Mezzogiorno. Prove di sostenibilità a cura di Maria Valeria Mininni, Ester Zazzero

torna su

Mutamenti climatici in città. Per una nuova geografia del rischio. Michele Manigrasso PDF

“Il futuro della civiltà sarà determinato dalle sue città
e nelle sue città”
R. Rogers

Il problema è globale, e ciò risulta chiaro; con la stessa evidenza, le maggiori preoccupazioni, rispetto ai cambiamenti del clima, riguardano i rischi per l’uomo e le sue città, perché è in esse che si espletano le attività umane principali e si addensa la popolazione.
Gli insediamenti urbani sono drivers fondamentali dei cambiamenti climatici e nel contempo i luoghi ove gli effetti si presentano più severi per la specie umana. Gli insediamenti urbani sono quelli dove è minore la naturalità, e dunque dove la resilienza deve essere assicurata in misura quasi esclusiva dall’uomo. La valutazione della loro vulnerabilità, la considerazione dei rischi cui sono esposti popolazioni e beni, la formulazione di consapevoli strategie atte a contrastare il problema, sono, di conseguenza, un banco di prova importante, suscettibile di incidere sulla qualità della vita della porzione largamente maggioritaria della popolazione mondiale.
Attualmente quasi la metà della popolazione mondiale abita nelle città e si prevede che durante i prossimi anni la popolazione urbana continuerà a salire costantemente. Le città, pur interessando delle porzioni ridotte della superficie terrestre (fra il 2 e il 4%), consumano i 3/4 delle risorse energetiche e dei materiali mondiali, producendo una equivalente quantità di rifiuti (Unep, 2005). Città immense, complesse, differenti e più grandi di quelle attuali, diventeranno l’ambiente nel quale vivrà moltissima gente. Varie città, quali Città del Messico, Tokio, San Paolo, Shanghai, Mumbai e Lagos probabilmente supereranno i 20 milioni di abitanti. Se la città costituisce l’habitat in cui l’uomo trova le migliori condizioni per i propri sviluppo ed evoluzione e dove tende a riprodurre con continuità l’insediamento, contemporaneamente, l’attuale tasso di urbanizzazione sta portando numerose città del mondo a una crescita abnorme che può originare la perdita di quei caratteri che non solo rendono appetibile la città, ma che sono alla base della vita umana (Indovina et al., 2005).
A livello globale si calcola che il 75% dei consumi energetici mondiali sia dovuto alle città, e che queste siano responsabili allo stesso tempo dell’80% delle emissioni di gas a effetto serra. Dunque la città stessa è fonte di produzione di calore ed energia, che si va a sommare a quella della radiazione solare incidente. L’illuminazione, i trasporti, il riscaldamento e il raffrescamento degli edifici, hanno impatti non trascurabili sul clima urbano sia direttamente, a causa del calore che deriva dalla produzione di energia e che si va a sommare a quello naturale, sia indirettamente, a causa delle emissioni di gas serra e di inquinanti e, a tutto ciò, si aggiungano alcuni aspetti della costruzione della città, (i materiali, le densità, gli orientamenti errati, etc.) di cui si parlerà specificatamente in seguito, a proposito delle ondate di calore.
Alla luce di questi ragionamenti, risulta evidente come la città abbia un ruolo fondamentale sull’evoluzione del clima, sia a livello globale, sia a livello locale, contribuendo fortemente alla “qualità” del proprio microclima. Più in generale, possiamo riconoscere alla città:

Ruolo attivo–negativo_ Il progressivo e costante aumento della popolazione che vive nelle aree urbane aumenterà l’energia necessaria al funzionamento delle città, incrementando anche l’impatto delle aree urbane rispetto ai cambiamenti climatici.

Ruolo passivo–negativo_ Le città subiscono in modo diretto gli effetti dei cambiamenti climatici, specialmente quelli connessi all’innalzamento del livello dei mari, all’intensificazione di fenomeni atmosferici o al progressivo aumento delle temperature.

