Oltre le tecnologie della sostenibilità. Alberto Clementi |
Abbiamo più volte osservato come lo sviluppo sostenibile non può essere soltanto il frutto dell’avanzamento delle tecnologie, o di soluzioni ingegneristiche e organizzative sempre più sofisticate. Va inteso piuttosto come un valore che si costruisce socialmente, con la responsabilizzazione e la capacitazione dei singoli individui, delle società locali e delle loro istituzioni. Più complessivamente, rinvia a un modo di pensare e di agire “ adatto a immaginare collettivamente il mondo di domani. Un movimento di idee, comparabile all’Illuminismo del XVIII secolo, al quale ciascuno può apportare la sua firma” come ha acutamente affermato Bidou nel suo recente libro “Le Dévelopment Durable. Intelligence du XXI siècle”, recensito da Angrilli in questo numero di EcoWebTown.
Questa accezione allargata della sostenibilità invita a riformulare la varietà delle strategie del piano e del progetto urbano, includendo ad esempio anche la gestione dei rifiuti urbani, un tema settoriale finora generalmente disertato dalle pratiche urbanistiche tradizionali. Non si deve pensare che la questione dei rifiuti possa essere risolta grazie al perfezionamento delle tecnologie, o dei processi organizzativi a carico delle imprese di servizio. Un tema così complesso rinvia necessariamente a una nuova percezione sociale del rapporto con il proprio ambiente di vita, cioè a una cultura di cittadinanza ispirata alla volontà di ridurre gli sprechi, restituire valore ai beni comuni, prendersi cura della cosa pubblica, partecipare attivamente alla lotta contro i cambiamenti climatici. E dove la gestione dei rifiuti avviene all’insegna della regola virtuosa delle 4 R teorizzata da Paul Connett (Ridurre, Raccogliere in modo differenziato, Riciclare, Recuperare energia).
L’urbanistica può dare un suo contributo rilevante a questa nuova cultura. Selezionando i siti più idonei, contribuendo a individuare i modi di raccolta e gestione più appropriati rispetto al territorio, accertando le compatibilità ambientali, indicando le misure di corretto inserimento degli impianti nel paesaggio, migliorando le qualità morfologiche, funzionali e figurative delle attrezzature, promuovendo le soluzioni virtuose con l’offerta di incentivi o di misure compensative utili per risarcire gli intorni residenziali penalizzati. Ancora di più, può contribuire reinterpretando la forma della città come combinazione di una molteplicità di ecologie relazionali self-contained su base locale, che consentono di metabolizzare i flussi in entrata e in uscita per un determinato territorio, risparmiando le risorse non riproducibili e azzerando tendenzialmente gli scarti da rinviare all’incenerimento.
Ma anche in una città strutturata per eco-distretti zero-waste, i risultati potranno comunque essere insoddisfacenti, senza la positiva convergenza delle molte strategie di gestione dei flussi che generano i materiali di scarto, e soprattutto senza la sensibilizzazione e la partecipazione attiva delle comunità locali, con il superamento della cultura dell’usa-e-getta e dell’indifferenza verso i beni comuni. In assenza di un’adeguata rivoluzione culturale, continuerà a incombere il rischio di venire soverchiati dalle ricorrenti crisi dei rifiuti, come è accaduto e sta accadendo purtroppo in numerose città italiane ( Napoli, Palermo, Catania, ma anche Roma, Pescara,…). A poco varranno gli sforzi per migliorare le città o i paesaggi, se l’attenzione non verrà estesa ai cicli di vita delle risorse da cui dipende il funzionamento dei metabolismi urbani e la conseguente generazione degli scarti. Cioè se verrà meno una concezione olistica dei sistemi di funzionamento della città e delle loro interdipendenze, da governare con una visione integrata e traversale, secondo l’approccio enunciato programmaticamente dall’urbanistica della modernità, almeno nelle sue espressioni più avanzate.
Tutto ciò torna alla mente quando ci s’interroga sull’esperienza francese degli ecoquartieri, praticati da qualche tempo come esplicita politica di Stato, con l’ambizione di favorire nuovi modi di costruzione della città improntati alla sostenibilità. Gli ecoquartieri francesi incarnano più precisamente la volontà di perseguire una nuova urbanistica della sostenibilità, che si appoggia sulla valorizzazione delle risorse locali, tanto paesaggistiche, che urbane, umane o ambientali. Concepiti come operazioni esemplari dal “Piano Città Sostenibili” lanciato dal ministero Environnement, Développement durable et Aménagement du territoire, esprimono la volontà di promuovere interventi precursori per la città sostenibile, offrendo al tempo stesso l’occasione per iniziare a strutturare le filiere produttive e organizzare la concertazione.
Effettivamente, come afferma Cyria Emelianoff, questi nuovi quartieri hanno rappresentato il banco di prova di soluzioni avanzate in materia di “ efficienza energetica, di riduzione delle emissioni dei gas serra, d’intensificazione dei rapporti con la natura nella città, di conciliazione delle densità urbane con il benessere ambientale, e per quelli che sono stati concepiti dagli abitanti, di mutualizzazione, condivisione e cooperazione”, configurandosi per di più come interventi di notevole portata simbolica rispetto alle diffuse aspettative di una vita migliore all’interno della città.
Non è qui il caso di operare un bilancio di quest’esperienza. Se sta avendo successo, e se gli ecoquartieri sono capaci d’intercettare una domanda di social housing, o sono invece rivolti soprattutto alle fasce sociali più abbienti. Se davvero una politica della città sostenibile può essere ridotta alla sola realizzazione di quartieri esemplari come gli ecoquartieri. E se le idee di città da loro veicolate sanno configurare innovazioni apprezzabili rispetto alla tradizione. Sono gli autori di questo importante numero della rivista EWT a dircelo, essendo tra i protagonisti più autorevoli dell’esperimento che si sta facendo in Francia.
A me preme osservare soltanto che tutta l’esperienza francese sembra svilupparsi in aperto contrasto con la ricerca di soluzioni affidate a un’ecologia hi-tech. Rivendicando la complessità del progetto urbano, gli ecoquartieri in corso di sperimentazione in un centinaio di città francesi sembrano esprimere piuttosto la ricerca di mediazioni tra le preoccupazioni ambientali e gli obiettivi più complessivi di qualità urbana, proiettando i temi delle funzionalità e delle morfologie insediative nella prospettiva dei nuovi modi di vita necessari per dare corso al cambiamento verso il mondo della sostenibilità.
In questo senso, seppur fortemente ( forse troppo) ancorati alle radici disciplinari dell’urbanistica e dell’architettura, gli ecoquartieri francesi ci appaiono come il tentativo di praticare un’”urbanistica culturalista”, che si sforza d’intrecciare le nuove idee in materia di sostenibilità con le concezioni tradizionali della qualità urbana. I risultati possono apparire discutibili. Ma certo offrono spunti di riflessione ben più interessanti di quelli che emergono dalla situazione italiana, dove la sostenibilità si esercita ancora alla sola scala degli edifici, in chiave eccessivamente tecnologica.
EWT/ EcoWebTown |