Ci siamo sempre occupate ed interessate di realtà a noi lontane e di problematiche che solo da poco riempiono le riviste di architettura. Ci siamo occupate di situazioni marginali, socialmente ed economicamente difficili. Nell’Ottobre del 2012 sul tavolo di lavoro di DIVERSE_MENTI_ABILI, associazione studentesca alla quale apparteniamo, è arrivato un tema singolare: Favelas con vista!
Al primo appuntamento, il Professor Carlo Pozzi , direttore di dipartimento della Facoltà di Architettura “G.D’Annunzio”, e il Professor Valter Fabietti, entrambi di ritorno da un viaggio a Florianòpolis, ci presentarono le problematiche di questa città, capitale dello stato di Santa Catarina in Brasile, isola molto ricca e ambita meta turistica che ha al suo interno realtà marginali e povere, quali le Favelas.
Le Favelas sono una città nella città. Cresciuta e sviluppata contestualmente a quella che comunemente riconosciamo come città formale. Le divide una variabile tanto semplice quanto sostanziale: la rispondenza alla norma, o meglio alla legge. La presenza delle Favelas separa l’immaginario collettivo della splendida città, in quanto si sono sviluppate a metà tra le luci dei grattacieli ed il silenzio del Morro, un’area boschiva e selvatica, immobile nella sua maestosità che non riesce a fermare la rapida estensione delle Favelas. E’ proprio qui che qualcuno, per quanto gli è possibile, sta cercando di risollevare queste comunità attraverso un programma di recupero e di educazione, mirato all’intervento sociale prima che progettuale. Si tratta di padre Vilson Groh, esponente della teologia della liberazione ed educatore popolare, che vive in queste comunità avvertendo la necessità di un miglioramento. La sua proposta nasce dalla sfida di indurre alcune forme di turismo in queste realtà, evitando la spettacolarizzazione delle Favelas, ma potenziandone quella stessa radice che le ha generate .
Ci siamo interessate sin da subito al tema, tanto da farne la nostra Tesi di Laurea. Il percorso che ha preceduto la fase progettuale è stato accompagnato da un workshop importante che ha portato alla luce le problematiche più urgenti di questi luoghi. L’intervento di Mario Tancredi, architetto che lavora da anni su qyesti temi, ci ha fatto capire come Medellin, la capitale del narcotraffico, sia diventata la Silicon Valley del Sud America attraverso un lungo lavoro di reinserimento e di disarmo delle milizie, di corsi di formazione che hanno dato a molti la possibilità di riscattarsi dalla povertà. Anche Ruben Otero a San Paolo, ha trasformato una Favela (Paraisopolis) attraverso un programma di “pacificazione” che ha allontanato la criminalità, e solo dopo si è potuto attuare un programma di sviluppo anche turistico.
Molti altri sono stati i nostri studi e le ricerche sugli approcci sociali e poi architettonici compiuti nei luoghi più difficili e marginali della povertà. La sensibilità di Mario Cucinella con il progetto della scuola sostenibile nella Striscia di Gaza, in una terra contesa che ha restituito identità ai giovani profughi palestinesi ; la tradizione e la sicurezza trasmessa dalla clinica pediatrica in Darfur dei Tamassociati insieme all’iniziativa umanitaria di Emergency. E ancora il lavoro svolto da Rural Studio in Alabama, il fare l’architettura con le proprie mani, l’esperienza di giovani studenti e promessi architetti che si cimentano nella realizzazione delle opere da loro stessi ideate. Concepire l’architettura come impegno sociale, costruire per i cittadini più poveri e svantaggiati, affrontare in prima persona le difficoltà del cantiere: queste sono state le premesse e gli ingredienti essenziali del nostro lavoro e del nostro approccio verso Florianòpolis.
