Innovazioni possibili

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Apprendere dall’Abruzzo
Piero Properzi

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Premessa
L’articolo analizza, in riferimento al sisma dell’Aquila (2009) ed a quello del Centro Italia (2016-2017), il rapporto che si determina tra gli interventi pubblici straordinari   ed i processi ordinari di governo (del territorio e della città). Si tratta di un importante campo di riflessione disciplinare sia per le scienze della terra, e tra queste l’urbanistica, sia più in generale per le stesse modalità di governo della ricostruzione in un reciproco processo di falsificazione dei paradigma di riferimento (razionalità onnicomprensive ed omologate a modelli tradizionali vs razionalità specialistiche e innovative) in una fase di accelerata mutazione della sfera pubblica e di sperimentazione di prassi innovative derivate dalla emergenza e dalla ricostruzione a seguito di eventi sismici

Nel post-sisma, i decisori hanno consapevolezza della necessità di razionalizzare il processo di ricostruzione e fanno coincidere detto processo con la ricerca di una visione condivisa che nessuno però è in grado di fornire come esito di tecniche disciplinari, ma che può essere costruita solo dalla nuova società locale post-sisma in un faticoso processo dialettico con i saperi esperti e con gli stessi decisori.
L'urbanistica e l'economia urbana tendono, in condizioni di stabilità della sfera pubblica, a fornire assetti e modelli di sviluppo in riferimento sia ai propri statuti disciplinari che ai processi insediativi ed economici noti. Nei due eventi esaminati, la sfera pubblica si trovava in fase di accelerata mutazione
La ricostruzione post-sisma ha trovato quindi le discipline impreparate ad affrontare nel contempo una mutazione della sfera pubblica, in fase di accentuata accelerazione tra il 2008 e il 2018, e gli effetti del sisma.

Il terremoto dell’Aquila, in particolare,  ha posto alle discipline che si occupano della città e del territorio, in termini diretti e non eludibili, alcune questioni che in questi anni, di declino del ciclo edilizio e con esso del volano della rendita fondiaria, erano state in parte rimosse o accantonate.
Come ricostruire la città e, ancora prima, quale idea di città assumere a base del processo di ricostruzione, quale futuro immaginare per essa,  quale nuovo ruolo economico farle giocare, hanno rappresentato nodi centrali intorno ai quali sono state poste, sino ad oggi, alcune questioni, per la verità con scarse risposte disciplinari:

Una sostanziale inadeguatezza disciplinare

Il complesso dei documenti esaminati delinea una sostanziale convergenza su alcuni temi e sulle modalità di governo della ricostruzione. In genere, si tratta della adesione più o meno convinta ad un approccio disciplinare integrato e ad una lettura sistemica anche se, nella loro generalità, i documenti (leggi-ordinanze -piani e programmi) si sono rivelati privi della capacità di costruire scenari e al contempo di definire moduli operativi coerenti con gli scenari. In realtà, sembra che operino in una dimensione di sostanziale astrattezza oscillante tra omologazione e tassonomia.
Se infatti, da un lato, è presente in tutti i documenti un esplicito riferimento alle opportunità che la dimensione economica della ricostruzione può significare per un’inversione del modello tendenziale (precedente al sisma) - così come viene spesso sottolineato anche il ruolo dell'innovazione in questo percorso - non si è riusciti, dall’altro, a definire una strategia con la quale i processi ordinari della ricostruzione (essenzialmente quella degli edifici) si possano collegare con un programma condiviso di scelte strategiche per lo sviluppo.
Si ha la sensazione che si sia proceduto ad una rassegna di concetti guida che appartengono alla cultura più aggiornata (smart city — green economy, etc.), li si sia collocati nello scenario più ampio del modello sociale europeo senza tentare però una interpretazione dello specifico contestuale e temporale nel quale collocarli.
Non si è, inoltre, affrontato il problema, verificando alternative metodologiche, peraltro autorevolmente proposte, né approfondendo con i tradizionali stakeholder la fattibilità di alcuni progetti.
I motivi di questo stallo non possono ovviamente essere messi a carico delle sole componenti disciplinari,  per quanto come si e già detto le stesse non siano riuscite né a definire un metodo né prassi operative da proporre alle istituzioni. Sono piuttosto queste ultime che hanno manifestato e continuano a manifestare la propria incapacità di governare l’emergenza e la ricostruzione; incapacità che si concretizza in uno strisciante disinteresse per un approccio concreto al tema del governo della complessità e soprattutto a quello dello sviluppo a seguito del processo ricostruttivo.


