(il testo del paragrafo 2.2 è di Carlo Gasparrini)
Napoli Est è la parte di città che, verso oriente, guarda il Vesuvio. Verso le sue pendici, fin dalle epoche più remote si sviluppavano gli insediamenti attratti dalla presenza, tra il vulcano e la costa, di terreni fertilissimi e comodi approdi, in una straordinaria piattaforma naturale protesa verso il golfo di Napoli. In quest’area sono sorte importanti città del mondo antico in un paesaggio straordinario che si è storicamente incrociato con il rischio di un vulcano pericolosissimo.
Verso est, le paludi che raccoglievano l’acqua proveniente dal complesso vulcanico Somma Vesuvio, lambivano un ricchissimo sistema idrografico che, in direzione della linea di costa, ha costituito uno dei caratteri morfologici prevalenti di questo territorio tracciandone la sua storia: il “mitico” fiume Sebeto attraversava la piana di Volla per giungere al mare, attraverso il Ponte della Maddalena, che era il passaggio obbligato per uscire da Napoli verso est. Un sistema di acque ricchissimo ha dato vita ad una delle più importanti infrastrutture del territorio campano, i canali dei Regi Lagni, realizzati dai Borbone nel tardo settecento per mettere a regime il sistema irriguo della piana campana da est a ovest, fino a sfociare sul litorale della provincia di Caserta, nei pressi del Volturno.
Napoli est ha visto la crescita di importanti insediamenti lineari in direzione dei nuclei urbani costieri, sviluppatisi intorno alla prima ferrovia italiana, nella tratta di circa otto chilometri inaugurata nel 1839 per collegare Napoli con Portici. L’attrattività di questa direttrice ha prodotto una crescita urbana a dismisura nella seconda metà del novecento, soprattutto nei comuni al confine di Napoli dei paesi vesuviani costieri, dove la densità abitativa ha raggiunto valori ineguagliati in ogni altro comune italiano. Oggi Portici, Ercolano, Torre del Greco, Torre Annunziata, rappresentano un paradosso urbanistico fatto di un mix contraddittorio di insediamenti e rischio vulcanico: un tessuto urbano densissimo privo di soluzioni di continuità, dove gli edifici multipiano di susseguono senza sosta su una rete di infrastrutture che segmenta il territorio e al contempo appare inadeguata a sopportare i flussi di un catastrofico allarme per il rischio Vesuvio. Napoli si è storicamente rivolta a est anche per il suo sviluppo produttivo: infatti, a partire dalla fine degli anni ’20 è cresciuta un’estesa città della produzione industriale, fissata nella forma territoriale disegnata dal piano regolatore di Luigi Piccinato degli anni ’30. Il tessuto industriale si è espanso a partire da quegli anni fino a comprimere tutti gli spazi liberi a ridosso dei confini comunali di Napoli ed ha creato una profonda interruzione tra le reti di continuità urbana, paesaggistica, ambientale che legavano quest’area con il suo territorio. I fasci di infrastrutture (linee ferroviarie, autostrade e superstrade, elettrodotti, etc.) rappresentano i corridoi di ingresso alla città verso l’area del porto commerciale di Napoli, attualmente importante snodo di traffici e di logistica – di cui è prevista un’estensione verso est –, una realtà industriale in grande espansione che vedrà la consistente crescita dei flussi di traffico tra la costa e l’entroterra aumentando l’incisione del taglio tra la città e il suo waterfront. Queste ipotesi espansive del porto commerciale contrastano con la situazione generale dell’area est di Napoli, dove la prospettiva produttiva è ormai in profondo declino – anche per la concorrenza delle aree industriali reaizzate negli ultimi decenni nella corona esterna alla città, più accessibili sia dal punto di vista della mobilità che dei costi insediativi – e lo spazio urbano è un coacervo di degrado e marginalità dei luoghi, delle funzioni, delle condizioni generali di abitabilità. Un territorio intercluso, separato e frammentato dall’attraversamento delle infrastrutture, ma anche dai recinti industriali che si alternano con spazi della dismissione e dell’abbandono, in adiacenza ai grandi quartieri di edilizia popolare degli anni ’70 e ’80 che, tra Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio, via Stadera e San Pietro a Patierno, si sono stratificati in un area che vede l’assenza generalizzata di welfare materiale e immateriale: dal trasporto collettivo, alle attrezzature pubbliche, dal verde urbano allo spazio pubblico, alle attrezzature e alle amenities per il tempo libero; una parte di città priva di legalità, con proibitive condizioni di vita per le fasce sociali più deboli.
Napoli est è uno spazio emblematico delle patologie urbane della contemporaneità, ed è anche uno spazio fortemente potenziale. La sua riqualificazione è un caposaldo di una nuova idea di città, che potrebbe costituire un’innovazione consistente del futuro di Napoli; è un’area in cui risulta possibile una profonda rigenerazione urbanistica con la radicale conversione delle funzioni d’uso, con la bonifica dei siti e dei suoli, con il recupero di quei caratteri ambientali che rappresentano la straordinaria identità della città e del suo ecosistema, in relazione al regime delle acque, al ripristino degli usi agricoli del suolo, alle connessioni reticolari con il sistema dei terreni e dei paesaggi agrari, a scala urbana e metropolitana.
E’ un ambito urbano che mostra le condizioni potenziali di una profonda rigenerazione: che non riguarda solo la dimensione fisica, ma anche quella sociale della civitas. La trasformazione può restituire “abitabilità” a territori marginali, luoghi di abbandono e di degrado attraverso una nuova sensibilità capace di interpretare alcuni fenomeni in atto, e di ripensare la forma latente di un paesaggio che lega storicamente quest’area con la città. Tra questi fenomeni non è possibile trascurare la multietnicità della composizione sociale di questo quartiere: Napoli est è il territorio prescelto dalle popolazioni di immigrati asiatici, in prevalenza cinesi, che in queste aree hanno sfruttato la disponibilità di spazi della dismissione e dell’abbandono per insediare le loro funzioni, i loro mercati, i centri di logistica e di smistamento di grandi quantità di merce che giungono nell’area dal porto. Il progetto di Napoli est ha la necessità di ripensare i criteri di rigenerazione di spazi abbandonati tenendo in conto le esigenze insediative – da intendere come risorsa – delle popolazioni che abitano questi territori.
Napoli est è un campione critico di fenomeni che – nel contemporaneo – attraversano e danno forma allo spazio della città: per la sua paradossale frammentazione, per la ricchezza dei valori presenti nel sostrato di insediamenti in forma di rovine urbane, per la molteplicità dei soggetti che abitano il territorio o di quelli che vorrebbero fare di questo territorio oggetto di rilancio, investimento e sviluppo. E’ un caso di studio esemplare per comprendere la fenomenologia del contemporaneo, ma al contempo per riflettere sulle capacità del progetto di incidere sulla concreta trasformazione di questa realtà.
