Forme della sostenibilità urbana in Messico a cura di Livio Sacchi con Cesare Corfone

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Società, Cultura e Patrimonio: le architetture messicane della sostenibilità
Cesare Corfone
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Abstract
In questo articolo attraverso la descrizione di cinque opere d'architettura contemporanea realizzate nelle due grandi metropoli messicane, Ciudad de Mexico e Guadalajara, si intende evidenziare la via messicana alla sostenibilità, strettamente connessa ad alcuni recenti fenomeni sociali e urbanistici, emblematici delle grandi trasformazioni in corso negli Estados Unidos Mexicanos. Tra le tematiche affrontate da questi progetti: recupero dei brownfield site e riduzione del consumo di suolo; conservazione del patrimonio paesistico mediante operazioni di valorizzazione del turismo religioso; ricostruzione sociale e funzionale di aree colpite da catastrofi naturali; creazione di spazi pubblici per la cultura e l'integrazione sociale; riuso dei materiali da costruzione e tecniche edilizie a basso impatto ambientale.

Introduzione
La grandeur storico-geografica del Messico, è oggi una delle più consolidate fonti di ricchezza turistica e culturale di questo Paese, in cui la tradizione precolombiana, le arti grafiche e visive, la religione cattolica, la musica, la tradizione culinaria, l'architettura e le arti in genere, rivestono un ruolo fondamentale, poiché risultato di diversi e stratificati apporti culturali e poiché considerate parte integrante della vita quotidiana dei cittadini messicani, che ne risulta metaforicamente fatta di colori vivaci, linee regolari e materiali tradizionali (R. Tongini Folli, 2012). L'estensione geografica e la profondità storica che caratterizza la cultura architettonica messicana, costituiscono un panorama di difficile interpretazione, all'interno del quale sembrerebbero delinearsi due grandi vie: l'una percorsa da una sapiente memoria collettiva della recente stagione segnata dal maestro di spazio, materia e colore, Luis Barragán (L. Sacchi, 2013) e riconoscibile in nuove e raffinate residenze private o in alcune preziose opere di Land Art ispirate ad alcuni suoi lavori; l'altra percorsa da culture architettoniche lontane nel tempo (come quelle Teotihuacana, Maya ed Azteca) che creano contaminazioni e cortocircuiti con culture architettoniche lontane nello spazio (come quella dello star‑system occidentale) e che generano una reale evoluzione del linguaggio architettonico nazionale, affatto assimilabile ad una replica dello status quo europeo o statunitense (F. Romero, 2014). La breve selezione di opere d'architettura contemporanea che si riporta di seguito, individuata all'interno delle due grandi metropoli della cultura messicana, ovvero Ciudad de Mexico (Mexico D.F.) e Guadalajara (Jalisco), non è tesa a descrivere le dinamiche interne alla disciplina architettonica, bensì i fattori esterni -urbani, paesaggistici, culturali, ambientali o economici- che ne producono la loro rilevanza sociale o urbanistica. Le cinque opere selezionate, infatti, offrono l'opportunità di individuare alcuni fenomeni urbani e sociali, sintomatici delle trasformazioni, numerose e di grande intensità, che stanno avvenendo” in Messico (F. Mendez Bernal, 2014) e sembrerebbero percorrere o individuare una possibile “via messicana alla città sostenibile” (A. Clementi, 2014). Tali fenomeni urbanistico‑culturali, accennati attraverso la descrizione di cinque opere di differenti architetti, lambiscono numerosi temi afferenti alla cultura del progetto urbano sostenibile. Tra i principali temi, vi sono: la rivitalizzazione dal basso e la ricostruzione socio‑funzionale di aree residenziali duramente colpite da catastrofi naturali; la conservazione del patrimonio paesistico nazionale mediante operazioni di valorizzazione del turismo religioso e delle sue tradizioni culturali; la rifunzionalizzazione di grandi aree industriali sottoutilizzate, quindi il recupero di brownfield site e la riduzione del consumo di suolo; la creazione di spazi pubblici per la cultura e l'integrazione sociale; l'intervento di multinazionali in favore dell’occupazione e dell’istruzione nei quartieri più poveri delle metropoli; la conversione di obsoleti impianti di trattamento delle acque reflue;  la donazione di grandi patrimoni storico‑culturali privati in favore di una popolazione povera e svantaggiata; il riuso dei materiali da costruzione; l'introduzione di coperture verdi e superfici edilizie permeabili.

