, spazi collettivi, cortili) sono in larga parte manomesse, anche a causa del distorto uso dei fondi pubblici stanziati dopo il sisma del 1980 [10].
Gran parte dell’edificazione sorta dal dopoguerra ai nostri giorni è accomunata da una bassa qualità urbana prima ancora che edilizia. Mancano o sono marginalizzati gli spazi pubblici aperti, le piazze e le strade, nel migliore dei casi ridotte a puro “tubo” viabilistico. Scarseggiano gli spazi sistemati a verde, per lo sport, adeguati ad essere vissuti, che possano facilitare la socialità.
Molti edifici, in specie i condomini multipiano del boom economico dei 50/60, presentano condizioni di prematura vetustà e degrado strutturale (una condizione anche legata all’uso di un calcestruzzo di bassa qualità, con strutture intelaiate non conformi agli standard antisismici attuali).
La dismissione e il sottoutilizzo di aree e manufatti, lasciati deperire senza manutenzione, si presenta come un fenomeno ogni giorno più evidente: mentre continua il dibattito sulle aree dismesse dalle vecchie aree industriali - attirando per alcuni decenni quasi in esclusiva l’attenzione dell’opinione pubblica - nuove “carie territoriali” (dismissioni, abbandoni, vetustà del patrimonio immobiliare e suo sottoutilizzo) erodono il tessuto spaziale della Casoria moderna; un tessuto urbano invero non più continuo come invece potrebbe apparire da una fredda visione planimetrica. In queste carie si annida un fitto intreccio di micro-dismissioni: appartamenti inutilizzati, negozi chiusi, laboratori non adatti ai nuovi standard della produzione artigianale. Molte attività produttive, quasi tutte quelle principali, hanno dismesso; il trend della popolazione residente, per la prima volta dopo decenni, segnala un decremento dei residenti: quattromila abitanti negli ultimi quindici anni hanno abbandonato la città.
Gli abitanti vanno via perché Casoria è una città dove non si vive bene. Il traffico è congestionato; non c’è lavoro; la qualità insediativa è bassa: l’edilizia inadeguata (gli edifici antichi abbandonati o malamente “ristrutturati”; la città moderna, caotica e banale; la città diffusa, spesso abusiva, fatta di case tirate su in una notte); d’altro canto le opere di urbanizzazione (le strade, le attrezzature) sono assolutamente sottodimensionate (a stento si raggiunge il 10% degli standard previsti dalla legge [11]) e, anche quando presenti, vetuste e/o irrazionalmente disposte.
I pochi residui coltivati si trovano dispersi tra grandi vuoti inutilizzati e la poderosa rete di infrastrutture a rete (autostrada, superstrade, ferrovie). [Figura 4].
Eppure – questa è la tesi del Piano – proprio negli interstizi vuoti o sottoutilizzati del magma urbano, si ritrovano aree che possono accogliere funzioni pubbliche, luoghi che se opportunamente trattati, possono trasformarsi in straordinarie occasioni, sociali e civiche. Spazi che preludono in primo luogo a nuove ecologie e sostenibilità ambientali, per provare a ribaltare la percezione e l’uso di questo territorio. A partire dai bordi delle grandi infrastrutture che solcano il territorio, da riscoprire nell’ambito di un’inedita idea di città.
Infra-urbanizzazione
Le infrastrutture di livello territoriale hanno accelerato ed innescato la formazione dell’estesa saldatura tra Napoli ed i comuni dell’entroterra, che oggi insieme, configurano una periferia omogenea e povera dal punto di vista della qualità urbana ed ambientale. Una condizione che si riverbera sulla qualità della vita: un abitare abietto da tempo non più rurale, da qualche decennio non industriale, recentemente neanche più commerciale-terziario (Formato [2011]).
L’intenso processo di urbanizzazione, in particolare a Casoria, può essere direttamente rapportato all’articolazione e allo sviluppo della rete infrastrutturale.
Casoria rimane sostanzialmente fino alla fine della Seconda guerra mondiale, uno dei numerosi casali agricoli posti a nord di Napoli, caratterizzato da un centro abitato orientato secondo le direttrici della centuratio romana (sistema: Acerrae – 26° N-O), dotato di un unico supporto infrastrutturale, la Strada Statale Sannitica. La linea ferroviaria Napoli-Roma, attiva dalla fine dell’ottocento, non influisce ancora in maniera determinante sui processi urbanizzativi, ancora imperniati sostanzialmente sul capoluogo. In quest’epoca Casoria è un aggregato agricolo, rinomato per la produzione di pasta (sono segnalati numerosi mulini) e di vino. Questa condizione muta radicalmente nel dopoguerra con le politiche pubbliche, di ispirazione keynesiana, promosse dagli Usa mediante il Piano Marshall: infrastrutturazione, urbanizzazione ed industrializzazione pubblica diventano le matrici del boom economico degli anni 60; si moltiplicano i profitti e la produzione di ricchezza a scapito delle risorse ambientali, sociali e territoriali locali [12].
La realizzazione della Strada degli Americani (Circonvallazione esterna) dal 1955 al 1970, è emblematica: l’area Nord di Napoli viene dotata di una straordinaria connessione in direzione est-ovest, mediante la quale si struttura una vera e propria nuova città oggi caratterizzata da più di un milione di abitanti (da Casoria al Litorale Domitio). Nel 1965 è inaugurato il tratto Napoli-Roma dell’Autostrada del Sole (A2) il cui terminale – “Napoli-Stazione” – viene localizzato nel territorio di Casoria. Nel 1969 entra in esercizio l’Autostrada A16 Napoli-Canosa (dei “due Mari”): l’inizio di quest’asse stradale è proprio sulla Circumvallazione esterna, a poche centinaia di metri dai caselli terminali dell’A2. Nel 1975, con l’apertura della Tangenziale di Napoli (A65), viene localizzata a Capodichino, al margine meridionale del territorio comunale, la barriera di Capodichino, attraverso la quale è possibile immettersi nella nuova autostrada urbana che conduce, in modo diretto, ai quartieri collinari di Napoli, alla nuova zona ospedaliera e al litorale flegreo. [Figura 5].
