Abstract
Densità, sobrietà e mobilità sostenibile sono le parole chiave della edizione 2014 del Solar Decathlon, che punta a cercare risposte per le città da cui provengono i team delle università selezionate. Una novità di tutto rilievo per la competizione, che passa da proposte per l’abitazione del futuro ai temi più urgenti della rigenerazione urbana per la smart city.
In questo quadro l’Università di Roma TRE ha scelto di occuparsi di Roma, una realtà difficile, in cui convivono preesistenze archeologiche uniche al mondo e fenomeni di illegalità e abusivismo.
Il team RhOME propone con lo slogan “a home for Rome” di risolvere alcuni dei problemi della periferia attraverso il social housing e forme di co-working per i nomadworker di oggi. Soluzioni per il trattamento dei rifiuti, limiti all’uso di tecnologie attive, mobilità per tutti e a basso contenuto di CO2 sono alcuni dei temi che affiancano il recupero dell’agro romano e delle sue preesistenze storiche.
Dal “Sacro Gra” a “La grande bellezza”: la proposta italiana per il Solar Decathlon 2014
Quest’anno, forse casualmente, Roma si trova al centro della cinematografia internazionale: il documentario “Sacro Gra” del regista GianFranco Rosi su sceneggiatura di Niccolò Bassetti [1] ha vinto il Festival internazionale del Cinema di Venezia, “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino ha vinto gli Oscar europei e fa parte della rosa dei 9 candidati all’Oscar quale miglior film straniero. Nel contempo a Parigi una retrospettiva cinematografica mette in sala la Roma di Pasolini per circa tre mesi.
Il progetto RhOME, di cui l’Università di Roma TRE porterà un prototipo nella vetrina internazionale dell’edilizia sostenibile a Versailles nell’estate del 2014, si candida anch’esso per celebrare Roma, attraverso il racconto della sua periferia e il tentativo di trovare risposte per l’abitare di domani in una città in cui l’emergenza casa ancora è di attualità.
Partendo da un luogo “sacro” per il cinema italiano, Tor fiscale, area della prima scena della “Dolce vita”, cuore di “Mamma Roma” [1], scenario delle espressioni artistiche più sconcertanti della nostra epoca ne “La grande bellezza”, luogo come tanti altri del racconto lungo la periferia del raccordo anulare in “Sacro Gra”, il team dell’Università romana cerca di interpretare le tensioni urbane attuali nel disegno di un quartiere orientato a far corrispondere uno stile di vita tradizionale con l’era di internet.
1. La competizione come occasione per ripensare la città
1.1. Solar Decathlon
La competizione internazionale Solar Decathlon nasce in America, promossa dal Dipartimento di Energia del Governo degli Stati Uniti, nel 2002, quando si svolge il primo evento nell’area del National Mall di Washington DC. Particolarità della competizione, che nel corso delle successive edizioni, ha visto regionalizzarsi a livello mondiale la sua presenza con sedi oltre che negli USA, in Europa ed Asia (Madrid 2010 e 2012, Versailles 2014, Pechino 2013 e 2015), e motivo del suo successo globale il fatto di coinvolgere in ogni edizione venti università che gareggiano non solo nel progettare l’abitazione ideale, ma anche nel costruirla ed infine viverla (fig. 1). Una sfida a tutto tondo, che vede coinvolti giovani studenti, ricerca universitaria, sperimentazione industriale per un processo volto necessariamente all’innovazione tecnologica. Paradigma di tale sfida l’industrializzazione edilizia, non più orientata solo all’assemblaggio a secco veloce ma anche alla reversibilità, cioè allo smontaggio. Le case in questa gara divengono infatti veri e propri oggetti di disegno industriale che costruiscono un villaggio smart nel corso delle due settimane di gara. Qualcosa che ricorda il “Progetto edilizio sperimentale” che Ciribini guidò nella seconda metà degli anni 50 [2], ma con un dato in più: gli studenti di queste case non solo imparano a progettarle, non solo le costruiscono ma le devono anche vivere, perché nel villaggio smart va in scena una vera vita domestica. Gli studenti si allenano così ad essere i progettisti del futuro, a saper orientare i costruttori, a saper dialogare con le aziende, partner essenziali per l’innesco dell’innovazione, ma infine soprattutto a divenire i cittadini di domani, persone in grado di gestire edifici ad energia positiva quali sono quelli che vanno in gara. Edifici cioè che consumano meno energia di quella che producono e che hanno bisogno -per funzionare al meglio- di utenti “consapevoli” [3].