Ruolo attivo–positivo_ Le città e i governi locali in senso più ampio, possono svolgere un ruolo rilevante come laboratori di sperimentazione di nuove politiche per l’adattamento ai cambiamenti climatici. In questo senso la scala di azione urbana va indirizzata ad azioni di mitigation procedures da un lato e di adaptive capacity dall’altro, con particolare rilevanza di quest’ultima. (F. Musco, 2008).

Al fine di delineare un quadro sintetico dei principali impatti dei mutamenti climatici sui contesti urbani, si sono in prima battuta selezionati, anche facendo riferimento ad operazioni analoghe contenute in “Piani di Adattamento” di alcune realtà nazionali, i mutamenti da ritenersi maggiormente suscettibili di produrre impatti rilevanti. Si assumono come particolarmente significativi: l'innalzamento del livello del mare, i mutamenti nel regime delle piogge, l'incremento delle temperature. Per quanto riguarda l’innalzamento del livello del mare, due sono le componenti vulnerabili esposte agli effetti dell’arretramento della linea di costa:
• gli insediamenti litoranei realizzati a modesta altezza dal livello deI mare, esposti a possibili allagamenti ed erosioni;
• le infrastrutture litoranee (strade, ferrovie), le difese artificiali della costa e le strutture portuali, esposte alla recrudescenza della erosione marina, con conseguenze sul loro grado di efficienza e sulle loro caratteristiche funzionali.
Per quanto concerne il mutamento del regime delle piogge, in particolare la maggiore ricorrenza di piogge abbondanti e concentrate nel tempo consideriamo vulnerabili:
• gli insediamenti posti in prossimità dei corpi idrici superficiali, che vedranno il modificarsi delle condizioni di esposizioni al rischio di piene fluviali attualmente calcolate con modelli idraulici tarati su serie storiche di pioggia che in prospettiva potrebbero non essere più rappresentative della realtà;
• le fognature urbane destinate a collettare e a smaltire le acque piovane, soggette a cambiamenti delle condizioni di carico ed oggi dimensionate in funzione di serie storiche di eventi metereologici non più affidabili.
E poi, gli incrementi della temperatura in aree urbane, le componenti vulnerabili investono direttamente la qualità di vita delle persone sia nei luoghi di residenza e di lavoro (ovvero all’interno degli edifici), sia all’aperto (ovvero negli spazi pubblici). Nonché la tenuta delle aree verdi urbane, che in buona parte sono mantenute artificialmente (come ad esempio con l’irrigazione), ma che nel caso di ampie superfici a gestione più naturale (grandi parchi urbani, parchi agricoli etc.), potrebbero risentire dell’innalzamento della temperatura, soprattutto se associata a lunghi periodi di siccità, perdendo qualità del manto vegetale e riducendo le molteplici funzioni (contributo all’attenuazione dell’inquinamento atmosferico e dei picchi climatici, ventilazione, ricreazione) che attualmente assicurano.

I RISCHI INONDAZIONE, ESONDAZIONE E ALLAGAMENTO_ Un urbanista italiano, Paolo Sica, anni fa, ha scritto queste parole:

“Esistono città sul fiume Parigi, Londra, Roma, mille altre, e città sul mare, Napoli, Odessa, o Tokyo; e città sul lago, Costanza o Chicago; città sul lago e sul fiume, Ginevra; città su lagune, Amsterdam, Venezia. Esistono città che non hanno né fiume, né mare, né lago, né laguna. Ma nessuna città manca di rapporto, magari segreto, con l’acqua”.

