Strategie, apprendere dall’esperienza

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Ricostruzioni urbane Strategie dello sviluppo locale tra innovazioni e semplificazioni
Francesco Alberti

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Parole chiave: piani strategici, piani di ricostruzione, coesione sociale, sviluppo locali, rigenerazione urbana

Key-words: strategic plans, reconstruction plans, social cohesion, local development, urban regeneration




Abstract
Il processo di ricostruzione in atto sugli immobili pubblici e privati affronta il tema dell’identità e della rivitalizzazione dei territori colpiti: una fase complessa in cui oltre a ripristinare le condizioni di vita e di lavoro preesistenti, si pongono le basi per un rafforzamento del ruolo dei centri e per il futuro delle comunità insediate. La ricostruzione assume pertanto una valenza strategica, dovendo individuare le opportunità per la rigenerazione dei centri storici, per farli rivivere di una vita nuova, in parte diversa da prima. Non si tratta soltanto di promuovere il recupero edilizio e la ricostruzione della scena urbana: ai tradizionali strumenti del progetto edilizio e del restauro dei luoghi storici dobbiamo sommare la capacità di immaginare nuove linee di indirizzo per la ripartenza economica e sociale; dobbiamo promuovere azioni ed iniziative anche immateriali in grado di accompagnare la rinascita dei centri, la ripresa delle attività economiche, la riqualificazione delle funzioni urbane e degli spazi della socialità.




Processi strategici di ricostruzione

Negli anni recenti diverse linee di ricerca sul tema del rischio sismico, sviluppate nell’ambito delle diverse discipline o scaturite dal dibattito pubblico, hanno evidenziato la necessità di rafforzare il legame tra previsione e gestione dell’emergenza, scelte di ricostruzione, e azioni di prevenzione (Russo, Attademo 2020). In particolare, già dal sisma del 1997 in Umbria e Marche, ma con maggiore forza in occasione del terremoto dell’Abruzzo del 2009 e dell’Emilia Romagna del 2012, la discussione sulle conseguenze del sisma e sulle azioni di ricostruzione, particolarmente critiche nel caso dell’Aquila, si è incentrato su due aspetti principali. Da un lato, il rapporto tra conoscenze specialistiche necessarie per la previsione e prevenzione; dall’altro, la relazione tra gestione dell’emergenza e possibilità di ripresa. Il terremoto de L’Aquila del 6 aprile 2009, oltre ai pesantissimi danneggiamenti al patrimonio abitativo e storico, ha messo in evidenza ancora una volta le conseguenze del sisma in termini di perdita di funzionalità di un intero sistema urbano; ha mostrato inoltre i limiti di scelte di ricostruzione indifferenti alle necessità di assicurare la ripresa delle funzioni e dei valori urbani, intesi nel loro complesso, fortemente messi in crisi dal sisma. Allo stesso modo gli eventi sismici in Emilia Romagna del maggio - giugno 2012, oltre a confermare la necessità di conoscenze più approfondite sulla pericolosità di base e sulle condizioni geologiche locali, hanno evidenziato la vulnerabilità del patrimonio culturale, del costruito storico e dei sistemi produttivi locali, il loro peso sulle criticità degli insediamenti - in fase di emergenza - e sulle possibilità di ripresa, rafforzando la consapevolezza della necessità di stabilire azioni di prevenzione adeguate. In tutti e due i casi, seppure con accenti diversi, il ruolo attribuito alla pianificazione urbanistica e territoriale è andato crescendo (Ave, 2020). Sia come processo al cui interno ricomporre conoscenze diverse da portare a sintesi, sia come ambito in cui definire scelte necessarie per accrescere la resistenza degli insediamenti urbani agli eventi sismici e per connettere azioni di prevenzione e politiche di sviluppo territoriale, evidenziando la necessità di ricorrere a piani strategici di sviluppo locale, oltre che ai piani urbanistici tradizionali.