Progetto inteso innanzitutto come visione di futuro, come piano, come manovra urbanistica, come politica territoriale e sociale, come disegno di modificazione, come intervento di riqualificazione di paesaggio della città, e dell’architettura del suo spazio. Progetto inteso come proiezione di un’intenzionalità volta a costruire nuove condizioni per abitare uno spazio ricco, stratificato, identitario: uno spazio a molte dimensioni per i suoi caratteri, ma anche per il suo ruolo nel complessivo assetto urbano e metropolitano. La pianificazione urbanistica disegna la dimensione relazionale tra gli spazi della rigenerazione e le reti: infrastrutturali, ecologiche e ambientali, dei valori insediativi. Tuttavia la forma dello spazio viene definita anche dai rapporti di scala, dalla fluidità dello spazio pubblico, dalla forma degli isolati e delle architetture che disegnano la dimensione percettiva e simbolica dello spazio urbano. Piani e progetti fissano forme di futuro possibili, ma spesso sono incapaci di disegnarne il tempo: cioè la scansione dei processi di trasformazione che coinvolgono decisioni, scelte, opportunità e soggetti diversi, spesso configgenti. Il tempo della trasformazione risulta una dimensione non secondaria di una politica di rigenerazione per una parte di città così complessa, e disegna morfologie potenziali che spesso sfuggono alle tecniche del progetto urbano costituendo tuttavia materiali rilevanti per dare forma alla città e alle sue visioni.
Tutte le dimensioni citate definiscono finalità e forma di un progetto territoriale, e spesso sono tenute separate da razionalità incapaci di dialogare, di mettere in comune le rispettive settorialità. Ovviamente politiche di settore rischiano di allontanare lo sguardo da una visione di insieme: ma talvolta anche le razionalità del piano sembrano incapaci di proporre scenari capaci di tenere insieme gli effetti che le trasformazioni previste dispiegano su ognuno dei settori di riferimento.
Questo è il caso, a quasi dieci anni dalla sua approvazione, del PRG di Napoli e delle sue previsioni per l’area est: pur avendo alimentato alcune fertili intuizioni (la previsione di funzioni integrate, ad esempio, o quella del parco del Sebeto e del grande boulevard che collega con il centro della città), alla prova dei fatti, cioè nella sua fase attuativa, il piano non è sufficiente a definire un quadro di coerenze e di indirizzi entro cui organizzare spinte diverse, progetti e risorse disponibili per la trasformazione; il piano produce una sommatoria di interventi, che replicano l’esistenza di recinti, di aree chiuse in se stesse, in un assemblaggio incapace di dare forma allo spazio della città.
Alcuni elementi denunciano con chiarezza l’insufficienza del dialogo tra saperi, discipline, punti di vista, che si coniuga con un quadro istituzionalmente molto statico e poco incline al sostegno delle strategie di trasformazione e dei soggetti imprenditoriali spesso frenati dalle lentezze della burocrazia, dunque da un’assenza della politica nel definire gli indirizzi per la trasformazione e lo sviluppo, incapace di contrastare il declino delle opportunità di mercato dovuto al tempo di crisi. Tra i fattori di criticità di una politica di sviluppo e di rigenerazione dell’area orientale di Napoli, è possibile annoverare alcune scelte di piano, come ad esempio la prevalenza delle funzioni produttive e industriali, ormai in questa zona prive di appetibilità; la debole cucitura tra i recinti dei piani attuativi, troppo isolati nella loro autonomia; l’insufficiente interconnessione delle reti (soprattutto quelle ambientali e paesaggistiche), l’assenza di mixitè, la scarsa attenzione per la porosità dei bordi delle insulae industriali e il conseguente rapporto con la città esistente.
Alcuni progetti in corso, in controtendenza rispetto a questa scarsa sensibilità istituzionale nel riformulare un’idea di sviluppo per l’area orientale di Napoli, affermano una nuova attitudine verso i temi di costruzione della città e del paesaggio, dell’ecologia e dello spazio pubblico, prospettando una trasformazione innovativa per parti, e sperimentando una lettura per strati di quest’area della città. Alcuni Piani Attuativi lavorano sui siti in maniera occasionale, pur senza convergere verso un disegno strategico che manca nel piano e su cui non si registrano avanzamenti o revisioni da parte dell’attuale Amministrazione: sono progetti che sembrano tuttavia perseguire un’idea innovativa di trasformazione urbana, potenziando alcuni indirizzi del piano e misurandosi con l’incertezza del quadro legislativo (legato ad esempio alla legge regionale del Piano Casa) oltre che con la tortuosità di iter burocratici che faticano ad assecondare l’innovazione.
L’area est di Napoli è attualmente interessata da alcuni grandi progetti di trasformazione inquadrati entro ambiti di attuazione del Prg coincidenti con interventi unitari legati al riciclo di aree industriali dimesse o in corso di dismissione. L’ampliamento del Centro Direzionale sul sedime del vecchio Mercato Ortofrutticolo, le aree Cirio e Corradini in prossimità della linea di costa di Vigliena, le aree ex Feltrinelli, l’area dell’ex Manifattura dei Tabacchi, l’area Q8 per il deposito dei carburanti e l’area degli ex Magazzini Ferroviari al confine con Casoria, sono tra le più significative per ruolo, per posizione e per sviluppo progettuale; ma anche per alcuni orientamenti progettuali aperti a idee innovative come quella del riciclo del suolo, di edifici e di territori, improntato al recupero di valori e materiali propri dell’ecologia di questi luoghi.
La riqualificazione dell’Ex-Manifattura Tabacchi su progetto di Mario Cucinella Architects e di Land (Andreas Kipar), ad esempio, è un’ipotesi di rigenerazione urbana per un nuovo insediamento residenziale e terziario; il progetto appare finalizzato all’integrazione e all’inserimento ambientale con il paesaggio naturale e antropizzato circostante delle architetture preesistenti e delle integrazioni previste. L’idea di rigenerazione parte dalla conservazione della memoria della manifattura, dei suoi edifici simbolo e delle sue aree verdi di maggior qualità, con l’obiettivo di ricostruire un nuovo tessuto urbano attraverso un nuovo sistema di relazioni tra percorsi, spazi aperti e spazi edificati. Il verde assume il ruolo di ricucitura con la città e il boulevard, il verde infrastrutturale e il grande parco diventano il principio di connessione urbana tra il nuovo intervento e la città esistente, spazio di mediazione con le nuove aree verdi. Il progetto propone la costruzione di un grande spazio pubblico lineare dove l’acqua gioca un ruolo centrale, su cui si affacciano i blocchi edilizi: uno spazio di relazione su cui si trovano le principali funzioni di interesse pubblico, uffici, negozi e residenze e in cui si intrecciano percorsi pedonali e ciclabili.
Altri due interventi segnalano una rinnovata sensibilità al progetto della dismissione come paesaggio esistente, e riguardano la rigenerazione urbana di grandi recinti specializzati del tutto o in parte dismessi: l’area delle ex raffinerie e dei depositi carburanti della Q8 e l’area degli ex Magazzini Ferroviari al confine con il Comune di Casoria, utilizzata dalle Ferrovie dello Stato per la manutenzione dei treni, ormai da anni in abbandono. Su questi due ultimi interventi è opportuno soffermarsi per leggere nel dettaglio la loro impostazione progettuale.
