EDITORIALE. Dopo il terremoto. Strategie per la ricostruzione

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I terremoti tra indirizzi strategici e proposte strutturali
Gaetano FontanaPDF




Ormai da molto tempo, e da più parti, che con sempre maggiore apprensione si evidenzia come a ogni nuova catastrofe l’Italia, nonostante un elevatissimo grado di rischio sismico presente sull’intero territorio nazionale (forse la più importante e gravosa fattispecie di “rischio nazionale”),  si presenti come se fosse all’anno zero, non essendo accaduto nulla negli anni passati. Si ricomincia di nuovo e sempre daccapo.
Secondo l’interpretazione di uno dei più importanti teorici della SEM (Scala delle intensità delle emergenze di massa)1, che suddivide una catastrofe in tre momenti fondamentali, l’assoluta carenza cui abbiamo appena fatto cenno riguarda l’ultimo dei tre, quello della prevenzione terziaria relativa all’avvio, dopo l’evento catastrofico, del ripristino e della ricostruzione dei sistemi urbani danneggiati.2 Solo da qualche anno si sta tentando di dare risposte al primo dei momenti prima indicati, la prevenzione primaria che caratterizza il periodo che precede l’evento, nel corso del quale l’attenzione generale dovrebbe essere posta alle analisi di vulnerabilità degli edifici (e dei territori) e agli interventi conseguenti per garantirne il consolidamento.3 
Il primo intervento legislativo a favore della prevenzione primaria  è l’art. 16-bis, co.1, del D.P.R. n.917 del 1986, che riconosce una detrazione d’imposta del 36% in caso di adozione di misure antisismiche con particolare riguardo all'esecuzione di opere per la messa in sicurezza statica, in particolare sulle parti strutturali degli edifici. Sulla stessa linea si muove l’art.1 della legge 449 del 1997 (la legge finanziaria per il 1998 che ha dato inizio alla stagione dello “sconto fiscale” che dura tuttora). E’ infine con la legge di stabilità per il 2017 (lg. 232/2016) che con il c.d. “sisma bonus” viene dato un forte segnale in favore di un efficace piano di promozione per la valutazione e prevenzione nazionale del rischio sismico degli edifici.4
Il maggiore e più denso impegno che ha visto il sommarsi di più iniziative è stato invece rivolto al secondo dei momenti, quello che si svolge nel corso dell’evento, la prevenzione secondaria, ovvero quando viene prestato il soccorso.5 Oltre le organizzazioni solidaristiche e di volontariato nate per portare aiuto in caso di emergenza presenti in Italia dai tempi antichi, o la legge n. 473 del 1925 che individuava nel Genio Civile del Ministero dei lavori pubblici il braccio operativo per gli interventi di soccorso, la prima legge sugli interventi di protezione civile è la n.996 del dicembre 1970. Bisognerà però attendere oltre 10 anni e subire il devastante terremoto dell’Irpinia del 1980, per vedere approvato il DPR n. 66 del 16 marzo 1981 che dà esecuzione alla legge e poi a seguire la nascita nel 1982 del Dipartimento della Protezione civile nell’ambito della Presidenza del Consiglio.
Alla costante crescita e consolidamento di una cultura dell’emergenza, all’impegno e alla capacità dell’intervento immediato, apprezzato in tutto il mondo e oggetto anche di numerosi tentativi di omologarne l’efficienza organizzativa e l’efficacia dei risultati di volta in volta raggiunti, fa riscontro la totale assenza di una politica nazionale della ricostruzione post sisma. 
Ideazione di sempre nuove strutture decisionali (anche con marcate differenze circa i poteri loro assegnati); criteri e modalità d’intervento decisi caso per caso; elaborazione di molteplici e diversificati apparati legislativi, con conseguente stratificazione di norme e conseguente difficoltà applicative; trattamenti diversi di chi è stato colpito dalla calamità con incremento delle diseguaglianze sociali ed economiche, e via di questo passo, sono gli elementi che nel tempo hanno caratterizzato in Italia qualunque processo di ricostruzione di un territorio e di una comunità colpiti da un evento catastrofico.  
Non è che non vi siano stati tentativi di proposizione di quadri unitari, anche con innesti in corso d’opera, costituiti da proposte, esperienze, soluzioni sperimentate in occasione di accadimenti catastrofici; ma mai questi “prodotti” sono riusciti a sganciarsi dall’evento che li aveva generati e a costituire non dico modelli replicabili, ma neanche esperienze da tenere nel dovuto conto, nel rispetto di qualunque processo di apprendimento. Fermi restando, naturalmente, i dovuti adattamenti alle ovvie differenze che caratterizzano ogni contesto sociale, economico e territoriale che, sfortunatamente e tragicamente, dovesse essere colpito.    
Anche il terremoto di L’Aquila del 2009, per il quale il sistema di governo della ricostruzione fu elaborato, si può dire, a tavolino, non è stato giudicato meritevole di attenzione per trarne suggerimenti e utili indicazioni da trasformare in procedure replicabili; anzi è stato trascurato, forse eccessivamente (probabilmente anche a causa della forza comunicativa che lo aveva imposto all’attenzione generale, grazie alle innumerevoli visite del Presidente del Consiglio ai luoghi del disastro).
Riconoscimenti ufficiali, no! Ma alcune iniziative e attività intraprese in quell’occasione sembrano aver destato in questi mesi, anche se in maniera indiretta, una qualche attenzione.
Lo scorso agosto è stata presentata alla Camera dei Deputati una proposta di legge d’iniziativa di deputati del PD (A.C. n.3260),  di “Delega al Governo per l’adozione di un codice degli interventi di ricostruzione nei territori colpiti da eventi emergenziali di rilievo nazionale”.6
Qualche mese dopo, il 21 gennaio 2022, un disegno di legge, “Delega al Governo per l’adozione del Codice della ricostruzione”, promosso dal dipartimento Casa  Italia, dal dipartimento della protezione Civile e dal Commissario Sisma 2016, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri.
Nelle note che seguono mi sono proposto di estrapolare alcuni elementi dall'esperienza della ricostruzione dopo il sisma del 2009 che ha colpito l'Abruzzo, e confrontarli con quanto prevedono le due ipotesi legislative, per verificarne il grado di attendibilità e utilizzabilità.  
Opportunamente adattati, quegli elementi potrebbero a mio parere essere utili da ricordare per interventi sulle calamità naturali in cui si voglia prendere atto dell'emergenza ma non si voglia rinunciare a programmare il futuro delle popolazioni colpite.

 

Il sisma del 2009
Alle 3,32 del 6 Aprile del 2009 un evento sismico di particolare intensità7 ha colpito la città di L’Aquila e altre decine di comuni abruzzesi e dell’Italia centrale.
La serie di eventi sismici, culminata nella scossa distruttiva del 6 Aprile, è iniziata nel dicembre del 2008, con epicentri localizzati nel territorio di L’Aquila e, di minore intensità, nella bassa valle dell’Aterno e nei Monti della Laga e nel resto della provincia. Il bilancio è stato pesantissimo, 309 vittime e più di 1600  feriti. L’Abruzzo è stata  la regione più colpita, ma danni ed effetti negativi si sono manifestati anche nel Lazio e, in misura minore, nelle Marche.
L’epicentro è stato localizzato a circa 4 km dal centro del capoluogo abruzzese, in prossimità della frazione di Roio Colle. L’intero centro storico della città e gran parte della periferia e delle aree industriali si sono trovate sulla parte di faglia che ha dato origine all’evento principale estesa per circa 40 km2, ai cui bordi sono stati misurati spostamenti di alcune decine di centimetri.
La violenza inaudita del terremoto ha spinto  tutta la popolazione interessata a riversarsi in strada, migliaia di cittadini si aggiravano fra le macerie intontiti e ricoperti di polvere, le grida si rincorrevano nel tentativo, spesso inutile, di ritrovarsi.

I luoghi colpiti dal sisma
L’area colpita coincide con gran parte dell’Abruzzo interno, 57 i comuni pesantemente danneggiati (L’Aquila e 56 comuni minori, il “cratere sismico”), più di 100 gli altri comuni che hanno riportato danni. Con l’eccezione di L’Aquila e Sulmona (al confine del cratere), il restante territorio è caratterizzato da piccoli borghi, con non più di 4-500 abitanti, un nucleo storico (anche di notevole pregio storico-architettonico e di elevato interesse paesaggistico), una o più zone di espansione (avviate negli ultimi decenni, spesso solo indicate sulle carte e prive di edifici o di abitanti) e una condizione di progressivo spopolamento, che si è andata accentuando dagli anni ’80 del secolo scorso.
L’Aquila, al centro del disastro, è circondata da numerosi nuclei urbani antichi e con un lungo passato alle spalle (i nuclei di Amiternum e Forcona, abbandonati da molti secoli e ritenuti all’origine stessa della città, hanno origini Sabino-Vestine).
Dalla fondazione in poi (nell’anno 1254), i lunghi periodi di crescita della città sono stati interrotti dai violenti eventi sismici del 1461 e del 1703, che hanno distrutto o pesantemente danneggiato gran parte del tessuto urbano, ogni volta ricostruito conservando l’impianto urbanistico di origine medioevale.
A differenza dei terremoti che hanno colpito l’Italia nel corso di tutto il ’900, fino ai disastrosi eventi dell’Italia centrale del 2016/2017, quello del 2009 ha tragicamente avuto come centro una città di media grandezza, L’Aquila con oltre 70.000 abitanti, capoluogo di regione, sede di gran parte delle innumerevoli istituzioni pubbliche e private regionali, di un’importante università, dell’ospedale regionale e di tantissime attività economiche di rilevanza regionale e nazionale8
Per la prima volta in oltre 100 anni, un terremoto disastroso ha colpito un luogo densamente popolato e fortemente urbanizzato (con tutto il seguito delle inevitabili complicazioni), sede di un complesso apparato istituzionale e di un esteso tessuto economico fondamentale per l’intera regione.