1.2. Le peculiarità del Solar Decathlon di Versailles
Solar Decathlon, data la sua matrice americana, ha sempre puntato alla costruzione di prototipi di case isolate e monofamiliari [4]. Con le edizioni a sede europea, e con quella del 2014 in particolare [5], il tema della città ha assunto un peso centrale tanto da condurre alla richiesta di affrontare il tema della densità urbana per cercare soluzioni ai problemi abitativi della città da cui proviene l’università partecipante. Ma l’edizione francese non si ferma qui. Punta anche alla sobrietà, limitando cioè la quantità di fotovoltaico inseribile nei prototipi in gara, che dai 20 KW di potenza delle case in gara negli Stati Uniti passa ai 5 massimi concessi a Versailles. Obiettivo dichiarato, ridurre l’enfasi sulla produzione energetica ed accrescere invece quelle per l’efficienza e la sostenibilità, applicate non più soltanto ai processi di produzione dei materiali, ma anche a quelli della città in generale, della mobilità e del trattamento di acque e rifiuti.
Tra giugno e luglio 2014 le squadre, a rappresentanza di 16 diversi paesi appartenenti a 3 continenti, costruiranno le loro case nella “Cité du Soleil”, lo smart village “solare” che verrà costruito a Versailles in Francia (fig. 2). Ogni eco-casa verrà lì misurata, tramite monitoraggio o valutazioni di giurie internazionali, su 10 prove -il Decathlon solare- che ne sveleranno le caratteristiche e prestazioni tecnologiche.
2. RhOME, a home for Rome
L’emergenza abitativa a Roma, nonostante gli allarmanti dati di continua cementificazione [6, 7], rimane un problema che non ha trovato efficace soluzione. In parallelo i dati sui consumi energetici connessi proprio all’edilizia residenziale (il 40% dei consumi di energia elettrica in Europa è da imputarsi alle case) rendono urgenti risposte abitative sostenibili e ad alta efficienza.
L’Università di Roma TRE con RhOME, a home for Rome, parte proprio dal principio di definire un modello per una casa accessibile economicamente e sostenibile ambientalmente, vedendo nella sua attuazione il volano per il miglioramento del “sistema” città. E al miglioramento si fa riferimento più che al cambiamento, poiché l’intento è quello di predisporre un complesso capace di sviluppare una sua autonoma identità rafforzando quella esistente, dalla quale dunque parte e con la quale trova una integrazione.
2.1. Il contesto periferico per un’applicazione sperimentale
Ricca di virtù e contraddizioni, Roma non è mai uguale a se stessa, ma non dimentica quello che è stata. Le sue tradizioni, così radicate nel profondo, permeano la città e i suoi spazi. Tra le tante vi è la voglia di cambiare, di migliorare, costantemente affiancata dalla forza della memoria che come monito troppo spesso frena lo sviluppo. Saper risolvere il duro ma altresì romantico confronto con l’archeologia è una di queste. Che sia in superficie o nascosta nel sottosuolo, l’archeologia è presente diffusamente sul territorio e negli anni il rapporto della città con il suo passato è stato sia di rispetto e ammirazione, sia di violazione e noncuranza. Questo è accaduto purtroppo soprattutto nelle aree periferiche, dove il controllo sull’espansione della città è venuto a mancare, dando luogo ad episodi di abusivismo che sovente hanno danneggiato il patrimonio storico e paesaggistico del territorio.
In questo contesto il quartiere scelto come rappresentativo è quello di Tor Fiscale, dove le criticità legate all’espansione disorganica hanno fatto sì che la zona, nonostante le potenzialità intrinseche che la caratterizzano, soffra di marginalizzazione rispetto al circostante tessuto urbano. Mancanza di infrastrutture, di servizi e di spazi volti all’aggregazione sociale e al confronto sono i nodi cruciali che il progetto è volto a risolvere.