La governance tentativa

I sistemi più recenti di governance messi in atto nelle fasi di emergenza post-sisma (L’Aquila-Emilia-Centro Italia) sono basati su una figura commissariale (espressa dalla Presidenza del  Consiglio dei Ministri), di volta in volta incardinata in quella del presidente della regione prevalentemente interessata (G. Chiodi – V. Errani) o in un  politico di consolidata esperienza istituzionale (G. Legnini).
Ai commissari, sono stati a volte affiancati sub commissari con compiti specialistici o di gestione amministrativa delegata per competenza, mentre per gli aspetti operativi, dagli stessi commissari sono stati nominati i responsabili delle strutture tecniche - STM (struttura tecnica di missione)/ USR (ufficio speciale ricostruzione) -.
Queste due funzioni (commissari e responsabili tecnici) hanno governato sia le fasi emergenziali (anche di concerto con la Protezione Civile) che quelle della ricostruzione.
La interlocuzione necessaria e comunque opportuna con gli enti locali ha caratterizzato con modalità diverse, spesso conflittuali, raramente convergenti, sia le fasi dell’emergenza che quelle della ricostruzione, con un maggior livello di tensione a L’Aquila e, nella prima fase dell’intervento, nel Centro Italia, con minori conflittualità in Emilia-Romagna.
Nel caso dell’Aquila, l’assenza di una capacità politica di mediazione ha trasferito paradossalmente sulle strutture tecniche, e di conseguenza sugli strumenti e sulle procedure proposte, gran parte delle tensioni.
Possiamo comunque  individuare alcuni elementi critici relativi alla governance:

Alla prima fase dell'emergenza, caratterizzata, come del resto era prevedibile, da un modello di intervento decisionista e fortemente orientato al risultato, incentrato nella figura del sottosegretario commissario è subentrata una fase di confusa e incerta poliarchia nella quale, sotto la guida di una governance non ben definita, si sono aperti conflitti interistituzionali così forti da bloccare ogni attività.
La chiusura di questa seconda fase ha coinciso con la delega del governo al ministro Barca ed alla conseguente costruzione di un nuovo modello di governo, tendente all’ordinarietà e al contempo a costruire le basi di  un progetto di sviluppo.
Il carattere più significativo è che questo ritorno all’ordinarietà  sia avvenuto in una logica di “arretramento”, interpretando l'ordinarietà nella sua dimensione di non eccezionale e non in quella  di un necessario generalizzato alto livello di qualità.
Il tema si pone con forza ancora oggi, in relazione a come le istituzioni siano capaci di declinare i principi di adeguatezza/sussidiarietà, partecipazione/responsabilità nelle fasi della ricostruzione e di come, proprio in attuazione di quegli stessi principi, sapranno dotarsi di strutture e strumenti tecnici per una governance operante, capace di aprirsi ai temi dello sviluppo e delle strategie ad esso relative.
Questo tema in particolare ha in parte trovato soluzione nel sisma del Centro Italia, dove la proposta di un collegamento al PNRR, finanziato per 1,8M€, ha consentito di elaborare uno scenario di sviluppo con specifiche misure in grado di integrare l’azione di pianificazione spaziale ed urbanistica affidata ai programmi straordinari (una evoluzione dei piani di ricostruzione), resi facoltativi per i Comuni, in relazione al danno subito e, se del caso, elaborare in relazione  ad un eventuale interesse sovra comunale.
La variabilità della governance ad Aquila, nelle due fasi, ha “destrutturato” l’intero percorso, facendo venir meno, in particolare, i collegamenti tra le sfere disciplinari (soprattutto delle discipline economiche e di quelle della pianificazione) che avevano iniziato a definire nei territori di margine gli elementi snodo che avrebbero potuto configurare una ricostruzione virtuosa (efficace-innovativa).
La questione urbanistica si è fossilizzata intorno ad una mancata definizione dei contenuti dei piani di ricostruzione, ridotti spesso a insignificanti documenti programmatori, ed all’assenza di una strategia spaziale estesa all’intera area (vedi PdR dell’Aquila).
La riflessione degli economisti si è esaurita in una diversificazione degli approcci, che non ha prodotto la definizione di un modello socio-economico di riferimento, né di strumenti ridistributivi delle plusvalenze della economia della ricostruzione (circa 20 MDE).
Le altre discipline afferenti il governo del processo di ricostruzione, come la sociologia e il diritto, meno impegnate in una “ridefinizione” dei propri statuti, hanno
viceversa approfondito alcuni temi specifici, sperimentando dal vivo questioni di volta in volta emergenti, non riuscendo di contro a intervenire sul processo.