La gestione dell’emergenza.
Anche per il terremoto dell’Abruzzo, secondo i canoni ormai collaudati delle strutture governative della Protezione civile, la fase dell’emergenza si è avviata con estrema velocità ed efficienza, immediatamente dopo la scossa principale.
Nei primi 30 minuti dall’evento, sono stati elaborati i primi scenari di danno e, sulla base delle informazioni registrate dai sensori sparsi sul territorio nazionale, si è riusciti a circoscrivere l’area colpita dall’evento e a fornire le prime stime dei danni e delle persone coinvolte.
La prima task force del Dipartimento della protezione civile è giunta all’Aquila alle 6.00 del mattino, mentre il Presidente del Consiglio dei Ministri firmava il decreto che istituiva lo stato d’emergenza, dichiarava l’eccezionale rischio di compromissione degli interessi primari della popolazione e contestualmente attribuiva al capo del Dipartimento l’incarico di Commissario delegato.
A due giorni dal sisma erano in campo oltre 10.000 soccorritori che hanno reso possibile avviare tutte quelle iniziative che hanno permesso di fornire assistenza alle circa 150.000 persone che vivevano nell’area colpita.
Nei giorni immediatamente successivi al terremoto, oltre 67.000 persone sono state ospitate nei 171 campi-tenda tirati su per l’occasione e nelle strutture ricettive in gran parte situate  sulla costa adriatica, mentre era già stata avviata  la realizzazione di alloggi provvisori, poi completata fra settembre 2009 e febbraio 2010.
Nel complesso, nell’area colpita da sisma, sono stati costruiti circa 3.300 moduli abitativi provvisori (MAP), 4.450 appartamenti (il progetto C.A.S.E, realizzato su 19 aree intorno a L’Aquila), insieme a  molti altri edifici provvisori, tra cui quelli ad uso scolastico (MUSP).
Nella sola città di L’Aquila, gli edifici provvisori hanno occupato un’area di circa 250 ettari, permettendo di ospitare oltre 18.000 persone.
In parallelo, sono state subito avviate le attività tecniche di valutazione degli effetti sismici sul territorio e sugli assetti idrogeologici, le analisi di rilievo del danno alle abitazioni, agli edifici pubblici e privati e alle infrastrutture.
A poco più di due mesi dall’evento principale, erano stati già effettuati oltre 50.000 sopralluoghi9, diventati circa 85.000 al termine della campagna di rilevamento.
Per la prima volta, la valutazione del danno e la classificazione dell’agibilità, riportati nelle schede di rilevamento, hanno avuto un ruolo fondamentale nell’attribuzione dei finanziamenti per gli interventi di ricostruzione.
La fase di gestione dell’emergenza si è conclusa il 29 gennaio 2010, con il formale passaggio di consegne tra il Commissario delegato per l’emergenza e il Commissario delegato per la ricostruzione.

Codice della Ricostruzione (Atto Camera 3260 e Disegno di legge)
Le due proposte, quella d’iniziativa di deputati del PD e l’altra approvata dal Consiglio dei Ministri, definiscono entrambe un quadro normativo unitario delle procedure e delle attività successive all’evento calamitoso, che si rendono necessarie al processo di ricostruzione e di sviluppo  socio-economico dei territori colpiti da terremoti. L’obiettivo è la realizzazione, tenuto conto delle particolarità dei territori, di un modello unico per la ricostruzione post-sisma e di “delineare una normativa generale della ricostruzione che preveda poteri, competenze, procedimenti e misure tipici da adottare in caso di eventi emergenziali di rilievo nazionale, attivabile in modo automatico, nel rispetto delle differenze tra luoghi e persone colpiti10. Un modello che “garantisca non solo certezza, stabilità e velocità dei processi di ricostruzione, ma che assicuri anche la definizione di uno specifico “stato di ricostruzione” distinto dallo "stato di emergenza"11.
Entrambe le proposte, da una parte, delegano il Governo ad emanare decreti legislativi volti a disciplinare sia gli interventi di ricostruzione degli edifici e delle infrastrutture danneggiati da un terremoto (qualificabile come emergenza di rilievo nazionale) e quelli necessari alla ripresa economica, sociale e culturale dei territori interessati anche al fine di evitarne lo spopolamento, sia la governance della fase post-emergenziale; dall’altra, fissano i principi e i criteri cui deve attenersi il Governo nell’esercizio del potere di delega.
Le linee direttrici dei due provvedimenti di delega sono molto simili. Entrambi prevedono, solo per citare i punti principali, la riorganizzazione di funzioni e competenze fra le amministrazioni coinvolte, Stato, regioni, province e enti locali e l’introduzione di una governance multilivello; l’istituzione di un nuovo stato di ricostruzione di rilievo nazionale durante il quale può essere esercitato il potere di ordinanza; la nomina di commissari straordinari e la costituzione di uffici speciali per la ricostruzione e di un Dipartimento delle ricostruzioni presso la Presidenza del Consiglio; interventi di adeguamento e miglioramento sismico e mitigazione del rischio; individuazione degli interventi prioritari e modalità di pianificazione degli interventi di ricostruzione; indennizzabilità dei danni e assicurazione degli immobili.

 

La governance, elementi a confronto

La durata
La proposta di legge n. 3260 prevede la nomina di un Commissario straordinario del Governo che abbia una durata di almeno tre anni, rinnovabili sulla base dello stato di avanzamento dei lavori di ricostruzione.
Dopo ogni evento catastrofico (nel nostro caso, un terremoto) che  colpisce un territorio più o meno esteso (nel nostro caso, l’Abruzzo), le politiche di ricostruzione si misurano, in genere, con mille difficoltà, da quelle legate alla dispersione delle competenze (ruoli, titolarità, mezzi variamente distribuiti fra i diversi soggetti istituzionali: amministrazioni centrali, regionali, enti locali, nelle forme tradizionali e in quelle innovative della intercomunalità), a quelle connesse alle diverse scale fisiche e temporali che il processo di ricostruzione deve necessariamente assumere,  alla molteplicità dei saperi tecnici necessari alla loro realizzazione; all’inadeguatezza degli apparati tecnici e amministrativi pubblici locali organizzati in conformità a moduli ordinari.
Ma vi è anche un altro elemento sempre presente, ostativo  e dirimente rispetto allo sviluppo di un sano ed efficiente processo di ricostruzione. Elemento ben noto a tutti, apparentemente inesistente nei primi giorni del disastro, consapevolmente sottaciuto nella fase di impostazione e avvio dell’esperienza, quando prevale il senso di solidarietà e di appartenenza; elemento che sembra maturarsi nel tempo, presente sin dai primi giorni  del disastro  e  che spesso (ma non sempre) diviene nei mesi successivi un fattore che sopravanza ogni altro interesse: il rapporto fra dirigenza politica (locale e nazionale) e gruppi di pressione locali e struttura tecnico-amministrativa preposta alla ricostruzione a sua volta emanazione del governo centrale, che velocemente passa dalla collaborazione allo scontro.
Oggetto dello scontro sono gli stessi strumenti messi in campo per rispondere con maggiore velocità alle mille difficoltà generate dall’evento calamitoso, fra le quali, appunto, la sottrazione al gioco degli interessi locali delle enormi quantità di risorse finanziarie e umane necessarie al processo di ricostruzione; l’assegnazione al Commissario straordinario, per un periodo limitato nel tempo e, comunque, non superiore a un anno, di poteri di ordinanza (più o meno vasti e incisivi) in deroga a ogni disposizione di legge (ad esclusione, naturalmente, di quella penale, della normativa antimafia, di quella derivante dall’appartenenza all’Unione europea e di quella in materia di beni culturale e paesaggio).
Alla iniziale collaborazione, che in genere caratterizza i primi mesi di attività della struttura commissariale (commissario straordinario e ufficio speciale per la ricostruzione, nel caso delle proposte di legge), subentrano le differenziazioni, le prese di distanza, le critiche, l’indebolimento delle strutture speciali e il loro isolamento,12 quando le decisioni assunte e le iniziative intraprese si muovono in funzione di moduli, criteri e scelte di tipo tecnocratico,  caratterizzati da contenuti professionali e di competenza, assunti nell’interesse generale più che in ossequio delle indicazioni degli apparati dei partiti e dei gruppi di pressione locali.
Tutti i processi di ricostruzione avviati a seguito  dei terremoti degli ultimi cento anni hanno richiesto molti (o moltissimi) anni per essere portati a termine, nessuno si è concluso nell’arco di un anno e tutti hanno avuto bisogno di numerose proroghe del periodo di vigenza dei poteri straordinari. Anche a L’Aquila, il mandato del commissario delegato aveva una durata non superiore a un anno, poi prorogato  ogni anno fino al 31 agosto 2012.
Opportunamente la proposta di legge, consapevole sulla base delle esperienze passate che una durata tutto sommato breve del mandato straordinario (un anno) diventa un elemento di debolezza del processo di ricostruzione, poiché suscita posizioni di attesa per un veloce passaggio di consegne a favore degli ordinari poteri (e interessi) del territorio, lega il mandato del commissario straordinario al completamento della ricostruzione, prevedendo che la nomina abbia una durata non inferiore a tre anni e che, comunque, possa essere rinnovata sulla base dello stato di avanzamento dei lavori, ostacolando l’insorgere di qualunque pressione politico-clientelare locale.