Il progetto per quest’area dalle straordinarie e inattese potenzialità urbane, è una proposta di variante ad un Piano Urbanistico Attuativo già di recente approvato: i contenuti e i criteri del progetto sono antitetici all’assetto urbanistico vigente e capovolgono radicalmente l’impostazione delle norme dei piani già approvati. Infatti, per quest’area le previsioni urbanistiche indicano il reinsediamento di attività produttive di tipo industriale: un assetto funzionale che, sulla base del PUA approvato, ha mostrato la sua inefficacia e la sua inappropriatezza. Le funzioni industriali infatti, in quest’area hanno un costo insostenibile d’investimento: non solo per la crisi economica attuale, ma anche per la concorrenza di altri suoli disponibili e infrastrutturati nell’area metropolitana che costituiscono una valida e più conveniente opportunità insediativa per funzioni produttive.
Il progetto dunque propone una rimodulazione funzionale del piano, nell’ipotesi di realizzare un quartiere integrato di residenze, commercio e produttivo, organizzato in un parco urbano che caratterizzerà la forma dello spazio e le relazioni dell’intero insediamento con la città.
Le riflessioni progettuali relative a questa variante e il percorso cognitivo per la individuazione dei valori dell’area – un frammento di paesaggio in cui s’inseriscono storiche architetture industriali – hanno mostrato la necessità di ripensare l’impostazione originaria del Piano: l’area orientale di Napoli non può continuare ad essere immaginata come una riserva di spazio industriale per la città, indipendentemente dai fenomeni di sviluppo dell’area metropolitana e delle variazioni delle economie globali e locali. La sua centralità, la contiguità con i grandi quartieri residenziali di Ponticelli e dell’area nord, la ricchezza delle risorse ecologiche, richiedono un complessivo ripensamento di Napoli est come nuova città potenziale, dotata di un adeguato mix di funzioni, attrezzature e parchi, dove sia possibile recuperare una qualità dell’abitare. Ripensare quest’area, anche in virtù delle varianti agli strumenti urbanistici resi possibili dalla Legge Regionale 1/2011 (legge del Piano Casa), consente esplorazioni progettuali nelle sue potenzialità trasformative molto interessanti anche per tornare a riflettere induttivamente sull’intera area est di Napoli.
L’area misura 25 ettari circa e interessa un sito storicamente utilizzato come Magazzini Ferroviari, un tempo di proprietà delle Ferrovie dello Stato, realizzato nei primi anni del ‘900 come deposito destinato alla manutenzione dei treni che provenivano dalla Stazione Centrale di Napoli. Il sedime attuale è stato ricavato dallo sbancamento di una collina tufacea, di cui permane una formazione che fa da quinta ai capannoni disposti linearmente per accogliere i treni. Una sequenza significativa di edifici degli anni ’20 in muratura di tufo e intonaco, con capriate metalliche, abbandonati ormai da più di trent’anni, costituisce un micro tessuto urbano attualmente invaso da una vegetazione che – proprio a partire dalla collina – fa di questo sito un frammento di terzo paesaggio. Il progetto prevede di conservare e valorizzare alcune risorse che sono sembrate strategiche per affermare l’identità dei luoghi: gran parte delle architetture novecentesche che costituiscono interessanti esempi di architettura industriale e un patrimonio fatto da residui di uno straordinario paesaggio minerale ed arboreo che, con la rete di spazi agricoli circostanti e con un sistema idrografico ricco e complesso come quello del bacino del Sebeto, rappresentano interessanti principi di relazione tra il sito e l’intero quartiere.
La natura funzionale dell’intervento consente la riconfigurazione delle diverse componenti del sito legate all’architettura preesistente (che era ridotta a tabula rasa dalle previsioni del Piano precedente) e alle componenti del paesaggio, la collina, la vegetazione e le porzioni di terreno permeabile, con una presenza cospicua di acqua, che ne caratterizzano la consistenza. La parte commerciale viene organizzata nei vecchi capannoni, sostituendo la diffusa tipologia della grande piastra artificiale ermeticamente chiusa e recintata verso l’esterno, destinata ad allocare il centro commerciale nella sua interpretazione più comune (il malldi Ikea), in un’idea di micro città con strade, giardini e orti, dove lo spazio pubblico è il racconto del rapporto che si è consolidato nella storia tra i frammenti della fabbrica e le consistenti componenti di paesaggio.
I parcheggi sono organizzati in un “suolo artificiale” che rappresenta la parziale riconfigurazione della topografia della collina per accogliere parcheggi ipogei e per rafforzare la continuità dei parterreverdi.
Le case sono nel parco in rapporto con l’acqua e con gli spazi aperti pubblici, continui ed accessibili: l’area residenziale, organizzata attraverso l’articolazione di tipologie a blocco, è disegnata sull’idea di un clusterdi edifici intorno a piccole corti aperte (urbanvillas) che rappresentano lo spazio di mediazione con le aree verdi del parco. Tutte le funzioni sono collegate tra loro attraverso boulevarde piste ciclabili trasversali che rendono le diverse parti del quartiere continue e polarizzate intorno alla presenza delle piazze e dello spazio pubblico aperto. Questa trama di relazioni poggia su due criteri-sfondo che sorreggono il sistema: l’accessibilità e la continuità ecologica.
In primis, il quartiere di progetto è costruito intorno ad un fascio di percorsi pedonali che vengono collegati e aperti alla città: da Via Nazionale delle Puglie, attraverso un sistema meccanizzato, si supera il salto di quota che separa la città periferica a nord dal sito di progetto, e si arriva allo spazio tra gli antichi capannoni che si configura come un percorso pedonale multifunzionale e attrattivo che collega in pochi minuti alla stazione ferroviaria della Metropolitana Regionale, che è attualmente un edificio isolato e distante nelle maglie larghe del periurbano.
La logica delle connessioni ecologiche diviene il secondo principio di integrazione del nuovo quartiere con la città esistente: una diffusa area di parco aperto e orizzontale, al cui interno sono disposte e collegate le diverse funzioni, individua e preserva le patchesattualmente presenti attraverso un lavoro minuto di recupero della vegetazione e delle acque, con la prefigurazione di un sistema di drenaggio che consentirà di recuperare e di riutilizzare le risorse idriche raccolte nei laghetti e nei canali che attraversano il parco e il suo spazio. Il progetto garantisce che gli effetti del recupero di quest’area vadano molto oltre il limite dei suoi confini: attraverso la riconnessione con le parti di città adiacenti e storicamente separate, ma anche attraverso una strategia di ricucitura tra la città e la natura che interessa le diverse scale del progetto.
La landscape ecology diviene un riferimento per il progetto, visibile nella forma dell’insediamento ma anche in alcune scelte come quella della presenza dell’agricoltura integrata nel parco. L’agricoltura, gli orti e i giardini attraversano la rigida organizzazione delle strutture commerciali con finalità divulgative offrendo la possibilità di determinare presidi di filieracortae rappresentano un dispositivo comunicativo e commerciale, ma più in generale un principio che conferisce forma e carattere allo spazio e al complessivo intervento di trasformazione, e collega il futuro di quest’area alla possibile riconnessione delle parti di territorio agricolo interstiziale adiacenti, che costituiscono un fascio ricchissimo di suoli tra loro in rete che attraversa l’intera conurbazione, attraverso queste aree, fino alla linea di costa.