Possono essere definite città d’acqua, tutti quegli insediamenti urbani, di struttura complessa e di dimensione significativa, che mantengono con l’acqua, nelle sue diverse forme, una relazione visibile importante, che può presentare anche aspetti fortemente problematici. Queste città possiedono, con la presenza stessa dell’acqua, dentro o accanto il tessuto urbano, uno straordinario valore aggiunto che, a seconda dell’intelligenza e delle capacità dei loro cittadini e dei soggetti pianificatori, può giocare un ruolo decisivo, non solo sul piano dell’estetica della città, quanto in una dimensione strategica dello sviluppo urbano (R. Bruttomesso, 2007). Il rapporto città-acqua è ovviamente un rapporto antico, perché l’acqua ha rappresentato sempre una risorsa fondamentale per l’uomo e per l’espletamento delle sue attività sul territorio. L’acqua ha irrorato, a volte ha addirittura disegnato il paesaggio urbano, cadenzandone i cambiamenti e l’evoluzione, ed assecondando, in virtù della sua adattabilità percettiva prima ancora che fisica, tutte le esigenze pratiche, estetiche e simboliche che la struttura urbana richiedeva. Così essa è stata, di volta in volta, elemento di comunicazione o di separazione, strumento di difesa e di protezione, fattore di promozione estetica e di vitale sostentamento della comunità (L.Ferrari, 2004). Non c’è civiltà che non abbia dato il suo contributo su questo tema: perché non c’è civiltà senza acqua e l’uso di questo bene esige che ci sia un luogo dove raccoglierla ed un sistema per distribuirla. La presenza dell’acqua ha intensamente contribuito all’insediarsi delle popolazioni e conseguentemente alla definizione della forma urbana; se la presenza deIl’acqua ha, infatti, influenzato e strutturato la definizione degli assetti paesistici e territoriali contribuendo alla singolarità e specificità delle diverse conformazioni morfologiche e delle diverse associazioni vegetali, ancor più intensamente, l’acqua ha fatto irruzione nel meccanismo sistemico del fenomeno urbano per diventarne fattore generativo oltre che evolutivo non solo della forma ma soprattutto delle attività, degli stili di vita e delle relazioni che via via si sono depositate sul territorio.
Il tema sta sensibilizzando moltissimo la ricerca, soprattutto per la necessità di comprendere quanto potrà cambiare il livello delle acque e quanto potranno essere frequenti fenomeni estremi come i maremoti, le onde anomale, etc.. Per esempio, il Natural Resource Defence Council (NRDC), una grossa Organizzazione non governativa americana, ha pubblicato nell’agosto 2011 il rapporto: “Thirsty for Answers: Preparing for the Water-related Impacts of Climate Change in American Cities”, in cui si focalizza l’attenzione sulle aree costiere degli USA più vulnerabili a situazioni che esaltano i rischi costieri, come l’innalzamento del livello del mare e gli eventi concomitanti di aumento dell’intensità delle precipitazioni e di fenomeni marini estremi. Tale rapporto individua le città statunitensi più vulnerabili ai maggiori rischi costieri: New York, Boston, San Francisco, Los Angeles, Miami, New Orleans, Homer, Seattle, Norfolk, St. Louis, Chicago, Phoenix ed esorta le municipalità statunitensi a prepararsi rispetto alle sfide future che il climate change, in materia di risorse idriche, presenterà (fortunatamente alcune di queste città si sono mosse in tale direzione realizzando interessanti piani di adattamento). La maggior parte delle città in questione è minacciata da inondazioni e mareggiate, problemi che riguardano ambedue le coste, occidentale e orientale: le proiezioni dell’innalzamento del livello dei mari rispetto al 2000, indicano, entro la metà del secolo, un aumento da 12 a 18 pollici (da 31 a 46 centimetri) per Los Angeles e San Francisco e da 3 a 22 pollici (8-56 centimetri) per Seattle. Tutte e tre le città godono di un telaio infrastrutturale di trasporto, porti, aeroporti e linee ferroviarie, vulnerabili alle mutazioni dei mari e, a ciò, si aggiunga il problema della minaccia che incombe sulle riserve di acqua dolce. Per esempio, a New York City, a causa dell’innalzamento del livello del mare, le acque potrebbero “farsi strada” lungo i fiumi Hudson e Delaware e così “contaminare” l’acqua dolce, preoccupazione che riguarda tante altre città.
Architecture 2030, un’associazione ambientalista USA fondata nel 2002 dall’architetto Edward Mazria, per sensibilizzare i cittadini USA sul problema del global warmig, ha elaborato una serie di mappe su come potrebbero essere inondate le città costiere USA dall’innalzamento dei mari. Le mappe sono state calcolate utilizzando i dati altimetrici governativi e combinandoli insieme con le mappe di Google Earth (si vedano le immagini nella pagina seguente). Molte città del pianeta sarebbero totalmente sconvolte anche da un innalzamento relativamente modesto del livello del mare. Si ricorda che secondo il rapporto dell’IPCC l’innalzamento dei mari dovuto alla fusione dei ghiacciai continentali, all’espansione termica e a un piccolo contributo di fusione della Groenlandia potrebbe arrivare a circa 59 cm; la fusione completa del ghiaccio groenlandese comporterebbe invece un un innalzamento di circa 7 metri. Il volume di ghiaccio della Groenlandia è di circa 2.85E6 km³. Fondendo completamente sarebbe equivalente ad un volume di acqua di 2.26E6km³ (supponendo per il ghiaccio una densità media di 0,92 e per l’acqua di 1; la densità dell’acqua è in realtà un po’ minore, perché gli oceani sono ben più caldi di 4°C. La cifra riportata è quindi una sottostima). Dividendo tale valore per l’area degli oceani e dei mari si ottiene un aumento di livello di 7,25 m.

