Trentino Alto Adige. Una regione sostenibile a cura di Pino Scaglione, Chiara Rizzi, Stefania Staniscia con Edoardo Zanchini

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A22 Autostrada del Brennero SpA: eco-boulevard verso infrastrutture osmotiche. Stefania Staniscia PDF

Il paradosso dell’uovo e della gallina sembra investire anche le riflessioni sul tema delle infrastrutture. Se la causa della dispersione insediativa sia stata l’infrastrutturazione del territorio o se la rete infrastrutturale abbia solo assecondato una tendenza alla diffusione non è un tema sul quale ci sia unanimità. Probabilmente è, oltre che inutile, anche impossibile distinguere fenomeni così intrinsecamente correlati. Assumiamo, quindi, l’idea di Bélanger secondo il quale “infrastructure has grown in complexity vis-à-vis the current urbanization of the world. It is both a response to, and generator of, horizontal forms of development, in part due to the transnational distribution of technologies and techniques of urban engineering” (2012, p. 278).
Risolvere il dilemma, peraltro, non è affatto necessario per prendere coscienza della necessità di trovare nuove forme di operatività in tema di infrastrutture. È sufficiente, infatti, constatare quanto le infrastrutture della mobilità abbiano condizionato, a scale diverse, lo sviluppo o la marginalizzazione dei territori, quanto elevati siano gli impatti sul paesaggio, sull’ambiente, sulle comunità – opinioni, queste, sulle quali c’è una diffusa unanimità – e quale sia il loro potere di configurazione degli spazi attraversati per capire che non è più pensabile che la progettazione delle infrastrutture sia affidata in modo quasi esclusivo all’ingegneria di settore, a un sapere specialistico che basa il progetto su principi di standardizzazione, mono-funzionalità, stabilità e durabilità (Bélanger 2012).
Emerge, quindi, la questione del progetto che deve essere onnicomprensivo e non di settore, che deve fare i conti con questioni sempre più complesse che necessitano di apporti disciplinari molteplici. Il progetto dell’oggetto strada non può prescindere, a rischio di produrre un oggetto del tutto autoreferenziale, dalla riflessione sul contesto che lo accoglie, deve, inoltre, essere in grado di ricomporre i diversi approcci disciplinari in una visione complessiva in cui non siano a prevalere le singole istanze bensì un’idea di infrastruttura e di territorio comune e condivisa.
Una condizione progettuale che si fa ancor più complessa quando si riflette sull’attuale infrastrutturazione del territorio. Il progetto di infrastrutture è sempre meno un progetto sul nuovo e sempre più un progetto sull’esistente. “D’altra parte, la crisi economica e la consapevolezza delle qualità ambientali dei territori urbanizzati hanno reso evidente la saturazione dei nuovi paesaggi e l’insostenibilità della logica incrementale dei programmi di sviluppo della rete fisica delle infrastrutture” (Ricci 2012, p. 192).
Si tratta quindi di rinnovare l’approccio al progetto di infrastrutture assumendo un taglio meno specialistico e un atteggiamento più olistico. Ma quale innovazione si è in grado di introdurre se già nei primi anni ‘30 del secolo scorso negli Stati Uniti équipe di paesaggisti, ingegneri, forestali, affrontavano il progetto di infrastruttura in modo integrato e interdisciplinare costituendosi in comitato nell’ambito del Transportation Research Board (Gauhtier, Pujol 2009)? È a questo tipo di domanda che si cerca di dare risposta con il presente lavoro.
Nell’ambito di questa riflessione teorico-disciplinare si colloca, infatti, il lavoro di ricerca e di sperimentazione progettuale per svolgere il quale A22 Autostrada del Brennero SpA (A22) ha incaricato l’Università degli Studi di Trento – responsabile scientifico Prof. Giuseppe Scaglione (1) –.
La ricerca nasce in continuità con le politiche che A22, consapevole della stretta relazione tra infrastruttura, territorio e comunità, sta mettendo in atto già da tempo perseguendo alcuni obiettivi fondamentali quali la tutela dell’ambiente, lo sviluppo sostenibile e l’innovazione tecnologica al servizio di sicurezza, ambiente, e sostenibilità. Tuttavia l’impegno della società è quasi esclusivamente orientato ad affrontare gli aspetti ecologico-ambientali risolvendo tout court le relazioni con il territorio.
