BRASILE. Dall'architettura sostenibile, una nuova dignità urbana a cura di Carlo Pozzi con Claudia Di Girolamo

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PROGETTI PER SOGLIE INSTABILI. Workshop in America Latina Gianluigi MondainiPDF

Prologo
I progetti degli workshop tenutisi in America del Sud citati nel titolo, sono il risultato di differenti esperienze didattiche e di ricerca, realizzati in momenti diversi e anche finanziati da enti diversi ma tutti con il medesimo obbiettivo di sperimentare le distanze e le prossimità di territori del progetto, nuovi per fisicità, latitudine e tematiche di approccio, con le ipotesi teoriche ed operative che hanno caratterizzato e caratterizzano il pensiero progettuale di stampo europeistica che più abitualmente frequentiamo.
Per l’Argentina, si propone il progetto di ricerca finanziato dal CUIA Consorzio Universitario Italo Argentino dal titolo “Città, Ambiente e Turismo. Le trasformazioni del paesaggio fluviale del Rio Paranà e le potenzialità del turismo - Effetti e sperimentazioni per realtà urbane future”, la cui responsabilità era affidata all’Università Politecnica delle Marche in partnership con molte sedi universitarie italiane e argentine. Mentre per il Brasile, un progetto proposto dallo IUAV - Istituto Universitario di Architettura di Venezia dal titolo “Laboratori Metropolitani – San Paolo”, il cui curatore è il Professor Aldo Aymonino e al quale hanno aderito diverse facoltà italiane e la sede universitaria del paese ospitante. Entrambi i progetti sono stati promossi anche dall’Associazione culturale “Villard” che da molto tempo si occupa di ricerca e didattica dell’architettura attraverso l’esperienza del viaggio e in particolare dell’area geografica che interessa questo saggio.
Entrambi gli workshop, con le dovute differenze di approccio, di tema e di programma, ogni volta coerenti con il contesto specifico di intervento sono stati comunque una medesima esperienza di “moltitudine”, con esaltanti quanto destabilizzanti salti di scala rispetto alle nostre consuetudini dimensionali che ci hanno portato ad un confronto con una pluralità di dati, formali, spaziali e sociali del tutto sorprendente. Si è imposta da subito la necessità di “misurare” il nuovo fenomeno e scoprire modalità di interpretazione dello spazio naturale e urbano del tutto differenti. In Argentina, il fiume Paranà è sostanzialmente un mare e insieme alle immense distese agricole, esprime una vastità e un’orizzontalità che è impossibile percepirne gli orizzonti; così come le sue città, a partire da Baires, talmente articolate e plurali da sfuggire a qualsiasi approccio di natura complessiva. In Brasile, altri tipi di moltitudine: la forza del contesto naturale, la densità del costruito e la sua presente fisicità, la pluralità delle forme, dei materiali e delle forti cromaticità, rendono ogni ipotesi di intervento un piccolo possibile frammento di una comunque emozionante avventura.

L’esperienza Argentina
Il progetto del workshop argentino riguardava una riflessione attorno al particolare rapporto di questa terra e delle sue principali realtà urbane con il fiume Paranà.
Il tema della relazione fra realtà antropizzate e margine, sia esso marino o fluviale, è uno dei più intriganti per l’architettura, uno dei più dibattuti, poiché interessa molteplici dimensioni: quella del rapporto fra natura e artificio, quindi quella del bordo, del limite, quella della rappresentazione della città attraverso il suo waterfront, quella tecnico–funzionale delle superfici destinate alle attività portuali e molte altre. Il tema senza alcun dubbio più stimolante è quello, sovraordinato, del paesaggio, e delle sue articolate possibilità morfologiche, soprattutto in ragione della tipizzazione dello straordinario incontro di due diverse condizioni, quella statica e immobile del costruito e quella fluida e mutevole dell’acqua. La soglia e quindi l’incontro tra dimensioni hanno generato nel tempo, sia per l’originale azione della natura che per l’altrettanto ricca azione dell’uomo, una notevole quantità d’invenzioni, tutte volte al superamento di quel salto di quota che divide i due stati. Una soglia, che sotto l’agire umano nelle sue alterne necessità, è divenuta nel tempo sempre più pluriforme trasformandosi, da bidimensionale e sostanzialmente parallela all’orizzonte fluido, in molteplici spazialità e paesaggi tridimensionali, sempre più perpendicolari alla costa.