Il RISCHIO ALLAGAMENTO PER PIOGGE INTENSE_ Rispetto al cambiamento del regime delle piogge, all’aumento della frequenza e dell’intensità in molte aree geografiche, un altro rischio per le città è quello dell’allagamento, i cui effetti sono ancor più acuti e probabili in quelle città attraversate da corpi idrici.

“Oggi le alluvioni sono più numerose e gli argini dei fiumi
vengono spazzati via più velocemente.
Non c’è un posto dove andare,
la mia terra è nel fiume, non ho più niente”.

Intsar Husain, Antar Para, Bangladesh nordoccidentale, 2007

E non è tutta colpa del clima. Se i cambiamenti climatici rappresentano “fattori esterni”, il modo in cui le città sono costruite, la loro forma, i materiali di cui sono costituiti gli spazi e gli edifici, i sottoservizi e sistemi tecnologici, rappresentano i “fattori interni” (Gisotti, 2007). Alla base vi sono distorsioni significative dei cicli idrici; il modello in questione è quello delle grandi aree impermeabilizzate, massima estensione di collettamento delle acque per favorire il rapido attraversamento del territorio delle acque utilizzate. Con l’effetto di aver ridotto l’impermeabilizzazione di quella grande spugna che è il suolo, aumentando così i rischi di allagamento su aree che nel frattempo sono state oggetto di insediamento. La gestione delle acque in ambito urbano è affidata ad un sistema complesso costituito da un insieme di opere quali drenaggi superficiali, tubazioni per il convogliamento di acque meteoriche e fognari e, depuratori dedicati ai reflui civili e/o produttivi, manufatti annessi quali scaricatori di piena, vasche di accumulo e stazioni di sollevamento. In Italia, per esempio, la maggioranza delle fognature non prevede la suddivisione dei reflui civili ed industriali dalle acque meteoriche, e di conseguenza un aumento in frequenza ed intensità degli eventi meteorici potrà causare, come possibili risposte del sistema, sia un’insufficiente capacità di drenaggio della rete fognaria, sia un abbassamento dell’efficienza depurativa degli impianti di trattamento, con conseguente rischio di sversamento di acque non trattate nei corpi idrici superficiali.
Il problema diventa ancor più importante in presenza di corpi idrici, che a causa dell’aumento del livello dei mari, dell’intensità delle precipitazioni, rischiano di essere caratterizzati da piene che superino la capacità dell’alveo fluviale, allagando porzioni di territorio, più o meno estese. Le opere idrauliche sui corsi d’acqua, sono state sempre realizzate rispetto a parametri pressoché costanti, che non tengono conto di “strappi” nel regime delle piogge e quindi di eventi calamitosi più importanti. Spesso opere ingegneristiche e piani di settore (in Italia i Piani di Bacino), sono stati realizzati con metodi puramente geometrici e idraulici.
Quindi, in sintesi, l’allagamento può avvenire per due motivi principali: per esondazione di un corso d’acqua (per precipitazioni che superino la capacità dell’alveo fluviale, o per mareggiate); per l’incapacità del sistema drenante di laminare le acque di pioggia. La portata dei corsi d’acqua che attraversano le aree urbane tende ad avere picchi di piena più elevati e minori deflussi di base rispetto alla portata delle aree rurali contigue; inoltre la frequenza degli eventi di piena lungo i corsi d’acqua che drenano le aree urbane ha la tendenza ad aumentare in modo significativo rispetto al periodo in cui l’area urbana non esisteva (Leopold, 1968).
