Forme della sostenibilità urbana in Messico a cura di Livio Sacchi con Cesare Corfone

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Idrogenesi di Città del Messico: da città lacustre a megalopoli ecologica
Cesare Corfone
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QUESTIONI IDRICHE DELLA MEGALOPOLI MESSICANA

La tumultuosa espansione urbana che dagli anni '50 in poi ha attraversato Città del Messico, rendendola una tra le più grandi megalopoli del pianeta, ha messo in crisi tutti gli ecosistemi che esistevano nella regione valliva e nei bacini lacustri in cui la città è insediata. I primi a soffrire la dilagante antropizzazione moderna furono i laghi dolci e salmastri, seguirono i boschi, i fiumi, le montagne e poi via via tutta la fauna associata a queste ecologie locali. Le condizioni ambientali si sono aggravate molto velocemente, tanto da portare la valle fin sull'orlo del disastro ecologico: Città del Messico è stata considerata a lungo tra i luoghi più contaminati del mondo, tanto da sottoporre a continui rischi la sua vastissima popolazione urbana, quindi la reale sopravvivenza città stessa.

Dagli anni '80 in poi, la capitale messicana è divenuta un caso paradigmatico di analisi del rapporto tra dimensione dell'urbanizzazione e problemi ambientali derivanti dalle modalità di urbanizzazione: una megalopoli con quasi venticinque milioni di persone insediata in un'immensa valle in luogo di grandi laghi prosciugati, inoltre circoscritta da alte montagne e quindi senza grandi possibilità morfologiche di evacuazione dell'acqua e ricambio dell'aria. Quasi sul punto di non ritorno, il 1986 segnò il momento di inversione di rotta poiché circa la metà del territorio metropolitano fu dichiarato “Área de Reserva Ecológica” e si cominciarono ad adottare concrete misure per il miglioramento della salubrità urbana e per il ripristino delle ecologie scomparse. Dopo quasi un trentennio di politiche indirizzate verso la sostenibilità urbana, le sfide che la Città dovrà affrontare per migliorare la sua resilienza e raggiungere un sano metabolismo metropolitano sono ancora molte e di diversa natura. Si restringe qui il campo di analisi esclusivamente intorno a questioni urbanistiche di interesse idrografico ed idrogeologico, investigando le ragioni del deterioramento ecologico della valle e le sue opportunità di riqualificazione, mediante una rilettura delle trasformazioni storiche, ambientali e culturali, che nei secoli hanno conformato il paesaggio idrico‑urbano della megalopoli messicana. L'esponenziale crescita demografica della città e la conseguente impermeabilizzazione del territorio ha infatti interferito in modo devastante con il sistema idrografico superficiale e sotterraneo della valle, che hanno rappresentano da sempre la principale fonte di approvvigionamento idrico della popolazione locale. Lo scenario evolutivo del fabbisogno urbano, in combinazione con il quadro globale dei cambiamenti climatici, suggerisce un ripensamento complessivo dei modelli di gestione dell’acqua della capitale messicana, le cui più rilevanti questioni sembrano essere: crescente necessità di approvvigionamento idrico da parte della popolazione; inesorabile impoverimento delle falde acquifere; inquinamento dei corpi idrici naturali; perenne rischio di inondazione delle aree urbanizzate; subsidenza locale del suolo urbano e dell'intera valle.