Il caso argentino della città di Santa Fè, è comune a molte città ubicate lungo fiumi spesso instabili. Come anche nel caso indagato dal workshop sul Rio Magdalena in Columbia, tenutosi alcuni anni fa presso la Facoltà di Architettura di Pescara e al quale partecipò un gruppo di lavoro della mia scuola, tale natura mutevole condiziona notevolmente gli insediamenti e la loro relazione con il fiume. La strategia ipotizzata è stata quella di mettere al centro dell’inevitabile lotta contro la permanenza e la forza della natura, l’architettura, con la volontà e capacità di leggere e appartenere ai luoghi. L’invenzione spaziale e architettonica, nel caso di Santa Fè, ma anche nei progetti dei gruppi di lavoro per il Rio Magdalena, prende le forme dalla natura stessa dell’instabilità del fiume e imposta il dialogo fra natura e artificio immaginando spazi non più rigidamente determinati o formalmente chiusi ma luoghi le cui forme possono essere mutevoli in ragione degli eventi, delle stagioni e degli usi. Questa possibilità permette di indagare modalità spaziali che ribaltano quella di stampo europeista, più conosciuta e indagata, rappresentata dal waterfront, una sorta di linea orizzontale infinita e lineare, e trasformare questa idea di paesaggio sottile e parallelo in un paesaggio più interiore, perpendicolare alla costa il cui spazio di relazione diventa più dilatato con possibilità interpretative e inventive aperte e plurali. Una dilatazione nel corpo vivo del territorio che nel migliore dei casi lega per sempre il carattere e l’identità dei luoghi alla loro originale dipendenza dalla fluidità generatrice.
Il terreno e il tema comune che può legare più latitudini del paesaggio costiero è la modalità con cui può essere interpretato questo spazio di passaggio fra stati, liquido e solido. Una modalità affidata, sia che ci si trovi in tratti di aree libere e aperte, o in altre in cui insistono funzioni precise come quelle tipicamente portuali, al disegno dello “spazio pubblico”. La “costanera” fluviale argentina, storicamente, in tutte le sue città affacciate sul fiume, rappresenta da sempre, pur nella sua condizione instabile, di territorio spesso esondabile, un luogo d’interesse, sia socio-culturale che tecnico-scientifico, proprio nell’invenzione di modalità tettoniche al servizio dell’incontro, della relazione, dell’uso pubblico della soglia fra terra e acqua.
Il disegno del bordo e della relazione fra l’acqua e le spazialità più interne degli insediamenti, affidati all’uso esclusivo della collettività, permetterebbe, in territori come quelli sud americani dove lo spazio è una delle risorse principali, di evitare ciò che è successo nel tempo alle realtà europee e all’Italia in particolare, dove spesso i luoghi di questa possibile relazione, senza lungimiranza, sono stati occupati da infrastrutturazione pesante o abbandonati all’abusivismo selvaggio. I territori costieri possono essere una risorsa strategica, dove si può sperimentare, una nuova ed esemplare modalità di sviluppo o di riqualificazione, che vede nello spazio pubblico, nel luogo delle relazioni, il primo attore di ogni azione.
L’ipotesi di lavoro, che sta alla base delle sperimentazioni progettuali per le aree a ridosso del fiume Paranà della città di Santa Fè ma che possono riguardare tutte quelle aree di confine e di margine fra condizioni naturali, è la trasformazione di tutte queste aree di conflitto, di frontiera fisica e alcune volte anche amministrativa, in “vuoti attivi”, in spazialità dinamiche capaci, più di integrazione che di divisione, reinterpretando l’instabilità tipica del luogo di confine e ridefinendo il sistema ambientale che generò quel dinamico rapporto fra natura e artificio.