Le stazioni ferroviarie - della Fs e ella Circumvesuviana – oltre alla prossimità con l’aeroporto internazionale di Capodichino, completano il quadro dell’accessibilità e dell’interconnessione.
La straordinaria dotazione infrastrutturale rappresenta senz’altro un fattore determinante nell’ambito dei processi di urbanizzazione: sia dal punto di vista delle opportunità di localizzazione produttiva, sia da quello degli insediamenti residenziali. In assenza di uno specifico strumento urbanistico si dispongono a partire dai primi anni 50 le grandi industrie (alcune delle quali impiantate dalla Cassa per il Mezzogiorno e/o gestite dall’Iri); segue l’esplosione dell’urbanizzazione residenziale, in primis rappresentata dai multipiano sorti sui bordi del centro storico negli anni del boom e della deregulation urbanistica 13]. Gli abitanti passano dai 26000 censiti nel 1961 agli otre 79000 del 1991, con oltre 2400 nuovi edifici. Il Piano regolatore viene approvato solo nel 1980 e, comunque, anche dopo la sua approvazione si continua a costruire in modo sostanzialmente spontaneo [14] mentre stentano le urbanizzazioni pubbliche, sia di tipo primario (strade e parcheggi) che secondario (scuole, attrezzature, parchi ed altri spazi pubblici).
Alla ricchezza delle infrastrutture superiori, calate dall’alto nel territorio locale, senza alcuno studio dei rapporti e degli impatti, fa da contrappunto (ma, a ben vedere, si tratta di un effetto collaterale della stessa logica settoriale e speculativa) la scarsità della rete locale, inadeguata per quantità e in larga parte realizzata ricalcando precedenti inter-poderali e confini di proprietà.
Per un piano-dispositivo
Il nuovo Piano urbanistico, utilizzando le possibilità offerte dalla recente riforma urbanistica regionale [15], propone una rigenerazione che interessa più scale ed in cui gioca ruolo chiave il fattore “temporale”, lo spazio tra le disposizioni generali e le specificazioni programmatiche.
Un piano nuovo, non solo per i contenuti ma anche per la “forma”, articolata in disposizioni strutturali (valide a tempo indeterminato) ed estratti operativi, strategici per l’amministrazione in carica. Un piano che non è mappa (degli interessi, delle trasformazioni, ecc.) ma ambisce a diventare dispositivo, basato sulle tutele del territorio e sulla messa in rete delle risorse e specificabile, di volta in volta, in “azioni” (d’iniziativa pubblica, privata o mista) il cui range di trasformazione, prefissato, consente verifiche e flessibilità in relazione alla congiuntura socio-economica, all’indirizzo politico, alla concreta disponibilità di investimenti pubblici e privati. Un impianto che rende il piano processuale e necessita di un Ufficio pubblico di pianificazione, capace di “gestire progettando”.
La rigenerazione urbana prospettata dal Puc (Piano strutturale e primo Piano operativo), parte dalla fondazione di un grande parco urbano (circa 3 kmq, un quarto dell’intero comune), un bosco con orti e padiglioni pubblici che dovrà cambiare l’immagine ed il ruolo di Casoria nei prossimi anni, ripristinando continuità ecologiche e di uso (il parco è inserito nella rete ecologica provinciale e collegherà i nuovi poli metropolitani in corso di definizione: la Stazione Alta velocità di Napoli-Afragola, il sistema eco-urbano di Napoli-Est, il Parco attrezzato lungo l’Asse Mediano previsto dalla Provincia di Napoli).
La prima mossa operativa del Piano 2013 è il disegno del grande parco, da “infiltrare” progressivamente nei sistemi urbani. Si tratta di una scelta che oltre l’evidente valore simbolico, di vision (partire dal verde e non dagli edifici), assume un carattere persino necessario, in rapporto all’esigenza di assumere il recupero di spazi per attrezzature e servizi almeno ai livelli “standard” minimi, fissati dalle norme nazionali e regionali (allo stato a Casoria a stento si raggiunge il 10% delle dotazioni minime stabilite dalle leggi vigenti, un dato che si attesterebbe intorno al 15% se si conteggiassero anche le attrezzature private).
Una scelta che mira a non restare sulla carta e per questo è stata modulata, alla ricerca di sinergie tra iniziative private ed interesse pubblico: attrezzature e servizi potranno essere anche realizzate dai cittadini, a patto di rispettare alcune condizioni e, naturalmente, consentirne l’uso pubblico (ad esempio: realizzare una piscina calmierandone i prezzi di accesso, coltivare un suolo consentendo attività didattiche di supporto, ecc.). Nel grande parco sono integrate le opere del Programma integrato “Piu Europa”, lavori pubblici finanziati dall’Unione Europea che saranno completati entro il 2015 e costituiscono l’innesco della rigenerazione ambientale a partire dallo spazio pubblico urbano [16]. La rete dei nuovi spazi pubblici aperti collegherà le aree del bosco periurbano con gli insediamenti storici, per i quali il piano prospetta una complessa operazione di restauro, a scala urbana e del singolo edificio.