I cambiamenti del “tempo di ritardo” fra il picco (punto o valore massimo) dì precipitazioni e il picco di portata, sono gli aspetti cruciali del bilancio idrologico urbano poiché influenzano la distribuzione dei picchi di piena e l’occorrenza delle esondazioni. La presenza di aree artificialmente impermeabilizzate non solo tende a fare aumentare i volumi di acqua destinati al collettore, ma ne modifica sostanzialmente la distribuzione nel tempo. Il deflusso superficiale su queste aree comincia quasi immediatamente, laddove, invece, sulle originali naturali superfici permeabili (o comunque dotate di maggiore permeabilità rispetto a quelle artificiali), una buona parte di pioggia si infiltrava nel sottosuolo prima che si innescasse il fenomeno di apporto di acqua al collettore: il che vuol dire che la risposta alla pioggia di un bacino idrografico così modificato sarà molto più rapida. Ciò è accentuato dal perfezionamento delle reti di drenaggio delle acque piovane che accompagnano lo sviluppo di un’area urbana e che accelerano il convogliamento delle acque a valle ancora a scapito del deflusso di base. Così, a causa della impermeabilizzazione del suolo e dell’aumento di efficienza idraulica delle reti di drenaggio, viene modificato sostanzialmente, a seguito di uno specifico evento di pioggia, quel parametro fondamentale che è il “tempo di ritardo”. Delle variazioni del tempo di ritardo, conseguente alla espansione delle aree urbane, si sono occupati diversi autori che evidenziano come, a parità di “rapporto di bacino”, il tempo di ritardo decresca proporzionalmente al grado di urbanizzazione e di sviluppo delle reti di drenaggio (Colpi, 1984). L’effetto combinato dell’aumentato del volume di deflusso superficiale e del ridotto tempo di smaltimento delle acque consiste nell’incremento dei picchi di piena che è forse l’effetto più vistoso del processo di urbanizzazione (Kibler et al.,1981).

ONDATE DI CALORE ED EFFETTI DELL’AMBIENTE URBANO SUL CLIMA LOCALE_ Le ondate di calore sono divenute più frequenti e intense negli ultimi anni e, secondo gli scienziati, sarebbero uno dei modi attraverso i quali si manifesterebbe il riscaldamento globale a livello meteorologico, cioè nel breve periodo. E’ un periodo di tempo durante il quale la temperatura è insolitamente elevata rispetto alle medie usualmente sperimentate in una data regione in quel periodo e con caratteristiche di persistenza. Il termine non ha dunque significato oggettivo, ma è relativo a una regione (o meglio, ad un clima locale) nel senso che ciò che è percepito dalla popolazione come una temperatura eccessiva in un clima temperato può non esserlo in un’area dal clima maggiormente caldo. A titolo di esempio, il Netherlands Royal Meteorological Institute definisce ondata di calore un periodo di almeno 5 giorni con temperatura massima superiore ai 25 °C di cui almeno 3 con temperatura superiore a 30 °C. In Europa queste ondate di caldo estive sono in genere legate agli spostamenti latitudinali dell’anticiclone sub-tropicale africano che normalmente staziona a latitudini sub-tropicali, mentre in altre zone del mondo sono sempre gli anticicloni di matrice sub-tropicale a determinarle.