Il progetto per Santa Fè
L’idea della ridefinizione del bordo di Santa Fè nella parte di città che si affaccia sul fiume e in particolare nelle aree un tempo erano destinate all’approdo delle merci, trae la sua ispirazione proprio dalla natura provvisoria e variabile del rapporto tra artificio e natura e nell’interpretazione del salto di quota fra la terra e la mutevole linea dell’acqua. Il progetto ha proposto una sorta di territorio di decompressione fra città e fiume in cui l’artificio e la natura potessero prendere tempo prima di divenire integralmente l’una o l’altra condizione, un luogo dove entrambi gli stati potessero convivere e relazionarsi. Le forme espresse dallo spazio prendono le mosse dall’identità della città, proponendo una sorta di disgregazione progressiva della rigida maglia delle quadra che man mano che si avvicinano al fiume, perdono densità volumetrica e artificiale per avvicinarsi alla naturalità dell’acqua. Le volumetrie perdono consistenza all’aumentare della superficie destinata al parco urbano che nelle sue pieghe altimetriche permette di superare in alcuni punti una arteria carrabile, per poi spingersi scendendo progressivamente, verso il fiume. A ridosso della strada e del bordo della città attuale trovano posto nuove volumetrie residenziali sempre più rade e verticali, per disegnare una sorta di aperto e dinamico, poiché non più lineare, waterfront urbano. Il sistema edificato perde poi altimetria e consistenza man mano che ci si avvicina al fiume, per divenire un ampio e mutevole spazio pubblico attrezzato, dove trovano posto, parcheggi, spazi aperti e servizi via via sempre meno consistenti dal punto di vista architettonico, fino a divenire vere e proprie palafitte lignee o zattere mobili in ragione della variabilità e dell’altimetria del fiume. Un paesaggio plurale che nel rapporto dinamico con l’acqua muta le sue forme e il suo grado di utilizzo, imponendo variabilità d’uso, pluralità formale e sostenibilità materica come risposte espressive ad un’attenta e specifica localizzazione dell’intervento ma anche come spazialità del tutto appartenenti alle dinamiche di una più universale contemporaneità.

L’esperienza brasiliana.
Il progetto del workshop brasiliano intendeva sperimentare la dimensione metropolitana della città di San Paolo attraverso un’interpretazione di alcune delle sue più cogenti problematiche a partire da quella dimensionale fino a quella sociale e alle relative espressioni spaziali tra cui il fenomeno delle favelas. La regione metropolitana di San Paolo accoglie 20 milioni di persone e registra il 20 per cento del PIL brasiliano. La città nell’ultimo decennio ha conseguito una crescita del 9,2 per cento. Tale fenomeno ha comportato un continuo mutamento dei confini fisici della metropoli che però al contempo è stata interessata da un processo di esodo degli abitanti dalle zone centrali. Le politiche di rilancio e l’implementazione delle infrastrutture pubbliche non sono tuttavia riuscite a bloccare il fenomeno, con il conseguente aumento di criminalità e degrado, per cui risulta indispensabile una riflessione su come il processo di strutturazione dello spazio urbano possa essere attivato a partire dall’analisi e dalla progettazione di strategie capaci di attribuire maggiore rilievo ai sistemi di organizzazione delle interrelazioni fisiche, spaziali e funzionali fra le componenti urbane, aggiungendo nuovi valori allo spazio costruito. Le riflessioni espresse dal workshop hanno inteso sperimentare spazialmente e proporre idee attorno al concetto di soglia-limite. San Paolo è una città “estrema” per via dei fenomeni di densità, congestione e differenza sociale. Questi aspetti si misurano più che in ogni altro modo, nelle soglie intese come spazio residuale di transizione tra diverse componenti o aree urbane. Esemplificative in tal senso sono le aree del complesso del Parque Cidade Jardim e Cidade Tiradentes. Nella prima in particolare, il concetto di soglia si traduce in dispositivi fisici di segregazione, ovvero muri che fungono da divisione tra la zona delle favelas