La struttura di coordinamento   
Altro elemento previsto dalle due proposte è la costituzione di una struttura di coordinamento della ricostruzione, presieduta da un commissario straordinario, con la partecipazione, se gli eventi sismici colpiscono territori  di regioni diverse, dei presidenti delle regioni interessate, con il compito di concertare e assicurare l'applicazione uniforme dei provvedimenti, verificando periodicamente l'avanzamento del processo di ricostruzione.
Il modello di governance costruito per il terremoto dell’Abruzzo si è mosso su un percorso per alcuni versi simile a quello definito dalle proposte di legge (almeno in quella che potremmo definire la “parte alta” della governance, commissario straordinario e suo vice), per altri versi con contenuti e caratteristiche peculiari, che potrebbero essere in effetti riproponibili, con opportuni adattamenti, nell’ambito di una normativa generale di interventi a regime.
Il terremoto del 2009 ha colpito gravemente soltanto l’Abruzzo; l’area del cratere ricomprendeva 48 comuni in provincia dell’Aquila, 8 in quella di Teramo e 7 in provincia di Pescara.
Il modello delineato dal DL 39/2009 e dalle successive ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri e, in particolare, dall’OPCM 3833/2009, ha previsto:

  • l’assegnazione al Presidente della regione Abruzzo delle funzioni di commissario delegato per  la ricostruzione a decorrere dal 1° febbraio 2010 (incarico rinnovato annualmente per i primi due anni e poi fino ad agosto 2012);
  • la nomina del sindaco dell’Aquila quale vice-commissario vicario delegato per la ricostruzione.

Altri due elementi hanno fortemente caratterizzato la struttura di governance del terremoto dell’Aquila:

  •  l’istituzione di una Struttura tecnica di Missione, quale nuova unità amministrativa, con il compito di assicurare il supporto tecnico – amministrativo e la definizione dei requisiti per il coordinamento della strategia di ricostruzione e di sviluppo socio-economico dell’area interessata dal sisma;
  • il coinvolgimento della “Filiera” - soggetto costituito da Fintecna, Reluis (la rete dei laboratori universitari di ingegneria sismica) e Cineas (consorzio universitario per l’ingegneria nelle assicurazioni) - cui era stata affidata, a supporto dei comuni, l’istruttoria amministrativa, tecnica e finanziaria dei progetti per la riparazione e la ricostruzione degli edifici privati. Fintecna era responsabile del controllo giuridico-amministrativo delle domande di contributo; Reluis valutava il progetto per la qualità tecnica e la capacità di ridurre la vulnerabilità sismica dell’edificio oggetto d’intervento; Cineas controllava la coerenza fra la proposta tecnica validata e l’ammontare delle risorse finanziarie richieste. Il meccanismo di valutazione posto in opera ha consentito standard qualitativi di assoluto livello nella ricostruzione degli edifici privati e un considerevole risparmio finanziario rispetto all’ammontare richiesto dai privati e dai loro progettisti alla presentazione dei progetti (oltre 400 milioni di € di minor spesa accertata). Inoltre, dopo i primi mesi di avviamento, aveva raggiunto  una elevatissima capacità di elaborazione delle pratiche.13

     La governance complessiva mirava a dare piena attuazione agli obiettivi di  ricostruzione e sviluppo del cratere aquilano; da un lato, permetteva il superamento della “dispersione delle responsabilità” attraverso il supporto tecnico-amministrativo e il forte coordinamento tra tutti i soggetti coinvolti, dall’altro, garantiva efficacia ed efficienza dei compiti di indirizzo, alta sorveglianza, programmazione degli interventi assegnati al Commissario delegato.

Il comitato istituzionale
Uno degli elementi su cui si sofferma l’attenzione dei due provvedimenti è la costituzione di un comitato istituzionale regionale, composto dal presidente della regione, che lo presiede in qualità di vice commissario, dai presidenti delle province interessate e dai sindaci dei comuni interessati dall'evento calamitoso nell'ambito del quale sono discusse e condivise le scelte strategiche.
Elemento di sicura importanza ai fini della governance complessiva della ricostruzione dopo il terremoto dell’Abruzzo del 2009 era quello dei modi di coinvolgimento dei sindaci dei comuni terremotati. La normativa approvata (decreto legge n. 79/2009) non aveva previsto la costituzione di strutture di concertazione delle attività e dei provvedimenti da adottare, né altre modalità di coordinamento dei principali soggetti pubblici presenti nell’area del cratere. Si trattava di 56 comuni - alcuni di media, molti di piccola dimensione con pochi abitanti, spesso privi di attività economiche significative, con centri storici di rara bellezza, quasi del tutto abbandonati fino al momento del terremoto, e che, con investimenti opportuni (questa era la richiesta ricorrente dei sindaci) sarebbero rinati e si sarebbero rilanciati (queste le loro convinzioni).
Tutti i sindaci, però, comprendevano che la partita doveva essere giocata insieme, individuando una qualche forma di aggregazione, un dispositivo associativo, un motivo di alleanza, che consentisse loro di resistere alla forza attrattiva della città capoluogo, e poi di ritagliarsi una strada su cui ciascun sindaco (e ciascun comune) potesse correre più degli altri.
Appena insediata, la Struttura commissariale invitò tutti i sindaci a costituirsi “spontaneamente”, sulla base di criteri ritenuti validi e cogenti dagli stessi sindaci, in aree omogenee. A conclusione del percorso, ogni area era caratterizzata da condizioni analoghe di orografia, facilità di comunicazioni, vocazione turistica, caratteristiche economico-produttive, tradizioni di costumi, e da altre comuni affinità e volontà di cooperazione. Il comune di L’Aquila costituiva da solo la prima area omogenea.
Gli altri comuni del cratere si erano costituiti, non senza qualche iniziale difficoltà e incomprensione presto superate, in otto aree omogenee: quella dei comuni della provincia di Pescara; dell’Altipiano delle Rocche (l’Area omogenea della neve); dei comuni del versante teramano; dei comuni della Valle Subequana; dei comuni del Gran Sasso; dei comuni dell’Alta valle dell’Aterno e le Aree omogenee nr. 6 e nr.8.
Con decreto del commissario delegato fu costituita la Conferenza permanente dei sindaci delle aree omogenee, composta da un sindaco per ogni area omogenea, con compiti di verifica, coordinamento e promozione degli interventi ricadenti nella singola area omogenea e per una più efficace definizione delle scelte pianificatorie del processo di ricostruzione nei comuni interessati.
La presenza dei sindaci dei comuni del cratere si è imposta come tema non secondario di governo della ricostruzione. Effettivamente, si avviò allora un processo di positiva collaborazione con i comuni e fra i comuni, con un costante processo d’interlocuzione e di fattiva formazione reciproca, che si è presentato come un caso esemplare di costituzione di capitale relazionale territorializzato da valorizzare.

Il modello aquilano
La linea d’azione intrapresa era, inoltre, favorita dall’attività dei molti comuni che avevano coinvolto 12 Università italiane (La Sapienza e Roma III; IDAU di Catania; Politecnico di Bari, Federico II di Napoli; Università di Firenze; Università di Genova; Scuola di Architettura e design di Camerino; Politecnico di Milano; Iuav di Venezia; Università di Chieti – Pescara; Università di L’Aquila) e due grandi centri di ricerca nazionali, l’ENEA e il CNR14, per il supporto all’elaborazione dei piani di ricostruzione e per l’assistenza tecnica alla ricostruzione. In seguito al sisma, si era sviluppato, infatti, un processo di accumulazione e di scambio di conoscenze che nei mesi successivi portò a risultati di notevole livello sul piano della qualità tecnica e della funzionalità degli elaborati prodotti dalle assistenze tecniche.
Si era così costituito un modello di intervento, caratterizzato anche da forte partenariato interistituzionale, poi definito “modello aquilano”.
Il commissario delegato, in considerazione degli esiti positivi di quell’esperimento, aveva fatta propria la proposta della Struttura Tecnica di Missione STM di portare il “modello aquilano”, nella parte relativa alla rete delle Università, all’attenzione della Conferenza Stato, Regioni e Autonomie locali per farne approvare la costituzione, consentendole così di diventare una struttura permanente da utilizzare a regime nel caso di emergenze di rilievo nazionale, superando in questo modo anche i profili di legittimità sollevati dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri. 

Elementi critici del modello di governance
Il modello assunto articola una responsabilità di governo condivisa tra le principali figure istituzionali coinvolte: il Presidente della regione, quale commissario delegato con potere di emanazione di decreti attuativi dell’ordinanza, designato con legge e nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri; il sindaco di L’Aquila (capoluogo della regione Abruzzo e sede delle più importanti funzioni amministrative nazionali e regionali), nominato con OPCM vice commissario vicario con delega alla ricostruzione della città; il coordinatore della Struttura di missione (cui affidare valutazioni, compiti e funzioni tecniche), individuato fra i Dirigenti generali dello Stato e nominato con decreto del commissario delegato. In sostanza, un modello che prevede la collaborazione costruttiva fra diversi soggetti politici e  tecnico-amministrativi dell’organizzazione dello Stato, da rafforzare necessariamente nel contesto amministrativo economico e sociale determinatosi dopo il terremoto.
Costruito il modello, ai fini del necessario coordinamento e di un’efficiente organizzazione, si è posta la necessità di individuare percorsi amministrativi, assetti istituzionali e tecnico-amministrativi dotati di rapidità e chiarezza, e di un quadro condiviso delle competenze.
Sin dall’insediamento, per gli atti sottoposti alla approvazione del commissario straordinario era stato previsto un esame preventivo da parte della Struttura tecnica di Missione (STM). Così, anche le proposte formulate dal vice commissario-sindaco di L’Aquila dovevano essere esaminate e valutate dalla STM e da questa, qualora ritenute coerenti con il processo di ricostruzione, sottoposte all’approvazione del commissario.
La procedura adottata – una sostanziale sottoposizione di proposte politiche (almeno, tali ritenute)  al vaglio preventivo di un soggetto tecnico (a sua volta particolarmente attento alle reiterate raccomandazioni del Ministro dell’economia nel controllo dei conti e degli impegni finanziari diretti o di intese di carattere economico con altri soggetti istituzionali e non), privava di fatto il sindaco di L’Aquila, nelle sue vesti di vice-commissario, di un autonomo potere di intervento.
Con tutta probabilità, il sindaco - che pur aveva condiviso il modello di governance – riteneva invece di poter gestire sul piano politico il suo rapporto con il commissario delegato e, ancor di più, con la Struttura tecnica di Missione. Passati i primi mesi, quando si rese pienamente conto che né il commissario né STM avevano alcuna intenzione di derogare al procedimento previsto, comprese di trovarsi in una situazione che riduceva notevolmente la sua capacità di manovra e limitava i movimenti e le iniziative che, anche in previsione delle elezioni comunali che si sarebbero tenute da lì a due anni, intendeva assumere.
In queste condizioni, il sindaco-vice-commissario pensò bene di rassegnare le proprie dimissioni denunciando una “difficoltà nella governance di gestione dell’emergenza e del processo di ricostruzione”, preferendo giocare la sua partita esclusivamente nelle vesti di sindaco della città.