Uno studio di Legambiente del 2007, ha analizzato uno dei più critici periodi degli ultimi anni (si ricordi anche l'ondata di calore del 2003), in cui le temperature in molte città italiane furono fuori dalla media e in maniera molto evidente; furono monitorate nove città, da Palermo a Torino, passando per Trieste, Milano, Bologna, Firenze, Roma e Napoli, tutte, con la sola eccezione di Bari, fecero registrare un caldo record nei primi sei mesi del 2007, anno che rappresenta sì un’anomalia, ma contemporaneamente un preoccupante segnale di continuità, unitamente a periodi critici precedenti.
Una ricerca, pubblicata on line su GaiaNews a Giugno 2011, ha confrontato le calde estati del 2003 e del 2010 in Europa. I risultati indicano che le temperature estreme nel 2010 hanno colpito una zona due volte più grande dell’area colpita nel 2003. Molte città dell’Europa orientale hanno registrato temperature diurne molto alte; ad esempio, Mosca ha sperimentato temperature diurne più calde di 38.2°C (circa 14°C sopra la norma). Ciò ha provocato morti, perdita dei raccolti e una perdita economica di 15 miliardi di dollari. La ricerca ha indicato che per l’Europa nel 2010, c’è stato un periodo record di alte temperature nel mese di luglio che si è mantenuto fino alla seconda settimana di agosto e in molte parti dell’Europa orientale, le temperature medie settimanali e stagionali sono state rispettivamente di 12°C e 5°C sopra la media. E’ stato stimato che più di due milioni di chilometri quadrati (un’area 50 volte quella della Svizzera) ha registrato picchi di temperatura senza precedenti.
Al di là dei dati allarmanti registrati durante questi eventi, la preoccupazione viene dalle proiezioni degli scienziati che prevedono un aumento della frequenza di questi fenomeni. E poi, il grande problema del “caldo in città”, è che a tali fattori esterni, agenti su benessere e clima urbano, e che potranno essere mitigati nel lungo periodo a scala globale, si aggiungono fattori interni, intrinseci, individuabili negli assetti fisici della città, (nei materiali, nelle tecnologie, nelle emissioni di gas serra, nella forma urbana). Infatti, rispetto a questo specifico problema, la città dimostra più che mai, il suo ruolo attivo-negativo di cui si è parlato in precedenza, non solo nel subire passivamente un fattore esterno, come l’ondata di calore, dovuta al riscaldamento globale, ma nel partecipare attivamente al surriscaldamento della città e al verificarsi di quel fenomeno noto come “effetto isola di calore”.

UNA NUOVA GEOGRAFIA DEL RISCHIO_ Le città si trovano di fronte a una nuova geografia dei rischi legati ai cambiamenti climatici, con processi che devono ancora essere studiati e valutati in particolare rispetto a come si possano accelerare processi di dissesto idrogeologico già presenti e al contempo determinare nuove situazioni di pericolo legate a fenomeni meteorologici estremi. Per arrivare a definire una mappatura dei rischi climatici in ambito urbano occorre andare oltre le tradizionali analisi territoriali e ambientali, attraverso specifici e più complessi studi nei quali la stessa lettura degli ecosistemi, delle risorse naturali e degli aspetti meteo-climatici dovrà diventare più articolata e dinamica. Questa mappa è la precondizione per ripensare la pianificazione alle diverse scale, in modo da assumere il tema dell’adattamento ai cambiamenti climatici come tema progettuale, e individuare strategie e azioni per aumentare la resilienza degli spazi aperti e riqualificare con obiettivi energetici e ambientali i tessuti urbani (Zanchini, 2012). Il confronto con un futuro non sempre prevedibile, perché dipendente da una pluralità di parametri di cui molti variabili e non controllabili, mette sotto accusa il tradizionale bagaglio di analisi e di strumenti urbanistici e progettuali, secondo la necessità di ricercare informazioni, dati e vincoli, non solo nel passato e nel presente, ma soprattutto nel futuro, perché è rispetto ad esso che bisogna mobilitarsi e dare risposte. Ciò si traduce nella realizzazione di NUOVI E PIU’ SPECIFICI STUDI, che dovranno incrociare le tradizionali analisi, per operare delle scelte valide nel tempo, anche grazie ad un apparato di conoscenze, competenze e tecnologie nuove.