Il centro storico non è visto come una semplice sommatoria di manufatti, tra i quali discriminare quelli “di valore”; oggetto della conservazione è invece, coerentemente con i principi della Conservazione integrata [17], l’ambiente storico. La tesi è che anche a Casoria esistono dei tessuti da conservare; è ancora una volta il fattore temporale a chiarire la vicenda: le manomissioni, pur se pesanti, sono molto recenti se confrontate con il lasso temporale in cui l’ambiente storico si è definito. Per gli insediamenti di origine storica, dunque, il Piano tratteggia un processo di lunga durata (che si rapporta al tempo proprio di questa materia ed è inserito nel Piano strutturale, valido a tempo indeterminato) che dettaglia su base tipo-morfologica le modalità di recupero per il netto storico (definito scientificamente mediante materiali reperiti all’Agenzia del territorio) e propone incentivi per l’adeguamento ed il trasferimento delle cubature moderne.
Per la città moderna vengono fornite regole mirate al recupero di spazio non edificato, rigenerazione delle reti pubbliche locali, maggiori prestazioni energetiche e miglioramento della sicurezza antisismica degli edifici. Tali politiche, articolate in rapporto al contesto, saranno oggetto di approfondimenti progettuali (per arrivare all’approvazione di un ulteriore Piano operativo), da declinare nel tempo lungo in rapporto ad elementi conoscitivi di dettaglio, e costruire mediante la partecipazione dei cittadini alla definizione delle scelte: gli interventi di trasformazione dell’esistente (non di semplice manutenzione) sono più difficili di quelli di nuovo impianto, devono essere sentiti dalla cittadinanza, fondarsi su concrete disponibilità finanziarie, avvantaggiarsi di un solido consenso sociale.
Viene incentivata la sostituzione del patrimonio edilizio moderno, a partire da quello più degradato e meno utilizzato. La sostituzione degli edifici è legata alla riconfigurazione fondiaria, verso la strutturazione di alcune figure di trasformazione, da realizzarsi nel lungo periodo; gli obiettivi di questo processo di “sostituzione urbanistica”, da incentivare con sistemi di tipo urbanistico/fiscale, sono: l’adeguamento del patrimonio edilizio ai nuovi standard energetici e sismici; la diminuzione del consumo di suolo urbanizzato; la razionalizzazione ed integrazione del sistema delle urbanizzazioni primarie (strade, parcheggi) e secondari (parchi di quartiere, servizi, scuole). Tali obiettivi sono conseguiti:
La “sostituzione urbanistica” è indirizzata, nel medio-lungo periodo (maturandosi progressivamente i cicli di vita dell’edilizia degli anni 60/70), alla rigenerazione paesaggistica del centro città, per un restauro urbanistico del centro storico, ovvero la riconfigurazione di una pausa tra questo e la città moderna.
Per le aree dismesse (o che saranno dismesse) dalla grande industria, il Piano tratteggia un ruolo di innesco per rigenerazioni urbane più organiche, ma solo dopo che il grande parco pubblico inizierà a passare dalla carta alla realtà e che il quadro degli inquinamenti lasciati dalla dismissione e delle relative bonifiche, risulti completamente definito. Non è esclusa l’immissione, in aree che dovessero presentare adeguate condizioni ambientali e mediante l’iniziativa pubblica, di quantità residenziali, purché almeno la metà degli ambiti d’intervento venga attrezzata per infrastrutture e servizi ed un terzo delle eventuali residenze (un meccanismo a sua volta legato ad operazioni di rigenerazione urbana in altre aree cittadine, in primis il centro storico) sia destinata ad housing sociale.
L’inserimento delle aree dismesse (dall’industria, dal commercio, dall’agricoltura) nel processo di rigenerazione di ambiti urbani più ampi è stata una delle idee guida del piano: queste aree non sono viste come “isole”, visto anche che tale concezione, seguita nell’ultimo decennio, non ha prodotto che asfittiche discussioni. Esse sono viceversa tenute in rete dagli scarti prodototti dall’insediamenti della grandi infrastrutture a rete: le scarpate, i sottoviadotti, le fasce di rispetto, oggi recinte ed incolte, che si offrono come straordinario elemento di riconnessione tra gli ambiti urbani ed aperti. [Figura 6].
La conservazione, il recupero, il riuso del patrimonio edilizio esistente, l’uso sociale dello spazio aperto e la sua valorizzazione ecologica e produttiva, descrivono un processo di profonda trasformazione non solo della percezione del territorio. L’ambizione è quella, viceversa, di tratteggiare una possibilità concreta di sviluppo economico alternativo, un’economia che prova a ripartire dalle risorse locali, dalla sostenibilità ambientale, dal tentativo di coniugare benessere economico e qualità della vita. Un’idea di crescita alternativa, in cui l’urbanistica non si offre come strumento dell’urbanizzazione, in cui si riesce a pensare ad una crescita economica senza ulteriore espansione edilizia [18]. Un obiettivo ambizioso, da non lasciare nel mondo delle ideologie estremistiche, radicali ma astratte. Questo è l’anno 0 del piano, il tempo in cui si gioca la possibilità di attribuire realismo a delle proposizioni che, per la loro radicalità, rischiano altrimenti di restare lontane dai fatti, perdendo ogni mordente operativo a favore del mondo delle meta-narrazioni progressive con le quali gli urbanisti hanno potuto comporre fantastici romanzi (Secchi [1984]). La radicalità delle visioni, necessaria proprio a causa della condizione estrema che ci si trova ad affrontare, va viceversa costruita passo dopo passo, a partire dalle operazioni più minute e fattibili, al fine di aumentare la consapevolezza e la fiducia della comunità locale nelle trasformazioni attivabili mediante un procedimento di pianificazione territoriale.