Emilia 2012: innovazioni

L’impianto normativo che ha fatto seguito al processo di ricostruzione post sisma 2012 in Emilia Romagna ha inteso fin da subito promuovere il ripristino delle condizioni di “normalità” dei centri colpiti, non solo attraverso la riparazione dei fabbricati danneggiati e il miglioramento sismico ma anche con l’innalzamento della qualità urbana e con il rafforzamento dell’identità dei territori anche attraverso la qualificazione dello spazio pubblico. Nell’arco del 2013-2015 sono stati messi a punto alcuni strumenti specifici per raggiungere i risultati prefissati e per determinare un disegno complessivo delle trasformazioni. Il primo, il Piano Organico (ordinanza n. 33/2014), permette a scala comunale la ricomposizione in chiave strategica e di lungo periodo delle operazioni; il secondo, il Programma Speciale d’area (delibera di Giunta RER 1094/2014) promuove e coordina, attraverso la programmazione negoziata di cui alla L.R. n. 30/96, le risorse regionali disponibili su leggi di settore (LR. n. 19/98, LR. n. 16/02 e LR. n. 41/97) destinate all’attuazione dei piani organici comunali a scala di area vasta, valorizzando la cooperazione degli attori pubblici e privati e la gestione integrata delle azioni individuate (Calafati, 2015).
Il Piano organico è definito dall’art. 1 dell’ordinanza n.33/2014 come il “documento di carattere programmatico-operativo che, sulla base delle risorse effettivamente disponibili, delinea la strategia generale e definisce l’insieme sistematico delle attività, degli interventi, dei progetti e dei programmi compatibili e coerenti con le previsioni del piano della ricostruzione che il Comune. D’intesa anche con altri soggetti pubblici e privati, il Piano organico intende promuovere una ricostruzione di qualità, rivolta prioritariamente al centro storico, da integrare con iniziative ed interventi volti alla rigenerazione degli ambiti urbani e degli spazi pubblici e privati, alla rivitalizzazione delle funzioni economiche, sociali ed amministrative ed all’aumento dei residenti”.
Il grado di complessità e le tematiche affrontate dai ventotto Piani organici – per i Comuni che avendo adottato il piano della ricostruzione, avrebbero potuto utilizzare lo strumento - risultano piuttosto eterogenei. Rispetto a quanto richiamato dal comma 4 dell’art. 1 dell’ord. 33, traspaiono significative differenze nell’articolazione dei progetti strategici delineati e nella definizione delle correlazioni tra trasformazioni pubblico/privato (Clementi, Di Venosa 2015).
Da una parte alcuni Piani organici indicano ambiti di azione anche molto complessi ed individuano una serie di interventi prioritari, lasciando più indeterminate le parti riferite alle proposte puntuali, alla definizione del cronoprogramma e degli strumenti finanziari necessari per il completamento della strategia complessiva; dall’altra parte, vi sono piani che descrivono, anche in maniera dettagliata, oggetti puntuali di intervento, specificando quelli che le amministrazioni intendono candidare al Programma Speciale d’area. Ma in genere si tralascia di individuare, se non sommariamente, la strategia complessiva che dovrebbe sorreggere l’impianto del Piano organico.
In generale, nei Piani organici sembra prevalere l’urgenza di ricostruire l’identità dei territori attraverso interventi generatori di nuovi valori e funzioni urbane, in grado di promuovere qualità e  ruolo attrattivo per i singoli territori. Le trasformazioni previste tendono a ripartire dai centri capoluoghi per ripensare una nuova struttura urbana in grado di superare le maggiori criticità in particolare attraverso il miglioramento del sistema di accessibilità - dalla progettazione di spazi pubblici di relazione, alla nuova viabilità e alla mobilità “lenta” ciclo-pedonale - la qualificazione dei servizi, la predisposizione di nuovi spazi pubblici connessi al rifacimento dei sottoservizi e a servizi smart, e infine la riorganizzazione delle attività economiche.