Una prima valutazione di sintesi

Si può d’altro canto trarre dalle esperienze sul campo, piuttosto che dalle, peraltro poche, produzioni teoriche, una prima riflessione su cosa abbia funzionato in tutto o in parte e cosa viceversa abbia fallito.

  1. C’è stata una overdose “regolativa” in assenza (o in supplenza) di una legge quadro nazionale (dovuta alla tendenza a prolungare le condizioni di eccezionalità dell’emergenza) e della latitanza legislativa regionale per quel che riguarda strumenti e procedure, dovuta alla preferenza del governatore ad utilizzare il ruolo di commissario, per l’esercizio di una maggiore autonomia.

  2. la indeterminatezza concettuale, ma anche dei contenuti operativi del PdR che ha prodotto uno strumento poco efficace nella regolazione, e spesso anche insufficiente nel ruolo previsivo e strategico.
    Sarebbe stato forse opportuno ricorrere a due diversi strumenti (un piano strutturale non prescrittivo e diversi piani attuativi relativi alle aree più complesse) con elementi di reciproca integrazione, soprattutto in relazione ai diversi obiettivi e ai diversi tempi che caratterizzano la ricostruzione

  3. . La debolezza dei processi endogeni autogeneratori di sviluppo e di governo, pur proposti da qualche ricercatore, che in relazione alla necessità di procedere ad una ricostruzione rapida, ma priva di quadri conoscitivi aggiornati, si sono conclusi  spesso con la riproduzione di modelli di pianificazione a-contestuali e auto referenziali.

  4. La prevalenza delle strutture proprietarie e di quelle professionali che sono divenute i veri attori dei processi di ricostruzione, ma solo sul piano dei vantaggi economici e della maggiore rapidità della ricostruzione.
    In questo campo si sarebbero dovuto precisare le modalità per la loro interazione con le istituzioni, perimetrando con maggiore precisione soprattutto i ruoli e le funzioni tecniche, che per loro natura tendono invece ad egemonizzare e tipicizzare le parti fluide e creative del processo stesso.

  5. L’economia della ricostruzione (più di 20 MDE), pur nella sua notevolissima dimensione, amplificata anche dalla lunga crisi, avrebbe dovuto comportare una rivisitazione del modello di sviluppo che, in assenza di analisi, di concertazione istituzionale e di coesione sociale non poteva essere costruito né derivato da quello europeo, e che avrebbe richiesto anche una nuova urbanistica di contenuto spaziale e progettuale, non derivabile dalle esperienze del moderno, né dalla regolazione dell’uso dei suoli.
    Il terremoto non è stata una grande occasione, ma una severa prova per le discipline di governo del territorio

  6. Il nodo centrale del dibattito sulla forma della città e sugli effetti del sisma sulla sua evoluzione, per quanto riguarda L’Aquila, non è stato viceversa esplicitamente affrontato (eccetto dal Libro bianco –INU), e resta un campo di necessaria riflessione sui nuovi rapporti tra città e campagna e sui nuovi usi urbani.

La compresenza di un centro storico di notevolissima qualità ed estensione, di  numerosi centri storici minori, di una decentralizzazione post-sisma di quasi tutte le funzioni urbane, lungo un asse est-ovest di 15 km, che ha prodotto uno sprawl molto diffuso su aree agricole pregiate, hanno infatti determinato la destrutturazione e il ribaltamento del modello urbano pre-sisma.
I nuovi progetti di vita degli abitanti tendono ad  essere impostati su un sistema insediativo multipolare sostenuto da nuove relazioni tra gli spazi naturali che costituiscono la pregevole corona dell’intera conca agricola, e gli spazi agricoli centrali, ancora molto consistenti lungo le aste fluviali. Purtroppo, non è stato elaborato nessun piano consapevole di questa ricca complessità.