Replicabilità del modello
Molti degli elementi che hanno concorso alla costruzione di quel modello potrebbero essere ripresi quali portato innovativo di politiche di contrasto ai rischi provocati da una calamità naturale di rilievo nazionale. In particolare:
- la costituzione di aggregazioni territoriali di livello intercomunale (da trasformare possibilmente a regime in nuovi soggetti istituzionali di adeguato rango territoriale), anche al fine di promuovere possibili piani/programmi di sviluppo;
- la formalizzazione di una struttura (cosiddetta Filiera) costituita, in particolare, dalla rete dei laboratori universitari di ingegneria sismica e da quella del consorzio universitario di ingegneria delle assicurazioni. La sua utilizzazione ha dimostrato ampiamente come fosse possibile standardizzare il ciclo complessivo del progetto (dal preliminare all’esecutivo, dall’analisi prezzi al computo metrico, fino alla definitiva valutazione finanziaria per la concessione dei contributi). Si chiedeva una documentazione progettuale realmente finalizzata alla qualità tecnica della ricostruzione e alla determinazione di un ammontare di spesa compatibile con la qualità richiesta, accertata e sottoposta a una valutazione di merito che lasciava poco spazio a proposte (di proprietari e progettisti) costruite, con eccessiva frequenza, senza tenere nel dovuto conto il rispetto di corretti criteri di economicità della spesa e i normali canoni comportamentali del buon padre di famiglia;
- l’avvio di una intensa collaborazione delle Università italiane (in particolare, i dipartimenti di urbanistica e pianificazione del territorio)  per l’elaborazione degli strumenti di governo del territorio e di sviluppo socio-economico, nonché per i compiti  di assistenza tecnica alle conseguenti attività amministrative. Questa attività ha  messo in campo, con esiti assolutamente positivi rispetto ad altre esperienze locali affidate a singoli professionisti, una rete di strutture altamente professionalizzate, di esperti e tecnologie a costi parametrati praticamente sulle sole spese di funzionamento.
Il complessivo e articolato rapporto sperimentato nel corso del terremoto abruzzese con varie componenti dell’Università italiana (dipartimenti di ingegneria sismica, di valutazione finanziaria, di urbanistica e pianificazione del territorio), oltre che il tentativo di coniugare ricostruzione fisica e sviluppo economico-sociale del territorio colpito dal sisma, aveva anche l’obiettivo di contribuire a rafforzare la ricerca universitaria e ad assegnare un nuovo ruolo all’Università italiana nei suoi rapporti con le altre istituzioni, nel campo della ricerca applicata, nella spinta alla multidisciplinarietà, nella capacità di attrazione e formazione di giovani ricercatori, nella possibilità di trasferire al territorio i risultati dell’attività e delle ricerche eseguite.
Nell’ipotesi di una proposta di legge finalizzata all’individuazione di politiche post-catastrofe naturale, gli istituti universitari potrebbero costituire una rete permanente, pronta a intervenire sin dalla prima dichiarazione di stato di emergenza, quasi in parallelo all’intervento delle strutture di Protezione civile, mettendo a disposizione, per un obiettivo strategico, un complesso di saperi e di competenze in grado di fornire risposte esaurienti e complete ai diversi bisogni espressi dal territorio: dalle elaborazioni dei processi di trasformazione territoriale, economica e sociale, alle analisi dei fattori di rischio e della qualità e coerenza dei progetti tecnici, alla valutazione dei costi degli interventi e, più in generale, dell’intero processo di ricostruzione.

La struttura centrale e gli uffici per la ricostruzione
Ancora, le due proposte prevedono l'istituzione di «uffici speciali per la ricostruzione», con il compito di curare, su delega del comune, la pianificazione urbanistica connessa alla ricostruzione, provvedere all'istruttoria per gli interventi di ricostruzione privata; provvedere, su delega del comune, alla diretta attuazione degli interventi di ripristino o di ricostruzione di opere pubbliche e di beni culturali; operare come uffici di supporto e di gestione operativa a servizio e su richiesta dei comuni; avere al loro interno uno sportello unico per le attività produttive unitario per tutti i comuni coinvolti.

La struttura centrale
Una misura  certamente decisiva  in un processo di ricostruzione di un’area colpita da un evento naturale di rilievo nazionale (forse la più importante, dopo la nomina di un commissario straordinario) è la costituzione di una struttura in grado di esprimere una reale capacità di regia della gestione di un programma operativo per la ricostruzione dell’area interessata (una vasta area dell’Abruzzo centrale nel sisma del 2009; quattro regioni dell’Italia centrale nel 2016).
Il governo di un tale programma richiede, almeno per diversi mesi, la costituzione di un forte nucleo tecnico-amministrativo (naturalmente, alle dipendenze del commissario straordinario), per l’attivazione di misure di tipo “orizzontale”, in grado, cioè, di assicurare adeguate funzioni di coordinamento, collaborazione e capacità di risposta fra i diversi soggetti partecipi della ricostruzione.
Basta solo pensare  ai comportamenti conflittuali e alle spinte contrapposte che insorgono fra territori diversi colpiti da un disastro naturale, con la comunicazione di immagini e racconti a crescente impatto emotivo in una sorta di gara per la conquista dell’attenzione dei media, del corpo sociale, delle istituzioni, con la corsa all’accaparamento delle risorse materiali e finanziarie disponibili: una sorta di atomizzazione conflittuale, di “balcanizzazione” dei territori (spesso conseguente a rivalità consolidate) da scongiurare con un necessario patto tra tutti gli attori territoriali, ispirato ai basilari principi di ragionevolezza e di buon andamento dell’attività amministrativa.
In Abruzzo, l’entità del lavoro da compiere era  tale che, Presidenza del Consiglio dei Ministri e, principalmente, Ministero dell’economia e delle finanze15 ritenevano necessaria l’individuazione di un soggetto specifico cui affidare il compito di assicurare il supporto tecnico-amministrativo alla figura centrale del commissario straordinario  e la definizione dei requisiti per il coordinamento della strategia di ricostruzione e di sviluppo socio- economico prevista dal decreto legge n. 39/2009
La creazione di una Struttura tecnica di Missione radicata negli assetti esistenti rappresentava il tentativo più avanzato di modulo organizzativo da porre in stretta relazione con gli assetti amministrativi ordinari preposti alla ricostruzione.
Alla Struttura tecnica di Missione – che non aveva compiti di attuazione – era stata affidata la ricognizione delle risorse finanziarie disponibili; l’istruttoria degli atti di programmazione delle risorse e di pianificazione; l’istruttoria e la proposta dei singoli progetti pubblici da realizzare; la tracciabilità e il monitoraggio degli interventi; la verifica dell’attuazione finanziaria e procedurale degli interventi da parte dei soggetti competenti.
Il suo nucleo centrale era costituito da un numero relativamente ristretto di personale di alto profilo, impegnato in forma stabile all’interno dei processi d’intervento, quale elemento di continuità e di sintesi strategico-operativa, costituito in parte da personale proveniente dalle amministrazioni pubbliche e in parte da esperti esterni selezionati con concorso pubblico.

Gli uffici per la ricostruzione
Nel caso del terremoto dell’Abruzzo, le politiche per la ricostruzione hanno rappresentano anche l'occasione per sperimentare forme e modalità di gestione associata di servizi e funzioni.
Sulla base delle aree omogenee già costituite, con l’obiettivo di accelerare e snellire l’esame delle richieste di contributo per la ricostruzione degli immobili privati ricompresi nei piani di ricostruzione,  era stato previsto (con l’ultimo decreto del commissario delegato, 29 giugno 2012, n.131) che  i comuni riuniti negli ambiti sovracomunali dovessero costituire (entro il 30 giugno 2012)  un Ufficio territoriale per la ricostruzione, unico per tutta l’area omogenea,  per svolgere in forma  associata l'istruttoria per la concessione dei contributi, per i controlli e per la rendicontazione. Si era inoltre previsto che, a supporto degli Uffici territoriali, Reluis e Cineas (responsabili delle istruttorie tecniche e di congruità economica dei progetti edilizi) continuassero fino al 31 dicembre 2012 l’attività di formazione del personale tecnico comunale, cui sarebbe stata affidata in via definitiva l’istruttoria dei progetti presentati dai privati.
Ogni comune dell’area omogenea – aveva previsto ancora il decreto – avrebbe dovuto mettere a disposizione dell’Ufficio una unità di personale con contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Fra il personale assegnato, doveva essere nominato un coordinatore dell’Ufficio.
I sindaci potevano modificare l’articolazione territoriale delle aree omogenee. Un comitato di area omogenea, costituito da tutti i sindaci dei comuni ricadenti nell’area, svolgeva, fra gli altri, compiti di collegamento fra Ufficio e istituzioni locali interessate, potevano dettare le linee d’indirizzo, svolgere funzioni di controllo dell’attività di gestione e approvare il piano finanziario per il funzionamento dell’Ufficio territoriale. L’ipotesi di riorganizzazione muoveva dal presupposto di velocizzare il rientro nel regime ordinario attraverso un ruolo attivo delle amministrazioni locali, definendo, per via amministrativa, quanto le stesse proposte si proponevano di attivare per il superamento dell’emergenza e il ritorno all’ attività ordinaria.

