Editoriale

torna su

EcoWebTown e l’innovazione. Alberto Clementi PDF

Nel programma della nostra rivista ritorna spesso la questione dell’interpretazione critica di alcuni concetti-chiave su cui s’impernia la nuova cultura della progettazione urbana, sensibile alla sostenibilità e attrezzata con le tecnologie digitali dello smartness.
La posta in gioco è alta, e ormai trasversale. EcoWebTown non appartiene solo agli architetti, urbanisti e tecnologi. Impulsi d’innovazione ancora più consistenti provengono da altre aree disciplinari, in particolare dalle scienze economiche e sociali, che si sforzano di elaborare nuovi paradigmi portando a sintesi una varietà di temi prima disgiunti e ora in via di ricomposizione nella prospettiva della smart e green economy.
Ne è un esempio significativo il recente saggio di Donolo e Toni per la Rivista Economica del Mezzogiorno, dedicato alle nuove possibilità di sviluppo sostenibile associate allo smartness applicato alle città del Mezzogiorno ( Donolo, Toni, 2013).
Richiamandosi all’interpretazione di Nijkamp ( la città è smart quando gli investimenti in capitale umano e sociale, e le infrastrutture di comunicazione tradizionale come i trasporti, e quelle moderne come le ICT, alimentano una crescita economica sostenibile e un’elevata qualità di vita, con una sapiente gestione delle risorse naturali, praticando una governance partecipativa) ( Nijkamp, 2011), questi autori danno conto della progressiva emancipazione in atto per un concetto nato dall’industria delle telecomunicazioni, e che si estende ora allo sviluppo sostenibile e alla green economy, intercettando anche i temi del miglioramento del capitale umano e della capacitazione come formulati  da Sen e Nussbaum.
Così le tecnologie ICT ora non appaiono più i vettori della new economy secondo l’ottimistico quanto infondato approccio della fine del secolo scorso, ma tendono piuttosto a ridefinirsi come “uno dei driver di una società nella quale le città sono i nodi intelligenti e propulsivi di una pluralità di politiche e di strategie messe in campo per una transizione soft da un sistema fortemente dissipativo in termini di risorse naturali verso un sistema diverso, molto più dinamico, efficiente, circolare, ricco di conoscenza e di nuove articolazioni, capace di perseguire lo sviluppo sostenibile e il benessere dei cittadini al di là dei consumi, al di là del PIL, investendo in capacitazione e relazioni sociali” ( Donolo,Toni, op.cit).
La città intelligente e sostenibile diventa allora la città che è in grado di assicurare benessere materiale, qualità della vita, e qualità ambientale, rinnovando anche i quadri cognitivi che presiedono alla definizione di queste articolazioni del concetto di sviluppo e al tempo stesso alla loro misurazione, non essendo più il Prodotto Interno Lordo la variabile in grado di riassumere in modo soddisfacente ed esaustivo lo sviluppo sostenibile. Così il benessere ( wellbeing) si trova a dipendere da una varietà di aspetti quali lo standard materiale di vita ( a sua volta funzione di reddito, consumi, ricchezza ), la salute, le condizioni di lavoro, l’efficacia del governo, le relazioni sociali e d’inclusione della diversità, l’insicurezza, l’ambiente di vita. Mentre la qualità della vita tende inevitabilmente a riflettere la soggettività delle percezioni della propria condizione abitativa e il livello di soddisfazione espresso dai singoli cittadini. Tutte questioni insomma che appaiono intrattabili con gli indicatori alquanto rozzi con cui si misura abitualmente lo stato di sviluppo della città, non diversamente del resto dall’intero Paese.
Il bisogno d’innovare diventa una conseguenza obbligata di questa nuova visione dello sviluppo che si fonda in primo luogo sulla conservazione dello stock di risorse esauribili, con un approccio sobrio e orientato pervasivamente alla sostenibilità. Cosicchè la green economy tende a ridefinirsi come “economia low carbon che vuole contrastare la crisi climatica, e che chiede un uso efficiente delle risorse, naturali e umane, dalla mobilità controllata alle fonti rinnovabili, alla cura del territorio, al riciclo e riuso delle materie, all’uso parsimonioso dell’acqua” ( Donolo, Toni, op.cit).
L’innovazione chiede peraltro di essere trattata in modo più totalizzante rispetto alle originarie formulazioni del pensiero smart derivate dall’ingegneria dei sistemi. In quel contesto infatti il modello della tripla elica introdotto per analizzare i processi d’innovazione basati sulla conoscenza, come teorizzato da Deakin e richiamato da Donolo-Toni, individuava tre driver determinanti per la creazione dei nuovi saperi e per la loro capitalizzazione : ricerca scientifica, industria e governance. La città smart ne veniva definita di conseguenza come “ luogo di densificazione della rete, luogo d’incontro delle attività e delle conoscenze”. Ora invece diventa necessario aprire all’ingresso della società civile, una quarta elica, attraverso cui “l’impegno civile arricchisce la dotazione culturale e sociale, determinando le interazioni tra ricerca, industria e governo locale, piuttosto che essendone determinata”.