“Museo Soumaya” di FR-EE Fernando Romero Enterprise, Ciudad de Mexico (Mexico D.F.), 2011
Carlos Slim Helú è l'imprenditore messicano più influente nella storia del Messico ed opera in molti settori strategici del suo paese come quelli del petrolio, delle banche, dei metalli, del tabacco, della ristorazione, delle comunicazioni, degli immobili e delle assicurazioni. Dal 2010 è considerato l'uomo più ricco al mondo e con un patrimonio stimato in circa 73 miliardi di dollari realizza ogni anno il 5% del PIL messicano. Carlos Slim, emblema delle enormi ricchezze del Messico e delle sue ancor più grandi disuguaglianze sociali, pochi anni or sono ha deciso di intraprendere una delle più grandi donazioni storico‑artistiche del mondo. Attraverso la Fundación Carlos Slim, si è deciso di donare al Paese la collezione d'opere d'arte appartenente alla sua famiglia, in memoria di Soumaya Domit de Slim, moglie di Carlos scomparsa prematuramente nel 1999. La collezione conta quasi 70.000 manufatti tra i quali opere precolombiane, pitture, monete e sculture di ogni epoca, documenti storici e religiosi, tele e sculture di Dalì, Picasso, El Greco, Van Gogh, Matisse, Leonardo da Vinci, Tintoretto, Renoir, Rodin, solo per citarne alcuni. In un Paese come il Messico, attraversato da dilaganti povertà, discriminazioni sociali e disuguaglianze, ed in cui l'accesso all'arte e all'istruzione, così come alla bellezza e alla storia, sembra essere un privilegio per pochi, questa operazione ha dato un segnale incoraggiante, dai risvolti ancora difficilmente comprensibili. Lo stesso Presidente del Governo messicano, Felipe Calderon, sottolineò sin da subito la sua sincera gioia per i tantissimi messicani che avrebbero potuto liberamente ammirare a Città del Messico una porzione del patrimonio culturale mondiale. La Fundación decise così di realizzare un grande museo che potesse di volta in volta esporre parte di questo patrimonio storico ed artistico, diventato ormai pubblico e di gratuito accesso. Il luogo per il museo non poteva che essere Nuevo Polanco, un'area di Città del Messico dal passato industriale ma in dismissione da decenni, interamente di proprietà di Slim, che sta catalizzando molti interventi di rivitalizzazione urbana ed accogliendo grandi edifici di pubblico interesse (ad esempio il museo di arte contemporanea Jumex disegnato da David Chipperfield). Il Museo Soumaya, emblema scultoreo di questa rivitalizzazione sociale ed urbanistica, è stato progettato dal blasonato architetto messicano Fernando Romero, allievo di Rem Koolhaas (ed anche genero di Carlos Slim). La complessa e plastica geometria dell’edificio è strutturata interamente in acciaio, mediante 28 colonne curve e 7 anelli irregolari (un anello per piano). L’edificio, 45 metri di altezza senza nessuna finestra, poggia su un basamento in cemento, rivestito di vegetazione verticale, di cui una si spiega per diventare la grande scala d’accesso che corre lungo quasi tutto il perimetro. L'edificio, nella sua forma e funzione, sembra essere ispirato alle più note operazioni della famiglia Guggenheim: la rampa continua che collega i 7 livelli di esposizione è un dichiarato tributo al museo newyorkese di Wright, così il rivestimento della facciata, metallico e scintillante, è un tributo al museo basco di Gehry, consulente di Fernando Romero per questo progetto. Va detto che il Museo Soumaya, aldilà dei suoi connotati architettonici, è il primo importante museo pubblico realizzato con fondi privati a Città del Messico. Unico museo fruibile gratuitamente in Città, è divenuto in poco tempo non solo contenitore culturale e luogo di socializzazione per la cittadinanza locale, bensì un’attrazione per i turisti di tutto il mondo, raggiungendo quasi il milione di visitatori l'anno.

