BRASILE. Dall'architettura sostenibile, una nuova dignità urbana a cura di Carlo Pozzi con Claudia Di Girolamo

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Imparando da San Paolo Federico Bilò PDF

Che vuol dire imparare da San Paolo?
Se è vero che si impara quando si fa esperienza di qualcosa di nuovo, quando si misura la differenza tra ciò che si conosce e ciò che non si conosce, la domanda diventa: facciamo veramente esperienza di qualcosa di nuovo a San Paolo? Anche se la risposta potrebbe essere negativa, l’esperienza dell’archi­tettura paulista quanto meno ci ricorda connotati della disciplina che in Europa sono piuttosto sbiaditi. Da qualche anno l’architettura latino-americana, nel suo complesso, è forse la più interessante che ci sia in giro, quella che ha più cose da dire e da dare: gli architetti argentini, cileni, colombiani e la più giovane generazione brasiliana hanno messo insieme prodotti che possono rappresen­tare un insegnamento molto prezioso per curare alcuni mali che si annidano nell’architettura europea.
Vanno fatte alcune considerazioni preliminari.
La prima riguarda il fatto che l’architettura moderna brasiliana, nel suo insieme, si è sempre distinta dall’ortodossia modernista; il punto di partenza è da rintracciare nel viaggio in America Latina che Le Corbusier fece nel 1929, raccontato in Precisazioni[1], durante il quale divulgò il verbo della nuova architettura nelle principali città e strinse rapporti con Niemeyer e Lucio Costa. Dai semi gettati in quelle circostanze è cresciuta una pianta diversa e origina­le, agevolata dal ruolo importante che l’architettura ha avuto nel riconoscersi della nazione e nella costituzione dell’identità brasiliana; basti pensare al forte rapporto tra il presidente Kubitschek e Niemeyer e all’operazione di Brasilia.
La seconda considerazione è che l’architettura brasiliana, come dice la critica, sostanzialmente non ha conosciuto la stagione del post-modern, per lo meno per come è stata vissuta in Europa, a parte qualche episodio marginale: quindi non c’è stata, di fatto, la cesura dello storicismo. C’è stata invece una sostanziale conti­nuità nello sviluppo che, se da un lato può costituire un limite generando manierismo, dall’altro è un punto di forza perché consente di consolidare temi e approcci al progetto che identificano una scuola e aiutano a produrre qualità diffusa.
La terza considerazione è che San Paolo è una città immensa, dall’orografia accidentata al punto che Le Corbusier immaginò di costruire dei grandi edifici-viadotto che dialogano con il rilievo. Nella immensa metropoli (nel 2010 la gran­de San Paolo è arrivata a 20 milioni di abitanti) e rispetto alle difficoltà e ai disagi tanto ambientali quanto sociali - si pensi alle favelas -, l’architettura paulista lavora su tre aspetti: il significato sociale della propria azione, la preminenza dello spazio pubblico e il ruolo della struttura nell’avvicinamento alla forma.
Questi tre aspetti sono legati tra loro.