Attualmente, tre quarti dell'acqua cittadina provengono dalla falda acquifera su cui la stessa città è stata edificata ed all'attuale velocità di utilizzo, cioè 15 milioni di mc al giorno, sembrerebbe esserci risorsa per circa 150 anni, ma autorevoli opinioni vorrebbero le stime notevolmente riviste al ribasso perlomeno per due ragioni. L'emungimento da falda freatica è più rapido della sua naturale ricarica del 35% circa ed il differenziale tende ad aumentare poiché con l'espansione dell'urbanizzazione aumenta l'impermeabilizzazione dei suoli e diminuisce di contro la ricarica degli acquiferi; la domanda idrica è in forte aumento, più della stessa crescita demografica, poiché le amministrazioni locali cercano comprensibilmente di fornire acqua e strutture igieniche adeguate anche alle popolazioni dei tanti slums attualmente non ancora raggiunti dagli acquedotti. Più il livello piezometrico delle falde scende e più le perforazioni si rendono difficili e profonde, ed ancor più grave sarà la questione relativa alla purezza dell'acqua, sempre più debole via via che se ne riduce la quantità. Si aggiunge che i corsi idrici superficiali sono continuamente inquinati da sostanze tossiche, come fertilizzanti, scarti industriali e rifiuti umani: purtroppo solo il 25 % delle acque esauste viene trattato, mentre il resto dei reflui percola attraverso il terreno contaminato le falde acquifere, riserva idrica sotterranea dell'intera megalopoli (Atlante dell'acqua, Clarke, 2008). Lo scenario è realmente preoccupante. Il processo di deterioramento degli acquiferi è accentuato dalla costante perdita della massa vegetale interna alla valle, con conseguente riduzione delle sue prestazioni benefiche come quella depurativa e fitoestrattiva. Ancora. A causa del continuo emungimento dei corpi idrici sotterranei e del drenaggio dei corpi idrici superficiali, il suolo della città e dell'intera valle sta sprofondando vertiginosamente, in un processo di subsidenza locale sempre più rapido. Il centro di Città del Messico si è abbassato mediamente di 7,5 m negli ultimi 100 anni (ed è adesso sotto il livello dell'antico lago) ma ci sono aree della regione metropolitana, la cui subsidenza raggiunge addirittura i 40 cm di abbassamento annuo. Il rapido e non uniforme abbassamento del terreno comporta continui malfunzionamenti a tutte le infrastrutture idriche sotterranee, di adduzione drenaggio ed evacuazione sono suscettibili e ciò da una parte genera grandi perdite di acqua potabile e dall'altra genera ulteriore inquinamento degli acquiferi.

Anticamente, una buona parte dell'attuale territorio urbano era occupato da un arcipelago di laghi senza sbocchi naturali e questa condizione morfologica rende la città vulnerabile ad alluvioni:  la cultura ingegneristica occidentale ha tentato di bypassare il problema mediante la costruzione di enormi canalizzazioni di drenaggio, spesso sotterranee. In due secoli circa, questi sistemi di drenaggio ed espulsione delle acque meteoriche hanno stravolto l’idrologia naturale della valle ed il suo funzionamento ecosistemico. Oggi tutte le acque locali sono relegate forzosamente nel sottosuolo, cioè in un universo estraneo tanto alla vita urbana quanto ai cicli naturali, universi che trovano momenti di contatto solo durante eventi alluvionali tragicamente noti: le recenti inondazioni infatti, hanno dimostrato che il problema alluvionale non è stato effettivamente risolto. Sostanzialmente, è possibile ritenere che il ciclo urbano di emungimento e smaltimento delle acque instaurato a Città del Messico negli ultimi secoli ha ridotto e continua a ridurre le capacità auto‑rigenerative dei corpi idrici della Valle, producendo un enorme squilibrio tra l'insediamento urbano e l'armatura ambientale che lo sostiene. La sensibilità ecologica ed urbanistica contemporanea sembrerebbe rendere oggi nuovamente palese ciò che nell'antica capitale azteca sembrava chiarissimo: l'attenzione alla corretta gestione delle risorse idriche naturali è materia di costruzione della forma della città ed essa può esserne artefice di un corretto ed equilibrato funzionamento ambientale. Allo scopo di descrivere le politiche  in atto di ripristino ambientale e miglioramento del metabolismo idrico urbano, nonché enunciarne nuove opportunità di recupero del paesaggio idrico e culturale in via di estinzione, sembra necessario ricostruire alcune fasi salienti della storia idraulico‑urbanistica che ha conformato l'attuale megalopoli messicana.