Panorama ed i grattacieli limitrofi realizzati per svariati milioni di dollari. La domanda che fa da sfondo al workshop e caratterizza lavori in contesti territoriali particolari come quelli metropolitani sudamericani è: dove la città è schiacciata dalla sua crescita urbana, come la pratica dell’architettura può intervenire sul territorio? Quali sono le possibili modalità di azione per intervenire sulle soglie (infrastrutture e costruito – costruito e autocostruito – città e sitemi ambientali) a differente scala? L’ipotesi è stata di cavalcare quella “moltitudine” citata nel prologo, quell’attitudine alla grande dimensione e alla forza dell’artificio come interpretazione della forza dell’ambiente fisico che da sempre ha caratterizzato la cultura spaziale brasiliana, “doomed to modernity” (condannata alla modernità), come esprime il titolo di un capitolo del libro Brasil’s Modern Architecture. Nell’opinione di Siegfried Giedion, in un articolo del 1963, riguardante appunto il ruolo storico della modernità e la sua interpretazione in alcuni paesi, “he was witnessing not the end of a period, but its formative years. Signs of reinvigoration came, … from the new impetus brought by regional contributions from “faraway countries”, such as Finland and Brasil, where there was architecture that went beyond mere utility and demonstrated characteristics of a new monumentality”. (S. Giedion, “Architecture in the 1960’s: hope and fear”, in Zodiac, 11-1963. Preface to the italian second edition of Space, Time and Architecture. Giedion begins the essay by referring to the symposium “Modern Architecture, Death or Metamorphosis?”, which took place in 1961 at the Metropolian Museum of New York.) La nostra ipotesi di intervento ha reinterpretato l’idea di una nuova monumentalità come sintesi tra la grande dimensione fisica e territoriale, la visionarietà dei popoli sudamericani e la particolare forza espressa dalla lettura brasiliana dell’architettura moderna europea. Sintesi che ha portato nel passato ad esiti fisici straordinari di originalissima modernità con figure del calibro di Lucio Costa, Eduardo Reidy, Vilanova Artigas e il più famoso Oscar Niemeyer, fino al più recente Mendes Da Rocha e tutta l’attuale scuola che fa dell’architettura brasiliana una delle più originali nel panorama contemporaneo. Tra gli esempi indicativi di tale approccio eroico sospeso tra visionarietà e razionalità, ai quali la nostra esercitazione progettuale si riferisce, si possono elencare: il Brasilian Pavillion per l’Expò ’70 ad Osaka di Paolo Mendes da Rocha o il suo più recente Brasilian Museum of Sculpture di San Paolo del 1985/95, il Masp di San Paolo di Lina Bo Bardi del 1957/68 e pescando nel periodo più eroico dell’architettura moderna brasiliana rappresentato certamente dalla fondazione della sua capitale Brasilia, gli edifici a piastra di Lucio Costa e di Oscar Niemeyer rispettivamente per la stazione degli autobus e per il parlamento. Architetture fondate su un’idea di eroicità che mette in tensione il pensiero strutturale e la forza plastica dell’idea volumetrica in sinergia con la volontà di dialogo con il contesto fisico di intervento. L’approccio che ci è sembrato possibile per lavorare nel particolare contesto brasiliano è la diretta interpretazione degli esempi elencati e di molti altri, capaci di confrontarsi con un ”impossibile” sommatoria di condizioni limite in molti campi a partire dalla dimensione sociale fino all’ambiente fisico-naturale. L’architettura moderna brasiliana ha espresso una via d’uscita a tale impossibilità attraverso la necessità di pensare in grande, utilizzare segni forti, capaci di lucido rigore e contemporaneamente di passionale istinto. L’interpretazione di queste architetture unita alla lettura della vitale espressività della società brasiliana sostanziano ancora una volta che la città è fatta dalla vita che si registra tra i suoi edifici e i suoi spazi. L’architettura deve avere la capacità di interpretare attraverso il suo pensiero fisico-estetico i dati che rendono pulsante e vivo il fenomeno urbano; deve