“Foro Ciel” di Rojkind Arquitectos + AGENT, Ciudad de Mexico (Mexico D.F.), 2012
Il 30 ottobre 2012 è stato inaugurato il “Foro Ciel”, un luogo progettato dall'architetto Michel Rojkind, nello spazio di un vecchio eliporto sulla copertura di una torre abbandonata, sotto l’auspicio di un contenitore di idee e progetti a beneficio dell'ambiente. L’idea motrice è stata quella del riuso creativo di un edificio dismesso, tornando a prendersi cura di un manufatto che altrimenti sarebbe risultato essere l'ennesimo scarto della comunità metropolitana di Città del Messico: la piccola torre ed il suo eliporto, pur conservati nelle loro conformazioni strutturali, sono stati convertiti in spazi per il lavoro ed il tempo libero. Concettualmente, è stato generato uno design che evoca la metafora dell’acqua purificatrice dell'anima dell’edificio: il perimetro organico dell'edificio (splash) è conformato da facciata di vetro curvo che si rapporta con l’impronta dell’eliporto e genera spazi cangianti, ispirando un nuovo stile lavorativo all’interno del co-working space. Il piano attico dell'edificio è un tetto‑giardino multilivello (aree verdi accessibili agli utenti sia sui livelli della vecchia e della nuova copertura dell'edificio, e sul piano dell'eliporto) formato da tre piani permeabili, organizzati in diverse essenze e pattern, che hanno come sfondo il grandioso bosco di Chapultepec. Grande attenzione progettuale è stata data alla riduzione dell’impatto ambientale del sistema costruttivo: l’estetica industriale del progetto rivela la scelta di aver riusato molti elementi originali come decoro (condutture degli impianti, installazioni ecc.) senza cercarne altri fuori contesto; sono stati recuperati elementi esistenti della struttura dell’eliporto e di altre parti della copertura per creare scale, ringhiere e nuove strutture; sul tetto è stato integrato un discreto impianto di pannelli fotovoltaici per contribuire all’alimentazione elettrica nonché un sistema di raccolta di acque piovane per irrigare le aree piantumate; per l’illuminazione sono stati scelti led a basso consumo energetico; la finitura della struttura metallica è a base d’acqua senza emissione di gas serra e per gli arredi (quasi tutti autocostruiti in loco) è stata utilizzata una vernice elettrostatica non nociva. Il marchio che da il nome al progetto del Foro Ciel è il nome dell’acqua in bottiglia “Ciel”, commercializzata dalla The Coca‑Cola Company la cui volontà era di dotarsi di un luogo di lavoro flessibile ed evocativo in Città del Messico, uno 'spazio pubblico' capace di favorire relax e creatività dei dipendenti della società. I risultati locali, in termini di sostenibilità sociale ed economica sono notevoli. Il contributo che Coca‑Cola ha voluto dare alla comunità di questo quartiere è al tempo stesso ambizioso e lodevole, ed è prova che piccole operazioni culturali sono possibili anche a partire dagli spietati interessi commerciali di potenti multinazionali. Il direttore marketing della Coca‑Cola de México, Sergio Spínola, ha spesso parlato proprio questo obiettivo aziendale, cioè della volontà di contribuire “allo sviluppo di idee per la costruzione di una comunità locale sostenibile”.

“Hotel Condesa DF” di JSª architects, Ciudad de Mexico (Mexico D.F.), 2010
Colonia Condesa, comunemente detta “La Condesa” (ubicata nella zona centrale di Città del Messico ed appartenente alla Delegación Cuauhtémoc), è il quartiere che forse più di ogni altro soffrì le devastanti conseguenze del terremoto del 1985. Tali conseguenze furono strutturali ed edilizie, quanto sociali ed urbanistiche: portarono ad un repentino abbandono della Colonia da parte dei suoi residenti storici, incredibilmente seguito da un altrettanto repentino boom immobiliare. La Condesa, ha visto nuove costruzioni residenziali in stile avanguardista (destinate alla giovane popolazione del quartiere) accostarsi alla sua già grande varietà di stili architettonici (dallo stile Neoclassico degli inizi del ventesimo secolo, per arrivare ai diffusi edifici in stile Art Déco costruiti nella seconda parte del ventesimo secolo). Durante l'ultimo decennio infatti, si è qui vissuto un fenomeno di riappropriamento di luoghi urbani ricchi di storia e identità, mediante afflusso di nuovi cittadini ed investitori che hanno riaperto ristoranti, caffè, librerie, alberghi, gallerie d’arte, boutique di moda, centri culturali e aree verdi. La grandiosità sostenibile della intera operazione La Condesa risiede nell'intelligenza collettiva di giovani cittadini messicani, cioè nella loro idea, forse inconscia, di recuperare vecchi spazi terremotati della città per farne i luoghi privilegiati della residenza, il lavoro, la ricettività, il tempo libero, la cultura e la socializzazione. La struttura del “Hotel Condesa DF” sembra essere un ottimo esempio di questa nuova creatività sociale che sta permettendo di recuperare un intero brano di città, sventando il rischio che Colonia Condesa si trasformasse in un vero e proprio brownfield site della residenza di lusso messicana. Il progetto degli architetti JSª architectsconsiste nel restauro di una palazzina residenziale del 1928, situata su Avenida Veracruz e tutelata dal Instituto Nacional de Bellas Artes. Alcune aree interne dell'edificio sono state demolite per creare una corte attorno alla quale si snodano tutti gli ambienti dell'hotel e di qui dipartono ed arrivano tutti i flussi turistico‑ricettivi della struttura. Al piano terreno, comunicanti con la corte interna, ci sono molte funzioni di pubblica socializzazione come ristorante, bar, biblioteca e sale lettura che coinvolgono il passeggio dei pedoni in strada; dal primo livello in su, la corte presenta pareti realizzate con paraventi mobili in alluminio che trasformano continuamente questo spazio e consentono di ampliare visualmente i corridoi interni all'edificio; sulla copertura, c’è una terrazza utilizzata come spa e lounge bar.