Molti, infatti, sono gli investimenti e gli interventi fatti in questa direzione, alcuni esempi: la realizzazione della barriera antirumore fotovoltaica in corrispondenza del centro abitato di Isera (1.067 metri), la realizzazione di sistemi innovativi di raccolta, trattamento e smaltimento delle acque di prima pioggia, l’implementazione di sistemi di illuminazione a led a risparmio energetico, l’attuazione di un piano antirumore che porterà alla realizzazione di lunghi tratti di barriere antirumore, l’impiego di pavimentazioni drenanti fonoassorbenti speciali per l’abbattimento delle emissioni acustiche, la realizzazione di un centro di produzione e distribuzione di idrogeno a Bolzano Sud, l’avvio di una sperimentazione per il riciclaggio a caldo per il rifacimento delle pavimentazioni.
È senza dubbio un approccio virtuoso ma molto parziale che appiattisce sul concetto di ambiente quelli di territorio e paesaggio. Un segnale di cambiamento avviene con la stipula del protocollo d’intesa tra A22 e Università di Trento, il contesto, nell’ambito di questo lavoro di ricerca, torna ad assumere tutto il suo spessore di paesaggio inteso come sintesi di significati che include i concetti di ambiente e territorio.
Lo studio commissionato nasce da tre grandi questioni ed esigenze alle quali la società A22 deve rispondere. La prima riguarda la necessità di ampliamento della sezione del tracciato autostradale per risolvere problemi di congestione del traffico; la seconda riguarda il progetto di manufatti di servizio all’infrastruttura che siano sempre meno impattanti e sempre più compatibili con i territori attraversati; la terza, infine, riguarda le istanze poste dalle comunità locali per la minimazione degli impatti dell’infrastruttura soprattutto nelle aree in cui questa attraversa i centri abitati – proposte di bypass, interramenti, ecc –.
Il lavoro di ricerca, dovendo tradurre queste esigenze pratico-operative in termini di riflessione teorico-progettuale, consiste in un ripensamento complessivo della funzione e del ruolo dell’infrastruttura, in particolare nel suo rapporto con il contesto e il paesaggio sensibile attraversato: quello alpino.
Punto di partenza delle riflessioni del gruppo di ricerca è la comprensione dell’attuale ruolo dell’autostrada del Brennero, non solo nel contesto locale ma nelle dinamiche più ampie che coinvolgono i territori della cosiddetta piattaforma alpina. L’arteria si snoda lungo il Corridoio 1 (Berlino-Roma-Palermo) e costituisce uno dei principali accessi verso l’Italia per i paesi dell’Europa Centrale sia per il traffico merci che per quello passeggeri. (immagine 1) Svolge, contemporaneamente, il ruolo di arteria metropolitana a scorrimento veloce per un’utenza più locale – pendolari e/o fruitori della metropoli dolce (Bonomi 2009) che si spostano per svolgere attività quotidiane, per lavoro o per svago – e in alcuni particolari periodi dell’anno – l’alta stagione turistica, estiva e invernale – si carica del traffico di vacanzieri e weekenders che congestionano la rete autostradale. (immagine 2 e 3) È proprio dalla compresenza di questi flussi e dalla congestione che questa produce che nasce l’esigenza, in chi gestisce l’infrastruttura, di introdurre una terza corsia come possibile soluzione al problema – avvio dei lavori previsti per il primo tratto Verona Nord-Modena nella primavera del 2011 –.
Di fronte a un problema posto in questi termini si costruiscono le prime ipotesi alternative che ribaltano il punto di vista secondo il quale a un incremento del volume di traffico deve necessariamente corrispondere un adeguamento dell’infrastruttura stradale nella direzione di un incremento di superficie secondo una relazione di diretta proporzionalità tra i due fattori. Si tratta, in sostanza, di cambiare sguardo immaginando una nuova modalità di fruizione dell’autostrada che superi la concezione “idraulica” delle arterie di grande e rapido scorrimento per introdurre l’idea di un’infrastruttura che consenta di esperire il territorio e il paesaggio con modalità inedite, che assecondi gli stili di vita prodotti dalla nuova condizione insediativa e che diventi occasione per ripensare i contesti che attraversa. L’autostrada non è più pensata come un tubo attraverso il quale è possibile spostarsi da un punto all’altro nel minor tempo possibile e nel modo più efficace possibile, quindi, esclusivamente secondo parametri di efficienza e sicurezza, bensì concepita come oggetto relazionale e opportunità per costruire nuovi paesaggi.