Nuove forme urbane, tra morfologie ricompositive e innovative

La sistematizzazione metodologica dell’esperienza di pianificazione dell’Aera omogenea n.5 Pianificare la Ricostruzione, sette esperienze dell’Abruzzo, (Clementi, Di Venosa a cura di, 2013), rappresenta  compiutamente il tentativo di coniugare una dimensione “strategica” di area vasta con il problema della ricostruzione fisica degli edifici in contesti nei quali, la diffusa presenza di seconde case (inizialmente non oggetto di contributo statale) e la “diversità” del danno, rendono problematica le scelte di una specifica tipologia di strumento. Ne deriva una scelta di campo in linea con le più recenti esperienze dei programmi URBAN e dei Programmi Complessi della DICOTER, cui non è estranea la contiguità culturale degli estensori con G. Fontana, coordinatore della STM.
In termini operativi, i PdR si configurano come contenitori di una pluralità di strumenti legati da una vision strategica spesso molto debole, sia per l’assenza di un quadro regionale che per l’assenza di una massa critica dell’area omogenea.
Questa assenza viene bilanciata con una tendenza alla “innovazione” degli obiettivi generali derivati dalle tassonomie europee e dalle conseguenti debolezze dei meccanismi attuativi (in genere declaratori e intenzionali).
La prevedibile scarsa incidenza ed effettualità della ricostruzione privata sugli impianti insediativi viene bilanciata dalla previsione di un progetto pilota sull’edilizia pubblica finanziato con un milione di euro in ogni comune.
E’ interessante nella introduzione la definizione che del metodo fornisce A. Clementi in opposizione dichiarata ai tradizionalisti tra cui L. Benevolo.
Il PdR ha in definitiva la natura di uno speciale Piano Integrato Multilivello, che funge al tempo stesso da quadro di assetto morfologico e funzionale  e da programma attuativo.
Il Piano in particolare viene inteso come convergenza sul territorio tra una molteplicità di strategie alle diverse scale, pubbliche e private, mirate agli obiettivi di ripristino urgente del patrimonio insediativo danneggiato dal sisma, di messa in sicurezza della struttura insediativa, di ripresa tempestiva dello sviluppo economico e sociale del Sistema Territoriale Locale nel segno della sostenibilità.
Tale Piano strategico integrato ha valenza di Piano urbanistico, e in quanto tale configura adeguamento automatico degli strumenti vigenti.


BOX 3
Il PdR del Comune dell’Aquila “redatto in casa” in dichiarata opposizione alla STM, denota una dubbia   natura  strategica nella rivisitazione di un Piano Strategico pre-sisma completamente scollegato  dalla dimensione della Ricostruzione della quale si definiscono criteri generali di intervento (bozza di normativa) ma che essenzialmente deve avvenire in conformità al PRG del 1975, soprattutto nel centro storico, rinviando una reale valutazione sul “come e cosa ricostruire ad altri eventuali futuri strumenti”.
Questa indecisione ed un successivo irrealistico  cronoprogramma stanno producendo notevoli difficoltà che il Comune ha inteso superare con una improbabile deliberazione che attribuisce potere di potenziale Deroga (?) in termini estensivi a tutti gli edifici privati del centro storico  in quanto finanziati con fondi pubblici (sic).

 