“La Planta” di Agraz arquitectos SC, Guadalajara (Jalisco), 2013
Riuso di strutture edilizie esistenti ed impianti di depurazione dei reflui sono due temi di sostenibilità urbana che il progetto “La Planta” del gruppo Agraz arquitectos SC ha accostato in modo quantomai imprevedibile: “dove prima c’era materia organica in decomposizione ora c’è cultura, sport e attività ricreative” (Agraz, 2013). L’edificio originario, un impianto di trattamento di acque reflue, fu costruito oltre vent’anni fa a Tlajomulco de Zuniga e fu paradossalmente dismesso poche ore dopo la sua inaugurazione. L’incuria gestionale diede modo a tutti i bacini di depurazione delle acque di andare in putrefazione rapidamente, vanificando la funzione iniziale dell’impianto di depurazione e danneggiandone la struttura. Qualche anno più tardi, le autorità municipali espressero il desiderio di recuperare la struttura, senza un eccessivo investimento economico e senza un reale scopo funzionale per farlo, poiché un nuovo e più grande impianto di depurazione era stato realizzato nel frattempo. L’architetto Ricardo Agraz, “dopo aver studiato la struttura esistente e indagato le possibilità spaziali”, propose di “convertire l’impianto di trattamento in un centro multifunzionale” trasformandolo in un luogo di depurazione spirituale, capace di che accogliere cultura, sport e funzioni ricreative a beneficio dei vicini quartieri di SantaFe e ChulaVista. L'oggetto architettonico che ne è risultato appare caratterizzato dalla forte spinta longitudinale (per via della preesistente serie di vasche di depurazione strette e lunghe disposte l’una affianco all’altra) e dalla grande orizzontalità della copertura (di nuova realizzazione per circa 450 mq). Questo grande solaio in calcestruzzo copre quel che fu lo spazio di depurazione idrica e libera un notevole spazio pubblico, impreziosito peraltro, dalle opere dello scultore Francisco Morales. Le antiche vasche di decantazione dell'acqua sono diventate sei saloni della cultura, aperti con patii e finestre che ne permettono illuminazione e ventilazione naturale. “Le scale di accesso a questi saloni funzionano anche come spazi di incontro e di attesa: i bambini che studiano musica lì possono sedersi a suonare, intanto nella sala accanto può esserci un laboratorio di pittura, una lezione di ballo, di ginnastica olimpica o di graffiti, mentre in un’altra una lezione di calcio e zumba” (Agraz, 2013).