1. Il ruolo sociale dell’architettura
Per diffondere in una città così grande importanti luoghi di aggregazione col­lettiva, sono state sviluppate alcune strategie architettoniche dal profondo si­gnificato sociale.
In primo luogo, la realizzazione di decine di centri SESC (Servizio Sociale del Commercio), il più famoso dei quali è il Pompeia, progettato da Lina Bo Bardi (1986): un condensatore sociale dal programma complesso, dove attività cul­turali, sportive, commerciali, ricreative ecc. convivono e interagiscono; come Koolhaas aveva letto nei grattacieli di Manhattan la realizzazione inconsape­vole del condensatore sociale sovietico, così Lina Bo realizza nel Pompeia una sorta di Downtown Athletic Club in versione paulista.
In secondo luogo, sono stati costruiti molti centri culturali tra i quali quello progettato da Enrico Prado Lopes e Luiz Benedito Telles (1982): un edificio straordinario, ingiustamente poco noto, inserito in una condizione topografica particolare, in uno spalto dell’Avenida 23 de Maio, disegnato intorno ad una grande aula centrale, semi-ipogea, a più altezze, attraversata da un sistema di rampe incrociate.
Una terza strategia riguarda il ruolo dell’edilizia scolastica, discusso negli anni ‘50 sulla rivista “Habitat”, fondata da Lina Bo e dal marito Pietro Bardi. Si pen­sava che la scuola dovesse ampliare il proprio ruolo sociale e il proprio signi­ficato urbano, diventando un luogo di incontro che consentisse la formazione non soltanto dei bambini ma anche degli adulti. Sulla scorta di questi insegna­menti, lontani ma ancora attuali, negli ultimi anni è stato attivato il programma CEU (Centri di Educazione Unificati), che ha consentito di realizzare 45 centri a beneficio di 120.000 studenti. I centri hanno un programma articolato, riguar­dante non solo l’educazione ma anche la cultura, lo sport e il tempo libero, e consistono in manufatti che si avvalgono di cinque elementi: una stecca (aule, refettorio, biblioteca, esposizioni, laboratori, sale per varie attività sociali), un disco (asilo nido), un blocco (palestra, teatro-cinema-musica), dei cilindri (serbatoi d’acqua) e un plateau (piscine, playground, varie). Questi elementi si compongono, si adattano e si deformano in base alle esigenze dei diversi contesti, cui forniscono identità e riconoscibilità; inoltre, l’ampio ricorso alla prefabbricazione ha garantito la rapidità di esecuzione degli edifici e del pro­gramma nel suo insieme (fig.1).
Nell’area di Osasco, nella favela di Rio Pequeno, è stato realizzato, insieme con gli amici e soci dello studio GAP Architetti Associati, un centro socio-scolastico (2005), trasformando due ex atelier di bigiotteria, manufatti di nessuna quali­tà, in un insieme di attrezzature scolastiche, parascolastiche e sociali, con un piccolo centro teatrale, una foresteria e una mensa. Il disegno si basa sull’i­dea di portare la distribuzione all’esterno per recuperare quanto più spazio disponibile e per riqualificare i prospetti. L’operazione sta riscuotendo un certo successo: la scuola svolge continuativamente attività per i bambini - i meninos da rua - e per gli adulti (fig.2).
Un’ultima strategia riguarda le strutture per la cultura fisica: tra queste, il meraviglioso Balneário de Jaú di Vilanova Artigas (1975) che, collocato in un’a­rea abitativa priva di identità, la polarizza con la forma circolare e perentoria dell’edificio per gli spogliatoi a servizio della grande piscina.

2. La preminenza dello spazio pubblico
La preminenza dello spazio pubblico di molti edifici brasiliani trova espres­sione nel tema caratteristico della grande aula coperta, sempre pensata per accogliere momenti significativi di vita collettiva.
Il MASP (Museo di Arte di San Paolo), progettato sull’Avenida Paulista da Lina Bo Bardi per volere del marito e di Assis de Chateaubriand, totalmente sollevato da terra, configura una piazza coperta, un luogo per eventi, ad esempio concerti.
Di simile significato è lo spazio interno centrale della FAU-USP progettata da Vilanova Artigas, una grande piazza urbana coperta caratterizzata da permea­bilità, trasparenza e fluidità delle connessioni tra interno ed esterno.
Al di sotto della copertura di Praça do Patriarca, progettata da Paulo Mendes Da Rocha accanto al municipio piacentiniano, una scala rende accessibile dal­la quota di città il più basso parco urbano disegnato sulla valle dove correva il fiume Anhagambaù; si configura in tal modo un sistema complesso di spazi pubblici differenziati (fig.3). Nel Museo Brasiliano di Scultura, Mendes impiega travi in cemento armato precompresso di grande luce per definire un’area coperta, individuata anche dal disegno del suolo, da utilizzare per momenti di vita collettiva, come un mercato estemporaneo di varia oggettistica.
La pensilina che collega i padiglioni del Parco di Ibirapuera, grande polmo­ne verde all’interno del fitto tessuto della città, disegnata da Oscar Niemeyer (come quasi tutto il resto del parco), definisce uno spazio che di per sé non è nulla se non un percorso pavimentato e coperto, l’uso del quale viene reinven­tato ogni giorno attraverso le attività più disparate che vi trovano luogo, per lo più di carattere ludico-sportivo.