IDROGENESI E DECLINO DELLA CITTÀ LACUSTRE
Antica capitale dell'impero azteco, Tenochtitlán fu fondata nel 1325 su un isolotto nel principale lago della Cuenca de México (Valle del Messico) e già all'inizio del secolo XVI raggiungeva il milione di abitanti [1]. Il sistema idrografico della cuenca si componeva di cinque laghi (Texcoco, Xochimilco, Chalco, Xaltocan e Zumpango) che si estendevano su una superficie di circa 2.000 km quadrati. La caratteristica peculiare di questo sistema lacustre era il diverso carattere delle acque dovuto ai differenti tipi di sorgenti [2]: mentre i laghi di Xochimilco e Chalco erano formati da acque dolci, le acque dei Texcoco, Zumpango e Xaltocan erano salmastre. L'insieme di laghi a quote differenti funzionava come un arcipelago di vasi comunicanti che confluivano nel centrale lago di Texcoco, il più grande e basso di tutti: la discontinuità tra i vari laghi era sostanzialmente naturale, ma poi rafforzata mediante avveniristiche dighe azteche. L'impero diede alla propria capitale una struttura territoriale dalla duplice fisionomia, acquatica e terrestre, armoniosamente correlate tra loro mediante la costruzione di complesse infrastrutture di controllo e gestione dell'acqua che permisero l'esistenza di quella che fu la prima vera megalopoli nelle Americhe.

La Gran Tenochtitlán fu capace di realizzare e gestire sofisticate tecnologie idrauliche per l'approvvigionamento di acqua potabile, per il contenimento delle acque salmastri e lacustri, per l'irrigazione del tessuto agricolo, per la circolazione marittima all'interno della città. Anche le connessioni urbane infatti avvenivano mediante la doppia modalità: acquatica (attraverso i canali mediante canoe ed imbarcazioni) e  terrestre (attraverso piccole strade di terra battuta costruite come banchine, connesse da ponti di legno, che costeggiavano i canali). Le vie d'acqua presentavano diverse dimensioni, forme e caratteristiche adattandosi alla morfologia naturale ed alla funzione che svolgevano (drenaggio, irrigazione o navigazione). Gli Aztechi costruirono tre grandi viali urbani, detti calzadas, che percorrendo tutto il lago giungevano fino alla terraferma ed avevano la funzione di regolare il livello delle acque lacustri, facilitarne l'evaporazione per la produzione di sale, ridurre la pressione delle correnti e delle maree e controllare i transiti marittimi nel lago. Le acque, seppure non tutte salmastri, non erano potabili poiché infestate da piante ed animali e, paradossalmente per una città fondata sull'acqua, la carenza di acqua potabile fu sin dal principio uno dei principali problemi. Il primo acquedotto della città, realizzato nel 1465 e lungo otto chilometri, giungeva dalle stesse sorgenti di Chapultepec fino al centro di Tenochtitlán, correndo sulla Calzada de Iztapalapa attraversando tutto il lago e sollevandosi al di sopra del livello dell'acqua per consentire il passaggio delle canoe. Un'altra grande questione idraulica, problematica già per la città azteca era legata alle inondazioni periodiche del lago Texcoco: la diga di Nezahualcóyotl, realizzata dopo la grande inondazione del 1449,  si estendeva per circa 16 chilometri da sud a nord tagliando in due parti la laguna, separandone inoltre l'acqua salata da quella dolce [3]. L'area orientale del lago, salmastra, continuò a chiamarsi lago di Texcoco, mentre quella occidentale che bagnava il nucleo urbano, divenne la Laguna de Mèxico, le cui acque provenivano dai laghi di Xochimilco e Chalco ad una quota superiore rispetto al lago di Texcoco. Poi una seconda diga, la Albarrada de Ahuízotl, rafforzò il confine tra acque dolci e salate, risolvendo inoltre in modo stabile e sicuro il problema delle inondazione, perlomeno fino alla distruzione delle dighe da parte degli Spagnoli.

Nel 1521, Hernàn Cortès conquistò Tenochtitlán proprio grazie alla distruzione delle infrastrutture idrauliche e segnò l'inizio di una vera e propria crociata contro le acque del lago e del grande bacino idrografico della laguna [4]. “Si passò dalla cultura dell'acqua alla cultura della terra” [5]. Gli Spagnoli ri‑progettarono completamente la città, tombando gran parte dei canali, distruggendo la mitica città d'acqua e costruendo chiese barocche e palazzi coloniali sui resti delle meravigliose piramidi azteche. Grandi superfici alberate furono trasformate in pascoli e la maggior parte delle infrastrutture idrauliche azteche distrutte [6], esattamente come i templi e le case. La lotta contro il lago portò presto i suoi effetti negativi: i nuovi edifici spagnoli cominciavano ad affondare nel fango, ricominciarono le cicliche inondazioni, iniziarono lunghi periodi di epidemie, le fonti acquedottistiche cominciarono presto ad esaurirsi.

