Metafore globali, e tecniche per la sostenibilità. Fabrizio Paone |
Immagini come “ecowebtown” e “bio-logic city” mettono il lettore di fronte a esortazioni che si spingono dentro il futuro prossimo, segnato dall’avvento di nuove tecnologie specializzate energetiche, produttive, distributive.
In Italia, in Europa e in senso globale, la crescente insoddisfazione per l’ambiente urbano, per la diffusione dei comportamenti illegali e/o lesivi dei diritti umani nelle città, l’aumento della popolazione e la sua migrazione verso abitudini urbane, l’intrattabilità politica internazionale della questione demografica, l’influenza sulle politiche mondiali operata delle corporations dell’energia e dell’agricoltura, l’emergente crisi ambientale già ora orientano i comportamenti politici e costituiscono un forte stimolo verso il rinnovamento delle città, e delle economie che le rendono possibili.
“Sostenibilità”, “ecologia”, “intelligenza” , “bio”, “logica” sono termini che investono il senso generale della pianificazione, e inducono a ritornare alla sproporzione tra la sua funzione descrittiva, e i poteri effettivi ad essa riconosciuti dagli stati nazionali, a loro volta in difficoltà a intervenire in scenari sempre più globali, mobili, influenzati da pochi global players internazionali.
L’attenzione alla rilevanza degli atti linguistici nella costituzione del sapere tecnico è piuttosto intermittente nelle interpretazioni urbanistiche, e riporta a alcuni testi e attitudini di ricerca (in primis Attilio Belli (1995), “Immagini e linguaggio. Tracce per una ricerca” , CRU n.3; Bernardo Secchi (1984), Il racconto urbanistico. La politica della casa e del territorio in Italia, Einaudi, Torino, in particolare i primi due capitoli e, per la metafora, pp.57-60; George Lakoff, Mark Johnson (1980), Metaphores we live by, The University of Chicago Press, Chicago and London, trad. it. (1982) Metafora e vita quotidiana, L’Espresso, Milano).
In senso stretto la metafora del dispositivo biologico intelligente viene trasferita nel campo urbano dalla medicina sperimentale, in cui il bio-computer marca un ambito microchirurgico di grande suggestione, in cui l’intervento umano di “riparazione” viene introdotto nel “corpo” come un dispositivo capace di evolvere, di dialogare nel tempo con l’organismo vivente in cui è inserito, scambiando con esso informazioni ed azioni geneticamente rilevanti.
L’associazione tra città e corpo è antica, e mutevole. A volte è stato il corpo, letto come portatore di integrazione e gerarchia tra le parti, leggi di crescita, patologie, a costituire il termine noto capace di illuminare il termine oscuro. A volte è stata la città a essere impiegata come una fonte di esperienza e di evidenza per rendere più comprensibile il corpo e i suoi moti.
Prendendo l’avvio da un intervento analogico “a proposito” del vivente e “sul” vivente, il dispositivo disciplinare si propone come manipolazione dei termini e dei codici essenziali della pura vita, consente all’artefice e agli spettatori di soffermarsi nei pressi della constatazione dell’esistere.
All’urbanista viene affidato il ruolo del “medico”, portatore del sapere competente per verificare il buon funzionamento dell’organismo, e per individuare i rimedi in caso di patologie. Ciò contiene una visione implicitamente gratificante per l’urbanista, cui viene riconosciuta una competenza esclusiva e un ruolo terapeutico primario rispetto a un ente, la città, immerso in un ambiente che conferisce possibilità di vita.
Da queste considerazioni sorge l’interrogazione di quali siano le esperienze in corso di realizzazione che hanno posto esplicitamente la nozione di città ecologica sostenibile come immagine di nuovi modi di costruire città.
Un esempio esemplare in corso di realizzazione è Tianjin Eco-City, città nuova per 350.000 abitanti promossa dal governo della Cina insieme a Singapore, la cui fondazione viene decisa nel 2007 con il proposito di terminare i cantieri nel 2020. L’accento sulla sua iscrizione a nuovo modello urbano entra in relazione con Tianjin, terza città cinese per popolazione, da cui la città nuova dista 40 km, rimanendo prossima anche a Bejing, da cui la separano 150 km. L’attenzione alla produzione dell’energia, il cui costo ambientale diviene sempre più fattore economico e sociale, conduce Tianjin Eco-City a proporsi come “città ecologica intelligente”, con una particolare attenzione all’integrazione tra i sistemi solari, eolici e microelettrici.