La costruzione della forma urbana, che è il fattore enzimatico nei processi di ricostruzione, è stata viceversa poco o nulla considerata nelle esperienze esaminate e in particolare ad Aquila.
II mercato immobiliare, che in genere viene radicalmente sconvolto dall'evento, può essere considerato un indicatore sensibile di questo processo in cui sono in gioco le rendite più o meno significative ai fini della caratterizzazione dell'economia del contesto. Ad Aquila, lo sono sempre state ed hanno avuto un ruolo centrale nell'intero ciclo dell'economia urbana. II mercato pre-sisma si basava, infatti, prevalentemente sul centro storico sottoutilizzato da una residenza proprietaria (circa 7.500 residenti — 2.700 nuclei familiari - rispetto ai 20.000 residenti del 1971) e, per la parte residua, utilizzato dagli allora 8.000 studenti e da circa 1.000 studi professionali e da negozi. Oggi, il mercato immobiliare registra prezzi di vendita e canoni d’affitto degli immobili recuperati (circa il 70%) inferiori a 1/3 di quelli pre-sisma.
Le ampie periferie consolidate (periferia nord) o in formazione avanzata (Pettino e zone a sud-est) ospitavano circa 30.000 abitanti, il resto della popolazione abitava nelle molte frazioni ed in particolare nella frazione di Paganica (10.000 ab).
Le periferie, tornate in gran parte ad una condizione pre-sisma pur permanendo uno stato di deficit nei servizi, paradossalmente non soffrono più di una dipendenza dal centro storico,  dove si registra una carenza di negozi e di uffici, che si stanno spostando verso nuove centralità ad est ed a ovest del nucleo storico.
Gli insediamenti frazionali, dove la ricostruzione registra un pesante ritardo, hanno aumentato la loro marginalità e sempre di più gravitano intorno alle nuove centralità,  che si sono costituite intorno agli agglomerati industriali.
Si è molto amplificato il fenomeno della dispersione insediativa, accresciutasi con le  liberalizzazioni autorizzate nella fase dell’emergenza, in particolare la realizzazione di alloggi provvisori mono-familiari localizzati in aree fragili, se non addirittura vincolate (vincoli geomorfologici e paesaggistici) e comunque non edificabili.

L'armatura urbana di questo sistema insediativo era in parte incompleta (soprattutto per la viabilità di attraversamento e di penetrazione) e per molti servizi inadeguata anche in relazione alla notevolissima estensione del territorio comunale.
La riallocazione della popolazione nel post-sisma è quindi stata condizionata da alcuni fattori dovuti essenzialmente all’assenza di programmazione e pianificazione dei processi di ricostruzione, sia nella fase di emergenza (Protezione Civile) che in quella ordinaria (Comune – STM - Regione):
- la individuazione da parte del comune dei siti per gli alloggi provvisori permanenti (Progetto CASE, 5.000 alloggi - 19.000 ab.) prevalentemente su aree contermini agli insediamenti frazionali ma non coerenti con la loro dimensione demografica, cui si sono aggiunti i MAP ( per  circa altri  15.000 abitanti) e le scuole;
- lo spostamento spontaneo di una significativa parte della popolazione (circa 3.000 ab.) nei comuni di corona, alla ricerca di soluzioni abitative mono familiari come modello alternativo all'alloggio in condominio e la realizzazione di circa 3.000 alloggi in deroga a vincoli urbanistici e morfologico-ambientali realizzati grazie ad una delibera comunale, approvati come provvisori ma oggi difficilmente rimovibili;
- l’assenza di strategie e di indirizzi (pur formulati dalla STM, ma disattesi e addirittura contrastati dal Comune) sulle priorità della ricostruzione, che si è cosi svolta senza alcuna guida pubblica ma prevalentemente in relazione alla iniziativa privata;
- la marginalizzazione dei centri frazionali minori (ritardi ricostruzione, abbandono);
  - l’inaccettabile ritardo nella ricostruzione dell'Armatura urbana.
È stata quest'ultima inerzia a conferire al processo di ricostruzione i caratteri tipici dei processi “spontanei”, come del resto era prevedibile, anche a fronte della scarsa incidenza delle riflessioni disciplinari messe in atto.