catturare ed esprimere attraverso forme, spazi e linguaggi quell’energia che la città ha sempre espresso in alcuni periodi della sua storia o in alcune latitudini, come nel caso della nostra San Paolo. Le città per essere attrattive devono puntare sulla “vita” e su progetti culturali e di reinterpretazione dello spazio fisico (come nel caso della nostra workshop per la favela del Moinho de Santa Cecilia) che tengano conto certamente della conoscenza storico-teorica delle modalità di interpretazione del contesto ma che siano anche capaci di intercettare quell’”imperfetta perfezione” citata da Lodoli (M. Lodoli, L’imperfezione della bellezza, La Repubblica 25/5/2013) al proposito di Roma ma che ben si può proporre per la multiformità della bellezza che esprime la metropoli brasiliana. La nostra ipotesi di intervento, in realtà una sfida alla forza e alle durezze del contesto di intervento, consci che le “idee viaggiano ma non sono mai le stesse” (Z. Hadid, Intervista di M. Accettura in D La Repubblica  11/05/2013) per la necessità di interazione con i luoghi dove si posano, ha un duplice approccio: globale, con idee capaci di testimoniare l’appartenenza di queste latitudini alla universale contemporaneità del pensiero; locale, attraverso l’attenzione al significato diverso e alle particolari morfologie che tali idee possono assumere in contesti così fortemente caratterizzati come il sudamerica e in particolare il Brasile. Un’ipotesi di lavoro la nostra che individui idee di architettura, spazi e forme, coerenti con uno dei principali obbiettivi dello stato brasiliano che in merito alle aree critiche delle favelas sta cercando di raggiungere: “L’idea dello stato è tornare nelle favelas per rimanerci molto”, dice Ricardo Henriques (Direttore dell’Instituto Pereira Passos, il think-tank governativo che formula le strategie urbane dell’UPP, Programma di Pacificazione Urbana), “Vogliamo accelerare i tempi della riduzione delle diseguaglianze tra le favela e la città regolare. L’obbiettivo che ci proponiamo è integrare queste aree nella città. Solo a quel punto il nostro programma può ritenersi concluso”. Il rischio e la preoccupazione ai quali ci associamo, di queste operazioni, per cui è necessario un approccio attento non solo alle esigenze della città regolare ma anche a quelle dei cittadini della città irregolare, è quello espresso da Suketu Mehta (celebre autore del libro reportage “Maximum City. Bombay città degli eccessi). Rischio e preoccupazione già in essere in alcune delle più note favela di Rio de Janeiro. “ A Tavares Bastos, e in altre favelas come Cantagalo, da cui si accede facilmente alla ricca zona Sul (Zona Sud), e dove con la pacificazione la sicurezza è aumentata, gli attuali residenti non saranno cacciati via dalla violenza, con la quale sanno convivere, ma dall’aumento degli affitti, che con il tempo renderà loro impossibile vivere qui. Il loro diritto ad abitare nella favela era tutelato finchè era illegale. Dopo la pacificazione, la minaccia più grande per gli abitanti storici delle baraccopoli di Rio non verrà dai narcotrafficanti, ma dalle società immobiliari.” (S. Mehta, Il Brasile domani, D La Repubblica 13 Aprile 2013)

 

Il progetto per San Paolo
Il progetto per San Paolo del Brasile ha come finalità la rigenerazione della Favela del Moinho de Santa Cecilia, un lembo di terra dalla forma di fuso allungato, ritagliato tra 2 linee ferroviarie che fungono da confini e cerniera tra la favela stessa ed il resto della città. La forma allungata della favela è tagliata in due trasversalmente sul lato corto da una strada carrabile a forte percorrenza che si eleva sospesa su pilastri cementizi dalla quota dell’agglomerato residenziale. Le particolari residenze, come spesso accade in questi casi, sfruttano la presenza dell’infrastruttura e del salto di quota che differenzia l’area dal resto della città, per aggregarsi ed allo stesso tempo isolarsi definendo un proprio particolare ambito affrancato, sicuro e difendibile in particolare dalle forze dell’ordine ma anche da eventuali bande di favelas rivali.