Molto importante sarà la capacità, da verificare alla prova dei fatti, di innescare usi pubblici temporanei, al fine di avvicinare concretamente i cittadini ai grandi recinti negati che permangono nelle maglie, anche quelle più centrali, della città. E’ fondamentale, a partire dalle aree di proprietà pubblica e dalle altre immediatamente disponibili, predisporre interventi anche minimali che ne consentano l’uso 19], promuovere eventi e feste collettive, con finalità sociali ed artistiche. Importante è il contributo che a questi eventi offrirà il mondo dell’associazionismo locale e delle istituzioni culturali. Una sinergia da segnalare è quella in corso di attivazione con il Cam (Casoria Contemporary Art Museum 20]), affinché ogni nuovo giardino possa diventare un’opera d’arte collettiva. Un’arte utile perché i giardini, le piste dove fare jogging o muoversi in bicicletta, i campi da gioco e le radure alberate dove ripararsi nella calura estiva sono una necessità impellente. Parafrasando Joan Miró: per quest’arte c’è bisogno più di giardinieri che di artisti. [Figura 6bis].
Il grande parco
La prima mossa operativa del Piano, il tempo che proietta le trasformazioni nel prossimo decennio, è il Piano operativo destinato a mutare l’immagine ed il ruolo della città nei prossimi anni: la fondazione di un grande parco (un quarto dell’intero territorio comunale), ovvero la scoperta mediante uno sguardo laterale, di un parco in potenza, attraverso la trasfigurazione di quelli che probabilmente costituiscono oggi i principali detrattori ambientali: contesti caratterizzati da forte ibridazione, in bilico tra urbano, rurale e Terzo paesaggio. [Figure 7-8].
Aree industriali dismesse, tracciati ferroviari e stazioni abbandonate, quartieri “spontanei”, assi viari di scorrimento veloce e aree agricole incolte sono state comprese in un’ipotesi organica ma aperta la cui armature è proprio la complessa maglia infrastrutturale che segna il territorio comunale.
Il nastro delle infrastrutture, ovvero gli spazi connessi, funzionalmente e/o visivamente, con le bretelle autostradali e stradali con relativi svincoli, le linee ferroviarie, l’aeroporto di Capodichino, sono assunti come lo scheletro di un esteso sistema di rigenerazioni ambientali volte a definire una sorta di contro-città ad elevata caratterizzazione pubblica e naturalistica.
Per attivare questo processo, gli interventi previsti sono stati organizzati secondo un apparato normativo multiscalare che, a partire da una serie di norme di carattere generale relative ai sistemi della mobilità, del verde e delle attrezzature arriva, con specifiche schede tecniche, a fornire prescrizioni e raccomandazioni di dettaglio anche per la realizzazione delle diverse associazioni vegetazionali selezionate.
L’elemento centrale dell’impianto paesaggistico e funzionale è rappresentato dalle Unità minime di pianificazione: si tratta di unità discrete, definite in ragione dei caratteri morfologici, ambientali, produttivi rilevati. Esse sono distinte in quattro differenti tipologie a seconda della destinazione d’uso prevalente: agricola; verde pubblico; attrezzature pubbliche o private di uso pubblico; insediamenti residenziali destinati al recupero edilizio-urbanistico (“abitati nel parco”). Le previsioni avanzate dal piano per ogni unità di pianificazione possono essere attuate in parti distinte, previa elaborazione di un Piano urbanistico attuativo esteso all’intera Ump al fine di definire un assetto urbanistico generale e di garantire, in ciascuna delle parti, il soddisfacimento degli standard urbanistici e il rispetto delle prescrizioni dettate dalle stesse norme.
Per favorire questo processo, gli interventi ammissibili sono stati ricondotti a dei sistemi orientati al raggiungimento di specifici obiettivi. Nell’ambito del Piano operativo del grande parco si è lavorato in particolare mediante la strutturazione di quattro sistemi: mobilità, verde, attrezzature, insediamenti.
Il sistema della mobilità ha l’obiettivo di realizzare una mobilità sostenibile basata su azioni di moderazione del traffico veicolare locale, sull'intermodalità e sull'integrazione di più mezzi di trasporto accessibili e sicuri, che rispondano alle esigenze economiche, sociali e ambientali della comunità, scoraggiando l'uso dell'auto privata. Si definisce così una rete della mobilità dolce, ciclo-pedonale e podistica. Una trama adagiata sul suolo, che assume le tracce storiche come matrice; ma che anche può concretizzarsi lungo i tracciati di preesistenti viali urbani, nuovamente alberati, in parte resi permeabili ed attrezzati con spazi dedicati, dove recuperare la pedonalità e la bicicletta come mezzi del trasporto individuale. In tal senso questa rete, è simultaneamente orientata ad una ecologia della biodiversità e a un’ecologia delle relazioni sociali, contribuendo a massimizzare le possibilità di accesso tra i diversi settori urbani e rendendo adatti i vuoti non edificati (di diverse scale) all’incontro e allo scambio.
Il sistema del verde ha la finalità di creare un insieme organico continuo e relazionato di spazi di qualità, che possa contribuire ad elevare la qualità della vita individuale e collettiva attraverso l’accorpamento delle dotazioni. Al contempo esso è volto alla definizione di aree attrezzate, parchi urbani e periurbani collegati tra di loro e con le attrezzature e gli spazi esistenti all'interno ed all'esterno del centro urbano. Svolge inoltre una funzione di riequilibrio fra sistema agricolo, sistema delle risorse naturali e sistema urbano attraverso la riduzione delle pressioni insediative sulle attività produttive agricole, la tutela e l’arricchimento delle presenze naturali e del paesaggio, la creazione e valorizzazione di spazi di fruizione per la ricreazione e la ricostituzione di una rete ecologica locale, con attenzione ai poli ambientali e alle reti di scala superiore rilevabili e/o programmate oltre i confini comunali (Parchi di Napoli-Est, Parco Nord del Piano di coordinamento provinciale, Parco della Stazione Alta velocità di Afragola).