L’innovazione a tutto campo è effettivamente la posta in gioco del modello di sviluppo sostenibile e intelligente evocato dal saggio di Donolo e Toni, e più in generale dalla cultura del progetto urbano sensibile alla sostenibilità che è alla base anche del programma della nostra rivista EcoWebTown.
Reinterpretata in chiave architettonica e urbanistica, l’innovazione da perseguire si articola in diversi registri, tutti in varia misura concorrenti al necessario mutamento delle strategie d’intervento sulla città. Le quattro eliche dell’innovazione si caratterizzano diversamente, in ragione della specificità delle forme dello sviluppo sostenibile interpretate dai saperi del progetto.
Un primo aspetto importante dell’innovazione riguarda infatti la trasformazione delle tipologie e delle morfologie degli spazi urbani ispirati ai principi della sostenibilità ambientale, ciò che attiene in modo specifico alle strategie dell’architettura, dell’urbanistica e della tecnologia ( Di Girolamo, 2014).
Altrettanto importante appare la trasformazione degli strumenti e dei processi d’intervento, che dovrebbero in particolare essere ricondotti a una visione olistica dei metabolismi urbani, considerando la variazione tra flussi di risorse in entrata e flussi in uscita dell’ecosistema urbano. La variazione dovrebbe tendere tendenzialmente a zero nell’ipotesi di formazione di ecodistretti autobilanciati, caratterizzati dalla relativa autosufficienza per il consumo di risorse locali non riproducibili (acqua, energia, suolo, verde e biodiversità, con beni agroalimentari che danno luogo a rifiuti solidi da smaltire localmente) e dal contenimento delle emissioni climalteranti, grazie anche ai sistemi di riuso e riciclaggio che dovrebbero essere praticati in misura crescente nella prospettiva della città sostenibile ( Clementi, 2014). Inoltre dovrebbe essere valutata continuamente con l’impiego di strumenti di monitoraggio che si avvalgono di una grande base dati aggiornabile in tempo reale ( big data), ciò che diventa possibile appunto con le tecnologie di gestione smart  su cui si chiede d’investire per migliorare le prestazioni urbane.
Ancora, ciò che dovrebbe essere sostanzialmente innovato riguarda il modo di pensare lo spazio e la propria condizione urbana, condividendo anche individualmente la responsabilità per uno stile di vita e di consumi meno dissipativo delle risorse e più attento alla gestione dei rifiuti al fine di evitare sprechi e costi ambientali assai elevati, incompatibili con la filosofia dello sviluppo sostenibile. Qualcosa insomma che rinvia al tema della qualità di vita evocato da Donolo e Toni, condizionato quindi dalla percezione soggettiva della propria soddisfazione, ma che in questo caso tende a riaffermare soprattutto il protagonismo degli individui e della società civile, con l’emergere di nuove pratiche di uso dello spazio e processi di produzione simbolica che appaiono indispensabili per l’affermazione della nuova cultura sustanability-oriented.
Infine, l’innovazione dei sistemi di governance che dovrebbero facilitare la riconversione della città esistente verso modelli di maggiore sostenibilità. Qui il tema investe in primo luogo la capacità di organizzazione delle istituzioni di governo locale e la loro disponibilità a dotarsi di strategie e strumentazioni efficaci per migliorare le prestazioni della città, comprimendo al tempo stesso il consumo di risorse non riproducibili. Ma riguarda anche il coinvolgimento attivo delle popolazioni che a vario titolo possono contribuire al successo delle politiche, sia in quanto portatrici di specifiche conoscenze e capacità creative, sia in quanto sostenitrici della  linea della sostenibilità, all’interno di una visione più ampia della democrazia deliberativa. Dunque un campo di applicazione concreta del principio di capacitazione perorato da Sen e Nussbaum,  riferito in particolare al tema dello sviluppo sostenibile. C’è poi da osservare che tanto nell’uno che nell’altro caso, un aiuto notevole può provenire dalle tecnologie smart, che consentono  politiche pubbliche in grado di apprendere anche quantitivamente dai propri effetti, e soprattutto facilitano un consenso “informato” che qualifica i processi di partecipazione della cittadinanza, coinvolgendo i singoli quanto le aggregazioni collettive.