Il disegno urbano enuclea quattro distretti specializzati fisicamente individuabili, che corrispondono ad altrettanti eco-paesaggi: Solarscape, Lifescape, Urbanscape, Earthscape. Non è chiaro, soprattutto a un osservatore che ha accesso a fonti parziali come chi scrive, quanto possa essere ascritto alle retoriche, quanto agli argomenti tecnici.
Il giudizio sull’efficacia del modello proposto sarà abbastanza difficile da pronunciare a Tianjin Eco-City, la quale insiste sopra un sito urbanizzato e altamente inquinato, soprattutto per quanto riguarda le acque. Una osservazione significativa del funzionamento della città, degli stili di vita degli abitanti, della dissipazione energetica, dovrebbe prendere in esame un tempo sufficientemente lungo, dalla situazione precedente i modi di produzione industriale, all’inquinamento, alla dismissione, all’intervento rigeneratore, alla misurazione dei miglioramenti ottenuti .
A Tianjin Eco-City si attende la conclusione del primo comparto per il 2013.
Altre recenti realizzazioni che si accostano alla immagine della “città ecologica intelligente” consistono essenzialmente in «quartieri», parti di città in cui la più lata parola d’ordine della “sostenibilità” trova sperimentazione all’interno della città esistente.
La Ecociudad Valdespartera a Saragozza, intrapresa a partire dal 2002 attraverso un accordo tra municipalità, autorità regionale d’Aragona, ministero della Difesa spagnolo, si misura con la rigenerazione di un’ampia area militare dismessa attraverso l’insediamento di 10.000 abitazioni di iniziativa pubblica. Viene realizzato il primo sistema di raccolta pneumatica dei rifiuti in Spagna, e si dispone una intelligente strategia di monitoraggio dei consumi e delle emissioni, che riguarda attualmente il 5% degli edifici.
Il progetto propone una relazione diretta tra impronta ecologica e forma dell’architettura, con una rinnovata attenzione ai tipi edilizi (la casa collettiva piuttosto che l’edilizia unifamiliare o a schiera), ai componenti degli edifici (il dato più evidente sono le grandi serre vetrate profonde da 90 a 120 cm, poste a sud), all’esposizione eliotermica. Tutto questo riporta in modo diretto ai temi instauratori dell’urbanistica moderna, al grande ponte tra architettura e urbanistica gettato negli anni venti in Germania, di cui si vivrebbe il superamento attraverso la sua diretta riproposizione, con un evidente paradosso, o almeno con la necessità di misurare nuovamente il rapporto tra prototipo moderno d’insediamento urbanistico, realizzazione esemplare, città ordinaria.
Diversa per le forme generate ma confrontabile è l’esperienza di Hammarby Sjöstad, in cui a partire dal 1997 sono state realizzate 11.000 abitazioni sopra un brownfield ben collegato dal trasporto pubblico al centro di Stoccolma. Lo schema urbano, pensato a metà degli anni novanta, lavora con il tipo dell’edificio ad appartamenti, aggregati attraverso un impianto a isolati costruiti sul perimetro, in cui si cerca di sperimentare soluzioni volumetriche di apertura delle corti, e misure tecnologiche non convenzionali, come il sistema di tubazioni pneumatiche interrate che collegano le corti degli edifici con il centro di raccolta differenziata collocato all’interno del quartiere, e il teleriscaldamento, connesso con le centrali di trattamento delle acque e dei rifiuti.
Il progetto pone particolare attenzione al trattamento e al riuso locale di ciò che prima era semplicemente riversato all’esterno come “rifiuto”, esternalità di un ciclo produttivo dominante e non eludibile, e rimandato a processi indefiniti, da ignorare fino a che non intervengano dimostrabili e rilevanti effetti negativi.
Di fronte agli interventi realizzati, va sottolineata l’importanza delle sperimentazioni attraverso cui alcuni attori pubblici hanno prodotto un consistente investimento per spostare l’immaginario dei cittadini e dei consumatori verso soluzioni che vanno nella direzione di una relazione fra l’uomo e l’ambiente che ne consenta l’aspirazione alla durata, e alla trasmissione della conoscenza attraverso le generazioni.
Si fa strada la domanda sulle differenze che intervengono tra la promozione di forti politiche settoriali nei campi strategici (la produzione e il trasporto di energia, i trasporti delle merci e delle persone, la produzione di abitazioni, la distribuzione del reddito, la gestione del ciclo dei rifiuti, le abitudini al consumo) e la produzione di un modello urbano, di cui potremmo eleggere a testimone la città biologica intelligente.