Questa visione tendenzialmente strategica (Carta, 2019), partendo dai centri capoluoghi si apre anche ai territori limitrofi mettendo in relazione i centri urbani con le potenzialità del territorio comunale nel suo complesso, in riferimento al patrimonio storico ed ambientale, ma anche alla localizzazione strategica di alcuni comuni rispetto all’area cispadana.
Gli effetti prodotti dalla riparazione o ricostruzione degli edifici pubblici e dei beni culturali definiti nelle strategie generali dei Piani organici ed il loro valore strategico non sempre sono messi in relazione, almeno temporalmente, con le opere complessive di riqualificazione e rigenerazione degli spazi urbani descritte negli stessi piani, lasciando trapelare, a volte, una debolezza dei meccanismi sinergici e di complementarietà delle operazioni messe in campo e la inadeguatezza degli strumenti a disposizione delle amministrazioni (Clementi, 2016).
Il Programma Speciale d’area, invece, è individuato come uno strumento regionale in grado di orientare il processo di ricostruzione, secondo principi di coesione sociale e sostenibilità ambientale, partendo dall’assunto che tali obiettivi sono raggiungibili attraverso il coordinamento delle iniziative e l’integrazione fra gli enti locali. Questo strumento ha permesso di valorizzare, all’interno degli interventi proposti dai Piani Organici quelli che, per peculiarità economiche, sociali, culturali ed ambientali, potrebbero diventare più rilevanti a scala di area vasta.
Si è riconosciuto prioritariamente ai centri storici, luoghi per eccellenza di testimonianza della storia e della identità, il ruolo strategico nella ricostruzione. Coerentemente con tale premessa si è inteso favorire in particolare quelli maggiormente colpiti dagli effetti del sisma, ovvero i comuni nei quali sono state perimetrate le cosiddette “zone rosse”.
In generale più sviluppati appaiono i coinvolgimenti di altri soggetti, pubblici e privati, nella realizzazione degli interventi individuati dal Piano. Nei Comuni di Carpi, Mirabello (Terre del Reno), Novi di Modena, Reggiolo e San Possidonio, tale coinvolgimento si è tradotto in importanti contributi finanziari da parte di soggetti privati alla realizzazione degli interventi quantificati nel Piano, valorizzando così “l’effetto moltiplicatore” nel processo di rigenerazione e rivitalizzazione dei centri urbani (Rer, 2015).
Gli obiettivi ambiziosi messi in gioco dalla ricostruzione, quali il ripensamento del senso di identità delle comunità colpite e il rafforzamento del senso di riappropriazione dei luoghi da parte dei cittadini, hanno richiesto processi di ascolto e di condivisione allargati a più soggetti. Per gestire la complessità e la delicatezza di questi temi, la metà dei Piani organici - otto dei quali nei comuni prioritari con zone rosse di Carpi, Concordia sul Secchia, Crevalcore, Finale Emilia, Novi di Modena, Reggiolo, San Felice sul Panaro, Sant’Agostino (Terre del Reno), San Possidonio, e tra gli altri, i comuni di Nonantola, Soliera e Vigarano Mainarda - si sono avvalsi fin da subito di “processi di partecipazione” (L.R. 15/2008) con il coinvolgimento delle diverse componenti sociali ed economiche delle comunità locali. Questi processi si sono rivelati determinanti non solo per dare seguito alle ricostruzioni post sisma, ma anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana “dal basso” utili a contrastare fenomeni in atto come la desertificazione commerciale e la perdita di coesione sociale degli interi territori.