Dall’esperienza aquilana, altre possibili proposte a regime.

Alcune iniziative intraprese nel corso degli ultimi mesi di permanenza della struttura commissariale nel terremoto dell’Abruzzo (tutte legate da un sottile filo rosso), erano state assunte o suggerite (alcune utilizzando lo strumento del decreto commissariale, altre attraverso provvedimenti legislativi) immaginandole quali elementi utilizzabili a regime - nella costruzione di un permanente anche se adattabile sistema di governance dei processi di ricostruzione - nel caso, purtroppo presente con una certa frequenza nel nostro Paese, di calamità naturali di livello nazionale.

Fonte giuridica – Il Testo unico
Argomento principale di queste note è la necessità di avere a disposizione una fonte giuridica primaria che indichi i principi applicabili a tutte le fattispecie di evento calamitoso, che definisca il modello di governance e che individui e disciplini tutte le fasi, fino al ritorno all’ordinario, accompagnando il relativo passaggio alle amministrazioni competenti, una sorta di Piano della Ricostruzione.
Non meno importanti sono le fonti secondarie per dare attuazione e disciplinare le misure secondo l’ambito oggettivo e soggettivo di riferimento e valutarne gli effetti, con particolare attenzione allo snellimento e semplificazione delle procedure di approvazione e l’accelerazione dei procedimenti.
Nel sisma dell’Abruzzo, ad esempio, si trattava di dare leggibilità al percorso che aveva messo insieme il decreto legge n. 39/2009, le numerose OPCM di attuazione e i decreti del commissario e che aveva portato alla redazione di un primo testo coordinato relativo alla normativa per il sisma 2009, una specie di testo unico della ricostruzione (post emergenziale) che sottolineava la necessità di  procedere al verificarsi dei casi concreti.
Anche nel processo di ricostruzione a seguito del sisma del 6 aprile 2009 era emersa la necessità di un disegno legislativo unitario della ricostruzione, con procedure semplificate di applicazione delle norme. A giugno 2012, fu pubblicato sul sito del commissario delegato il Testo unico, redatto dall’Ufficio Coordinamento Ricostruzione, contenente l’insieme delle norme e delle disposizioni (atti previsti dal decreto-legge, Opcm, decreti e circolari del commissario, delibere Cipe) emanate a partire dal 6 aprile 2009, suddivisi per argomento e per esito di agibilità degli immobili. Il documento che raccoglieva e coordinava tutti gli atti ed i provvedimenti che avevano regolato l’attività di ricostruzione fino alla cessazione dello stato di emergenza il 31 agosto 2012, era stato redatto al fine di approntare uno strumento operativo per gli addetti ai lavori. Questo documento costituisce, ancora oggi (trascorsi oltre 10 anni dalla sua pubblicazione), uno strumento utilizzato dagli Uffici che si sono via via occupati del processo di ricostruzione, rappresentando un modello per le misure da inserire in una futura legge delega per la ricostruzione.

Trasparenza e legalità
L’Abruzzo ospitava il più grande cantiere d’Italia. In particolare, l’attività che da subito ha destato maggiore preoccupazione era l’esecuzione degli interventi per la ricostruzione a totale carico pubblico degli immobili privati affidati alle imprese direttamente dai proprietari degli stabili danneggiati.
Un acceso dibattito relativo alla natura dell’intervento economico dello Stato si era svolto a L’Aquila nel corso dei primi mesi del 2010.  Il Parlamento, con un’interpretazione autentica (art. 3 ter, decreto legge 125/ 2010, convertito in legge 163/2010) aveva ricondotto l’apporto pubblico nella fattispecie privatistica,16 interpretandolo come indennizzo finalizzato alla riparazione del danno per riportare l’edificio nelle stesse condizioni pre sisma e permettendo, in questo modo, di trasferire le risorse direttamente ai beneficiari dei contributi, sottoposti a vincoli temporali, procedurali e parametrici.
L’interpretazione fu favorita da una forte pressione esercitata sul Parlamento, paventando enorme preoccupazione riguardo alla difficoltà di bandire gare pubbliche per la ricostruzione degli immobili dei privati, specie per gli edifici con maggior danno classificati E ubicati nei centri storici.  Non vi è dubbio che l’impegno professionale richiesto a progettisti e imprese aquilane dal terremoto del 6 aprile 2009 fu enorme. Una mole di lavoro eccezionale,  anche per studi d’ingegneria e di architettura di livello nazionale ben più attrezzati .
Molti professionisti si erano trovati a far fronte improvvisamente a una quantità spropositata d’incarichi, che richiedevano, tra l’altro, elevatissimi livelli di professionalità. Alla improvvisa ed enorme domanda avevano risposto con un’organizzazione del lavoro tayloristica, che produceva a ciclo continuo all’Aquila e in innumerevoli altri luoghi, anche molto lontani dal terremoto, attraverso accordi e intese con studi tecnici di cui poco o nulla si conosceva, con esiti che non potevano non suscitare perplessità sul piano della qualità progettuale e della tanto auspicata sicurezza.
Queste preoccupazioni avevano spinto STM a fornire alla Prefettura, alla Guardia di Finanza e al GICER (Gruppo Interforze Centrale per l’Emergenza e la Ricostruzione previsto dal dl n.39/2009), per le valutazioni ed eventuali indagini di competenza, gli elenchi dei progettisti e delle imprese impegnati negli interventi di ricostruzione, con il numero degli incarichi ottenuti. Analoga comunicazione fu fatta al comune dell’Aquila perché fornisse ai cittadini informazioni certe sui carichi di lavoro nell’affidamento degli incarichi. Fu facile per molti  professionisti (spesso appoggiati da rappresentanti istituzionali), imputare molta responsabilità dei ritardi (da loro stessi accumulati) alle regole e alle procedure della ricostruzione, accusate di farraginosità, e richiedendo l’emanazione di un “risolutivo testo unico” (cfr. sopra) per poter procedere più speditamente.
In merito alla normativa emanata per la ricostruzione, sarebbe interessante (e forse necessaria) una riflessione circa il numero e la natura delle disposizioni promulgate dai soggetti istituzionali che si sono succeduti alla guida dell’intervento post-terremoto. STM, diversamente da quanto fatto in precedenza, riteneva di dover limitare il più possibile il ricorso alle ordinanze (vista la complessità dello strumento, sia per i soggetti di volta in volta coinvolti sia per l’iter approvativo), preferendo, invece, utilizzare lo strumento del decreto commissariale o quello della circolare interpretativa.
 L’OPCM ha praticamente valore di legge, necessita di un iter approvativo “pesante”, i suoi dispositivi si applicano a intere categorie di beni o a insiemi di soggetti che si vedono accomunati da caratteristiche apparentemente simili anche se, in realtà, le specifiche condizioni sono spesso molto diverse.
Quanto accaduto all’Aquila e negli altri comuni del cratere e quanto con il passare dei giorni andava via via emergendo, mostrava invece una situazione sempre più  complessa e frammentata, per la quale non era consigliabile il massiccio ricorso al sistema delle ordinanze. Appariva più speditivo sul piano dell’economia dell’azione amministrativa e più efficace su quello dei risultati fare ricorso ai decreti del Commissario delegato o alle circolari interpretative piuttosto che elaborare pesanti Ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri, che pure venivano richieste anche per fatti di modesta rilevanza.
Con l’O.P.C.M. 4013 del 23 marzo 201217, assunta su proposta dell’UCR (Ufficio Coordinamento Ricostruzione che intanto aveva preso il posto di STM con lo stesso responsabile e gli stessi funzionari),  al fine di consentire valutazioni comparative fu previsto l’obbligo di corredare la domanda di contributo per la ricostruzione degli immobili privati da almeno cinque offerte acquisite da imprese e da almeno tre offerte acquisite da progettisti riportati in una apposita White list.

Gli uffici consortili
Nel caso del terremoto dell’Abruzzo del 2009, come già detto, furono inizialmente costituiti gli uffici consortili di area omogenea (con funzionari adeguatamente formati questi uffici avrebbero potuto rappresentare elementi di modernizzazione della macchina pubblica locale) facilmente assimilabili agli “Uffici speciali per la ricostruzione” delle due proposte legislative.
Con la cessazione dello stato di emergenza e il ritorno alla gestione secondo le competenze ordinarie, furono istituiti due Uffici Speciali per la ricostruzione, uno per la città di L’Aquila e uno per i restanti 56 Comuni del cratere nonché per i comuni fuori cratere per quanto concerne la ricostruzione privata (i principali compiti assegnati erano l’assistenza tecnica alla ricostruzione e la promozione della qualità, il monitoraggio finanziario e attuativo degli interventi, il controllo dei processi di ricostruzione e sviluppo dei territori). Attraverso procedure concorsuali furono assunte 350 unità di personale.

 

Attivazione di soggetti e strutture per la ricostruzione
Il contingentamento dei tempi delle attività emergenziali della Protezione civile è l’altra faccia del veloce avvio delle politiche di ricostruzione (dovrebbe essere fatto insieme alla dichiarazione di emergenza). Proprio a seguito del terremoto dell’Aquila, il d.l. 15 maggio 2012, n.59 (convertito dalla legge 12 luglio 2012, n.100 – Disposizioni urgenti per il riordino della Protezione civile), ha introdotto (art. 5, co. 1 bis) una durata massima dello stato di emergenza, pari a novanta giorni, prorogabile o rinnovabile, di regola, una sola volta di ulteriori sessanta giorni, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.