Fino ai primi anni del ‘900, il territorio sud-est di Roma apparteneva interamente allo scenario pastorale del vasto paesaggio dell’agro romano. Arido ed inospitale, abbandonato già in età tardo antica, questo luogo rimase disabitato per un lunghissimo tempo. Solo nel secondo dopoguerra lo stato di emergenza abitativa portò la città all’espansione e all’occupazione delle zone marginali.
Nuovi aggregati si “depositarono” disordinatamente e spontaneamente in questi luoghi, per secoli inalterati nel loro carattere. I tessuti, prodotti dell'auto-costruzione, si sono andati a confrontare con le grandi infrastrutture territoriali, come gli acquedotti e le strade consolari.
Sebbene occupato da agglomerati anonimi, privi di un proprio carattere, generati dalla casualità e dall'emergenza piuttosto che risultati di una programmazione e prefigurazione, quello della periferia sud-est di Roma è un paesaggio che ancora detiene un’identità precisa, peculiare, capace di evocare e di farsi riconoscere (fig. 3).
L’obiettivo fondante che il progetto RhOME si propone è dunque quello di riqualificare le aree urbane che gravitano lungo il tracciato degli acquedotti, attraverso innanzitutto la demolizione delle presenze illegali spontanee, spesso superfetazioni edilizie che insistono proprio sulle rimanenze archeologiche (fig. 4, 5, 6). Lo spazio liberato, in continuità con le aree vuote già istituite a parco, solcate dall’acquedotto e punteggiate dai ruderi archeologici, potrà così soddisfare la sua vocazione a divenire spazio pubblico, identitario e condiviso. Attraverso interventi più o meno consistenti questi frammenti ricongiungeranno un sistema più ampio, formando una struttura continua del Parco dell’Appia che asseconda il tracciato dell'acquedotto e della ferrovia, offrendo una mobilità alternativa ciclabile e pedonale.
2.2. Il Social Housing per un nuovo quartiere
L’intento di RhOME è quello di liberare l’area limitrofa alla Torre del Fiscale dalle costruzioni abusive, per lo più baracche, e di riscoprire l’antico tracciato della Via Latina, in parte già musealizzato, riconvertendo lo spazio a ridosso dell’Acquedotto in aree verdi pubbliche, allargando i confini del Parco dell’Appia, in cui l’area ricade, e riducendo di circa l’80 % l’uso del suolo. (fig.7)
Non solo verrà costruita una nuova casa a coloro che abitano le baracche, ma verrà realizzato un 42% in più di abitazioni rispetto a quelle demolite in modo da rispondere al problema dell’emergenza casa (situazione attuale: 127 unità abitative abusive, 8’100 mq di suolo occupato, 300 abitanti; Progetto RhOME: 220 unità abitative; 660 abitanti; 1500 mq di suolo occupato). Le nuove utenze con cui il progetto si dovrà confrontare sono principalmente giovani coppie, single con figli, studenti o lavoratori temporanei. Parliamo di housing sociale la cui struttura segue dunque il principio da una parte di impegnarsi a ridare la casa agli abitanti a cui viene demolita e dall’altra cerca di venire incontro a quella fascia di popolazione che nell’offerta attuale non trova una sua collocazione, non solo per problemi di disponibilità economiche ma anche perché vi è in atto un cambiamento più radicale che sta investendo gli stili di vita e la tipologia familiare.
Il progetto prende luogo a partire dallo strumento urbanistico del PRINT (Programma Integrato per la riqualificazione della città da ristrutturare del Comune di Roma) e ne persegue gli obiettivi. I nuovi edifici saranno quindi collocati nelle strette vicinanze delle aree liberate e sono definiti attraverso valutazioni di orientamento e climatiche, nonché tramite lo studio dei tipi edilizi presenti nel quartiere, benché frutto dell’auto-costruzione da parte degli stessi abitanti, e la ricerca di nuovi modelli di abitare. Lo spazio esterno che circondava la casa da demolirsi si traduce nei nuovi edifici in ampie logge, che hanno la duplice funzione di luogo dove stare e protezione passiva dall’irraggiamento solare estivo.