 

Centro Italia 2016: semplificazioni

La ricostruzione che segue un evento calamitoso, soprattutto come quello disastroso nel Centro Italia del 24 agosto 2016, può essere analizzata attraverso un insieme di chiavi di lettura, a volte anche dissonanti tra loro.  In particolare va tenuto presente che le modalità d’uso del territorio nel marchigiano hanno subito in epoca recente veloci e sostanziali modificazioni. Parallelamente a questi cambiamenti sono emerse nel panorama disciplinare nuove capacità di lettura dei fenomeni territoriali che, al di là degli effettivi impatti sul territorio, consentono di disporre di metodi e strumenti di intervento più attenti al contesto. Soprattutto nel caso dei centri abitati del territorio marchigiano l’analisi critica dei sistemi insediativi consente di individuare interventi di trasformazione sostenibile, come nel caso degli interventi che introducono sostanziali modifiche in parti degradate del tessuto urbano. In questo senso il tema della demolizione di parti scarsamente significative ed alterate, a seguito del sisma del 2016 e non solo, può diventare occasione per ricomporre una qualità insediativa di ambienti urbani spesso oggetto di profonde alterazioni morfologiche e funzionali. L’organizzazione dello spazio fisico come momento centrale del piano è uno dei temi che meglio caratterizza la ricerca e l’attività progettuale urbanistica richiesta.
All’attenzione verso la città principiali si affianca l’interesse per le specificità dei centri storici minori. Dalla conoscenza dettagliata dei tessuti urbani di questi centri scaturiscono le indicazioni operative per l’intervento su un patrimonio edilizio di estrema fragilità, la cui natura rende spesso poco realistica la proposizione delle categorie di intervento del restauro consapevole o del ripristino tipologico. E’ un interesse che si ricollega alle esperienze di ricerca recenti di pianificazione di centri storici post sisma - dai progetti urbani sostenibili per i comuni del cratere emiliano del sisma 2012 fino al Programma UE “Holistic Project - Seismic and Wildfire Risk” 2016 (Adriatic IPA - Cross Border Cooperation 2007-2013) per la città di Ferrara - che hanno proposto metodologie innovative flessibili e incrementali per affrontare il recupero dei tessuti storici più interessanti.
La crescita continua della dimensione del rischio nel nostro tempo induce una percezione sempre più diffusa d’insicurezza, che si riflette nelle vite di quanti abitano, usano e producono territorio. Peraltro la nozione di rischio racchiude una molteplicità di valenze, che investono tra l’altro l’aleatorietà dei processi climatici, ambientali e sismici e dunque delle calamità naturali come terremoti, inondazioni, incendi e frane ma, anche degli inquinamenti e delle contaminazioni ambientali, e più in generale di una varietà di processi critici di mutamento territoriale indotti dalle dinamiche sociali, economiche e spaziali. Tutti questi processi mettono in dubbio l’affidabilità dei complessi sistemi tecnologici da cui dipende il funzionamento delle aree urbane e degli impianti produttivi.
La pianificazione territoriale e quella urbanistica sono da tempo sollecitate alla ricerca di nuovi paradigmi disciplinari e di inedite pratiche d’azione. I pianificatori, infatti, sono chiamati a cogliere la realtà al suo stato potenziale, per elaborare tempestivamente le strategie più appropriate rispetto agli obiettivi assunti per lo sviluppo; i quali come è noto sono diventati negli ultimi tempi - per le città italiane come per quelle europee - la sostenibilità ambientale, la coesione sociale, l’innovazione economica, culturale e tecnologica, e soprattutto la messa in sicurezza delle strutture esistenti, per ridurre significativamente gli effetti di possibili eventi traumatici originati da