Una nuova struttura
Il disegno di legge governativo prevede non solo un Codice di principi unitari nazionali, ma anche un unico Dipartimento delle ricostruzioni presso la Presidenza del Consiglio, che valorizzi competenze tecniche e specialistiche del Paese.
Una strada simile era stata avviata dopo il terremoto del 2009 con la creazione di un corpo tecnico, da inquadrare –allora si pensava a una Direzione generale per le politiche di ricostruzione (recuperando cultura e modello organizzativo del Genio civile) - presso l’allora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con l’assunzione, mediante procedure selettive pubbliche, anche di tecnici che avevano partecipato al processo di ricostruzione presso le strutture dell’area interessata dal terremoto. Una struttura che fosse insieme luogo di accumulazione dei saperi e dell’esperienza fino ad allora maturata, capace di utilizzare, adattandoli,  i modelli d’intervento già sperimentati (ad esempio, all’Aquila e nei comuni del cratere e nel terremoto dell’Emilia) o di implementarli (con quanto è avvenuto nell’Italia centrale) e “ufficio” cui fare riferimento per  il personale necessario alla costituzione di strutture di missione da organizzare in caso di calamità naturale.
Una parte dell’iniziativa è stata portata a termine. A decorrere dal 2013, sono stati  assunti 100 tecnici con la previsione di una riserva del 50% a favore del personale impiegato nel terremoto abruzzese (lg. n.134/12, art. 67 ter, ). Però, invece di costituire una struttura permanente, da utilizzare in caso di necessità sia in Italia sia in altri Paesi, si è preferito muoversi seguendo una logica di stabilizzazione locale: 50 unità di personale sono state assegnate ai due uffici speciali dell’Aquila e dei comuni del cratere, 40 unità alle province interessate e 10 unità alla regione Abruzzo. Poi, quando cesseranno “ […] le esigenze della ricostruzione e dello sviluppo del territorio coinvolto nel sisma del 6 aprile 2009, tale personale verrà assegnato al Ministero dei lavori pubblici e dei trasporti per finalità connesse a calamità e ricostruzione […]”.
Da quanto se ne sa, il Ministero non ha mai fatto “propri” questi tecnici, non è stato  istituito alcun centro amministrativo pubblico di competenza e di responsabilità, nessuna struttura permanente in grado di armonizzare le diverse discipline che regolano i processi di ricostruzione, nessuna adozione di un codice degli interventi di ricostruzione e, ancora una volta, nel caso degli eventi calamitosi accaduti negli anni successivi, si è proceduto mettendo in piedi altre unità di personale affiancate a quelle preesistenti.  

La partecipazione dei cittadini. Misura ed esplosione degli interessi
Altro aspetto di assoluta importanza riguarda il coinvolgimento dei cittadini nella definizione delle strategie di intervento attraverso tavoli di confronto, organi di rappresentanza civica, assemblee permanenti, consulte popolari, o comunque luoghi che permettano la cooperazione anche attraverso processi di monitoraggio civico.
Un’attenzione particolare merita il principio della partecipazione dei cittadini. Un rapporto maturo e consapevole con i cittadini, un loro coinvolgimento nella gestione e nelle scelte è attività inusuale per l’ordinarietà amministrativa, richiede l’elaborazione e la messa in opera di strumentazioni complesse. D’altronde, è solo da pochi anni che l’uso delle arene pubbliche nelle scelte relative alla realizzazione di opere pubbliche si va affermando in Italia, con l’introduzione del dibattito pubblico (DPCM 10 maggio 2018, n.76)18.
Ad Aquila, sin dalle prime istruttorie iniziali - anche grazie a precedenti esperienze di “concertazione” condotta da parte dei responsabili della Struttura di Missione per la realizzazione di opere pubbliche statali o di interesse generale o  in attuazione di programmi d’intervento di trasformazione urbana - era apparsa evidente la necessità di avviare nuove modalità di interazione con le comunità locali sulle  questioni poste dalla ricostruzione: dall’attivazione della complessiva domanda di ricostruzione della città di L’Aquila e dei paesi del cratere fino al sistema delle provvidenze e degli aiuti alla persona, per finire ai rapporti fra cittadino (colpito dal sisma nelle sue innumerevoli condizioni) e offerta di servizi e sostegni attivati dalla macchina della ricostruzione. Interazioni cui avrebbero potuto dare risposta i piani di ricostruzione, se fossero stati tagliati “su misura” in corrispondenza delle esigenze e delle disponibilità a intervenire manifestate dagli abitanti dei territori sinistrati, verificandone le coerenze, e componendole in un quadro di sostanziale preminenza dell’interesse generale.
Senza la partecipazione decisa e leale della compagine sociale, delle sue diverse componenti, delle differenti espressioni degli interessi in campo più o meno fortemente colpiti dal sisma, la strategia della ricostruzione ne sarebbe risultata negativamente condizionata. Dell’indispensabilità di individuare regole e modi per rendere più speditiva e generalizzata la partecipazione dei cittadini al processo di elaborazione e approvazione di piani, programmi e progetti di trasformazione urbana che da lì a breve sarebbero stati avviati, STM era assolutamente convinta, tanto che già dai primi giorni successivi all’avvio delle attività aveva predisposto il documento “Ipotesi di partecipazione e comunicazione locale: indirizzi e proposte a uso delle Amministrazioni locali - Sintesi schematica di un possibile programma di attività19, quale prima elaborazione di un processo partecipativo posto in relazione alla trasformazione urbana.
Non agivano solo motivi etici o di convinta partecipazione o di condivisione sociale in una situazione di estrema difficoltà, ma anche pressanti ragioni di necessità e di efficienza a postulare l’attivazione immediata della fase di “ascolto del territorio, sollecitazione delle capacità e delle volontà progettuali latenti, e loro messa in coerenza con i tempi stringenti della Ricostruzione”21.
La qualità del processo ricostruttivo e gli atti che ne declinavano i contenuti, la trasparenza e la tracciabilità dei percorsi organizzativi e amministrativi, la comunicazione e la conoscenza di questi temi e di quanto si veniva via via elaborando – di norma, elementi poco portati all’attenzione dell’opinione pubblica – si riteneva che rappresentassero un fattore di fondamentale importanza ai fini del successo della strategia prevista per la ricostruzione. Lungo il percorso di una ricostruzione che si voleva caratterizzata essenzialmente da processi analitici e valutativi condivisi, posti a supporto delle decisioni (qualità, trasparenza, partecipazione) piuttosto che da una gestione politica, si è in realtà consumato fino in fondo lo scontro tra apparati tecnici e soggetti politici rappresentativi degli interessi locali (nella fattispecie, tra sindaco di L’Aquila e STM, già dopo pochi mesi dal suo insediamento).
Era sembrato necessario dare voce formale a quei cittadini, esperti del quotidiano, che spontaneamente, sin dai primi giorni dopo il terremoto, avevano scelto come luogo d’incontro (e non a caso) Piazza del Duomo, piazza centrale della città e dell’intera collettività aquilana, luogo simbolico dove giornalmente il profondo legame tra paesi contermini e città (da essi stessi fondata) si manifestava con una sorta di rappresentazione fisica. Tutti i giorni, fino al terremoto, oltre che  luogo a portata di mano dove incontrarsi, era utilizzata come mercato all’aperto, dove contadini e artigiani dei comuni fondatori avevano diritto a mostrare e a vendere i loro prodotti occupando sempre la stessa porzione di piazza.
Quella “Piazza” dopo il terremoto era diventata giustamente il luogo rappresentativo della protesta, dei cittadini che chiedevano di ricostruire L’Aquila dal basso,  dove il conflitto tra rappresentazione e realtà appariva privo di mediazioni, dove si svolgeva una narrazione del terremoto assai lontana dai toni trionfalistici che hanno accompagnato per mesi la strategia di comunicazione messa in campo per rinforzare il consenso del governo e la popolarità personale del premier.

Il Piano di ricostruzione e la pianificazione degli interventi 

La città che vediamo e viviamo, di cui facciamo esperienza ogni giorno è l’oggetto di una costruzione nel tempo, è l’esito di diversi processi. La sua identità non è qualcosa di innato, viene da un accumulo di esperienze. Le forme dello spazio costruito e quelle dello spazio vuoto, le permanenze, i tracciati, i segni raccontano più storie.  Parlano di tempi diversi, non lineari, di sedimentazioni, di accostamenti, di compresenze, di assenze, di discontinuità e incompiutezze.
Di queste storie, di questi racconti, di questa complessa sedimentazione che ha bisogno di strumenti di lettura e di strategie cognitive raffinate e di pertinenti metodi di interpretazione non si è voluto tener conto, anzi, sono stati accantonati a favore del tranquillizzante slogan del “dov’era e com’era” e di più sicuri percorsi finalizzati alla ricerca del consenso.