Nel ventesimo secolo, nonostante numerose correnti politiche sottolineassero la necessità di ritornare alle opere idrauliche preispaniche, Porfirio Diaz, Presidente della Repubblica, decise di continuare il drenaggio della Valle del Messico, costruendo il Gran Canal, lungo più di quarantasette chilometri, che non mise fine alle inondazioni. Inoltre il terreno della città continuava ad abbassarsi a causa anche dei tanti pozzi di estrazione realizzati per l'approvvigionamento: la conseguenza fu che le strutture edilizie iniziarono ad inclinarsi - ed ancor più grave - il Gran Canal perdeva la pendenza necessaria allo scorrimento delle acque [7]. Nel 1957 si cominciò a pensare di rafforzare el drenaje porfiriano, accostandolo ad una più grande opera di ingegneria idraulica drenante: el drenaje profundo. Il famoso Emisor Central, pensato come l'ennesima 'opera finale', è una infrastruttura che connette una rete di tunnel sotterranei posti ad una profondità spaventosa (fino a 217 metri sotto la superficie della città). Il cantiere del drenaggio profondo, iniziato nel 1967 e non ancora terminato, mostra già gravi segni di cedimento. Ancora una volta, il lago si sta opponendo alla sua scomparsa e si ripropone periodicamente sotto forma di inondazione, ogni volta in misura più violenta e tragica.

VISIONI E PROGETTI PER IL RITORNO ALLA CITTÀ SULL'ACQUA
La condizione della ricca e fertile zona lacustre azteca è cambiata radicalmente: all'attitudine filo‑spagnola di drenare via tutte le acque superficiali -male interpretando il rapporto ancestrale della città con il luogo geografico- si aggiunge il velocissimo tasso di espansione della metropoli e l'allarmante tasso di subsidenza. Le opere di drenaggio profondo hanno accelerato il processo di sprofondamento della città senza risolvere i problemi di esondazione, ma va detto che prima che questa opera fosse realizzata, l'illuminato progettista Nabor Carrillo presentò una proposta alternativa, nella quale pianificava reidratazione e ricostruzione di alcune aree lacustri che sarebbero servite come grandi aree di esondazione e laminazione durante periodi di forti precipitazioni atmosferiche. La proposta del “rescate hidrológico de Carrillo” fu accettata (anche se solo in parte) e nel 1971 furono assegnati diecimila ettari per la realizzazione di una infrastruttura idraulica innovativa chiamata poi “Lago Doctor Nabor Carrillo”, che consta attualmente di un enorme bacino di 36 milioni di metri cubici in un'area che era parte del più ampio invaso del lago Texcoco. Gli ottimi risultati in termini di sostenibilità idrica ed urbana del progetto hanno dato il via all'elaborazione di idee e visioni più ambiziose. Attraverso il laboratorio di progettazione urbana “Taller Ciudad de Mexico” della facoltà di architettura della Universidad Nacional Autónoma de México, nel 1999 un gruppo di architetti e urbanisti (Teodoro González de León, Alberto Kalach, Gustavo Lipkau e Juan Cordero) - coadiuvati da filosofi, ingegneri e biologi - delinearono una proposta progettuale per “La Vuelta a la Ciudad Lacustre” (il ritorno alla città lacustre).

La visione urbana proposta rinnovava lo spirito ambientale ed idraulico del progetto di Carrillo, tentando di decodificare la metropoli contemporanea attraverso l'idea dell'antica magnificenza urbana della Gran Tenochtitlán. Il progetto -definito come una utopia collettiva [8 ] - ha ricevuto riconoscimenti internazionali ed acceso un importante dibattito politico sulla necessità di una riforma urbana delle politiche idriche ed insediative.