Ciò produce nuovi strumenti al servizio di urbanisti e architetti, per la pianificazione del “DOVE COSTRUIRE”, ma anche del “DOVE NON COSTRUIRE” e più significativamente, per la ricerca del “COME COSTRUIRE”, perché si mette in discussione la città intera, quella costruita, consolidata, la sua forma, il suo diffondersi nel territorio e pressare i margini tra terra ferma e bacini idrografici. La nuova geografia del rischio e il grado di vulnerabilità delle aree in essa coinvolte, gettano le basi per la messa in discussione dei materiali, delle tecnologie e delle forme attraverso cui sono costruite: al tempo stesso, orientano le scelte d’intervento accettando la presenza delle attività e l’abitare quegli spazi, minimizzando l’eventualità delle delocalizzazioni, a favore di processi e assetti flessibili e ad_attivi, per accrescere la resilienza ai possibili impatti.
Le tante mappe prodotte in diverse città che hanno affrontato questi temi, ci mostrano come, analizzando attraverso questa nuova lente un tessuto, il rischio produca UNA NUOVA FORMA DELLA CITTÀ e il contesto assuma caratteristiche diverse, contribuendo al verificarsi del problema e subendolo, in maniera eterogenea. Ed è proprio questa nuova città, latente e invisibile, frutto dei cambiamenti climatici e delle modalità di occupazione dei suoli, il luogo del progetto di adattamento, rispetto al quale, l’URBANISTICA e l’ARCHITETTURA, potranno e dovranno assumere un ruolo prioritario, reinterpretando il tema dell’incertezza e della flessibilità per acquisire valore d’innovazione nello spazio in cui operano e prendono forma.

Bibliografia

• Legambiente, Città: il clima è già cambiato, Roma, 2007.
• Bianchi D., E. Zanchini (a cura di), Ambiente Italia 2011. Il consumo di suolo in Italia. Edizioni Ambiente, Milano, 2011.
• Castellari S., Artale V., (a cura di), Cambiamenti climatici in Italia: evidenze, vulnerabilità e impatti attesi. Editore Bononia, University Press, 2010.
• Cresme Ricerche S.P.A., Legambiente (a cura di), Rapporto Onre 2012. I regolamenti edilizi comunali e lo scenario dell’innovazione energetica in Italia. 2012.
• Civita M.V., Quaderni della Società Geologica Italiana. L’assetto idrogeologico del territorio italiano: risorse e problematiche, 2008.
• Gisotti G., Introduzione all’ecologia urbana. Dario Flaccovio Editore, Palermo, 2007.
• ISMEA-IAMB (a cura di), Cambiamenti climatici e risorse idriche nella regione mediterranea. 2009.
• Musco F., Cambiamenti climatici, politiche di adattamento e di mitigazione: una prospettiva urbana, in Archivio di Studi urbani e regionali, fasc. 93, Franco Angeli, Milano, 2001.
• Smit E., & Wandel J., Adaptation, adaptive capacity and vulnerability. Global Environmental Change, 16, 282-292, 2006.
• Stone B., Norman J. M., Land use planning and surface heat island formation: A parcel-based radiation flux approach, in Atmospheric Environment, v. 40, fasc. 19 Elsevier, New York, 2006.
• Stone B. et al., Urban form and extreme heat events: are sprawling cities more vulnerable to climate change than compact cities?, in Environmental Helth Perspect, v. 118, Washington, 2010.
• Vatterini L., Città sostenibile e spazi aperti, Pitagora Editrice, Bologna, 2005.
• Zanchini E., Manigrasso M., Le strategie di contrasto ai cambiamenti climatici cambiano il modo di guardare alle città e interessano l’urbanistica?, contributo all’interno di “Abitare l’Italia, Territori, economie, diseguaglianze”, raccolta dei proposal della XIV Conferenza nazionale SIU, Brovarone, 2011.