L’infrastruttura viene interpretata come una “membrana osmotica che favorisce scambi, compensazioni e nuovi sistemi di relazione con i paesaggi attraversati” (Ricci 2012, p. 193). (immagine 4)
Per osmosi, nella chimica fisica, si intende un fenomeno di diffusione tra due liquidi attraverso una membrana di separazione. Quando il termine viene usato in senso figurato si riferisce alla “influenza reciproca che persone, gruppi, elementi diversi esercitano l’uno sull’altro, soprattutto in quanto intervenga una reciproca compenetrazione di idee, atteggiamenti, esperienze” (Treccani). Il significato generale comune alle due accezioni è quindi quello di scambio reciproco, di passaggio – tra un lato e l’altro della membrana, che sia fisica o ideale –.
Per infrastruttura osmotica si intende, quindi, per estensione, un congegno “sensibile” – non più “indifferente alle geografie insediative” (Lanzani, Pucci 2009) – in grado di innescare un meccanismo di scambio tra contesto e manufatto tecnico che passa attraverso l’invenzione di dispositivi di “servizio” che fungono da elementi scambiatori e relazionali; (immagine 5) un sistema lineare a elevato livello di integrazione con il contesto che da questo si lascia informare – nel senso letterale del termine: dotare di forma – e che, a sua volta, lo informa. (immagine 6)
Si tratta quindi di immaginare nuove parole e una nuova sintassi per l’infrastruttura osmotica, di ripensare i manufatti attraverso i quali deve avvenire lo scambio e le sue modalità. Si reinventano le barriere antirumore, gli autogrill, le aree di sosta, le uscite autostradali, i sovrappassi e i sottopassi, e tutte quelle aree inoccupate, necessarie ma inutilizzate, fasce di rispetto, aree residuali scarto dei tracciati. Diventano membrane sensibili, porte, isole, transetti: dispositivi che funzionano come generatori di energia, minimizzatori di impatto – paesaggistico e ambientale –, dissipatori di traffico, bacini di calma, finestre sul paesaggio, brand per la promozione del territorio.
L’infrastruttura osmotica diviene, quindi, componente del paesaggio, strumento di conoscenza dello stesso, una macchina per guardare e osservare, per strutturare e riorganizzare il territorio, occasione per entrare in rapporto con il paesaggio.

Bibliografia
Bélanger, Pierre. “Landscape Infrastructure: Urbanism Beyond Engineering.” In Infrastructure Sustainability and Design, a cura di Pollalis, Spiro, Georgoulias, Andreas, Ramos, Stephen, Schodek, Daniel. Oxford-New York: Routledge, 2012.
Bonomi, Aldo. “La piattaforma alpina nell’ipermodernità.” In La sfida dei territori nella green economy, a cura di Borghi, Enrico. Bologna: Il Mulino, 2009.
Gauhtier, Daniel, Jean-Pierre, Pujol. Introduzione a Il paesaggio attraversato, a cura di Lorenzo Vallerini. Firenze: Edifir, 2009.
Lanzani, Arturo, Pucci, Paola. “Infrastrutture e territorio: le ragioni di un incontro ancora difficile,” Urbanistica 139 (2009): 40-46.
Ricci, Mosè. “Verso infrastrutture osmotiche.” In L’architettura del mondo. Infrastrutture, mobilità, nuovi paesaggi, a cura di Ferlenga, Alberto, Biraghi, Marco, Albrecht, Benno. Bologna: Editrice Compositori, 2012.
Treccani.it L’enciclopedia italiana, accesso 15 ottobre 2012. http://www.treccani.it/vocabolario/osmosi/

(1) Ricerca svolta nel Dipartimento DICA, oggi DICAM; committente: A22 Autostrada del Brennero SpA; Progetto: Prof. Giuseppe Scaglione, Università di Trento, coordinatore, Prof. Mosè Ricci, Università di Genova, Prof. Marco Tubino, Preside della Facoltà di Ingegneria di Trento, referente per la facoltà; gruppo di lavoro: Vincenzo Cribari, Chiara Rizzi, Stefania Staniscia; contributi: Thomas Demetz, Università di Trento, Andreas Flora, Innsbruck University, Joerg Schroeder, TUM Monaco; collaboratori: Alessandro Busana, Valentina Ramus, Mattia Tamanini.