La polarizzazione di area vasta diventa alla scala locale articolazione capillare, rete isotropa senza direzioni prevalenti né gerarchia di percorsi; assume la maglia interpoderale, le tracce dei canali e del palinsesto storico (centuriazione, bonifiche ottocentesche) come armatura. Si concretizza in azioni di forestazione lineare, realizzazione di bypass alle barriere infrastrutturali (sottopassi, sovrappassi), sviluppo dell’agricoltura anche con usi sociali (orti urbani), individuazione di percorsi ed aree d’uso pubblico per la fruizione del verde. Si tratta di una struttura senza centro né periferia che ha come tratto caratteristico l’essere in continua espansione verso ogni direzione. Questa caratteristica tende ad aggrappare e connettere il nuovo sistema di spazi pubblici interni al Parco con quelli dei quartieri urbani posti sui margini. L’urbanizzazione apparentemente continua, come in un “cretto”, può trovare nuove discontinuità naturali: dal grande parco si diramano, come radici di un albero, nuovi sistemi di verde che colonizzano vecchie e nuove porosità interne al sistema insediativo (le “placche” delle aree dismesse, i parcheggi dei mall commerciali e dei grandi condomini esterni, i cortili e i giardini più minuti).
Il sistema delle attrezzature ha la finalità di dotare gli spazi pubblici e quelli destinati a servizi di interesse collettivo delle attrezzature necessarie a favorire il migliore sviluppo della comunità, per elevare la qualità della vita individuale e collettiva. Nell’articolazione di questo sistema gioca un ruolo importante la riscoperta dei manufatti agricoli abbandonati (masserie) da poter trasformare e la significazione anche alla scala più minuta, di un sistema di spazi pubblici non necessariamente edificati. Le attrezzature generano nuove centralità fatte di concatenazioni di piazze, campi (da gioco, per lo sport), edifici-suolo (alti massimo un piano) per l’istruzione o a servizio dello sport. Questi luoghi assumono continuità con la griglia di “strade bianche” (non asfaltate, per l’uso ciclopedonale) e con i cunei verdi della rete naturale che si dispiega dalle dorsali eco-pubbliche principali (lungo le bretelle autostradali, le superstrade, la ferrovia, ecc.).
Il sistema degli aggregati edilizi è finalizzato a: realizzare una adeguata urbanizzazione primaria e secondaria e di servizi di livello locale; provvedere al miglioramento del quadro ambientale e paesaggistico con l’obbligo di messa a verde alberato di almeno il 50% delle aree libere pubbliche o pertinenziali private; integrare con servizi gli insediamenti agricoli e del parco circostanti; realizzare sedi per attività economiche funzionali al miglioramento della qualità insediativa; escludere incrementi edilizi ad esclusione di attrezzature e servizi pubblici; individuare gli edifici e le opere di urbanizzazione illegittimamente realizzate e non condonabili, provvedendo alla definizione di politiche per la loro demolizione con ripristino dell’area di sedime e/o il loro riutilizzo per funzioni pubbliche o di housing sociale; individuare gli edifici e le opere di urbanizzazione non compatibili con il contesto favorendo, nel caso di edifici muniti di titolo abilitativo, l’eventuale loro delocalizzazione in aree dedicate. [Figura 9].
Si tratta di un’articolazione di strumenti e sinergie per il governo delle trasformazioni che offre la possibilità ad ogni operatore (gli interventi sono realizzabili anche dai privati, mediante assoggettamento all’uso pubblico convenzionato) di poter disporre, in un quadro complessivo di coerenze, degli strumenti necessari per attuare un intervento di riqualificazione ambientale volto al riequilibrio ecologico dell’ambiente urbano.
Si punta alla formazione di nuovi paesaggi metropolitani, in oscillazione tra: 1) effetto urbano (il viale alberato, con piste ciclabili e tram); 2) irruzioni di natura naturans (i boschi che mediante le nuove forestazioni segnano il tracciato delle principali infrastrutture lineari); 3) diffusione di nuove/antiche ruralità (nell’ambito delle quali recuperare la trama di filari e siepi tra campi); 4) sviluppo produttivo, soprattutto legato alla green economy (per la produzione di energie alternative) ma anche con valenze sociali, didattiche, ecologiche e ricreative.
La prefigurazione delle trasformazioni possibili è gestita mediante la predisposizione di schede (degli elementi, delle tipologie vegetazionali) nelle quali sono specificate le prestazioni attese nonché le modalità aggregative e di manutenzione dei principali materiali del progetto di parco: i percorsi (pedonale, ciclabile), le aree di sosta, i punti connettivi (le nuove piazze), il verde (di mitigazione, produttivo, boscato, attrezzato), le siepi, i filari alberati, i gruppi arborei, le aree per lo sport ed il gioco, le attrezzature pubbliche e d’interesse pubblico.
L’articolazione del Piano operativo in sistemi costituisce un dispositivo di tipo prettamente strumentale, un’articolazione in layer concettualmente separati ma in realtà sempre interagenti, confusi, ibridati. [Figure10-13].
Nuovi eco-metabolismi
La scelta di iniziare l'attuazione del piano dalla messa in opera del grande parco assume, oltre alle citate ragioni politiche (l’esigenza di reperire aree pubbliche o d’uso pubblico, la volontà di cambiare i termini della questione urbana, tralasciando in un primo momento l’edificato e ripartendo dai vuoti)uncarattere sperimentale ancorato alle ricerche e alle pratiche del landscape urbanism (Waldheim [2006]). Fonda in una critica radicale all’architettura del progetto urbano, ritenuto incapace, di fronte alla complessità dello spazio post-fordista ed informale dei nostri giorni, di offrire risposte adeguate ed efficaci.
I nuovi strumenti per il progetto del territorio e della città sono individuati in analogia con i metodi dell’architettura del paesaggio: l’importanza della dimensione temporale delle trasformazioni [21] (Desvigne [2012]), l’articolazione secondo flussi delle trasformazioni attese (Corner [2006]), la centralità dello spazio aperto con caratteristiche pubbliche e/o di ricucitura civica ed ecologica (Viganò [2012]).