L’area si percepisce, per la sua particolare localizzazione, solo dall’alto dell’infrastruttura sospesa o dai treni in transito sui suoi allungati confini e si potrebbe interpretare come una ferita aperta nella maglia reticolare di Sao Paulo. Maglia urbana che ha subito in un decennio un processo selvaggio di libera e sregolata costruzione con edifici di bassissima qualità costruttiva non troppo dissimili, almeno in questa parte di città, dalle costruzioni leggere della favela stessa ma con quei contraddittori caratteri tipologici tipici delle città dense brasiliane caratterizzati spesso da notevoli verticalità.
L’idea di rigenerazione propone una pluralità di ipotesi di intervento coordinate dalla volontà di aprire i confini della favela, superare quella soglia che nel tempo infrastrutture e utenti hanno creato tra interno ed esterno. Il progetto propone una sorta di dilatazione del concetto di soglia attraverso puntuali operazioni di riconnessione con la maglia urbana circostante senza eliminare la morfologia e la straordinarietà che l’area stessa ha acquistato nel tempo rispetto al contesto. Si è anche proposto “in situ” il recupero della particolare destinazione residenziale, con la demolizione delle insicure e degradate abitazioni e la rigenerazione di un cementificio abbandonato ma dall’architettura interessante e recuparabile da destinare ad operazioni di autocostruzione per un abitare socialmente integrato.  
La riconnessione tra l’area della favela e la città avviene sfruttando il reticolo urbano circostante come matrice compositiva per estendere gli isolati stessi sopra e all’interno del grande vuoto lasciato libero dalle operazioni di demolizione. Questa estensione avviene in alcuni luoghi strategici, veri e proprie metafore di punti di sutura di una ferita che si può rimarginare solo implementando la dotazione di servizi capaci di stimolare cultura e attrattività. Le forme utilizzate sono delle grandi masse orizzontali, capaci di esprimere il loro carattere pubblico e monumentale grazie anche a prestazioni strutturali e dimensionali riprese e quindi riferite alla migliore architettura moderna brasiliana e in particolare paulista.
Le piastre racchiudono al loro interno molteplici funzioni utili alla collettività di cui attualmente l’area è assolutamente sprovvista, una sorta di CESC diffuso con un auditorium, una biblioteca, un centro espositivo, una serie di uffici e gallerie commerciali ed infine una stazione ferroviaria che permette all’area di diventare un centro attrattivo utilizzabile e connesso.
Tutto lo spazio aperto ottenuto dalla liberazione delle residenze spontanee è stato destinato ad un grande parco urbano dove sono possibili sia tutte le funzioni all’aperto precedenti, in particolare quelle sportive, ma anche destinazioni nuove come serre contenenti le principali essenze brasiliane, spazi aperti per lo spettacolo o anche luoghi disponibili per la libera espressione come la street art e i murales, che colorano l'intera città.

Progetto per Santa Fè, Argentina - Aprile 2010:
CUIA. Consorzio Universitario Italo Argentino - Seminario Internazionale di progettazione architettonica.
Responsabili scientifici Università partner: G. Mondaini UNIVPM (Coordinamento), G. Ciorra, M. D’Annuntiis UNICAM, F. Cellini, M. Burrascano ROMATRE, Javier Mendiondo UCSF, Eduardo Castellitti UNLSF.
Progetto Vincitore Workshop - Gruppo di lavoro: Mariela Alonso - USAL, Alice Barbanera – UNICAM, Nicoletta Carnevali – UNICAM, Dania Di Pietro – UNICAM, Francesca Marini – UNIVPM, Nicolas Mantaras – UCSF, Estanislao Niklinson – UCSF, Mariano Tellechea – UNL, Diego Villar – UNL

Progetto per San Paolo, Brasile – Settembre 2011
LABORATORI METROPOLITANI. Workshop internazionale di progettazione architettonica ed urbana.
Responsabili scientifici seminario: A. Aymonino, E. Fontanari, IUAV
Responsabili scientifici Università partner: G. Mondaini UNIVPM, R. Simone UNIRC, F. Bilò, D. Potenza UNICH.
Progetto: Mattia Patrassi, UNIVPM (da cui le immagini che seguono), Calogero Brancatelli, Erica Pipitò, Michele Vita, Alba Guerrero, UNIRC