L'insieme delle scelte restituisce il concept di progetto attraverso la sovrapposizione di matrici progettuali che riflettono i criteri guida della continuità ecologica e dell'accessibilità. In particolare, questi criteri sono riconducibili alla sovrapposizione di tre layer principali del progetto di paesaggio, tra loro sovrapponibili, e interagenti: l’ecological landscape, il layer del verde e dell'acqua; l’open spaces landscape, il layer della porosità e dello spazio aperto; l’infrastructural landscape, il layer dell'accessibilità e della percorribilità.
Infine, la logica attuativa del piano, nel quadro della legge del Piano Casa della Regione Campania, che richiede compensazioni in termini di cessione di significative di quote di ERS (Edilizia Residenziale Sociale) alla pubblica amministrazione in cambio della possibilità di variare le norme di piano, offre nuove risorse potenziali al progetto, delineando una possibile strategia di integrazione sociale come punto di forza di una trasformazione urbana complementare con le azioni di riqualificazione funzionale e ambientale.
Ecological landscape: il verde e l'acqua
Il sistema del verde è caratterizzato da un'estesa rete di fasce naturali, che, partendo dalla quota zero del progetto, risalgono verso la collina, ricollegandosi alla macchia di naturalità che riveste il banco tufaceo. Come è già stato sottolineato, il paesaggio naturale si è conservato nel tempo come un sistema di variegata natura, con alcune aree di notevole pregio e un'estesa capacità di resilienza rispetto all'antropizzazione presente, ad esempio nella fasce contermini all'ambito 43. Il paesaggio naturale ha mostrato la capacità di conservare fortemente i propri caratteri ed è considerato come l’elemento prevalente di progetto, che dà forma alle aree e ne definisce l'alternanza funzionale. Infatti, aggrappandosi al flusso continuo esistente di naturalità, viene disegnata una matrice ordinata di natura: il parco e i giardini pertinenziali, le fasce boscate e i percorsi alberati, i corridoi verdi, le filter strips, gli orti urbani e le aree di alta naturalità. A fare da corona a questo sistema complesso e diramato, una matrice naturale primaria: le aree collinari a nord e ad ovest, i cui costoni sono costituiti da aree naturaliformi esistenti e di progetto, elemento propulsivo di tutta la rete ecologica funzionale. Ad integrazione di queste due matrici, è prevista infine una matrice tecnologica, costituita da elementi volti al riciclo delle acque meteoriche ed alla fitodepurazione delle stesse per uso irriguo e di servizio, essenziale per aumentare il potenziale biotico a sostegno della continuità ecologica e per promuovere i principi del risparmio energetico.
Open spaces landscape: la porosità e lo spazio aperto
Il progetto nasce in continuità con le tracce del paesaggio esistente, intese come elementi di un sistema di nuove direttrici progettuali, che, salvaguardando il patrimonio architettonico dei manufatti esistenti, consente di assemblare nuove realizzazioni agli edifici dell'impianto insediativo esistente. In questo modo, viene a delinearsi uno spazio interstiziale che consente di rileggere il variegato paesaggio esistente: attraverso i volumi esistenti e quelli nuovi, la porosità dello spazio aperto diviene un sistema continuo e complementare con il patrimonio vegetale che si estende verso il salto di quota.
In questo modo vengono definiti tutti gli spazi aperti, pubblici e di pertinenza, come una rete di pieni nata dal negativo degli spazi vuoti tra gli edifici. Al loro interno questi spazi sono caratterizzati e restituiscono in particolare la complessità funzionale dell'insieme, con particolare riferimento al parco, a cui corrispondono i sentieri naturali; alle residenze, con le piastre/piazza e i percorsi alberati; al centro commerciale ed al terziario, funzioni private, ma di uso rigorosamente pubblico, a cui corrisponde infine un doppio asse di percorsi pedonali, mettendo in comunicazione le diverse funzioni da ovest ad est e conducendo i visitatori dalla piazza d'ingresso dell'area a sud, attraverso una serie di spazi e di edifici scambiatori, sino al grande parco urbano della collina a nord, al cui ingresso è realizzata una piazza per eventi.
Questo asse risale, infine, la collina, attraverso un percorso meccanizzato, mettendo l'area in diretta comunicazione con Via Nazionale delle Puglie.
Infrastructural landscape: l'accessibilità e la percorribilità
L’asse centrale di percorsi, è la spina portante del sistema di accessibilità pedonale, contribuendo a determinare una direzione preferenziale di attraversamento dell’area da sud a nord. Da sud, infatti, l'accesso è garantito dalla vicinanza con il sovrappasso che conduce alla fermata "Botteghelle" della linea Circumvesuviana. A nord, attraverso un percorso meccanizzato, l'asse centrale si collega direttamente con Via Nazionale delle Puglie.
A fronte di una semplificazione della viabilità di nuovo impianto, corrisponde il tentativo di un notevole arricchimento, in termini di consistenza e qualità degli spazi pubblici (e/o di uso pubblico) a prevalente o totale uso pedonale, ciclabile e podistico. Si è già segnalato, in particolare, il sistema di spazi pedonali “urbani” basati su una croce di percorsi: un asse nord-sud che, utilizzando il viale esistente tra i Magazzini, collega la stazione della circumvesuviana con la Via Nazionale delle Puglie; sull’asse est-ovest costruisce la spina di integrazione tra le funzioni produttive e quelle residenziali, da insediare nell’area del vecchio parco-binari. Parallelo a questo percorso, si propone un percorso che entra direttamente nel cluster commerciale, per poi ricongiungersi con il parco urbano della collina a nord.
Questo sistema di percorsi pedonali è integrato con il sistema di accessibilità e di percorribilità carrabile, e con i parcheggi pubblici e pertinenziali dedicati alle singole funzioni. La maggior parte dei flussi carrabili è distribuita lungo l'anello di viabilità intorno all'area; due strade est-ovest attraversano l'area e collegano tra loro le diverse funzioni.
In definitiva il progetto consente la realizzazione di un mix di funzioni che rendono l’investimento molto più remunerativo rispetto ad un assetto monofunzionale legato alla destinazione produttiva e industriale: tuttavia il volano del potenziale investimento privato è orientato all’incremento nell’area delle esternalità positive per la città e per i cittadini, legate ad un incremento dei valori comuni dell’ambito 43 che possono essere misurati in termini quantitativi e monetari (cessione ERS), ma anche in termini di qualità e di miglioramento complessivo dell’abitabilità della struttura urbana.