Il progetto che ne deriva usa il paesaggio come elemento di struttura e si presenta con tre caratteristiche salienti: agisce contemporaneamente su più livelli (anche con logiche diverse); è sostanzialmente privo di gerarchie interne (Viganò, [2011]); è flessibile e strategico, aperto al contesto e alle sue mutazioni (Lynch, [1961], Repishti, [2012]).
In tempi di crisi, inoltre, a fronte di minori spinte urbanizzative e ridotte risorse economiche a disposizione delle amministrazioni pubbliche e degli investitori privati, l’interesse per lo spazio aperto costituisce un’occasione alternativa di ripensamento, strutturalmente sostenibile e a basso costo, per le vaste e disordinate agglomerazioni urbane sviluppatesi negli ultimi decenni: «se questo secolo ha costruito molto, lo ha fatto senza la coscienza della massa che edificava e senza realizzare degli spazi pubblici alla scala delle urbanizzazioni prodotte. Si tratta oramai di riparare, trasformare, ridefinire spazi e territori già abitati e occupati» (Desvige [2012]: 22).
Un approccioche parte dalla lezione della scuola ecologista americana – a partire da Design with nature (Mc Hargh [1969]) – con la differenza sostanziale che viene programmaticamente superata ogni distinzione tra città e natura, alla ricerca di organismi ibridi, compenetrati, collaboranti. L’assemblaggio di attanti di varia natura (umana, vegetazionale, spaziale) definisce un modello di pianificazione adattiva, strutturalmente basato sull’alternanza delle scale del progetto e sulla dinamica temporale delle realizzazioni [22].
La definizione del concetto di “natura-urbana” e lo studio dei processi d’interazione tra elementi organici e non (Gandy [2003]) giocano un ruolo chiave, in cui particolare importanza assume il concetto stesso di metabolismo urbano.
Il termine metabolismo sta ad indicare il complesso delle reazioni fisiche e chimiche che avvengono, mediante variazioni della condizione energetica, in un dato organismo. Il metabolismo può essere di due tipi: catabolico, con degradazione di molecole complesse in molecole semplici e produzione di energia; anabolico, con assemblaggio di molecole semplici e realizzazione di molecole più complesse.
Se s’ipotizza l’esistenza di un metabolismo urbano, in cui giocano ruolo analogo la natura e la città (allo stesso modo gli attori possono essere “umani” e “non umani”), il punto centrale diventa quello d’individuare processi di trasformazione capaci di innescare catene, mediante le quali scardinare, nel corso del tempo, le resistenze delle parti urbane più dure e resistenti ai cambiamenti. Per costruire catene metaboliche bisogna generare energia e dosare nel tempo e nello spazio azioni cataboliche ed anaboliche. Il punto chiave del concetto di metabolismo urbano è dunque questo: trovare l’energia per alimentare i cambiamenti strategici di lungo periodo.
Affrontare a prescindere la questione della città, a partire ad esempio dal problema del riuso le aree dismesse centrali, è stata la strada a lungo perseguita: questo nodo richiede troppo contrasto, c’è un processo di decadimento della città che, per essere invertito, necessita di immani quantità di energia (in termini economici, di consenso sociale, di organizzazione e competenza dell’amministrazione, ecc.). La lunga illusione degli 80/90 che vedeva nelle aree dismesse dall’industria nelle grandi città un campo infinito di possibilità trasformative si è del resto spesso rilevata quantomeno velleitaria, di fronte alla drammatica forbice tra attese speculative e catastrofiche tracce del recente passato industriale (la determinazione delle nuove funzioni da insediare, quando effettuata in modo indipendente dalla caratterizzazione dei suoli, ha generato costi di bonifica insostenibili).
Per affrontare l’esigenza, sempre più pressante, di rigenerazione delle città, sembra più opportuno viceversa praticare un punto di vista alternativo, laterale; provare a percorrere strade secondarie, rigorose e discrete, facendo i conti con gli spazi di risulta del tessuto urbano, «lavorare con gli interstizi anziché metterli da parte» (Rephisti [2012]: 37).
L’energia che occorre per la rigenerazione urbana, in specie in contesti estremi come quello oggetto di studio, può provenire, questa è la tesi ultima di questo lavoro, dalle aree dimenticate, lo sconfinato mosaico di terre di mezzo, dimenticate dalla pianificazione e dagli interessi fondiari.
A Casoria, in particolare, grande importanza assume il bosco che sta sorgendo spontaneamente lungo i nastri infrastrutturali e nelle grandi aree dismesse in attesa: il piano-dispositivo prova ad innescare la catena trasformativa a partire da un processo catabolico elementare che, aggregando materiali semplici (privi di resistenza ai cambiamenti), generi urbanità (ovvero molecole più complesse) e, al contempo produca l’energia (sociale, economica, di nuova identità e speranza) necessaria a mettere in campo anche i futuri anabolismi capaci di sintetizzare le molecole urbane complesse, i materiali più duri e apparentemente intangibili (la cosiddetta “corona di cemento”: la città densa dei condomini degli anni 50/70; le aree dismesse dalle industrie e dai centri commerciali, ecc.) con il loro (per ora) insopportabile carico di attese e problemi.
Affinché questo meccanismo funzioni c’è bisogno di trasformare subito il piano in azione: costruire nuovi usi sociali, anche temporanei; mettere in rete le risorse ecologiche ed ambientali. Occorre ribaltare il punto di vista sulla città, generare un sentimento di speranza ed appartenenza per gli abitanti: trasformare l’immagine della città dei palazzi e dei senza-lavoro nella città del grande parco.