La città che rinascerà è già oggi percepibile nella sua dimensione "espansa", meno nella sua "forma" urbana. Sarà una città molto diversa da quella pre-sisma.
A distanza di 10 anni dal sisma, non si sono ancora concretizzati in atti amministrativi i tentativi di dare una interpretazione urbanistica di una visione del futuro della città espressa dal suo "nuovo" corpo sociale.
I piani di ricostruzione (incerti tra essere strumenti di indirizzo urbanistico - non conformativi - e al contempo di programmazione territoriale) si sono rivelati del tutto inadeguati sia nella parte urbanistica che in quella di programmazione, spesso disinvoltamente disattesa (cronoprogramma dei piani di ricostruzione).
In questo quadro, sembra allora necessaria una più avanzata riflessione sul rapporto tra forma urbana e idea della città e se esso sia derivabile da un processo razionale e se sia possibile governarlo.
La forma urbana si riassume, in genere, nel progetto dell'armatura urbana (ricomprensiva delle reti verdi) e nella conformazione dei nuovi spazi pubblici come esito della mediazione spaziale di diritti patrimoniali.
Sono due aspetti di un unico problema.
Non si può, infatti, pensare ad un improbabile, anche se da qualcuno proposto, ridisegno della piazza "maggiore", quella che chiamiamo bonariamente "del Duomo", centro simbolico della convivenza delle tre anime della citta sin dalla sua fondazione, senza affrontare il tema dei suoi caratteri permanenti e del suo senso in una prospettiva più ampia, che comporta la definizione di una idea di quale citta sarà L'Aquila domani, tanto da legittimare un ridisegno della piazza che non può essere affidata alla eccentricità effimera di qualche archistar.
Entrano allora in gioco questioni che affrontano la ridistribuzione dei valori immobiliari dopo il sisma, le nuove economie, la concretizzazione o il trasferimento di nuovi valori simbolici, il rapporto conflittuale tra centro urbano e frazioni (delle quali gli Statuti stabilivano l'uso degli spazi del mercato).
Si devono allora valutare altri fattori: la decadenza di un modello prevalentemente urbano-centrico, una nuova valenza degli insediamenti che costituiscono la citta post-sisma inserita nei Telai territoriali dell'Italia Mediana, la necessaria costruzione di un sistema di alleanze nel corpo sociale e nel  territorio e con gli altri insediamenti regionali.
In questo complesso interagire di identità, di temi simbolici, di interessi dei nuovi attori sociali, che proprio dall'uso dello spazio intendono trovare una propria legittimazione, il piano trova una propria nuova ragione d'essere e quindi la ridefinizione della propria forma (normo-tecnica) e delle sue modalità di elaborazione.
Un processo circolare in cui il piano si rinnova in relazione alle accelerazioni che il contesto post-terremoto produce nella mutazione della Sfera Pubblica (modello di sviluppo - diritti - Istituzioni), mentre, al contempo, contribuisce ad orientare questa stessa mutazione .
Si attiva quello che viene definito un processo di Sperimentalismo democratico nel quale l’interazione con i fruitori (domanda) nella definizione degli spazi (offerta) avviene all'interno di un perimetro di regole "democratiche". Nel nostro contesto, il perimetro è necessariamente derivato da una dimensione propria delle politiche neocontrattuali, caratterizzata dalla condivisione di regole preesistenti alle prassi.


Urbanistica e nuovo capitale sociale

Ogni volta che avviene la distruzione di una città si pongono in movimento , in una reciproca contaminazione, tre potenti fattori reattivi

L’equilibrio di questi fattori incerto e di difficile governo determina il successo dell’azione pubblica nella ricostruzione.
Se si assume il punto di vista urbanistico, che ovviamente non esclude anzi è fortemente interagente con quello sociale e con quello economico, si deve tener conto, da un lato, della "incertezza" che è connessa alla natura previsiva del Piano, enfatizzata dalla frammentazione del corpo sociale, dall'altro, della "debolezza" della sua tradizionale natura regolativa; fattori che ne caratterizzano le due anime, costantemente in incerto equilibrio, e ancor più in un contesto di ricostruzione post-sisma. L'anima progettuale culturalista, nella accezione che di questo termine dà F. Choay, e quella normativo-regolativa, di cui si sono impossessati gli amministratori e i Tar enfatizzandone la deriva giuridico-legislativa.
L'accelerazione che gli eventi determinano nei processi di ricostruzione mette in tensione entrambe queste anime e spesso prevale la ragione dell'efficacia-efficienza affidata alle norme, ma non sempre con risultati coerenti ai fini, in quanto la dispersione del capitale sociale agisce in negativo, enfatizzando la dimensione regolativa astratta a scapito di quella progettuale, che dal capitale sociale trae la propria capacità proiettiva.
L'urbanistica e le altre discipline interessate al processo di ricostruzione generalmente non sono pronte a dare risposte alle componenti dell’accelerazione con essa interagenti, anche per una tendenziale ricerca di stabilità dei propri statuti disciplinari.
L'evento distruttivo viene d'altra parte interpretato dal corpo sociale che ne viene investito, come una occasione per rimettere in gioco potenzialità non espresse o comunque minoritarie nella società pre-evento ma emergenti, in quanto antagoniste rispetto ad essa e più legittimate, più facilmente  ricomponibili e aggregabili.
In questo senso, hanno anche un ruolo trainante ed enzimatico rispetto al resto del corpo sociale, soprattutto nella prima fase emergenziale. In particolare, la ricostruzione del capitale sociale appare la questione più complessa in relazione sia alla tendenza alla trasformazione indotta dalla innovazione, intesa come potenzialità di sviluppo, sia di contro al mantenimento degli assetti spaziali e con essi dei meccanismi di rendita comunque attivi e permanenti nel corpo sociale. Innovazione tecnologica, democrazia dei nuovi soggetti sociali, ridistribuzione delle rendite saranno allora gli elementi che condizioneranno la nuova forma urbana. Dov'era, come era non è pertanto uno slogan identitario ed una finalità dei restauratori, ma una precisa scelta di campo politica, cui si riferiscono  per motivi diversi sia i conservatori che le minoranze emergenti.