Infatti il progetto prevede e progetta un sistema di standard urbanistici di grande utilità non solo per coloro che abiteranno le nuove funzioni insediate ma anche per gli abitanti e le strutture della città esistente: gli standard sono progettati come spazi pubblici continui e interconnessi e strettamente legati alle qualità spaziali del progetto; inoltre il valore monetario stesso delle aree a standard risulta fortemente eccedente gli oneri di urbanizzazione e diventa la costruzione di un piccolo capitale comune ad uso pubblico; è previsto un nuovo e intenso collegamento con i quartieri contermini: il recinto industriale si trasforma in un luogo aperto, ricco e attrattivo e facilmente accessibile, in grado di polarizzare i flussi provenienti dalla città attorno alle centralità del progetto; è prevista la conservazione e la valorizzazione di elementi che definiscono la storia e l’identità di questo sito, in termini di patrimonio architettonico, paesaggistico ed ecologico; è massimizzata la funzione del parco come contesto entro cui far sviluppare il quartiere: un parco che non si limita al perimetro delle aree in cessione poiché gran parte delle aree private sono previste ad uso pubblico, e tutto lo spazio di relazione tra gli edifici recuperati e di progetto avrà il carattere pedonale di un sistema pubblico disegnato con i materiali del paesaggio e dell’ecologia.
A est della stazione ferroviaria e del fascio dei binari, il nuovo Piano urbanistico di Napoli approvato nel 2004 perimetra un’area di oltre 400 ettari – il cosiddetto “Ambito 13” - che ospitava un’importante raffineria fino alla fine degli anni Novanta e che comprende ancora oggi i depositi petroliferi della Campania (Q8, Esso, Agip), oltre a un insieme di impianti industriali di svariata dimensione in fase di riconversione funzionale, ancora attivi o dismessi. Qui negli ultimi anni e stato promosso dall’Amministrazione Comunale un ambizioso progetto urbano che costituisce il più importante investimento per il futuro della città. Per certi versi un investimento ancor più forte di quello compiuto per l’ex acciaieria Italsider di Bagnoli a ovest che, nonostante sia stato avviato 20 anni fa, stenta tuttora a esprimere le sue potenzialità.
All’Ambito 13 e alla sua rigenerazione e attribuito un valore strategico anche in ragione della posizione di cerniera rispetto alla collina di Poggioreale, il Centro Direzionale, l’area di Gianturco e la piana vesuviana.
Pur essendo diventata la più grande zona industriale della città a partire dagli inizi del secolo scorso, ormai da tempo i napoletani vivono l’area orientale come un grande “buco nero”, come una vasta, impenetrabile e pericolosa barriera tra il centro della città e la periferia dei popolosi quartieri di San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli. Il Piano urbanistico punta quindi a integrarla nel disegno e nel funzionamento della città, spostando progressivamente le fabbriche e i depositi inquinanti e innalzando la qualità urbana e ambientale.
Il progetto urbano è chiamato a dare risposte a queste domande e a proiettarle in un arco temporale compatibile con la graduale soluzione delle criticità esistenti nell’ambito, dichiarato peraltro “sito di interesse nazionale” alla fine degli anni Novanta per la particolare densità dei fattori di rischio e dei necessari interventi di messa in sicurezza e bonifica. Per la trasformazione dell’Ambito è stato predisposto uno schema di assetto urbanistico - definito “Preliminare dei Piani Urbanistici Attuativi” - un vero e proprio strumento di progettazione urbana che ha il compito di fornire un quadro di conoscenze approfondite, definire il disegno urbano dell’area sviluppando quello abbozzato col Piano urbanistico della città, configurare un complesso di regole morfologiche, funzionali e procedurali con funzioni di guida dei futuri piani e progetti attuativi di dettaglio e restituire un quadro della fattibilità economico-finanziaria.
Rispetto alle originarie pretese urbanistiche di un intervento sincronico in un gigantesco “vuoto urbano” da espropriare e riportare a un assetto preindustriale e pseudo-naturalistico, si e fatta strada negli ultimi anni una strategia alternativa di progetto. Quella appunto dell’intreccio virtuoso tra una visione aggiornata d’assieme, un sistema di regole del disegno urbano e la messa in moto di procedure di adattamento di questo disegno alle dinamiche asimmetriche e sussultorie di dismissione/riconversione, connesse anche all’articolata compagine proprietaria esistente. Le reti infrastrutturali, idriche ed energetiche svolgono in tal senso una funzione essenziale di guida del processo trasformativo, interagendo con le esigenze di bonifica e la progressiva permeabilizzazione e rinaturazione, dentro scenari spaziali e temporali condizionati da molteplici variabili, non sempre prevedibili.
Street-landscape e riurbanizzazione
L’idea di progetto e basata sull’interazione innovativa di due materiali urbani tradizionali: un grande parco di scala urbana e territoriale e un complesso di nuovi isolati destinati a insediamenti urbani integrati. Il parco avrà un’estensione di 150 ettari mentre gli insediamenti integrati saranno costituiti da circa 1.250.000 mq di superficie di pavimento destinati a una mixitè potenzialmente attrattiva di residenza, servizi pregiati, attrezzature urbane e industrie pulite che non cancella quindi la vocazione produttiva dell’area. Il progetto urbano propone un avanzamento concettuale e figurativo del parco e delle regole edificatorie rispetto a quello del Piano urbanistico del 2004, pur non contestandone i principi strutturanti. La proposta di parco conferma infatti l’obiettivo di far “riemergere” la rete fluviale del Sebeto, obliterata dal consumo di suolo pervasivo della zona industriale nel secolo scorso. In realtà l’acqua già oggi riaffiora, in modo episodico e dannoso, nelle cantine degli edifici e nelle smagliature dei suoli impermeabili per effetto di una progressiva risalita della falda inquinata causata dalla drastica riduzione del suo emungimento. Una sorta di prevedibile nemesi degli “orti delle paludi” leggibili nella splendida Carta del Duca di Noja del 1775.
La ricomparsa delle acque affronta questa criticità assumendo una prospettiva pienamente contemporanea di coesistenza della città con esse - sicuramente complessa ma fattibile nel tempo con l’avanzamento del processo di bonifica - piuttosto che provare a “resistere” con soluzioni tanto dure quanto costose e fallimentari. Questa prospettiva si coniuga al recupero e alla reinterpretazione della matrice agraria ancora leggibile e delle sue giaciture “diagonali”, prodotte da un plurisecolare adattamento del parcellario catastale alle direttrici di scorrimento idrografiche. Il disegno di suolo che prende forma da questo lavoro sulle acque superficiali e profonde da bonificare e sinergico con la riorganizzazione della rete infrastrutturale stradale ed energetica e con la previsione di una ricca tessitura formale di spazi verdi che interessa l’intero ambito. In questo modo il progetto urbano produce un ripensamento delle relazioni fisiche, funzionali e percettive tra la linea di costa e le aree interne della piana compres[s]a tra il sistema orografico dei Campi Flegrei e quello del Somma-Vesuvio.