processi naturali o antropici. In questa prospettiva, la pianificazione del territorio e la progettazione urbanistica, per assorbire consapevolmente la dimensione intrinseca del rischio, dovrebbero tendere ad accentuare la loro flessibilità adattiva e configurarsi sempre più come insieme di pratiche relazionali, d’intermediazione tra molteplici processi aleatori di mutamento dello spazio. Dovrebbero in altri termini ispirarsi in misura crescente a principi di flessibilità, processualità e strategicità, piuttosto che all’affermazione di sistemi di regolazione sovraordinati e deterministici, irrigiditi per di più da strumentazioni di piano a elevata inerzia temporale, come continuano a essere i piani territoriali ai diversi livelli, regionali, di area vasta e comunali.
Al tempo stesso, fatti salvi i necessari principi di precauzione e di responsabilità, e imposti i relativi vincoli di tutela da esercitare tassativamente, l’urbanistica e la pianificazione del territorio dovrebbero fungere da denominatore comuneper la convergenza flessibile di una molteplicità di strategie di sviluppo territorializzate, espressione a loro volta di una governance multilivello che si adatta elasticamente e dinamicamente alla specificità dei contesti d’azione, riconoscendo in ogni caso nel territorio la chiave di volta dello sviluppo (Sargolini, Pierantoni, Polci, Stimilli, 2022). L’applicazione al cratere del sisma marchigiano ha rappresentato un interessante banco di prova per sperimentare le possibili innovazioni delle politiche urbane, con particolare riferimento al “ruolo “strategico del nuovo PSR” come previsto dalle Linee Guida dell’Ordinanza n.107 del 22/9/2020 del Commissario Straordinario Ricostruzione per l’attuazione dei “Programmi Straordinari di Ricostruzione” (PSR) previsti dal D.Lgs. 123/2019 del 24/10/19 “Disposizioni urgenti per l'accelerazione e il completamento delle ricostruzioni in corso nei territori colpiti da eventi sismici”. 
ll “nuovo” PSR, come rivisto e innovato dall’ordinanza, avrà il compito di riassumere in un unico strumento ruoli e scopi degli strumenti precedenti, assumendo la fisionomia dello strumento a valenza strategica capace di garantire la visione d’insieme del processo di ricostruzione, e allo stesso tempo capace di rendere immediatamente eseguibili tutti quegli interventi che possono appoggiare la loro attuabilità su riferimenti normativi preesistenti e sovraordinati, rimandando a specifiche procedure tutte quelle altre azioni che necessitano di iter procedurali articolati e complessi. Questo significa che il rinnovato PSR potrà veicolare tutti quegli interventi che favoriscano la qualità architettonica degli interventi conformi agli edifici preesistenti; fornire indicazioni operative per gli interventi difformi, ovvero per la parte eccedente le variazioni ammesse dalle regole di definizione della conformità; indicare criteri generali per gli interventi di ridisegno urbano e di definizione della componente pubblica della ricostruzione; e infine individuare le linee strategiche di contesto per gli interventi di delocalizzazione, con indicazione delle procedure necessarie per attribuire validità urbanistica alle previsioni.
Gli strumenti di governo del territorio vigenti restituiscono in effetti un quadro completo sia dell’uso previsto dello spazio fisico, sia delle gerarchie di importanza dei suoi usi e infine della programmazione temporale di massima dell’attuazione dello strumento stesso. A partire da questo quadro è possibile allora individuare le funzioni e i luoghi che devono essere oggetto prioritario di azioni di tutela e difesa dall’evento sismico. Ciò soprattutto perché la prevenzione del rischio non può essere considerata una politica settoriale, ma deve pervadere l’intera struttura dello strumento di governo del territorio.