Quindi da una parte la tradizione e l’identità, dall’altra l’identificazione di un modo di vivere la casa che incorpora la tecnologia senza esserne succube. Rimane infatti all’utente la possibilità di gestire autonomamente la propria abitazione, grazie a un “dialogo” digitale con la casa stessa [8].
Sopraelevati su blocchi serventi radicati al suolo, gli edifici liberano il parterre pubblico rendendolo permeabile sia fisicamente che visivamente (fig. 8). Sul terreno ritroviamo quindi solo l’impronta dei nuclei serventi, spina dorsale dell’intero edificio, attorno ai quali scorre la vita domestica (fig. 9).
Parallelamente alla volontà di soddisfare un bisogno sociale, la questione ambientale, che pone l’obbligo di tenere insieme aspetti legati a standard qualitativi e risparmio energetico. Questo è possibile sia grazie all’utilizzo di materiali eco-compatibili, selezionati in base al loro intero ciclo di vita [9], primo tra tutti il legno, scelto per il sistema costruttivo, sia per la messa in campo di tecnologie all’avanguardia per la produzione di energia termica ed elettrica, sia infine con l’ottimizzazione del comportamento passivo degli edifici, ottenuto grazie al loro orientamento e alle stratigrafie dell’involucro, accuratamente testate sul clima temperato romano.
Parlare di sostenibilità ambientale presuppone considerare anche la difficile gestione dei rifiuti che significa prima di tutto prevenire, sensibilizzare ed educare e non solo riciclare o buttare il prodotto. Dunque il tema è di carattere culturale [10]. La partecipazione in prima persona dei cittadini ad un’attenta e consapevole gestione dei rifiuti, anche e soprattutto attraverso una loro valorizzazione, è il primo passo verso un vero processo di sviluppo sostenibile.
Per questo il sistema di raccolta differenziata dovrà basarsi su una capillarizzazione della raccolta, effettuata porta a porta che porterebbe anche alla creazione di posti di lavoro “socialmente utili”, nonché alla creazione di alcuni luoghi preposti al deposito di materiali di “scarto” che possano divenire, tramite la lavorazione da parte degli abitanti del quartiere stesso, nuovi oggetti utili a bassissimo costo.
Oltre al recupero dei rifiuti all’interno del quartiere verrà attuato un sistema di recupero delle acque piovane e grigie che servirà per diminuire il consumo di acqua potabile proveniente dalla rete idrica. L’acqua piovana e le acque grigie provenienti dagli appartamenti (lavandino del bagno, doccia, bidet e lavatrice) verranno filtrate con un innovativo depuratore sviluppato per il riciclo aerospaziale delle acque. Questo depuratore – ad uso dell’intero quartiere – sarà in grado di farla reimpiegare non solo per l’irrigazione, ma per tutti gli usi domestici. Parte dei residui della depurazione potranno essere utilizzati per la concimazione delle aree coltivate.
Nuove piste ciclabili, la riabilitazione dell’antica linea tramviaria lungo la via Appia, l’incentivazione della mobilità lenta saranno alcune delle strategie adottate per estendere la riqualificazione del quartiere anche al sistema della mobilità. Il cambiamento investirà le sedi carrabili, trasformate in “Zone 30”, dove la strada non sarà più lo spazio dedicato principalmente alle automobili ma vedrà riequilibrato tramite restringimenti di carreggiata e un diverso disegno il rapporto da dedicare al ciclabile e al pedonale. Il tracciato della ferrovia esistente, elemento infrastrutturale di netta separazione dal quartiere Tuscolano, sarà sfruttato per l’apertura di una fermata dei servizi regionali in accordo con i piani urbanistici vigenti sull’area.
2.3. Innescare una smart citizenship
La realizzazione di un processo di rigenerazione urbana del quartiere di Tor Fiscale oltre a demolizioni, liberazione di suolo, ricostruzioni, ridensificazione dei vuoti presenti nel tessuto più consolidato del quartiere, comporta l’insediamento di nuovi abitanti, per riuscire a soddisfare parte della richiesta abitativa -ancora purtroppo pressante- nella capitale. L’intervento prospettato prevede quindi di intervenire attraverso la realizzazione di edifici di social housing, modelli abitativi che prevedono la gestione degli affitti a prezzi accessibili da parte di un soggetto che crea un mix sociale negli edifici stessi.