In modo complementare, il disegno degli isolati di nuova edificazione è caratterizzato dalla scelta di trasformare la “superficie fondiaria” in un “nuovo suolo”, tridimensionale e attrezzato, che si presenta come una sequenza di placche sagomate e rialzate rispetto al livello della falda poco profonda, con cui quindi non interferiscono da un punto di vista costruttivo. Ciò consente di accogliere in sicurezza, all’interno di ciascuna placca, le attrezzature di servizio e pertinenziali dei nuovi insediamenti, ma anche alcune attività rivolte all’uso urbano degli spazi esterni e interni agli isolati. Allo stesso tempo, il “nuovo suolo” comprende il sistema fondazionale della nuova edificazione, strutturalmente indipendente da questa per garantire maggiori prestazioni antisismiche, configurando quindi ciascuna placca come una parte dell’infrastrutturazione di base del nuovo quartiere, caratterizzata cioè da una maggiore persistenza nel tempo rispetto alla sovrastante edificazione. I grandi “isolati-polder” disegnati su questo suolo si presentano come corti aperte di forme irregolari, caratterizzati da un’alternanza di edifici alti e bassi, che puntano a produrre uno spazio urbano diversificato e riconoscibile, in uno stretto rapporto con il parco e le sue infiltrazioni nel tessuto urbano. Questo nuovo paesaggio, per la cui costruzione sono state individuate alcune regole edificatorie di tipo morfologico, conferma una prevalente dimensione orizzontale - storicamente prodotta dalla continuità di capannoni e depositi - attraverso la prevalenza massiva del parco e dei grandi isolati a corte. A essi fanno da contrappunto alcune improvvise escursioni verticali, fino ad oggi affidate agli slanci metallici degli impianti tecnologici e dei fasci tubieri della ex Raffineria, quasi completamente scomparsi, e domani a quelli degli edifici a torre e di alcune memorie industriali da conservare.
Da un punto di vista paesaggistico, elemento centrale e caratterizzante del progetto urbano è il trattamento delle strade che guida la costruzione progressiva del paesaggio del parco e quindi la complessiva trasformazione urbana. Questa strategia di street-landscape affida alle strade un ruolo propulsivo nella riconfigurazione dei drosscapes, immaginando che la loro realizzazione o la modificazione di quelle esistenti possa determinare nel tempo rilevanti effetti sugli spazi aperti a esse connessi in termini di rinaturazione e rifunzionalizzazione.
Il percorso di formazione del parco si basa, quindi, su una graduale densificazione di questi spazi che si sviluppa col progredire del processo di dismissione/ trasformazione, assecondando la formazione di una rete continua e fruibile in ogni fase della sua costruzione. Assume centralità in tal senso la definizione di sezioni variabili delle strade, nelle quali vengono individuate le parti irrinunciabili degli invasi da realizzare subito e quelle che dovranno aggiungersi man mano che quel processo avanza. La relazione che si viene a determinare tra costruzione della rete stradale e parco configura cosi il sistema del verde come una sorta di grande “cretto verde” che innerva l’intero ambito e si incunea tra gli isolati di progetto, proponendo una stretta integrazione di paesaggio tra spazi aperti e nuova edificazione. Si tratta di un rovesciamento di priorità rispetto alla costruzione tradizionale della città - e non solo di Napoli - in cui sono sempre stati gli edifici e le regole di tessuto a essere privilegiati mentre gli spazi aperti si sono ridotti a essere, nel migliore dei casi, parti residuali anche dal punto di vista del senso e del significato.
La nuova rete di infrastrutture stradali d’altronde non e solo la matrice dinamica di costruzione del parco e degli isolati, ma sostiene anche una strategia dell’accessibilità affidata a un completamento “leggero” del sistema di ferrovie metropolitane tangenti all’area, attraverso la realizzazione di un trasporto pubblico dedicato di superficie ospitato nelle strade a sezione variabile, in cui particolare importanza viene attribuita al nuovo “asse verde” di collegamento tra la stazione di piazza Garibaldi - ridisegnata da Dominique Perrault - e il quartiere di Ponticelli.
Tre parchi per un large park
La proposta di riqualificazione e valorizzazione delle aree di proprietà della Q8 costituisce di fatto il motore, anche dal punto di vista progettuale, della riqualificazione urbana dell’Ambito 13, interessando 97 dei 420 ettari complessivi. Per la sua dimensione e collocazione, quest’area rappresenta infatti una porzione significativa e baricentrica del processo di trasformazione urbana. Combinare quindi bonifica delle acque e dei suoli inquinati, ripensamento dello spessore tridimensionale del suolo e disegno urbano nel tempo, in un’area così estesa, rappresenta un’opportunità di grande interesse per verificare la praticabilità e l’efficacia della strategia adattativa prevista dallo Schema di assetto urbanistico approvato nel 2009.
Le scelte progettuali nelle aree Q8 confermano infatti un’attenzione interpretativa e progettuale prioritaria per l’interazione dinamica delle reti che conformano suolo e sottosuolo. Le strade definiscono una rete fortemente interconnessa e diffusa, attenta a valorizzare e potenziare quelle esistenti lungo le linee di malleabilità delle confinazioni proprietarie e funzionali, piuttosto che prevedere un’impraticabile tabula rasa. La prospettiva e quella di un’accessibilità diffusa, pubblica e privata che induce un’elevata porosità del tessuto edificato e delle sue stesse forme. Nello stesso tempo, la realizzazione delle nuove strade sviluppa l’idea di disegnare il telaio incrementale del parco ramificato e quindi anche della rigenerazione ecologica e ambientale, basato sull’interazione di due grandi paesaggi ed ecosistemi, il paesaggio secco e quello umido. Il paesaggio secco e costituito dai boschi radi (pluri e monospecifici) e dai filari che si sviluppano sui rilievi e i bordi degli isolati-polder e lungo i tracciati viari, con cui interagiscono le aree umide e i loro diversi gradienti, dalla vegetazione idrofila sommersa e semisommersa al bosco planiziale lungo i canali. Nelle maglie definite dalla compressione/dilatazione di questi due grandi paesaggi vegetali, si sviluppa la varietà dei paesaggi agrari e degli orti urbani. E il paesaggio della metamorfosi agraria del bosco planiziale che viene addomesticato, diradato e fatto interagire con altri due sistemi colturali, i frutteti e le coltivazioni ortive promiscue. Gradienti e fasce di utilizzo diversificati, quindi, che definiscono una grammatica vegetale affidata a una sequenza di giardini per la contemplazione, filari e masse arboree, parcheggi alberati, aree attrezzate e per usi ludici, orti urbani e aree agricole, prevedendo la compresenza di soggetti pubblici e privati che possano garantire un’efficace compartecipazione gestionale. Un patchwork di sistemi vegetali caratterizzati da processi e dinamiche evolutive di diversa natura e forma, sia di tipo “intensivo” che “estensivo”, che vanno gestite, monitorate e curate affinché ciascun tassello sia in grado di relazionarsi e integrarsi nel tempo agli altri dentro una trama unitaria da un punto di vista paesaggistico. Il parco proposto, con i suoi 35 ettari dei 150 complessivi dell’intero “Ambito 13”, si configura come una cospicua