Tutto parte dall’aggregazione di materiali semplici: siepi, filari, percorsi pedonali, campi da gioco e nuove piazze e dalla paziente ricerca di nuove pratiche e forme di socialità.
Bibliografia
Apparato iconografico (credits).
Le immagini pubblicate sono redatte dall’Ufficio di piano istituito presso il Comune di Casoria, settore Pianificazione e Controllo del Territorio diretto da Salvatore Napolitano e composto da: Salvatore Arnone, Aurelio Bellobuono, Domenico Iodice, Pasquale Mercurio, Pasquale Orefice; Luigi Abruzzese; Paolo Iorio; Berardino Lamberti; Maria Luisa Pancione; Raffaele Tuccillo; Anna De Mare; Giovanni Graziani; Salvatore Lione. Hanno prestato collaborazione esterna all’Ufficio di Piano: Associazione Goldstein Architettura (Luisa Fatigati, Enrico Formato), Suburbia Mode s.r.l. (Michele Moffa, Paolo Sacco, Mariemma Porto, Claudia Bizzarrini, Antonella Mazzotti), Giovanni De Falco, Francesco Cristiano, Francesca Avitabile, Giovanni De Nicola, Francesco Frulio, Filomena Fusco, Giuseppe Schiavone, Bianca Senese, Emilia Silvati, Pasquale Volpe.
Note
[1] Il piano è stato redatto ed adottato nel corso del 2013 dall’Ufficio di piano istituito presso il Comune, con il coordinamento scientifico di Goldstein Architettura (Luisa Fatigati, Enrico Formato) e Suburbia.Mode (Paolo Sacco, Michele Moffa, Antonella Mazzotti, Claudia Bizzarrini, Mariemma Porto).
[2] La questione del riciclo, applicata al territorio e alle città, è stata portata con evidenza all’attenzione dell’opinione pubblica italiana dalla mostra “Re-cycle. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta”, tenutasi presso il Maxxi di Roma dall’1.12. 2011 al 29.4.2012, curata da Pippo Ciorra con Reinier de Graaf, Sara Marini, Mosè Ricci, Jean-Philippe Vassal e Paola Viganò. Sul tema si segnalano inoltre le attività in corso nell’ambito del Progetto di ricerca d’interesse nazionale (Prin) “Recycle Italy”, coordinato da Renato Bocchi dello Iuav, con ulteriori dieci unità di ricerca presso altrettante sedi universitarie: Trento, Milano Politecnico, Torino Politecnico, Genova, Roma La Sapienza, Napoli Federico II (con Bari Politecnico), Palermo, Reggio Calabria, Chieti-Pescara, Camerino.
[3] Il concetto di scarto richiama la definizione di drosscape fornita da Alan Berger (2006).
[4] Casoria era detta «la Sesto San Giovanni del Sud» per la presenza di molte industrie di rilievo nazionale, tra cui spiccavano la Rhodiatoce, che vi produceva il terital, la Resia, le Acciaierie del sud, la Calcobit. Gli stabilimenti non erano localizzati in una zona industriale dedicata ma in più aree poste ai margine dell’insediamento urbano preesistente. L’espansione urbanizzativa, negli anni, ha incluso i recinti industriali nelle proprie maglie.
[5] Dai dati sulla popolazione legale forniti dall’Istat per il 15° Censimento popolazione e abitazioni 2011 e pubblicati sulla Gazzetta ufficiale n. 294 del 18.12.2012, risulta che la popolazione residente nel comune di Casoria è pari a 78.647 abitanti. Tale valore deriva da una dinamica demografica che ha registrato nel corso degli ultimi decenni una riduzione del ritmo di crescita. Se nel decennio 1961-1971 la popolazione residente è cresciuta con un incremento percentuale complessivo del 107,77% nel corso dell’ultimo decennio si registra, invece, una flessione pari a circa il 4%. Tuttavia la presenza di oltre 78.000 abitanti continua a determinare una densità demografica pari a 6.537 ab/kmq, di gran lunga superiore a quella della Provincia di Napoli che registra un valore di 2.606 ab/kmq.
[6] La Strada degli Americani, oggi Circumvallazione Esterna – Strada provinciale n.1, è il primo asse stradale a scorrimento veloce che taglia la storica radialità delle direttrici di collegamento tra Napoli e l’entroterra. Un primo tratto della strada fu tracciato dagli Alleati a servizio degli insediamenti Nato immediatamente dopo la Liberazione. Successivamente, tra il 1955 ed il 1970, fu realizzata l’intera infrastruttura, su progetto della Provincia di Napoli: mediante lo svincolo di Casoria dell’Autostrada del Sole (1962) si rendeva possibile il
collegamento tra i diversi nuclei urbani dell’entroterra mediante una vera e propria tangenziale, alternativa a Napoli. Per una ricostruzione della vicenda cfr. Ippolito, Maisto (2000) e Marotta (2009).
[7] La catena Eurostanda nasce nel 1975 dalla sinergia tra Carrefour e Standa (gruppo Montedison). L’ipermercato di Casoria, aperto nel 1978, fu il secondo ipermercato in Italia, dopo quello di Paderno Dugnano, in Brianza (inaugurato nel 1975 e a tutt’oggi in esercizio).
[8] Sembrano prevalere le strutture commerciali ad effetto urbano, di minore estensione e contraddistinte da una più articolata parcellizzazione dell’offerta commerciale, tanto più se legata alle particolarità contestuali e alla valorizzazione delle tradizioni e alla cultura locale. Le grandi piastre commerciali, energivore e ad elevato impatto sull’ambiente, presentano peraltro costi di gestione molto elevati che pesano sulla competività dell’offerta commerciale e diventano insostenibili con flussi di cassa ridotti (per statistiche ed analisi del fenomeno: http://www.gdonews.it/).