Verso piani di ricostruzione di valenza strategica

A seguito degli eventi sismici, ciò che emerge con maggiore evidenza - superata la fase di ritorno alla normalità - è la necessità di posizionare il territorio del sisma nelle traiettorie di sviluppo compatibili con il passato, offrendo un ruolo trainante nell’economia regionale attraverso la messa  a sistema degli interventi per la ricostruzione. Interventi che richiederanno nelle fasi successive un ulteriore approfondimento, per mettere maggiormente in luce gli aspetti e le tecnologie innovative da applicare, e per valorizzare quegli effetti sul sistema economico locale e sulla qualità della vita delle persone, che nel loro insieme definiscono il “ruolo strategico di un territorio”, come cerniera, passaggio e connessione. Un simile ruolo  potrà essere rafforzato da un sistema infrastrutturale fortemente interconnesso, al fine di riposizionarsi competitivamente in un sistema di relazioni più ampie di quelle a scala locale, grazie anche alla realizzazione di nuove reti infrastrutturali e agli investimenti sulle attività produttive dei distretti territoriali (Balducci, Chiffi, Curci 2020).
La ricostruzione può essere vista insomma come una opportunità di rigenerazione urbana, nel senso più completo e complessivo del termine. Si potrebbe affermare che le prospettive che la pianificazione affida alle pratiche di rigenerazione trovano nei territori colpiti dal sisma un ambito di intervento prioritario e un terreno di sperimentazione e innovazione.
In questi processi, il centro storico non è solamente un’”ambito storico”; è al tempo stesso una parte di territorio da restituire ai processi produttivi e riproduttivi dei suoi abitanti. L’idea stessa della rigenerazione sottende la consapevolezza di dover innescare un processo di recupero intervenendo sulla base economica e sul sistema sociale locale (Marini, 2009). La risposta sociale, economica e culturale della città insieme alla qualità dello spazio urbano costituisce in effetti la cornice concettuale rispetto a cui inquadrare un percorso condiviso di ricostruzione. Le necessità della ricostruzione fisica si sovrappongono allora agli obiettivi della rigenerazione identitaria, per la quale gli strumenti tradizionali del progetto edilizio ed urbano dovranno essere affiancati da “azioni programmatiche di valenza strategica” pensate in una cornice unitaria e corroborate da un percorso di forte condivisione con le comunità insediate.
Il tema della rigenerazione riguarda l’intero scenario urbano, gli edifici privati, l’edilizia monumentale, gli spazi pubblici: è il terreno su cui si misura la possibilità di convogliare i diversi interventi verso obiettivi di miglioramento complessivo della qualità urbana e su cui sperimentare una corretta sinergia tra gli interventi privati con le opere pubbliche. In pratica si tratta di progetti urbani complessi, che garantiscono una migliore efficacia della trasformazione e producono nuovi assetti urbani integrati e dotati di spazi pubblici di qualità. In questi luoghi si realizza la coesione sociale e la sicurezza urbana grazie ad una coerente interazione tra le diverse componenti della città, dalla casa alla scuola, dal commercio alle attività sociali e culturali, dal verde alle infrastrutture della mobilità.
Il territorio post sisma va considerato in definitiva come un territorio in trasformazione, in cui al recupero dei luoghi identitari si affiancano esigenze di rilocalizzazione di funzioni, di nuove polarità urbane, di connessioni e spazi pubblici finalizzate alla rinascita dei centri urbani e rurali, per la piena ripresa delle attività produttive, commerciali e dei servizi.
E’ necessario allora utilizzare tutti gli strumenti disponibili per favorire l’iniziativa dei soggetti privati, cercando forme di partnership e incentivando la rigenerazione del patrimonio edilizio esistente. La ricostruzione deve così diventare il prodotto di sforzi convergenti, all’interno di un quadro normativo uniforme, fondamentale per garantire certezza, stabilità e velocità alle procedure e alle attività di ricostruzione. Invece il quadro giuridico che attualmente le governa è ancora troppo disomogeneo e frammentato, ciascuna delle ricostruzioni attualmente in corso ha regole differenti, determinando diseconomie ed evidenti disparità di trattamento tra cittadini e territori colpiti da queste catastrofi. Con la introduzione di un adeguato “Codice della Ricostruzione” si potrà puntare alla creazione di un modello unico per le ricostruzioni, mettendo a frutto le migliori esperienze attuali e passate grazie anche al contributo della ricerca universitaria. Per la gestione dei processi si dovrà inoltre ricorrere a sistemi di governance multilivello, con il coinvolgimento del governo centrale, delle Regioni e degli Enti Locali, prevedendo in particolare un’apposita struttura presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, dotata di professionalità sperimentate sul campo, cui affidare il coordinamento e la gestione degli interventi insieme agli uffici regionali al fine di attuare gli interventi in modo consapevole e coerente.




Riferimenti bibliografici

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Russo M., Attademo A. (2020), Il metabolismo del rischio, in Galderisi A., Di Venosa M., Fera G. Menoni S. (a cura di) “Geografie del rischio. Nuovi paradigmi per il governo del territorio, Donzelli, Roma

Ave G. (2020), Città e interesse pubblico. Analisi e proposte per le città italiane 1989-2020, Gangemi, Roma

Balducci A., Chiffi D., Curci F. (2020), Risk and Resilience. Socio-Spatial and Environmental Challenges, Springer Nature, Switzerland

Carta M. (2019), Futuro. Politiche per un diverso presente, Rubbettino, Soveria Mannelli

Clementi A. (2016), Resilienza urbana e intervento sugli edifici strategici, in “Pianificazione Strategica, Vulnerabilità urbana e analisi sugli edifici strategici”, Maggioli, Rimini

Calafati A. (2015), Città fra sviluppo e declino, Donzelli, Roma

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