anticipazione del previsto Parco del Sebeto. Presenta un disegno unitario e, allo stesso tempo, propone un racconto articolato in parti distinte per ciascuna delle quali definisce specifici connotati dotati di forte identità spaziale, funzionale e simbolica. Questa articolazione consente di rendere più denso e vitale il mix paesaggistico e funzionale, posizionando il parco alla duplice scala di attrezzatura di quartiere e di grande attrattore urbano, e di garantire contestualmente una più facile definizione delle opportunità gestionali per ambiti di dimensione discreta. Il “Parco attrezzato della depurazione” costituisce la parte principale del Parco del Sebeto interessato dallo scorrimento superficiale delle acque depurate. Un lungo canale rettilineo di circa 500 metri, posizionato lungo una giacitura nord-est/sud-ovest, ribatte la giacitura dei corsi d’acqua scomparsi. Il canale ha la sua sorgente a nord-est, a contatto col Depuratore di Napoli Est dal quale attinge l’acqua in una prima fase, all’interno di una dilatazione della strada che segnala ed enfatizza la presenza della sorgiva, dalla quale l’acqua si riversa nel canale e scorre lenta fino a una grande vasca di laminazione e fitodepurazione a sud-ovest. Anche questo terminale disegna uno spazio aperto praticabile che deforma ed estende un raccordo stradale piegandolo all’esigenza di realizzare, con il disegno infrastrutturale, un brano del parco lineare strutturato attorno al canale e al suo racconto vegetale. Lungo il tracciato, la sezione variabile del canale disegna due sponde con paesaggi differenziati in ragione delle escursioni idrauliche, attrezzate per attività all’aperto, ludiche e sportive, e punteggiate da piccole attrezzature e servizi in grado di vitalizzare e rendere godibile la lunga passeggiata. Il “Parco dei grandi attrattori” e in diretta continuità col precedente e interessa le aree comprese tra la viabilità est-ovest e le testate dei nuovi isolati. Su questa fascia di bordo dei “polder” si affacciano alcune attrezzature pubbliche e di uso pubblico, immaginate appunto come “attrattori” di scala urbana e territoriale, e un sistema di parcheggi alberati che consentono di razionalizzare l’accessibilità a tali attrezzature. Questa disposizione consente di immaginare che, lungo lo scorrimento viario delle strade est-ovest, il paesaggio urbano sia fortemente caratterizzato sui due versanti della percezione visiva: da un lato la continuità e densità arborea e di usi del parco lineare lungo il canale, dall’altro l’andamento sincopato delle testate degli isolati-polder. Infine il “Parco dei depositi di naturalità” e uno straordinario campionario dei paesaggi vegetali della piana napoletana - bosco umido, fragmiteto e vegetazione acquatica della fitodepurazione, agrumeto, frutteto, vigneto maritato ai pioppi, coltivazioni florovivaistiche, seminativo - ospitati all’interno dei segni circolari dei depositi petroliferi da smantellare, tracce vistose di una memoria industriale da conservare come fondazioni archeologiche emergenti dal suolo, come recinti-spezzoni dei serbatoi svuotati, come “pieni” vegetali e così via. Questo campionario di paesaggi e intercettato da un percorso pedonale continuo, fatto di passerelle aeree e tracciati a raso, che propone un racconto botanico unitario capace di testimoniare la varietà dei materiali costitutivi di una natura addomesticata nei secoli dall’uomo e progressivamente scomparsa con la crescita urbana dell’ultimo secolo. Questo racconto ha il valore simbolico di una radicale modificazione di senso che prende corpo qui e in altre parti del territorio urbano, ma anche la forza d’immagine di un grande orto botanico per la città e per una platea di fruitori molto più ampia. Si conferma dunque la scelta principale di affidare agli spazi aperti, alla loro qualità e pervasività, un ruolo centrale per la rigenerazione ecologica e ambientale e per la riappropriazione di questa ampia porzione di territorio da parte della città. Il parco ha il compito di connotare l’identità di questo settore urbano, di divenire il luogo di condensazione qualificata di un nuovo welfare urbano e di guidare la stessa forma dei nuovi insediamenti edilizi. E lo fa in modo ancor più forte e integrato di quanto sia stato previsto a Bagnoli, nell’area occidentale della città, dove parco e nuovi edifici sono invece riconducibili a concezioni spaziali e ambientali nettamente separate, per effetto anche della distinzione delle fasi sequenziali di bonifica, urbanizzazione ed edificazione, concepite come azioni progettuali ed esecutive separate. Il disegno urbano del parco introduce cosi una serie di deformazioni del suolo e di modifiche delle sue quote, producendo un’erosione “scultorea” che riconfigura un territorio piatto come quello delle ex paludi, predisponendolo a una coesistenza virtuosa con le sue acque. In questo senso attinge alla peculiare ricchezza morfologica di Napoli, alla costante interferenza tra un sopra e un sotto, tra un dentro e un fuori, tra un concavo e un convesso, che caratterizza da sempre la sua forma fisica. Dentro questo nuovo spazio urbano incrementale, assume quindi centralità la realizzazione di vie e macchine dell’acqua per governare la falda e disegnare il parco. Nel canale principale convergono in una prima fase diversi apporti idrici, dalle acque in uscita dal Depuratore di Napoli Est - che completano il proprio processo di depurazione lungo il tracciato del canale e la fitodepurazione - a quelle meteoriche di ruscellamento superficiale convogliate dagli isolati-polder e a quelle di falda ripulite attraverso le barriere idrauliche previste dai piani di bonifica dei privati. Oltre a qualificare il disegno di paesaggio, esse garantiscono un’adeguata gestione e manutenzione del parco nel corso del tempo, attraverso un riciclo per esigenze di irrigazione e antincendio. In una prospettiva di lungo periodo, con l’avanzamento della bonifica dei suoli e delle acque, sara possibile ridurre o annullare l’apporto delle acque del Depuratore, il letto del lungo canale a sezione variabile sara reso permeabile e consentirà un processo tendenzialmente osmotico con l’acqua di falda, garantendo un affioramento e un’escursione regolata.
La riurbanizzazione lungo la rete stradale e rafforzata da un cunicolo “intelligente” di sottoservizi in cui sono ospitati tutti i servizi tecnologici, compresi quelli energetici. Sottosuolo, strade, parco ed edifici sono quindi attraversati da una rete energetica diversificata che fa affidamento su un ruolo esclusivo delle fonti rinnovabili articolato in tre diverse direzioni: coltivazioni intensive di pioppeti per biomasse, finalizzate anche alla rifinitura del processo di bonifica e al futuro impianto di orti urbani, alcuni monumentali dispositivi fotovoltaici che enfatizzano gli accessi al parco e un asse diagonale di micropale eoliche parallelo al canale principale. Con questa scelta si coniuga un indirizzo di massimizzazione del comportamento passivo e del risparmio energetico degli edifici. Vengono così garantiti elevati rendimenti energetici e la necessaria autosufficienza per garantire il funzionamento delle macchine dell’acqua, dell’illuminazione e delle attrezzature pubbliche e si realizza un investimento anche simbolico rispetto alla presenza del petrolio che da decenni connota negativamente l’area orientale.