[9] Il concetto di urbanizzazione parassitaria è usato nell’accezione attribuita da Robert A. Beuregard (2006) a proposito del rapporto tra suburb ed inner city nell’urbanizzazione americana contemporanea.
[10] La ricostruzione post-sismica e l’adeguamento del patrimonio edilizio storico (promosso dalla L. 219/1981) è stato condotto senza alcun controllo sulla qualità degli interventi, distribuendo a pioggia centinaia di miliardi di lire, per “ristrutturazioni edilizie” pesanti, inutili se non dannose dal punto di vista strutturale, con risultati irreversibili in rapporto alle esigenze di Conservazione. Secondo la Corte dei Conti la ricostruzione post-sismica in Irpinia e Basilicata è costata complessivamente più di 32 miliardi di euro.
[11] I servizi e le attrezzature di proprietà pubblica esistenti sono pari a 290.116 mq, circa il 10% del fabbisogno al 2023 (4 mq/ abitante). La quantità minima richiesta dalla Legge regionale n. 14 del 1982 fissa la quantità minima di servizi ed attrezzature, pubblici o di uso pubblico, in 35,5 mq/ab.
[12] Per la ricostruzione del ciclo produzione edilizia – sviluppo economico, cfr. Harvey (2013): 46-89; Lieto, Formato, Basco (2012): 170-171
[13] Particolare rilevanza assume l’anno di moratoria della Legge ponte (1967-1968) nel quale sono rilasciate, in deroga ad ogni strumento urbanistico, centinaia di licenze edilizie per condomini residenziali d’iniziativa privata, di grande mole ed impatto sull’esile sistema insediativo preesistente.
[14] Il fenomeno è comune all’intero hinterland napoletano; nel solo comune di Casoria risultano presentate circa 9000 domande di condono per abusi edilizi commessi fino al 2003.
[15] Dopo le ambigue ed alterne interpretazioni seguite al varo della Legge urbanistica regionale, la n. 16/2004, la Regione Campania ha chiarito, con il Regolamento per il governo del territorio, n.5 dell’agosto 2011, il carattere radicale ed innovativo del nuovo Piano urbanistico comunale. Le previsioni del Puc sono distinte in “strutturali” ed “operative”. Le prime riguardano l’intero territorio comunale, non hanno scadenza e non agiscono direttamente sul regime dei suoli: non appongono vincoli preordinati all’esproprio né assegnano capacità edificatore; il Piano operativo, da elaborare solo per le porzioni per le quali modulare- mediante gli Atti di programmazione degli interventi - una trasformazione di breve-medio periodo (convenzionalmente un quinquennio), perde di efficacia se non realizzato nell’ambito temporale di riferimento. Il Piano operativo assegna diritti edificatori ed individua le aree assoggettate ad esproprio: entrambe queste previsioni decadono in assenza di concrete trasformazioni.
[16] Il Programma Integrato Urbano (PIU Europa) rappresenta lo strumento di attuazione della strategia regionale per lo sviluppo urbano sostenibile, di cui all’Obiettivo specifico 6.a dell’Asse prioritario 6 del PO FESR 2007–13 della Regione Campania, obiettivo operativo 6.1 “Città medie” (popolazione superiore ai 50000 abitanti). Le risorse messe a disposizione dalla Regione Campania per i Programmi PIU Europa ammontano complessivamente a circa 653 milioni di euro (Napoli esclusa). A Casoria è previsto un investimento pubblico di circa 34 milioni di euro, volto alla riqualificazione di spazi pubblici urbani (strade, piazze, percorsi pedonali) e alla realizzazione di un parco pubblico ed un centro espositivo per l’arte contemporanea. L’Unione Europea richiede la consegna delle opere finanziate entro il 31 dicembre 2015.
[17] Si fa riferimento al principio della Conservazione integrata stabilito nella Carta di Amsterdam (1975).
[18] Il tema è stato al centro della XVI Conferenza Nazionale SIU - Società Italiana degli Urbanisti
“Urbanistica per una diversa crescita. Aporie dello sviluppo, uscita dalla crisi e progetto del territorio contemporaneo”, tenutasi a Napoli il 9 e 10 maggio 2013. http://www.planum.net/xvi-conferenza-siu-2013.
[19] Congruentemente allo Schema di Atti di programmazione degli interventi allegato al Piano operativo, l’Amministrazione sta procedendo, anche prima della definitiva approvazione del Piano urbanistico di livello generale, alla realizzazione di alcune sue prime anticipazioni d’interesse pubblico: in particolare si segnalano due recenti delibere della Giunta comunale (la n. 39 e la n.40 del 9 Aprile 2014) per l’approvazione di un "Programma di riqualificazione di luoghi marginali della città" e la realizzazione di tre parchi pubblici di quartiere. Cfr. http://pianificazionecasoria.blogspot.it/p/progetti.html
[20] Si tratta di un museo-laboratorio molto attivo che, a dispetto della recente fondazione (2005) e della sede del tutto inadeguata (il piano interrato di un istituto scolastico) ha già acquisito un ruolo rilevante nel panorama artistico nazionale ed internazionale, divenendo uno dei più importanti centri italiani per l’arte contemporanea orientale e multimediale. http://www.casoriacontemporaryartmuseum.com/
[21] «il paesaggio si trasforma per strati. Non si tratta dell’anticipazione rigida di un progetto. Ogni strato è nuovo e trasforma il precedente. Il primo strato non è niente più che un movimento di suolo, fossati, praterie, giovani alberi, principalmente sostegni, forse una strada (…) Il primo strato è determinante, ma lascia spazio a numerose possibilità, adattamenti e aggiustamenti.» (Desvigne [2012]: 22)
[22] Si fa riferimento, in particolare al metodo degli assemblaggi. Cfr. Beuregard (2012) e Beuregard, Lieto (2013).