Il “Plan de Rescate Hidrologico Ambiental” di González de León, visione urbanistica per la Nueva Ciudad Lacustre prevede una serie di progetti quali: la parziale ricostruzione dei laghi che circondavano la città; la creazione di bacini di grande profondità per immagazzinare acqua potabile; la riforestazione di molte aree compromesse; una migliore ricarica degli acquiferi; una nuova forma di gestione dei pozzi artesiani. L'ultima tappa del piano guarda verso l'interno del tessuto urbanizzato per lavorare sulla riapertura dei corsi d'acqua naturali intubati e sul recupero dei canali artificiali dismessi. La proposta approfondisce alcuni temi paesaggistici, ambientali e culturali di grande attualità come la reidratazione della “Área Natural Protegida di Xochimilco”, patrimonio UNESCO che soffre di grandissime problematiche di dissesto idrogeologico e perdita di identità paesaggistica.

Attualmente Xochimilco rappresenta “le vestigia della grande città lacustre di Tenochtitlán” [9 ], nell'area sud della megalopoli grazie alla presenza ancora capillare dei canali di trasporto e del sistema agricolo azteco ed è l'unica grande area al mondo ancora coltivata secondo la tradizione mesoamericana. La “chinampa” è un appezzamento artificiale di terra che emerge dal lago, costruito per scopi agricoli ed irrigato per diretta infiltrazione dalle acque del lago. La chinampería, terreno attraversato da centinaia di piccoli canali, formava un insieme territoriale di straordinaria regolarità: gli appezzamenti di terra erano blocchi rettangolari, raggruppati in grandi aree regolari delimitate ed irrigate da una rete di canali maggiori.

Nel 1987 “il Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti” [10 ] dichiarò Xochimilco bene Patrimonio dell'Umanità UNESCO per le sue uniche qualità paesaggistiche e nel 1999 l’UNESCO realizzò un “Plan de Manejo de Xochimilco” prevedendo tre linee di recupero (idraulico, agricolo e storico‑culturale): l'incentivazione delle attività agricole chinamperas; il recupero del reticolo idrografico storico e del patrimonio archeologico; l'introduzione di reti fognarie separate per la preservazione della qualità dei corpi idrici e delle falde acquifere; il recupero e gestione ecologica dell'acqua piovana. L'architetto Mario Schjetnan e lo studio di Grupo de Diseño Urbano progettano e realizzano il “Parque Ecológico de Xochimilco” che con i suoi 215 ettari di riqualificazione ecologica e valorizzazione del patrimonio culturale, è divenuto uno dei più importanti aree verdi dell'area megapolitana.

La riqualificazione in atto di Xochimilco tende ad arrestare l'avanzata dello sprawl residenziale all'interno delle chinampas, ultimo baluardo della produzione agricola azteca proteggendo peraltro il sistema idrogeologico locale attraverso la rigenerazione di processi naturali. Progetti e strategie urbane come il “Plan de Rescate hidrolgico” di Carrillo e il “Plan de Rescate Hidrologico Ambiental” di González de León hanno rappresentato un cambiamento importante nelle politiche e nell'approccio culturale alle questioni idriche della Città. Lo stesso parco ecologico di Xochimilco di Schjetnan, combina bene gli aspetti idrico‑ambientali con quelli culturali e ricreativi, ponendosi concretamente come progetto pilota verso una nuova ed equilibrata integrazione tra uomo, natura e patrimonio storico. Numerosi ettari di acqua, flora e fauna si integrano nel paesaggio urbano ed agricolo locale, riproponendo brani dell'armonioso splendore che la Valle del Messico visse cinque secoli or sono, ed aprendo una possibile stagione ecologica, durante la quale la “Ley Ambiental del Districto Federal” [11] del 2000 imporrà che “la gestione urbana sostenibile delle risorse naturali e culturali […] prevalga al di sopra di qualunque tipo di uso o destinazione del suolo si pretenda ottenere”. Conseguenza operativa di questa legge, nel 2007 è stato lanciato il “Plan Verde” [12], con l’ambizioso obiettivo di fare di Città del Messico una metropoli sostenibile (Angrilli, 2014). Alcune importanti strategie di gestione sostenibile della risorsa idrica enunciate nel Plan Verde mirano saggiamente ad interventi in favore della riduzione del consumo di acqua potabile e dei malfunzionamenti delle reti idriche, dell'incremento della quantità di reflui urbani depurati, e del miglioramento della ricarica degli acquiferi sotterranei.