Templo del Vacío Circular” di Rozana Montiel, Guadalajara (Jalisco), 2013
La Ruta del Peregrino è un camminamento religioso messicano intrapreso da quasi tre milioni di persone all'anno per onorare la Virgen de Talpa. Il pellegrinaggio, lungo i suoi 117 chilometri, attraversa numerosi comuni dello stato di Jalisco e si snoda attraverso grandi catene montuose tra la prima tappa di Ameca e l'ultima di Talpa de Allende. Recentemente, il Governo statale ha deciso di valorizzare l'identità paesaggistica e culturale della Ruta, sostenendo la realizzazione di infrastrutture e servizi al pellegrino, quali rifugi, belvedere, servizi igienici e sanitari, piccoli santuari ed opere d'arte, con il fine ultimo di dare sostenibilità economica e stabilità alle comunità, perlopiù rurali, che vivono lungo il percorso, rendendone un territorio fruibile non più soltanto in occasione delle grandi feste religiose. El plan maestro di inserimento dei tanti piccoli interventi lungo la Ruta del Peregrino è stato redatto dagli studi di progettazione di Derek Dellekamp e di Tatiana Bilbao, che a loro volta, hanno selezionato e coinvolto architetti e paesaggisti tra i più giovani ed intraprendenti del Paese. I piccoli siti realizzati, come ad esempio la “Gratitude Open Chapel” a Lagunillas, sono stati progettati come fossero delle pietre miliari a segnare ed indicare il cammino, e tutti creano un rapporto simbiotico con il contesto naturale. Probabilmente il più mistico e minimale di tutti è il “Templo del Vacío Circular” di Rozana Montiel che si basa sul concetto di cerchio come simbolo di infinito, totalità ed eternità. L'oggetto architettonico è un anello in calcestruzzo armato (circa 40 metri di diametro e 3 metri di altezza) che interagisce con la singolare topografia del luogo pur mantenendo sempre la sua orizzontalità. Il cerchio non si adegua alla conformazione del terreno, ma ne risalta le peculiarità e ne prende il funzionamento, incassandosi in alcuni punti e levitando in altri. L’arrivo e la ripartenza nel tempio sono una metafora per il pellegrino: si entra attraverso una stretta fessura (quasi con difficoltà, così come con difficoltà si intraprende il pellegrinaggio); si sosta all'interno di pareti bianche e confinate (percependo una sensazione di protezione, simile a quella che ci può offrire la Provvidenza lungo il cammino); si esce in discesa, assecondando un declivio naturale con la struttura sospesa al di sopra della testa (percependo un senso di leggerezza, simile alla sensazione provata a fine del percorso di pellegrinaggio). L'opera sembra rappresentare un micro‑cosmo nella sua relazione reciproca con il macro‑cosmo, rapportandosi umilmente e creativamente proprio con il Creato, specchio della divina bellezza.

 

 

BIBLIOGRAFIA

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“Museo Soumaya” - courtesy of Fernando Romero Enterprise “Museo Soumaya” - courtesy of Fernando Romero Enterprise “Museo Soumaya” - courtesy of Fernando Romero Enterprise “Museo Soumaya” - courtesy of Fernando Romero Enterprise “Museo Soumaya” - courtesy of Fernando Romero Enterprise “Museo Soumaya” - courtesy of Fernando Romero Enterprise “Museo Soumaya” - courtesy of Fernando Romero Enterprise “Museo Soumaya” - courtesy of Fernando Romero Enterprise “Museo Soumaya” - courtesy of Fernando Romero Enterprise “Museo Soumaya” “Museo Soumaya” “Museo Soumaya” “Museo Soumaya” “Museo Soumaya” “Museo Soumaya” “Museo Soumaya” “Museo Soumaya” “Foro Ciel” - courtesy of Rojkind Arquitectos + AGENT “Foro Ciel” - courtesy of Rojkind Arquitectos + AGENT “Foro Ciel” - courtesy of Rojkind Arquitectos + AGENT “Foro Ciel” - photos by Jaime Navarro “Foro Ciel” - photos by Jaime Navarro “Foro Ciel” - photos by Jaime Navarro “Foro Ciel” - photos by Jaime Navarro “Foro Ciel” - photos by Jaime Navarro “Foro Ciel” - photos by Jaime Navarro “Hotel Condesa DF” - photos by Luis Gordoa “Hotel Condesa DF” - photos by Luis Gordoa “Hotel Condesa DF” - photos by Luis Gordoa “Hotel Condesa DF” - photos by Luis Gordoa “Hotel Condesa DF” - photos by Luis Gordoa “Hotel Condesa DF” - photos by Luis Gordoa “Hotel Condesa DF” - photos by Luis Gordoa “Hotel Condesa DF” - photos by Luis Gordoa “La Planta” - courtesy of Agraz arquitectos SC “La Planta” - courtesy of Agraz arquitectos SC “La Planta” ante operam - photos by Mito Covarrubias “La Planta” ante operam - photos by Mito Covarrubias “La Planta” post operam - photos by Mito Covarrubias “La Planta” post operam - photos by Mito Covarrubias “La Planta” post operam - photos by Mito Covarrubias “La Planta” post operam - photos by Mito Covarrubias “Ruta del Peregrino”  in Biennale di Venezia 2012 - photos by Nico Saieh “Ruta del Peregrino”  in Biennale di Venezia 2012 - photos by Nico Saieh “Templo del Vacío Circular” - courtesy of Rozana Montiel “Templo del Vacío Circular” - courtesy of Rozana Montiel “Templo del Vacío Circular” - courtesy of Rozana Montiel “Templo del Vacío Circular” - courtesy of Rozana Montiel “Templo del Vacío Circular” - courtesy of Rozana Montiel “Templo del Vacío Circular” - courtesy of Rozana Montiel