Isolati-polder e scenari funzionali
Per la nuova edificazione il progetto sviluppa l’indirizzo progettuale dato all’intero “Ambito 13”, approfondendo l’immagine e il funzionamento del “nuovo suolo” tridimensionale degli isolati-polder. La modifica di quota che esso determina e estesa all’intera superficie fondiaria di ciascun isolato e prevede un andamento decrescente fino alla quota stradale in corrispondenza delle grandi strade d’impianto a cui ogni isolato e connesso. In ciascun isolato le piastre dei polder si lasciano perforare da una sequenza irregolare di patii alberati per il riposo e il gioco, posti alla quota del suolo originario: una serie cioè di pixel vegetali che di fatto estendono e massimizzano la permeabilità del suolo, riproponendo le stesse grammatiche vegetali definite per il parco che penetrano sin dentro la superficie di pertinenza dei nuovi edifici.
Su questo nuovo suolo, il disegno degli edifici conferma e precisa la ricerca di una nuova morfologia degli isolati a corte, in cui gli edifici sono poggiati, affondano e si sollevano rispetto alle piattaforme “emerse” prodotte dalla movimentazione del suolo da bonificare. Attraversati da una croce di strade, gli isolati e gli edifici si aprono visivamente a 360 gradi verso le grandi risorse naturali del territorio napoletano e, al contempo, si presentano permeabili alle strade di bordo che consentono l’accesso ai luoghi pubblici centrali di nuova socialità definiti all’interno di ciascun isolato. Il progetto urbano abbandona ovviamente il criterio della monofunzionalità delle aree che ha caratterizzato la costruzione delle singole parti della città nel secolo scorso, come nel caso appunto della zona orientale e del suo esclusivo uso industriale a ridosso della città centrale. Ricerca invece una efficace mixitè funzionale - e, contestualmente, un’adeguata suddivisione del suolo e articolazione degli organismi architettonici in grado di accoglierla - per almeno due ragioni. Perché garantisce quella pluralità di utenti, usi e relazioni in grado di restituire le condizioni di accoglienza, vitalità e sicurezza che siamo soliti associare a una città vivibile. Ma anche perché questa mixitè consente di immaginare una maggiore flessibilità e quindi durabilità delle operazioni trasformative nel tempo, evitando le conseguenze nefaste prodotte dalla crisi e dall’abbandono improvviso di un’unica tipologia di attività economica e di un’unica destinazione funzionale. Ciò vale per l’industria come per i centri commerciali e per la stessa residenza che, se vive da sola, produce i ghetti di cui e costellata la stessa periferia orientale.
Vengono allora immaginate e descritte le miscele auspicabili e fattibili di attività sulla base delle norme di Piano e delle domande di mercato, attraverso la costruzione di scenari funzionali differenziati che combinano scala di quartiere, urbana e territoriale dell’offerta, aprendo a una molteplicità di soluzioni che sono messe a disposizione degli “sviluppatori”. In questi scenari sono verificate le interazioni settimanali e stagionali delle diverse attività per realizzare ambienti urbani attraenti e piacevoli da visitare in qualsiasi ora del giorno da parte del più ampio numero e della più vasta gamma di utenti, il cui successo non dipenda cioè dal prevalere di una funzione sulle altre. In questa molteplicità di usi, la funzione residenziale viene incrementata sulla base dei dispositivi del piano-casa regionale e coesiste con le attività produttive “pulite”, con un’offerta commerciale composita e un forte peso delle attività relative al tempo libero, soprattutto in campo culturale e sportivo, da collocare all’interno del più ampio processo di riqualificazione in atto dell’area orientale. Una coesistenza che non si basa solo su un equilibrato peso quantitativo di ciascuna funzione, ma anche sul ruolo affidato alla capacita di condensazione valoriale dello spazio pubblico come fattore di eccellenza, attraverso cui quindi stimolare l’attrattività di questa vasta parte della città e la sua rigenerazione urbana. Questo approccio va ben oltre la semplice addizione di attività legate al leisure e al consumo per ampliare l’esperienza di shopping, creando recinti per il “tempo libero passivo” capaci di attirare nuovi clienti. Un approccio di tipo qualitativo-prestazionale offre maggiori garanzie che le nuove parti di città siano “meglio equipaggiate” per far fronte alle domande attuali e future e che conservino il proprio ruolo e valore anche se una singola funzione dovesse improvvisamente ridurre la propria presenza a favore di altre. Nel contempo, questo approccio accresce la capacita di cogliere le opportunità trasformative in un ciclo di lungo periodo. Il ruolo qualitativo affidato alla parte più resistente e simbolica - gli spazi aperti nelle loro diverse declinazioni - offre infatti maggiori garanzie di stabilita e rinnovo del senso e del significato dei luoghi urbani di fronte alle domande di cambiamento funzionale sempre più frequenti. Forse e proprio in questo sforzo progettuale, necessariamente accompagnato da un altrettanto qualificato sforzo gestionale dell’attore pubblico nel tempo, che si gioca il futuro di quartieri di nuova fondazione come questo.
La descrizione di questi interventi mostra una crescente sensibilità nel trattare la trasformazione delle aree in declino produttivo a est di Napoli, attraverso progetti che sviluppano un incrocio di temi urbani legati all’ecologia di un ambiente ricco di risorse spesso latenti e confuse negli storici usi dei suoli, negli assetti funzionali e urbani e nei sistemi ambientali che li attraversano. Si tratta di un approccio che in parte sviluppa e in parte sovverte le regole del Piano vigente, ponendone in evidenza un’impostazione datata, legata ad un’idea di ambiente e di ecosistema come oggetto di tutela il cui trattamento di esaurisce nel progetto della tipologia del parco, senza tuttavia la capacità di considerare le prospettive di innovazione legate a un’idea di riciclo degli edifici e dei suoli e al recupero delle componenti ecologiche e paesaggistiche come materiali da ricomporre entro strumenti, regole e dispositivi progettuali mirati ad una rigenerazione urbana con un’attitudine ecological sensitive con profondi caratteri di integrazione e di inclusività.
Questi progetti mostrano una specifica attenzione e conseguentemente un intenso lavoro sui temi delle reti: ecologiche, della mobilità, dei suoi agricoli, degli spazi e delle attrezzature pubbliche che, a diverse scale, determinano forme di continuità del territorio per definire le condizioni di un nuovo sistema di valori e di spazi pubblici, verso una nuova abitabilità delle strutture urbane e degli spazi di Napoli est.
L’integrazione di questi valori, come materiali innovativi di spazialità urbana, rappresenta la sperimentazione della sostenibilità che in queste forme assume un carattere operativo, come guida concreta per rinnovare l’assetto urbanistico della città e delle sue regole.
Si tratta di “prove di sostenibilità” che a partire da progetti puntuali, seppure per aree di grande dimensione e ruolo, mostrano esiti convincenti, individuano meccanismi virtuosi (la creazione di nuovi spazi pubblici a valenza ambientale, il recupero di paesaggi identitari, l’impiego di capitali privati per la rigenerazione, l’immissione di nuova qualità in territori frammentati e derelitti) e reclamano una nuova attenzione istituzionale ai percorsi di innovazione della zona est e più in generale della città: mostrano caratteri, principi e modelli che andrebbero colti e sviluppati in un quadro istituzionale in grado di utilizzare questi indirizzi come strategie per ripensare il Piano e per rilanciare un’idea di città ecologica e inclusiva come progetto di futuro per Napoli, attorno a cui coordinare e orientare azioni, idee e risorse.