3. La struttura come forma
In Brasile i manufatti presentano spesso una stretta relazione tra gli aspetti strutturali e quelli configurativi. Il già descritto spazio urbano del MASP, ad esempio, è reso possibile dalla limitazione dell’apparato portante a quattro immensi pilastri disposti sui lati corti del manufatto e dall’aver appeso il primo solaio: ciò che consente appunto di avere il piano terra del tutto sgombero.
L’architetto che ha dato il contributo decisivo nel definire i caratteri della scuo­la paulista è senz’altro Vilanova Artigas, che attribuiva un ruolo preminente agli aspetti strutturali. Diceva infatti:
“Per l’architetto, la struttura non dovrebbe svolgere l’umile ruolo di scheletro, ma espri­mere la grazia con cui i nuovi materiali permettono di dominare la forma cosmica, con l’eleganza delle luci più ampie, di forme leggere”.
Artigas, nei suoi lavori, sembra voler far cantare il punto d’appoggio - come di­ceva Auguste Perret - e, secondo Kenneth Frampton, inventa un vero e proprio tipo strutturale: una sorta di soletta ripiegata sui lati, retta in pochi punti, che realizza un grande vano coperto all’interno del quale trovano accoglienza tutte gli elementi del programma, secondo un’idea di continuità tra interno esterno e tra individuale e collettivo[2].
Questo tipo strutturale venne messo a punto la prima volta da Artigas nel 1958 nel progetto per la casa Taques-Bittencourt e venne sviluppato nei quattro edi­fici che progettò nel 1961, tra i quali il suo capolavoro: la già citata FAU-USP, ca­ratterizzata dalla grande copertura luminescente, di grande potenza spaziale.
Tale tema viene riproposto nel 1970 da Mendes da Rocha nel Padiglione brasi­liano per l’Expo di Osaka.
Anche Mendes, infatti, insiste nella ricerca di sintesi tra forma e struttura. Ad esempio, nella piccola cappella di San Pedro, un enorme pilastro centrale circolare regge sia l’ecclesia, un’immensa mensola agganciata allo stesso pi­lastro e ancorata posteriormente al suolo, sia la copertura. L’insegnamento di Artigas e di Mendes è evidente nelle opere degli architetti della generazione più giovane. Si consideri la casa a Carapicuiba progettata da Angelo Bucci e Alvaro Puntoni nel 2003, verticalmente tutta disarticolata: il congegno strutturale si riduce a due pilastri e alle pareti di contenimento dello scavo dentro il quale la casa è alloggiata. Per capire veramente tutti questi edifici bisogna studiarne la struttura, che a volte mostra vere e proprie forza­ture; ad esempio, nella casa King di Mendes, si nota come alcuni setti non si allineino con i pilastri sottostanti: delle grandi travi assorbono il carico in falso e lo riportano sulle linee di deflusso naturale del peso, sui pilastri.

Per concludere, il ruolo sociale dell’architettura, la preminenza dello spazio pubblico e la struttura come forma sono i tre insegnamenti dell’architettura paulista; insegnamenti particolarmente utili all’architettura europea, troppo spesso confinata, in tempi recenti, tra la superfluità e l’esibizionismo.

[1] Le Corbusier, Precisazioni, (1929), Laterza, Bari 1979.
[2] Kenneth Frampton, Vilanova Artigas and the School of São Paulo, 2G n.54-2010, João Vilanova Artigas.