Il piano di ricostruzione
Se la città è, nel suo complesso, un sistema di rapporti dinamici, la verifica del processo di ricostruzione non va operata alla scala edilizia  bensì diventa l’oggetto della pianificazione urbanistica, che interviene, valuta, conferma e, se del caso, modifica il preesistente sistema delle relazioni tra gli oggetti fisici e tra gli usi che costituiscono gli assetti urbani e, prima di tutto, le parti più antiche delle città.
La legislazione assunta a seguito del terremoto  ha in qualche modo contribuito alla creazione di quel modello innovativo (e “fortunato”, almeno per un certo periodo), prima definito “modello aquilano”, fatto di partenariato e di rapporti istituzionali multilivello (con l’assunzione di procedimenti tipici di accordi inter-istituzionali fra soggetti pubblici), che ha rappresentato la possibilità, e in qualche modo l’occasione, per un cambiamento importante della legislazione e della prassi urbanistica (anche per mettere a punto e sperimentare l’avanzamento di politiche nazionali di contrasto ai rischi provocati da calamità nazionali). Gran parte di quel modello si fondava sul Piano di ricostruzione, “uno strumento inedito di natura sia urbanistica che strategica  - sosterrà Alberto Clementi (2012) -, corredato dal quadro tecnico-economico, che mira a disciplinare gli interventi fisici e al tempo stesso a rilanciare contestualmente anche la vita economica e sociale dei centri storici colpiti dal sisma”.
Un’esperienza anche controversa (confusa, secondo alcuni, e poco trasparente, come la legge che l’aveva generata), che ha visto una dura contrapposizione tra la cauta sperimentazione di STM, insieme a molti dei comuni del cratere e alle tante Università presenti, e l’urbanistica convenzionale del com’era e dov’era del comune di L’Aquila, condivisa da molti professionisti dell’urbanistica raggruppati per l’occasione intorno all’INU.
La ricostruzione non poteva risolversi nel massimizzare quanto ricavabile nel breve-medio periodo dalle dinamiche regolate dalla rendita edilizia e fondiaria. Si era ben coscienti che le dinamiche post-terremoto non avrebbero mai potuto prescindere dal processo edilizio di ricostruzione fisica della città e dei centri minori; piuttosto, lo si considerava un possibile punto di partenza e di accumulazione di un’economia della ricostruzione, mentre si assumeva come prioritario l’obiettivo di spostare l’asse della ricostruzione su una strategia di sviluppo economico di lungo periodo del sistema urbano aquilano e degli altri centri del cratere. Non si trattava di una novità, ci si rifaceva alle esperienze europee dei programmi d’intervento nelle aree urbane in crisi (Urban) e a quelle dei programmi complessi già lanciati dal Ministero dei lavori pubblici.
L’introduzione del piano di ricostruzione, riconoscendo la dimensione complessa e sovra individuale della ricostruzione, nelle sue dinamiche socio-economiche e negli assetti urbanistici ed edilizi, superava il quadro delle azioni e delle titolarità tracciato con il sistema delle ordinanze.
Alle titolarità individuali, pubbliche e private, disciplinate dalle ordinanze (che hanno dato corpo al sistema “privatistico” per la riparazione/riedificazione del patrimonio edilizio privato, introdotto dalla lg. n. 77/2009), si univa la titolarità, propria dell’ente locale, rispetto allo spazio della città perché luogo della vita di tutti e di ciascuno. “La Ricostruzione – si leggeva in un documento elaborato da STM - è vista come un fenomeno complesso, che integra in un unicum i molteplici rapporti che intercorrono tra la dimensione economica (la “ripresa socio-economica”), la dimensione urbanistica (la “riqualificazione dell’abitato”), la dimensione sociale (il “rientro delle popolazioni”).
L’attenzione si era spostata dallo spazio del singolo – privato o pubblico – allo spazio di tutti, dal finanziamento “alla persona” - fisica, giuridica, istituzionale – al finanziamento “alla pietra”, agli spazi materiali della vita associata, e questa dimensione complessiva aveva regole proprie di attribuzione delle risorse economiche. Il finanziamento era alla ”attuazione del piano”, come unità d’integrazione e di sintesi degli interventi individuali, in considerazione e nel perseguimento dell’interesse generale (era così possibile  dare una risposta al problema delle “seconde case”, che tanto spazio aveva avuto nella discussione pubblica sulla ricostruzione, per le parti di città rientranti in un PdR).
Erano misure assunte in considerazione del valore sovra individuale del contesto urbano e  non era sfuggito, nell’impostare l’economia della ricostruzione dei centri storici colpiti dal sisma, un dato che l’approccio microeconomico, pensando la città come sommatoria indifferenziata di manufatti singoli, non era riuscito a percepire. Infatti com’era stato sostenuto con grande autorevolezza e attenzione alla situazione determinata dal terremoto: “[…] la distruzione parziale o totale di edifici storici porta con sé una riduzione del valore collettivo della città: che se non ha un immediato corrispettivo nel PIL, lo ha comunque nelle sue prospettive di crescita future, oltre che nell’identità del capoluogo e, perciò, della sua specificità. Questo aspetto, spesso citato ma non approfondito, ha un senso economico profondo, perché ogni specificità locale rappresenta una forma di protezione non tariffaria (come ogni bene unico) che può costituire la base di reddito e di forme di rendita.”22  
Solo con la predisposizione del piano di ricostruzione – cornice giuridica, pianificatoria e di tutela degli interventi nei centri storici – sarebbe stato possibile pervenire ad una economia della ricostruzione rispettosa del centro storico in quanto unicum patrimoniale appartenente all’intera comunità urbana, e non mera sommatoria di interessi particolari. In conformità ai parametri di costo forniti nei piani, erano stati tracciati i relativi programmi e definito il quadro economico. Le elaborazioni effettuate consentivano di stimare per annualità̀ il montante della produzione edilizia e il conseguente fabbisogno finanziario, fino alla completa esecuzione degli interventi previsti dai Piani stessi.
L’importanza, la delicatezza e la potenzialità risolutiva della messa a disposizione delle risorse finanziarie da poter destinare alla ricostruzione del centro storico nella sua interezza, come bene pubblico d’interesse generale, indipendentemente dall’interesse del proprietario al recupero di singole parti di edificio o anche d’interi edifici, erano di tutta evidenza. Anche il Gabinetto del Ministro dell’economia e delle finanze, cui era stato chiesto il parere sulla possibilità di ammettere a finanziamento anche gli immobili destinati ad abitazione secondaria e quelli destinati ad uso diverso da quello residenziale, si era espresso in termini sostanzialmente positivi.

Il programma d’interventi
La pianificazione della ricostruzione non può riguardare questo e quell’edificio, quell’isolato, quell’aggregato o anche un loro numero quanto si voglia rilevante. La ricostruzione deve interessare l’intero territorio ferito dal sisma e deve tener conto della necessità di ricostruirlo nel suo insieme, come spazio della storia e della vita di tutti. Nel caso di L’Aquila, l’intera città (e il suo territorio) fu il tema della ricostruzione, come intervento sullo spazio urbano. Le case insieme  alle strade, alle piazze, ai giardini, ai palazzi delle istituzioni, alle chiese (nello stesso modo si procedette per gli altri comuni del cratere). 
La ricostruzione, purtroppo, non poteva avvenire tutta nello stesso momento, ma inevitabilmente per parti. Si riteneva che l’avvio migliore e più veloce potesse avvenire dai luoghi simbolo della città stessa, il Palazzo del Governo, la chiesa delle Anime Sante, il Duomo e la Piazza del “mercato”, piazza Palazzo, palazzo Margherita e tutti quei luoghi e quegli edifici di L’Aquila e degli altri comuni sedi delle istituzioni. Si avviò, allora, una linea d’azione che si era data come obiettivo la ripresa complessiva (la rigenerazione, si direbbe oggi) dell’organizzazione del sistema urbano della città e dei comuni minori attraverso la formazione di Progetti pilota, finalizzati al risanamento di parti significative di tessuto urbano (non solo nei centri storici), che potevano assumere anche una funzione di anticipazione del piano di ricostruzione.
Con il primo programma (decreto commissariale n. 24 del 24 novembre 2010) fu avviata una consistente manovra sugli spazi pubblici disponendo l’approvazione d’interventi prioritari su edifici pubblici (localizzati per la gran parte nel centro storico di L’Aquila, nelle sue frazioni e nei centri storici degli altri comuni del cratere), sugli spazi esterni limitrofi agli edifici pubblici, sulla rete dei percorsi e sulla rete dei sottoservizi. Rappresentava questo il primo atto di programmazione economico-finanziaria e fisica finalizzato all’avvio della ricostruzione, che ne definiva le regole di finanziamento e di attuazione, poneva al centro dell’operazione la manovra sugli edifici, sulle infrastrutture e sugli spazi pubblici come elementi di aggregazione e di stimolo della iniziativa privata.23
Successivamente, tre anni dopo la cessazione del periodo commissariale, al fine di  completare la ricostruzione degli edifici pubblici danneggiati e restituire tutti i servizi alla collettività, è stato introdotto un modello di pianificazione articolato per settori di intervento (beni culturali, istruzione primaria e secondaria, istruzione superiore, edilizia residenziale pubblica, sedi istituzionali…), con l’individuazione delle amministrazioni pubbliche centrali responsabili della programmazione, attuazione e monitoraggio degli interventi nonché della gestione del circuito finanziario delle risorse assegnate (il Cipe insieme all’assegnazione ha anche definito criteri, priorità e procedure per la programmazione delle risorse finanziarie).
Il modello delineato nel terremoto del 2009 è stato confermato al Capo X-bis del DL 83/2012, ribadendo la finalità strategica dei piani di ricostruzione e indicando gli obiettivi da perseguire nella ricostruzione quali, tra l’altro, l’attrattività della residenza e la ripresa socio-economica del territorio. In tale prospettiva è stato fissato un termine per la predisposizione da parte dei comuni dei piani di ricostruzione e, comunque il perseguimento di tali finalità con gli strumenti previsti dalla legislazione ordinaria nazionale e regionale. Una percentuale delle risorse finanziarie destinate alla ricostruzione fisica è stata finalizzate anche a programmi di sviluppo del territorio al fine di assicurare  effetti  positivi  di  lungo  periodo   in   termini   di valorizzazione delle risorse territoriali, produttive e professionali endogene,  di  ricadute  occupazionali  dirette   e   indirette,   di incremento dell'offerta di beni e servizi connessi al  benessere  dei cittadini  e  delle  imprese.24