A Roma la domanda residenziale registra un fabbisogno di alloggi di piccolo taglio: la densità in questo caso riguarda non solo e non tanto il numero di abitanti insediati per ettaro, quanto il numero di alloggi per la stessa superficie. RhOME si propone di rispondere a questa domanda. Gli utenti cui è destinato l’intervento sono quindi non solo gli stessi abitanti del posto, ma anche utenti temporanei: city user, giovani, single, coppie, famiglie monoparentali, nomadworker. Per questo il quartiere che si genererà dovrà unire servizi tradizionali e innovativi, collegati dal principio della condivisione delle esperienze, degli spazi, dei dati e delle informazioni. Gli abitanti saranno coinvolti direttamente nel processo di “in-formazione” del progetto. Il digitale, alla cui base vi è il concetto di partecipazione, diverrà il mezzo per rafforzare la consapevolezza di appartenere ad una comunità [11] che deve e può interagire poiché nelle proprie mani ha la gestione del suo territorio, poiché una smart city ha infatti bisogno di una comunità capace della sua gestione. L’obiettivo è quello di creare una conoscenza condivisa per innescare un processo di coesione sociale che vada al di là dell’ambiente fisico. Sostanzialmente creare uno stile di vita innovativo capace di essere da esempio per la città e che possa far guadagnare al quartiere un certo appeal [12].
In questo periodo di crisi economica, la società non può permettersi di perpetrare il modello consumista e incurante dell’ambiente e delle sue risorse che ha dominato i costumi fino ad oggi, ed è per questo che la resilienza, cioè la capacità delle persone di sopportare le avversità e adattarsi, diventa lo strumento essenziale per il cambiamento verso una società in cui la messa a disposizione di particolari luoghi e servizi incoraggi la collaborazione tra i cittadini. Sarà indispensabile la presenza di alcune figure che svolgeranno il ruolo di “animatori” o gestori sociali, il cui ruolo sarà quello di coordinare le varie attività della comunità rappresentando un punto di riferimento per gli abitanti degli edifici di social housing.
L’attuale coesistenza nel quartiere tra artigianato, residenza e porzioni di campagna coltivata sarà quindi valorizzata attraverso da un lato il recupero di alcuni capannoni artigianali per fornire nuovi servizi e dall’altro dalla realizzazione di una cooperativa agricola.
La cooperativa agricola avrà lo scopo di coordinare il sistema di interazione tra la gestione degli orti urbani presenti nel parco e la vendita dei prodotti nel mercato settimanale di quartiere. Si occuperà inoltre di guidare gli acquisitori temporanei, residenti o meno all’interno del quartiere, nella gestione del proprio appezzamento. Il terreno degli orti verrà concimato con il compost derivato dai rifiuti organici delle abitazioni, allo scopo di incentivare la raccolta differenziata mostrando ai cittadini dove e in che modo verranno utilizzati gli scarti.
I rifiuti ingombranti prodotti dai singoli alloggi, come vecchi arredi in disuso o componenti elettronici, verranno portati all’interno dei vecchi capannoni industriali e artigianali riconvertiti in spazi di co-working, specie di fab-lab a carattere artigianale, all’interno dei quali sarà possibile per ogni utente lavorare in collaborazione con altri. Principio fondativo quello di far sì che ogni scarto di una lavorazione diventi materia prima di quella successiva, creando un ciclo chiuso che non produca rifiuti [10] dove gli abitanti di diverse fasce d’età potranno mettere in atto le proprie idee e conoscenze allo scopo di recuperare i vecchi componenti e trasformarli in nuovi arredi e materiale elettronico funzionante.
Obiettivo principale di tali attività sarà quindi dare uno spazio non solo all’espressione delle abilità manuali tipiche degli abitanti del luogo, ma anche e soprattutto all’avvio di un processo di diffusione di una conoscenza che purtroppo sta andando perdendosi.