Urbanistica ed innovazione

L'innovazione viene interpretata prevalentemente in una logica di riconfigurazione degli assetti sociali e l’acquisizione della conoscenza ad essa connessa diviene il secondo terreno di confronto: conoscenza dei dati, conoscenza delle tecniche, conoscenza della procedure, ma anche il rapporto tra poteri di controllo e nuova tecnologia.
Alla "appropriazione" della conoscenza, più o meno legittima da parte dei soggetti pubblici, corrisponde in genere contro-condotte che riconfermano e indeboliscono i legami sociali (anche i nuovi), riconfigurando il corpo sociale in relazione alla conoscenza dell’innovazione, in un incerto rapporto con la cancellazione della memoria e con essa delle stratificazioni storiche e delle relative conoscenze.
La tecnologia, potenzialmente carica di positività - si pensi ad una trasformazione dei dati raccolti in un archivio storico operativo (realtà aumentata) e alla possibilità di simulazione dei nuovi spazi (realtà virtuale) -  non è stata utilizzata in termini diffusi e ordinari, nonostante le notevoli risorse economiche disponibili (USRA, Progetto Terra - GSSI - Università).
In parallelo, la tecnologia ITC sta innovando una rete 5G che trasformerà l'armatura urbana con effetti diretti sulla mobilità, sui servizi, sul lavoro, e rimette in gioco la concezione stessa di citta, di insediamento, di centralità.
Rispetto a questo sono stati avviati i primi studi interdisciplinari proprio relativamente ad Aquila ed al suo territorio.
La dimensione della conoscenza e la sua terzietà rispetto agli attori del processo è una condizione essenziale che si concretizza nella "adozione" di Un Quadro conoscitivo, certo e al contempo perfettibile da porre a base delle scelte.
Questo sistema di conoscenze, che una volta condiviso contribuisce alla definizione della stessa idea di citta, diviene il riferimento per valutare tutte le scelte localizzative. E' oggi disponibile in riferimento sia al lavoro svolto (ma perfettibile) per la elaborazione del nuovo PRG sia in riferimento all'intero S.I.T. costruito dalla regione per la formulazione del nuovo PRP.
Tutte le verifiche di compatibilità (sostenibilità) delle sperimentazioni possono essere fatte in relazione a questi sistemi delle conoscenze .
L'altra razionalità che presiede alla sperimentazione è quella delle verifiche di coerenza, una coerenza interna alle proposte (spesso tra loro concorrenti) e rispetto al nuovo assetto della armatura urbana e territoriale .
Anche in questo caso, esistono studi e ricerche che consentono alle Amministrazioni di costruire uno Schema di assetto generale: lo studio MIT - regione Abruzzo sul Territorio Snodo 2 e il quadro conoscitivo per il PUMS del comune dell'Aquila.
Le proposte progettuali, che i diversi soggetti che compongono un corpo sociale propongono nella ricerca di una nuova stabile dimensione, si confrontano, nella dimensione tipica delle politiche neo-utilitariste, in condizioni di concorrenza perfetta (bandi pubblici), attraverso una valutazione di evidenza pubblica (verifica di compatibilità rispetto a quadri conoscitivi condivisi e di coerenza rispetto ad uno schema di assetto dell'armatura urbana e territoriale).
Nel tentativo di superare i limiti propri del modello urbano-centrico che lo stesso terremoto ha messo in crisi, e che sono parte essenziale delle recenti politiche di contenuto territoriale (SNAI) di ispirazione europea, si è sperimentata la realizzazione nei territori dell'abbandono, che investono gran parte dei territori dei sisma dell'Aquila e dell'Italia centrale, di un progetto denominato "Contratto di rete - Peltuinum" che, con approccio diverso rispetto a quelli della SNAI, ad esso si integra.