 

VERSO LA MEGALOPOLI ECOLOGICA
Nonostante a Città del Messico non esista ancora un vero e proprio piano per la gestione integrata di sistemi idrografici e sistemi idrici urbani (come ad esempio accade a Singapore con il “ABC Water Master Plan” e a Londra con il “Blue Ribbon Network”), le politiche, visioni e strategie  precedentemente citate lasciano credere che la megalopoli messicana stia intraprendendo la via della gestione sostenibile dell'intero sistema idrologico -naturale ed antropico- della Cuenca de México. I venticinque bacini idrici che costituiscono la valle raccolgono ogni anno circa 6.700 milioni di metri cubi di acqua derivanti dalle precipitazioni atmosferiche, cioè una quantità quattro volte superiore all'intera domanda idrica della megalopoli. Questo dato geografico permette di ritenere che, qualora fosse ben progettato e gestito nei decenni a venire, l'intero organismo megapolitano della valle potrebbe trasformarsi in un sistema autosufficiente (Menendez Garza, 2013) ovvero un ecosistema antropizzato tendente all’autopoiesi idrica. Considerando che la stragrande maggioranza degli 86.000 ettari della “Zona de Conservación Ecologica” della Città sono di proprietà e gestione pubblica, è possibile ritenere che le amministrazioni locali a venire potranno usufruire di grandi superfici per la realizzazione di innovative infrastrutture d'acqua, il cui obiettivo primario sarà la risposta integrata alle esigenze di conservazione duratura ed autopietica della risorsa. “Il funzionamento autopoietico” tende a soddisfare tutti i fabbisogni di un sistema all'interno del sistema stesso, mediante la riproduzione continua delle risorse di cui il sistema necessita. Proprio come un ecosistema autopoietico, anche l'organismo geografico megapolitano della valle potrà essere in grado di “generare e specificare la sua propria organizzazione operando la produzione dei suoi propri componenti, in condizioni di continue perturbazioni e di compensazione alle perturbazioni” (Maturana  & Varela, 1972). Sotto il profilo idrologico, la megalopoli messicana andrebbe ipotizzata come una“ città idropoietica”, ovvero un agglomerato urbano in grado di raggiungere un equilibrio stabile con il suo contesto geografico -la valle lacustre- al fine di preservare in modo durevole i corpi idrici di cui dispone ed usufruisce (Corfone, 2012). Si possono enumerare cinque obiettivi funzionali che nuove infrastrutture d'acqua dovranno traguardare: ridurre la quantità di risorsa idrica immessa forzosamente nell'area urbana; raggiungere una ottima qualità di emissione idrica dall'area urbana; raggiungere una buona qualità delle acque di dilavamento urbano; ridurre rischi di alluvioni e siccità; conquistare un ottimo stato ecologico dei corpi idrici naturali.