Oltre ai vari servizi necessari da insediare il quartiere verrà dotato di attrezzature contemporanee che generino attrattività anche per gli abitanti delle zone limitrofe a Tor Fiscale. L’idea è quella di realizzare un quartiere smart che abbia alla base un progetto rivolto all’ecosostenibilità dello sviluppo urbano, alla diminuzione di sprechi energetici e alla riduzione dell’inquinamento, e dotato di vari elementi di rilevazione, collocati in maniera intelligente, con interfaccia grafica semplice e ben esplicativa che possa rendere tutti consapevoli del grado di sostenibilità del quartiere in qualsiasi momento della giornata.
La relazione tra gli abitanti avverrà anche sottoforma di civic-media, una piattaforma georeferenziata che potrà essere utilizzata per narrare l’evoluzione del quartiere segnalando alla pubblica amministrazione le problematiche che verranno a presentarsi con il tempo [12].
La presenza di soluzioni di teleworking all’interno della casa, per limitare gli spostamenti in ambito urbano ed extraurbano, favorirà soluzioni lavorative che meglio si conciliano con un ritmo di vita di migliore qualità.
3. Conclusioni
Solar Decathlon offre agli studenti di Architettura, Ingegneria ed Economia di oggi la possibilità di confrontarsi a livello internazionale, di conoscere nuove culture, di prepararsi a vivere la cittàmultietica smart di domani, quella che ogni anno si realizza per soli 15 giorni in un diverso posto del mondo.
Per questa ragione Solar Decathlon rappresenta un manuale (corredato ormai da 200 esempi) di come si possa declinare il tema dell’abitare per il futuro.
Non tutti i progetti che approdano in questi villaggi solari di Washington, Madrid, Los Angeles, Pechino o Versailles hanno la stessa fortuna e lo stesso seguito, sia durante la competizione, sia dopo nei paesi di origine. Alcuni generano pensieri intorno alle nuove modalità di abitare, altri portano a piccole nuove realizzazioni, altri innescano processi immobiliari. Tuttavia tutti contribuiscono a formare una nuova generazione, che avrà la capacità di pensare ed agire perché le costruzioni siano attente all’ambiente, non solo durante la progettazione, non solo nella fase di produzione e poi cantiere, ma anche nell’intero ciclo di vita, che questi ragazzi imparano a gestire.
L’Università degli studi di Roma TRE con la partecipazione a due edizioni della competizione sta agendo in Italia da apre-pista per avviare un processo di coinvolgimento sempre più ampio a livello internazionale per lo studio e la proposta di soluzioni per le nostre case e città.
Il quartiere pensato come ricco di una serie di innovazioni volte a migliorare l’abitare e ad intrecciare strette relazioni tra gli abitanti viene concepito per creare legami e coesione tra i cittadini, vecchi e nuovi, grazie a piattaforme di condivisione di dati eterogenei legati alla storia del luogo, alle abitudini che lo contraddistinguono e alla quotidianità che lo permea, ai problemi che lo affliggono e alla volontà di risoluzione degli stessi. Lo scopo di tali strumenti sarà quindi rafforzare il senso civico della comunità e instaurare uno spirito virtuoso di cura e manutenzione degli spazi comuni, comunque già insito negli abitanti storici del quartiere che potranno in futuro condividere esperienze con i nuovi insediati.
Gli spazi comuni e l’installazione di nuovi servizi saranno il terreno fertile per la tessitura dei legami, a partire da servizi basilari come il mercato di quartiere, legato alla gestione degli orti urbani, fino ai nuovi centri di aggregazione e di co-working, collocati in vecchi capannoni ristrutturati e adibiti a nuova funzione.
Il progetto RhOME non è ancora stato presentato alle amministrazioni pubbliche che governano la città. Non si sa quindi che appoggio o seguito potrà generare, ma di certo si offre come spunto di riflessione per le molteplici implicazioni che la città smart di oggi richiede, cercando di individuare strade e percorsi che possano riportare anche alle “periferie” quella “grande bellezza” che le ha caratterizzate nel passato.
Riferimenti bibliografici