La sperimentazione, da sempre insita nel fare piani, comporta una continua “falsificazione” del modello prevalente ma anche una “forzatura” del blocco giuridico basato sulla “forma” del piano. Questa attività di sperimentazione ha caratterizzato in particolare gli ultimi decenni in forme tentative che hanno interessato prevalentemente tre dimensioni: quella legislativa, quella del progetto (urbanistico e territoriale) e quella degli interventi straordinari a seguito di emergenze
D’altro verso, la tendenza ad individuare ed a estrarre modelli concettuali replicabili (la costruzione tentativa di uno statuto) non giova ad una sedimentazione delle diverse prassi di sperimentazione e tende viceversa a riportare ad una formula unitaria ed ad una razionalità prevalente processi, il cui significato e valore sono fortemente legati alla specificità locale e temporale e da questa specificità traggono valore e senso
Il terremoto dell’’Aquila (2009), quello del centro Italia (2016-17), il ponte Morandi (2018       ), i programmi complessi  ed i patti territoriali (1995-2000), le numerose leggi di “semplificazione” sono tutti eventi che hanno inciso significativamente  sulla evoluzione delle prassi di governo del territorio, ma altresì sono caratterizzati da specificità del tutto prevalenti nella loro definizione, che ne rendono significativi gli esiti.
Non è pertanto dalla loro sommatoria ma solo da una loro analisi  critica (cosa ha funzionato, cosa no) che può derivare  una soluzione deduttiva – sia essa tecnocratica centralistica o localistica - dell’impianto di governo del territorio
D’altro canto, in molte delle sperimentazioni citate, alcune delle quali ancora in corso, proprio la natura unitaria e prioritaria della razionalità urbanistica e pianificatoria è stata messa in discussione sia in termini di prevalenza che in termini di utilità
Le prassi di sperimentazione, che spesso si sono messe in atto proprio in una logica di superamento della “forma piano” bloccata nella sua definizione giuridica complessa e gerarchica, hanno del resto operato in una logica destrutturante e comunque indifferente alla costruzione di un modello alternativo, ma simmetrico a quello esistente nella sua onnicomprensività.
Questo in apparenza ha prodotto la crisi della pianificazione o perlomeno di quella di tradizione, e ha nel contempo posto le condizioni per sperimentare nuove prassi. In esse, alcuni temi hanno assunto nuova importanza, proponendo un canovaccio di riferimento per nuove forme di pianificazione molto diversificate, non  riconducibili ai modelli e tanto meno ai protocolli giuridici che avevano finito per assorbire nella loro processualità tutto il senso del piano.
Il paesaggio e l’ambiente hanno posto, al di là della ambigua querelle  sulla dimensione amministrativa ottimale, il tema della congruità degli elementi correlati alle scelte del piano.
La “forza del contesto”, per parafrasare A. Carandini, è uno degli elementi essenziali per costruire progetti di sviluppo coerenti e compatibili.
Contesti, e soprattutto forme di conoscenza dei contesti declinate in termini di condivisione, di interoperabilità, di terzietà rispetto ai decisori, hanno assunto un rilievo per tutte le prassi di sperimentazione.
Tutte le forme di valutazione normate in riferimento alle direttive europee presuppongono inoltre l’esistenza di quadri conoscitivi (Report) come forme giustificative delle scelte.
L’abbandono di una urbanistica di contenuto essenzialmente regolativo, e in tal senso dirigistica, ha d’altro canto riaperto l’attenzione per le componenti progettuali e previsive, la cui “legittimazione” è necessariamente connessa al loro rapporto con la conoscenza. Un ritorno ad una urbanistica cognitivo-progettuale, nella tradizione “quaroniana” del progetto e al contempo “astenghiana” della conoscenza, enfatizzata dalla potenzialità enorme del controllo - gestione degli open-data territoriali consentita oggi dalle Piattaforme digitali.