Inizialmente dopo un’analisi attenta di quei luoghi e dopo averne sviscerato e chiarito le intenzioni sul fine ultimo da raggiungere abbiamo studiato e ripensato in primis la morfologia del suolo , la presenza di un’area da tutelare proprio nelle vicinanze delle Favelas, una vasta area che ora giace come “morta”. Farla divenire “viva” significava investire in una risorsa intramontabile, come quella del paesaggio e produrre, a cascata, una successione di avvenimenti causa-effetto, la Favela. Interagire ,in un percorso conoscitivo, con gli usi e costumi della comunità rende praticabile ed accessibile i luoghi della Favela caratteristici per la loro posizione e per lo spirito di adattabilità, li rende autonomi economicamente e consapevoli di poter essere una risorsa complementare ad una risorsa ancor più grande.
La Favela diviene collante tra le luci dei grattacieli e una riserva naturale da tutelare. In seconda istanza il lavoro si è rivolto a chiarire le forme dell’approccio umanitario e sociale con il quale abbiamo inteso operare in questo luogo, promuovendo uno sviluppo educativo degli stessi abitanti, che non significa solo soddisfare i bisogni degli esseri umani, ma contribuire attivamente a crearli. Il valore aggiunto nell’approccio delle capacità e nel’idea di riconoscerle, consiste nell’affermare non solo la soggettività dell’uno, ma la collettività dei tanti. Premessa necessaria allo sviluppo umano è la formazione di aspettative e ambizioni, che inneschino negli abitanti una rivendicazione sociale che sia in grado di definire le proprie mete e i propri valori.
La zona in cui abbiamo lavorato racchiude cinque Favelas, nelle quali abbiamo ipotizzato un intervento progettuale di 4 fasi in una sorta di time-line temporale. Sono riassunte da quattro parole chiavi : POTENZIARE: ovvero migliorare le condizioni di vita degli abitanti, attraverso il potenziamento delle reti infrastrutturali, elettriche e raccolta delle acque; la seconda, ENTRARE, ovvero favorire l’attraversamento degli spazi, potenziando una spina dorsale che metta in relazione differenti attività. La terza, CONOSCERE, nel senso di creare nuove microeconomie, fornendo luoghi e centralità in cui si svolgano attività autogestite. La quarta infine RELAZIONARSI, rigenerando il tessuto urbano per creare una dorsale di servizio al parco per mezzo di attività di interazione tra l’abitante e il turista.
Oltre a queste strategie di intervento abbiamo anche individuato alcuni caratteri comuni da attivare nell’area di studio come: la flessibilità , la modularità e l’autocostruzione. Un elemento importante è risultato quello di rendere autonomi i residenti, permettendo loro di creare microeconomie all’interno dei propri spazi e con le proprie forme costruttive. Renderli partecipi significa coinvolgerli in un percorso di mutamento e di trasformazione dove nulla sarà imposto, ma loro stessi potranno essere protagonisti del loro sviluppo.
Troppe volte l’architetto è visto come il demiurgo della materia, che plasma le sue idee , ma in realtà nelle Favelas occorre considerare altri aspetti importanti; non si può pensare di progettare in modo accademico e nemmeno di alimentare un senso talvolta solo artistico, perché ogni sistema costruttivo deve necessariamente essere semplice e comprensibile per permettere agli abitanti di farlo proprio, di maneggiarlo e riproporlo.
Un’altro aspetto, da non sottovalutare, è l’intervento progettuale, un meticoloso lavoro, cesellato sul territorio infinitesimo delle Favelas, che si ripercuote con una forza centripeta negli spazi confinanti, provocandone beneficio.
La pianificazione tradizionale prevede, alla base del progetto, reti e sistemi infrastrutturali, invece, quella delle Favelas è opposta e contraria. Le infrastrutture si insediano come organismi parassiti che devono cercare a fatica lo spazio per essere collocate e per funzionare adeguatamente, in quanto le abitazioni ricoprono un tessuto ormai troppo esteso e precario.
E’ proprio alla luce di tutto questo che abbiamo posto il nostro sguardo, provando a ipotizzare un intervento che riuscisse a favorire uno sviluppo nel rispetto dell’ esistente e della tradizione consolidata.