Un primo abbattimento dell’in-put idrico si potrebbe certamente realizzare mediante la riduzione delle perdite degli acquedotti e la riduzione dei consumi delle utenze finali, ma ancor più vantaggioso sarebbe il reperimento di fonti idriche alternative, di tipo locale e rinnovabile, che non oltrepassino cioè i coefficienti di autorigenerazione. Le fonti alternative di cui Città del Messico può disporre in modo semplice ed economico sono la captazione della pioggia e dell'umidità che bagnano continuamente l'area urbana, nonché il riuso dei reflui urbani di cui l'area megapolitana sarà costantemente produttrice. Le politiche di gestione della pioggia come fonte idrica alternativa tenderanno a ridurre le quantità di acque piovane da smaltire, poiché una parte di esse, purificate ed immagazzinate diventeranno risorsa da reimpiegare nel funzionamento idrologico urbano. Ciò comporterà una reale riduzione del rischio di inondazione delle aree urbanizzate e le tecniche di espulsione dell'ingegneria idraulica moderna cederanno il passo a permeabili morfologie urbanistiche in grado di trattenere gestire al proprio interno grandi quantità di acque, incrementandone la qualità. Alla rete di drenaggio sotterranea, sarà accostata una rete di infrastrutture superficiali per il controllo del ruscellamento che, secondo la logica dell’innovative stormwater management, consentirebbe una gestione localizzata, qualitativa e visibile delle acque meteoriche. Una volta ridotte le quantità di acqua immessa artificiosamente nel sistema antropico, risulterà notevolmente più semplice migliorare la qualità dell'out-put idrico da restituire alla natura. È auspicabile un capillare sistema di depurazione naturale dei reflui che possa migliorare ed integrare le insufficienti prestazioni della depurazione convenzionale attualmente in uso nella Valle del Messico, coinvolgendo anche le aree metropolitane a densità medio-bassa e gli slums più periferici. Infatti, una porzione non trascurabile della rigenerazione del sistema ecologico megalopolitano della Cuenca avverrà necessariamente attraverso l'abbattimento del carico contaminante delle acque urbane, cosa che potrebbe avvenire (come succedeva durante l'era azteca) mediante una continua movimentazione naturale delle acque all'interno dei laghi, interpretati come nuove infrastrutture idriche e riqualificati nel loro potere purificatore (secondo una successione circolare di ritenzione, filtrazione, sedimentazione, depurazione e biopurificazione). Anche nei macro‑settori urbani ad alta densità, sarà necessario riportare artificiosamente i parametri idrologici complessivi (infiltrazione superficiale, velocità di deflusso superficiale, evapotraspirazione, evaporazione, ritenzione, velocità di percolazione, infiltrazione profonda) il più possibile vicini ai valori naturali. Il riequilibrio dei parametri idrologici ridurrà notevolmente i rischi idraulici dovuti ad eccessivi apporti idrici nel bacino lacustre e a drastiche discese dei livelli piezometrici delle falde freatiche, fenomeni entrambi dovuti all'impermeabilizzazione dei suoli e all'ingegneria idraulica moderna. Infine, sarà necessario raggiungere un ottimo stato ecologico dei corpi idrici attivando processi di ribilanciamento trofico, unica via realmente durevole per mitigare i fenomeni di siccità che Città del Messico potrebbe dover affrontare ciclicamente. Le infrastrutture d'acqua necessarie per il raggiungimento di tali ambiziosi obiettivi, saranno artificiali ma ispirate ad elementi naturali e potranno essere bioinfrastrutture concepite come “protesi biologiche di naturalità artificiale atte a sostituire le parti ambientali mutilate dallo sviluppo urbano o a ripristinare il funzionamento di quelle compromesse” (Angrilli, 2010). In sintesi, coerentemente con la matrice lacustre della valle, la rete bioinfrastrutturale sarà composta di tecniche ecocompatibili attraverso cui dare forma agli elementi di un nuovo ciclo idrologico megapolitano.

La rete sarà dotata di qualità formali e figurative in grado di contribuire al disegno dello spazio aperto e dello spazio costruito della Città, stabilendo un dialogo creativo con il reticolo idrografico naturale e ripristinandone relazioni biologiche ed ecologiche tra le parti. La rete ipotizzata sfrutterebbe il principio dei vasi comunicanti per autobilanciarsi, come succedeva in passato, generando morfologie urbane permeabili, connettive e pervasive. Il sistema sarebbe composto da punti, linee e superfici d'acqua organizzate in un circolo virtualmente senza ingressi e senza uscite: il paesaggio idrico che sarà necessario costituire per la megalopoli sarà paradossalmente non troppo distante da quello che l'apice della cultura urbana azteca aveva prodotto a Tenochtitlán, in una equilibrata simbiosi con gli elementi ecosistemici della Cuenca de México.