Di tutte le questioni che abbiamo evocato fin qui, c’è ben poca traccia nell’esperienza del Messico, almeno per quanto è stata restituita dai rappresentanti degli Ordini degli Architetti locali che hanno contribuito a questo numero.
Emerge dalla situazione messicana una marcata attenzione ai profili sociali della sostenibilità, non troppo diversamente del resto da quanto avevamo già incontrato in Brasile, oggetto di un precedente numero di EWT. La centralità delle questioni connesse alle ineguaglianze e alla precaria condizione urbana di ampie fasce della popolazione che abitano in metropoli sempre più estese e caotiche condiziona evidentemente l’agenda dell’architettura, portandola meritoriamente a misurarsi con la domanda sociale di abitazioni a basso costo e più complessivamente con il diritto alla città che sembra assorbire le diverse articolazioni del concetto di sostenibilità, ridimensionando apparentemente l’approccio ecologico così importante in Europa.  
Resta comunque l’impressione di una cultura progettuale ancora poco aperta al confronto con le molteplici e variegate istanze che confluiscono sulle politiche della sostenibilità, preferendo restare nel solco di quei principi della modernità che hanno tematizzato pionieristicamente un secolo fa i temi delle “condizioni di natura da ritrovare”, e che ancora oggi sembrano mantenere una loro apprezzabile attualità nel governare le forme della città. Ma forse è giunto il tempo di riprendere l’iniziativa, per arricchire il mondo dell’innovazione frequentato per ora più intensamente da economisti, sociologi e ingegneri delle comunicazioni digitali.
L’innovazione è il motore dello sviluppo nell’economia e nella società contemporanea, e in particolare dello sviluppo sostenibile. L’architettura e l’urbanistica non ne sono state fino ad ora protagoniste. C’è da augurarsi che possano riprendersi la scena, portando il proprio contributo a una qualità di vita più soddisfacente come è accaduto all’esordio della modernità.


Riferimenti

Clementi A.,2014, EcoWebDistrict. Urbanistica tra smart e green, in E.Zazzero, a cura di, “Ecoquartieri. Temi per il progetto urbano sostenibile, Maggioli, Bologna
Di Girolamo C., 2014, Infrastrutture innogenetiche. Spazi catalitici per uno sviluppo urbano sostenibile, Maggioli, Bologna
Donolo C., Toni F., 2013, La questione meridionale e le smart cities, in “Rivista economica del Mezzogiorno”, a. XXVII, nn. 1-2
Leydesdorff L., Deakin M., 2011, The Triple-Helix Model of Smart Cities: a neo-evolutionary perspective in “Journal of Urban Technologies” Taylor&Francis
Lombardi P.,2011, New challenges in the evaluation of Smart Cities, in “The network industries”, vol. 13, n. 3
Nijkamp P. et al., 2011, Smart cities in Europe, in “Journal of Urban Technologies” n.18, Taylor&Francis
Nussbaum M., 2012, Creare capacità. Liberarsi della dittatura del PIL, Il Mulino, Bologna
Sen A., 1992, Risorse, valori e sviluppo, Bollati Boringhieri, Torino