Da qualche tempo, la fortuna crescente conquistata dalla Smart city induce a rimettere in discussione il modo stesso d’intendere la città sostenibile. Sulla spinta dei forti interessi che animano lo sviluppo delle tecnologie digitali e le loro applicazioni alla città, Smart city tende infatti a espandersi e a diventare onnivora, risucchiando al proprio interno altre linee di ricerca sulla città contemporanea, dalla sostenibilità delle trasformazioni alla trasparenza e alla democraticità dei processi di costruzione delle scelte.
Per la verità Smart city appare un termine ancora mal definito e denso di significati, che continua a evolvere incessantemente riarticolandosi e complessificandosi, con la prospettiva d’incorporare una grande varietà di esperienze apparentemente eterogenee. Evocato come noto da William Mitchell, circa venti anni fa con le sue ricerche inaugurali presso il MIT di Boston sulla “città dei bits”, si riferiva originariamente all’uso delle tecnologie digitali per migliorare funzionalità e prestazioni dei sistemi organizzativi da cui dipende la vita delle città.
Oggi, pur mantenendo ben salda la sua matrice tecnologica, si presenta con un’accezione più inclusiva, poiché tende a intercettare una varietà di altri interessi, anche oltre l’efficienza dei sistemi organizzativi. In particolare, incrocia le questioni relative alla sostenibilità urbana, sia sotto il profilo ambientale che economico e sociale. E rivendica un ruolo importante soprattutto nella gestione delle risorse critiche, come acqua ed energia, interpretando al proprio modo la città ambientalmente sostenibile; la quale, come sappiamo, si riferisce alla capacità di un sistema urbano di autogovernare i propri metabolismi vitali, riducendo sostanzialmente il consumo di risorse non riproducibili; e di essere valutato grazie alla sua “impronta ecologica”, ovvero tramite un indicatore dell’impatto ambientale, inteso come estensione di suolo necessaria per assicurare le risorse vitali e per smaltire i rifiuti generati da una popolazione urbana con il suo specifico standard di vita.
In sostanza, parlare in questo momento di Smart city vuol dire riferirsi all’impiego di una molteplicità di tecnologie intelligenti che ricorrono a poderosi database ( Big Data ), attraverso cui si mira a gestire al meglio le diverse funzioni della città. I softwares sempre più potenti a disposizione sono decisivi, perché consentono di controllare consapevolmente le molteplici variabili in gioco nei processi di trasformazione urbana e soprattutto i loro sistemi d’interdipendenza di grande complessità. L’obiettivo ultimo è di indurre positive modificazioni nei comportamenti degli abitanti e nei loro modi d’uso della città, al fine di accrescerne l’efficienza funzionale, stimolando anche processi di trasparenza e di partecipazione sociale impensabili nel passato.
Gli spazi urbani sui quali si concentrano i progetti della Smart city riguardano soprattutto gli spazi infrastrutturali, in particolare quelli della mobilità, che si prestano molto bene alle innovazioni con cui si tende a ridurre i livelli d’inquinamento ambientale e migliorare la fluidità del traffico urbano. Esperimenti più limitati interessano invece singole parti della città, che vengono predisposte per un funzionamento assistito da sistemi intelligenti, soprattutto al fine di migliorarne l’efficacia delle prestazioni, anche in ordine alla sostenibilità ambientale ( con produzione di energie rinnovabili, gestione efficiente dei cicli dell’acqua, razionalizzazione del sistema di raccolta e trattamento dei rifiuti urbani con una elevata quota di riciclaggio dei residui). Ma in prospettiva la partita più interessante si gioca sulla gestione efficiente dell’intera città, intrecciando i cicli di produzione e utilizzazione delle risorse che oggi sono separati tra loro con evidenti diseconomie (acqua, energia, suolo, mobilità, beni alimentari, rifiuti urbani ).
Tutto ciò comincia a riguardare anche la situazione italiana. Qui, nonostante l’attenzione sia ancora rivolta prevalentemente alla produzione dei singoli manufatti edilizi, cominciano a delinearsi finalmente anche interventi di maggiori dimensioni, con nuove unità insediative concepite in modo da minimizzare i consumi di energia, di suolo e di acqua. L’esperienza del Trentino-Alto Adige, documentata da questo numero di EcoWebTown, è da questo punto di vista particolarmente interessante. Dopo aver dato vita alla più consistente filiera nazionale di green economy applicata al settore delle costruzioni, questa regione sta aprendosi ora a una nuova stagione dello sviluppo, in cui l’edilizia sembra in grado di evolvere positivamente verso un’urbanistica della sostenibilità. Senza avere ancora un risvolto esplicitamente smart, ma ormai matura per compiere il salto di qualità, facendo convergere strategie mirate verso traguardi comuni.