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Note

[1] L. COVARRUBIAS, La Isla de Mèxico en el siglo XVI, Parsons, Ciudad de Mèxico,1976.
[2] T. ROJAS RABIELA, “Las cuencas lacustres del Altiplano Central”, in Lagos del Valle de Mexico, Arqueologia Mexicana n. 68, Ciudad del México, 2004.
[3] M. CARBALLAL STAEDTLER, “Elementos hidraulicos en el lago de México-Texcoco en el Posclassico”, in Lagos del Valle de Mexico, Arqueologia Mexicana n. 68, Ciudad del México, 2004.
[4] E. ARECHIGA CORDOBA, “El desague del Valle de México, siglos XVI-XXI, una historia paradojica”, in Lagos del Valle de Mexico, Arqueologia Mexicana n. 68, Ciudad del México, 2004.
[5] J. LEGORRETA, “Xochimilco y Tláhuac. México. Chinampas y canales, una resistencia milenaria”, in Agua Rios y Pueblos Boletín de Prensa, Ciudad de México, 2010.
[6] A. ROSAS ROBLES, "La ciudad en el islote", in La Ciudad y sus Lagos, Clío, Ciudad de México, 1999.
[7] Nel 1910 la pendenza era di 19 cm/Km; nel 1950 di 12 cm/Km; nel 1980 0 cm/Km. Fu necessario pompare le acque per farle scorrere: attualmente ci sono dodici stazioni che pompano costantemente via l'acqua.
[8] P. MOCTEZUMA BARRAGÁN, Ciudad lacustre: antología de cuentos y crónicas, Universidad Autónoma Metropolitana, Ciudad de México, 2009.
[9] Saúl Alcántara Onofre, architetto e dottore di ricerca, attualmente insegna “Planificación, conservación y diseño de paisajes” presso la Universidad Autonoma de Madrid. Fa parte del team di esperti UNESCO per la valutazione del Patrimonio Mondiale latinoamericano.
[10] Il Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti è l'organo consultivo dell'UNESCO per la conservazione e protezione del patrimonio culturale mondiale, in particolare si occupa della valutazione dei monumenti e dei siti che sono stati inclusi nella Lista del Patrimonio Mondiale.
[11] ASAMBLEA LEGISLATIVA DEL DISTRITO FEDERAL, Ley Ambiental del Distrito Federal, Gaceta Oficial del Distrito Federal, Ciudad de México, 2000.
[12] GOBIERNO DEL DISTRITO FEDERAL -  Secretaría de Medio Ambiente Dirección General de Planeación y Coordinación de Políticas, Plan Verde de la Ciudad de México, Città del Messico, 2011.

centro urbano di Città del Messico<br>
fonte: elaborazione grafica dell'autore su fotografia anonima
periferie di Città del Messico
fonte: elaborazione grafica dell'autore su fotografia anonima
panorama urbano di Città del Messico
fonte: elaborazione grafica dell'autore su fotografia anonima
morfologia urbana - Tenochtitlán
fonte: elaborazione grafica dell'autore
centro urbano - Tenochtitlán
fonte: ideazione ed elaborazione grafica dell'autore
impronta dell'antica area lacustre sull'odierna carta di Città del Messico
a) estensione dell'area lacustre nell'epoca azteca; b) bacini d'acqua ancora esistenti;
c) in estate a causa delle forti piogge i laghi diventavano un unica grande laguna: i 5 laghi erano riconoscibili solo in inverno;
1.	l'isolotto di Tenochtitlán, centro di Città del Messico; e) rete stradale odierna.
fonte:ideazione ed elaborazione grafica dell'autore
la reidratazione del lago Texcoco ed il ritorno alla città lacustre
fonte: T. GONZÁLEZ DE LEÓN, La Ciudad y sus Lagos, Clío, Ciudad de México, 1999.
politica incrementale per la reidratazione del lago Texcoco
fonte: T. GONZÁLEZ DE LEÓN, La Ciudad y sus Lagos, Clío, Ciudad de México, 1999
le acque di Xochimilco nell'area naturale protetta
a) canali e chinampas di Xochimilco; b) Canal de Cuemanco; c) bacini di regolazione idrologica;
d) parco ecologico di Xochimilco; e) Club Deporftivo Vaqueros; f) Canal el Bordo; g) lago di Tlahuac.
fonte: ideazione ed elaborazione grafica dell'autore
la Chinampería - Xochimilco 
a) chinampa; b) struttura vegetale intrecciata; c) terreno organico;
d) terreno sabbioso; e) ghiaia; f) base di pietra con argilla.
fonte: ideazione ed elaborazione grafica dell'autore
el Parque Ecológico de Xochimilco
fonte: elaborazione grafica dell'autore
Area Metropolitana di Toluca. Fonte: Sedesol-Conapo-INEGI (2012, Delimitación de Zonas Metropolitanas de México 2010) morfologia reticolare della megalopoli ecologica
a) rete di distribuzione dell'acqua da fonti idriche alternative; b)  rete di adduzione delle acque di ruscellamento;
 c) bacini di detenzione, purificazione e stoccaggio delle acque; d) aree di laminazione e esondazione programmata.
fonte: ideazione ed elaborazione grafica dell'autore