A questo punto potremmo ricorrere e un nuovo, denso strato di testi (Max Black (1962), Models and Metaphores. Studies in Language and Philosophy, Cornell University Press, Ithaca (NY), trad. it. (1982), Modelli, archetipi, metafore, Le Pratiche Editrice, Parma; Mary B. Hesse, Models and Analogies in Science (1963), Sheed & Ward, London, New York, trad.it. (1980), Modelli e analogie nella scienza, Feltrinelli, Milano; Lorena Preta (a cura di) (1992), Immagini e metafore nella scienza, Laterza, Roma-Bari). L’interrogativo riguarda la durata temporale della funzione conoscitiva della metafora in un campo disciplinare sperimentale, quanto essa finisca per sciogliersi in una serie di procedimenti successivi, che essa stessa dovrebbe avere facilitato e diffuso.
Da un lato la metafora del nuovo modello urbano tende a dissolversi, lasciando il campo a tecniche definite e operabili, dall’altro lato essa sembra stringere corpo e città assumendo un carattere totalizzante.
Il dato di novità generale degli ultimi anni può forse essere riassunto in una accresciuta consapevolezza dell’integrazione degli insediamenti umani nella biosfera, che ci induce a osservarli nella loro “piccolezza” e “finitudine”, come se guardassimo il mondo urbano affacciati dall’oblò di una navicella spaziale.
I “piani” si proporranno poi, a scale che appaiono sempre di dettaglio, di introdurre una “regolazione”, un intervento sulle “funzioni”.
Allora pensare a dispositivi progettuali capaci di instaurare una città ecologica intelligente, in cui l’intervento urbanistico sia capace di approdare a un’azione sulla città vivente, diviene una sfida dinamica e plurale, positivamente imprevedibile, e solleva una diffusa e democratica assunzione di responsabilità, di consapevolezza e di responsabilità. La vita della città sembra stare ovunque, ovunque la sua intelligenza.
Nell’ultimo decennio l’aumento delle prestazioni del web, l’allargamento del numero degli utenti, delle comunicazioni interpersonali via telefoni mobili, sms e mms, l’ascesa dei social network e dai tablet , hanno rinforzato l’associazione tra parola e immagine, consentendo il diritto a esistere di ogni invocazione al rinnovamento, e la possibilità di essere comunicato..
Al contempo, sia che noi attraverso la locuzione “città ecologica intelligente” intendiamo costruire uno strumento di osservazione di piani, politiche e progetti in corso, sia che in modo più ambizioso cerchiamo di stimolare nuovi modi d’intervento, dobbiamo affrontare una domanda d’accesso. Quali sono le informazioni rilevanti per la regolazione biologica della nuova forma urbana, il suo codice genetico, per riprendere una metafora adoperata da Giancarlo De Carlo nell’ultimo periodo della sua intensa vita progettuale?
Dati sulla popolazione, sulla mobilità delle persone e delle merci, sulle dotazioni infrastrutturali? Sull’economia, il consumo energetico, le emissioni in atmosfera, il ciclo dei rifiuti? A che scala, con che dettaglio, da chi rilevate e con quale ampiezza temporale?
Svanisce in maniera molto rapida la falsa opinione della totale disponibilità e trasparenza delle informazioni, per mostrare piuttosto la parzialità delle istituzioni principali che il Novecento ci ha consegnato, il mercato e lo stato. I sondaggi hanno reso puro oggetto archeologico le grandi surveys ottocentesche sulla povertà, le abitazioni, il lusso, le abitudini delle classi lavoratrici e/o pericolose, le indagini statistiche sulla popolazione e sulle abitazioni, su cui si era costruita molta parte dell’urbanistica moderna e dell’intervento riformatore. Emergono altri personaggi: le grandi imprese transnazionali dell’energia, del cibo, del trasporto e della finanza, i fondi d’investimento.
Se guardiamo le realtà urbane cambiate negli ultimi venti anni nel modo più evidente e spettacolare, come le metropoli asiatiche, colpisce la concordia con cui convergono gli interessi dello stato nazione e della finanza internazionale nel configurare città che attraverso l’inurbamento e la crescita quantitativa instaurano una condizione urbana minima, fatta di edifici d’ogni tipo e realizzati low cost, la cui possibilità d’essere è, prima di tutto, meramente tecnologica.
Ci stupiamo che energia, acqua, mobilità urbana riescano a supportare uno sviluppo che non chiede di durare, ma di esistere.
EWT/ EcoWebTown |