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A distanza di oltre tredici anni dal terremoto dell’Aquila (e di sei da quello dell’Italia centrale), ci scopriamo ancora impreparati, pronti a ripetere errori già commessi senza trarre vantaggio da quei fatti, da quelle decisioni e da quelle procedure che si sono rivelati vincenti.
L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia segnala che sono 50 i terremoti registrati in Italia nel corso dell’ultima settimana, a fronte dei 6 registrati nel resto del mondo (Filippine, Australia, Giappone, Marocco, Groenlandia, Isole Fiji). I terremoti non possono, in queste condizioni, essere considerati eventi eccezionali: se i cambiamenti climatici possono aver favorito l’insorgere di nuove emergenze e nuove catastrofi, se lo scoppio di una guerra può determinare situazioni di emergenza, i terremoti sono una costante nella storia del nostro Paese (allo stesso modo per il livello del mare in Olanda o gli uragani in Florida).
Se è inevitabile che, nel momento in cui si verifichi un evento sismico, vi sia una fase di emergenza, e che questa fase debba precedere la ricostruzione, ciò su cui si deve intervenire è la riduzione – qualitativa e quantitativa – della caratteristica emergenziale, per tendere a riportare queste ripetute eccezionalità alla normalità degli interventi.
Arrivarci è complesso e, spesso, la complessità – soprattutto quella dei fenomeni urbani – dà fastidio. Male si adatta ad un discorso pubblico concitato, polemico, viziato da pregiudizi e giochi di ruolo. Di frequente si alza l’invocazione a semplificare, a ridurre, a essere “pratici”. Ma la semplicità non si realizza per miracolo. E il rifiuto delle semplificazioni ha conseguenze pesanti. I risultati – che pure spesso ci sono – sono sopraffatti da quanto resta da fare. L’attenzione è distratta dall’offerta – ricorrente – di presunti rimedi miracolosi, la lettura dei processi resta miope e i rimedi proposti appaiono più lo schermo dietro il quale si assestano gli interessi, più o meno forti, che dei chiari indirizzi per l’azione. Ogni volta ci si dimentica che l’unica incertezza di un terremoto, soprattutto in una zona sismica, è quando avverrà e quanto sarà distruttivo; allora occorre essere preparati, sempre.




Note

1 Luciano Di Sopra, Il costo dei terremoti, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Aviano Editore, Udine 1992.

2 La prevenzione terziaria [serve a] predisporre l’istituzione e la comunità ad affrontare i problemi della riabilitazione e della ricostruzione […] rendendo minimi i costi e massimi i vantaggi per rapidità e qualità. Ibidem

3 La prevenzione primaria [serve a] dare vita a una politica di riduzione della vulnerabilità strutturale, e quindi del rischio, prima che gli eventi dannosi si verifichino. Questa politica evidentemente […] è tanto più efficace quanto più capillarmente informa di sé e migliora le scelte della quotidianità. Ibidem

4 In tema di prevenzione sismica, con il decreto-legge n.39/2009 (art.11) è stato istituito il Fondo per la prevenzione del rischio sismico per il finanziamento di studi di microzonazione sismica e di interventi strutturali di rafforzamento locale o di miglioramento sismico.

5 La prevenzione secondaria [serve a] preparare forze e mezzi al fine di affrontare più efficacemente le emergenze, quando le stesse si verificano a causa di un impatto disastroso che la prevenzione primaria non era riuscita a contenere. La prevenzione secondaria, pertanto, si predispone nella normalità, ma trova applicazione nelle situazioni straordinarie. Ibidem

6 La proposta, presentata il 5 agosto 2021, è attualmente all’esame della Commissione VIII (Ambiente, territorio e lavori pubblici). L’esame del provvedimento, iniziato nella seduta del 30 novembre 2021, è stata rinviato ad altra seduta.

7 Magnitudo Momento, Mw = 6.3. Nei giorni seguenti all’evento principale, sono stati registrati, come accade spesso in questi casi, migliaia di eventi secondari, tra cui 7 con Mw maggiore di 5 e oltre 25 con Mw maggiore di 4.

8 Bisogna risalire al terremoto di Messina del 1908 per imbattersi in un altro sisma che abbia coinvolto direttamente una città paragonabile a L’Aquila (anche se con il doppio di popolazione al temo del disastro ma, comunque, né capoluogo regionale né sede di istituzioni di rango nazionale, elementi di non poco conto nelle vicende della ricostruzione).

9 La scheda AeDES  - approvata pochi mesi prima dalla conferenza unificata Stato-Regioni e adottata con l’OPCM 3753 del 6 Aprile 2009 – è stata quella generalmente utilizzata per il rilievo del danno agli edifici; altri modelli di schede sono stati utilizzati per il rilievo dei danni subiti dagli edifici tutelati e per altre tipologie costruttive.

10 Atto Camera 3260 – Relazione di accompagnamento.

11 Disegno di legge – Comunicato stampa Presidenza del Consiglio dei Ministri.

12 Spesso, è quanto avviene anche a livello centrale quando i così detti governi tecnici o semi-tecnici (o governo dei tecnici) sono accusati, magari dagli stessi esponenti politici che ne hanno condiviso la nomina e ne fanno parte, di spossessamento delle loro prerogative, di sostituirsi agli organi democraticamente eletti, di non tener conto delle volontà dei cittadini. L’unica risposta possibile in questi casi è una forte leadership con  decisa capacità di risposta (quanto accade con il governo Draghi è sotto gli occhi di tutti).

13 La Filiera processava mediamente 1000 pratiche al mese  degli edifici con esiti di agibilità B o C, con punte di oltre 2000 pratiche, mentre per gli edifici con esito di agibilità E (gravemente danneggiati), processava mediamente tra le 200 e le 400 pratiche al mese, con punte, in alcuni periodi, circa 1200 pratiche esaminate. Libro bianco sulla ricostruzione privata fuori dai centri storici nei comuni colpiti dal sisma dell’Abruzzo del 6 Aprile del 2009.

14 Dopo la diffida del Consiglio Nazionale degli Ingegneri del 30 dicembre 2010, in merito alla legittimità dell’affidamento diretto da parte dei Comuni del Cratere alle Università di attività professionali relative alla ricostruzione, STM aveva proposto di inserire in un OPCM una norma finalizzata a consentire ai Comuni del cratere di avvalersi delle Università e degli Enti pubblici di ricerca.

15 In un periodo in cui iniziavano a farsi evidenti i segnali di crisi economica (il crollo dei mercati finanziari americani era iniziato l’anno prima del terremoto), l’attenzione puntuale sull’utilizzo delle risorse finanziarie stanziate, sull’avvio e messa a punto di un sistema completo della loro tracciabilità, su contenuti, modalità e strumenti che garantissero il più possibile l’economicità della spesa destinata alla ricostruzione, erano gli argomenti e le linee guida costantemente sottolineati dal Ministero dell’economia e delle finanze, dai suoi vertici politici e dalle strutture dell’amministrazione. 

16I contributi a fondo perduto ivi previsti e destinati alla ricostruzione,  riparazione  o acquisto di immobili, sono concessi ai privati  o ai condomini costituiti da privati ai sensi degli articoli 1117  e  seguenti  del  codice  civile, a titolo di indennizzo per il ristoro,  in  tutto  o  in  parte,  dei danni causati dal sisma del 6 aprile  2009  ad  edifici  di  proprietà privata. Conseguentemente i contratti stipulati dai beneficiari per la esecuzione di lavori e per l'acquisizione di beni e servizi connessi non si intendono ricompresi tra  quelli previsti dall'articolo 32, comma 1, lettere d) ed e), del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163”.

17 L’OPCM, invece, fu una delle più importanti lungo tutta la vicenda del terremoto.

18 Art. 2-Definizioni
1. Ai fini del presente decreto, si intende per:
a) dibattito pubblico: il processo di informazione,  partecipazione e confronto pubblico sull’opportunità, sulle  soluzioni  progettuali di opere, su progetti o interventi di cui all'Allegato 1.(DPCM 10 maggio 2018, n.76)

19 Documento trasmesso a tutti i comuni del cratere il 30 maggio 2010.

20 Ibidem

21“L'attuazione del piano avviene a valere sulle risorse di cui al comma 1. Ove appartengano alla categoria di cui all'articolo 10, comma 3, lettera a), del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ovvero in caso di particolare interesse paesaggistico attestato dal competente vice commissario d'intesa con il sindaco, gli edifici civili privati possono essere ricostruiti a valere sulle predette risorse nei limiti definiti con ordinanza adottata ai sensi dell'articolo 1, comma 1, tenuto conto della situazione economica individuale del proprietario. La ricostruzione degli edifici civili privati di cui al periodo precedente esclude la concessione dei contributi di cui all'articolo 3, comma 1, lettere a) ed e).” Art.14, co.5 bis, lg.n.77/2009 

22 P. Leon in Considerazioni sulle finalità̀, gli obiettivi e i profili economici dei piani di ricostruzione ex art. 14, comma 5-bis, legge 77/2009, L’Aquila 18 dicembre 2010, pagg.10-13.

23 Decreto Commissario delegato n.24/2010.

24 In particolare: a)  interventi   di   adeguamento, riqualificazione e sviluppo delle aree di localizzazione  produttiva; b) attività e programmi di  promozione  turistica  e  culturale;  c) attività di ricerca, innovazione tecnologica e alta  formazione;  d) azioni di sostegno  alle  attività imprenditoriali;  e)  azioni  di sostegno per l'accesso al credito delle imprese, comprese le micro  e piccole imprese; f) interventi  e  servizi  di  connettività,  anche attraverso la banda larga, per cittadini e imprese.