Non è un passaggio scontato, tutt’altro. Il Trentino-Alto Adige si è infatti distinto fino ad oggi per l’elevata qualità dell’edificazione. Senza gli acuti di architetture a effetto, ma con una ben più sostanziale capacità di garantire un invidiabile livello medio diffuso per gli interventi che a diverso titolo incidono sull’ambiente insediativo. Per contro, assai discutibili sono apparsi i risultati della gestione urbanistica, per fortuna riassorbiti senza troppi danni grazie all’eccezionalità dei paesaggi montani che soverchiano le disinvolte espansioni edilizie responsabili dello sfilacciamento e della disarticolazione dei centri abitati esistenti. C’è dunque da augurarsi che il recente interesse ai temi della sostenibilità urbana si risolva in un miglioramento sostanziale anche dell’urbanistica, come del resto sta già accadendo a Bolzano e Trento.
Alcune riflessioni conclusive. La convergenza di smart e green, con l’intreccio virtuoso delle rispettive linee di ricerca, dà ragione al programma di cui è espressione la nostra stessa rivista EcoWebTown. Ma suscita anche interrogativi cui non abbiamo ancora saputo dare risposte compiute.
Sappiamo relativamente bene che cosa rende una città “sostenibile”. In estrema sintesi, sotto il profilo ambientale, la sua capacità di ridurre drasticamente i consumi di risorse non riproducibili, attivando processi virtuosi di recupero e riciclaggio di ciò che viene impegnato nel metabolismo urbano complessivo. Dal punto di vista sociale, la capacità d’includere socialmente popolazioni eterogenee, rafforzando i legami di coesione interpersonale. Infine, dal punto di vista economico, la capacità di offrire adeguate opportunità d’occupazione (in particolare dei giovani), un reddito accettabile, e più complessivamente condizioni soddisfacenti di attrattività per gli investimenti esterni.
Ma non conosciamo altrettanto bene che cosa vuol dire essere “smart”, al di là della strumentalità delle applicazioni di tecnologie digitali e dei big data. Certo, l’enorme complessità dei metabolismi urbani da regolare al fine di ridurre il dispendio di risorse non riproducibili appare trattabile solo con strumentazioni sofisticate, possibili con softwares sempre più potenti. Al tempo stesso, la diffusione dei processi di partecipazione informata alla gestione dell’ambiente urbano è resa possibile dalla condivisione di tecnologie smart, attraverso cui offrire un uso produttivo dei social networks e di altre reti dedicate di comunicazione tra utenti dei servizi urbani. Ma c’è ancora molto da inventare, per accrescere la capacità endogena dei sistemi urbani complessi di governare la propria evoluzione, ad esempio verso gli obiettivi di sostenibilità ambientale, inclusività sociale e competitività economica che l’Unione europea si è data per le proprie città alle soglie del nuovo secolo.
Ci può essere forse d’aiuto provare a domandarci intuitivamente cosa manca alle nostre città per essere davvero smart. Noi sappiamo che le città italiane, soprattutto quelle di medie e piccole dimensioni, dispongono generalmente di un patrimonio storico-culturale assolutamente invidiabile, insieme con l’offerta di una qualità di vita che tocca il suo apice nell’esperienza del gusto e del bello, e che spesso permea gradevolmente anche gli spazi dell’incontro e delle relazioni in pubblico.
Però ci rendiamo conto che in generale è assai carente la capacità di gestire pubblicamente i complessi sistemi organizzativi da cui dipende l’efficienza della macchina urbana nella modernità, in particolare sotto il vincolo della crescente scarsità di investimenti pubblici provocata dalla Grande Recessione che attanaglia l’Italia e l’Europa. Viene esasperata per conseguenza la fatica dell’abitare, del lavorare e del muoversi, vanificando le enormi potenzialità che queste città presentano rispetto alle altre città europee. E così accade che le città italiane perdano progressivamente terreno rispetto alle altre città, più intraprendenti e meglio attrezzate a gestire l’innovazione della modernità. Le tecnologie smart, se ben impiegate, possono fornire un contributo determinante per migliorare i livelli di funzionalità e più complessivamente di abitabilità della città esistente? Le attese – e le promesse interessate da parte dei big players in gioco- sono notevoli, e il diretto interessamento dell’Unione Europea, in particolare con i finanziamenti dedicati previsti nel prossimo settennio di fondi per lo sviluppo, depongono a favore dell’esito favorevole di questa scommessa. Sarà poi il tempo a dirci se ne verrà avvantaggiato soltanto il mercato delle tecnologie ICT, o se effettivamente le città diventeranno più abitabili grazie alla loro smartness.