Parole chiave:
Area Archeologica Centrale, Bordi, Riqualificazione urbana
Abstract:
L’Area Archeologica Centrale di Roma ha visto negli ultimi venti anni crescere la sua condizione di frammento all’interno della città. Se dal punto di vista urbano si trova nelle stesse condizioni di settanta anni fa, l’assenza di politiche unitarie, gli interventi puntuali e la pressione turistica hanno contribuito a generare condizioni di degrado e separazione.
Con la definizione del Parco Archeologico del Colosseo si sono costituite le condizioni per quel piano strategico a scala urbana auspicato in molti documenti. Il lavoro di ricerca è volto a comprendere se sia possibile considerare le aree perimetrali come una vera e propria categoria operativa, luogo unico e decisivo per costruire le condizioni di riammagliatura e di continuità dell’Area Archeologica Centrale con il resto del contesto urbano
A partire dal dopoguerra, l’Area Archeologica Centrale ha vissuto una condizione di stasi, un passivo vivere sporadicamente oggetto di intervento, per lo più lasciato a confrontarsi con i cambiamenti della città circostante. Il progetto architettonico ed urbano non è riuscito a elaborare questa realtà coniugandola con il tema della conservazione e della tutela che, lasciato a sè stesso, ha prodotto un insieme puntuale e frammentario di interventi.
Negli ultimi venti anni questa situazione è stata rimessa in discussione in favore di un ritrovato interesse rivolto a comprendere condizioni e destino possibile dell’area. La rinnovata attenzione nasce da un insieme di fattori, a partire dalla presa di coscienza delle condizioni di degrado e periferizzazione già presenti, e che si sono ulteriormente inasprite conseguentemente all’esplosione del turismo di massa (e di tutti i fenomeni di trasformazione del tessuto urbano e sociale ad esso collegati). Tuttavia assistiamo oggi al delinearsi di nuove condizioni, in particolare dal punto di vista amministrativo e gestionale, che potrebbero consentire l’effettiva realizzazione di quel piano unitario già auspicato negli anni Ottanta. Un piano non rivolto esclusivamente alle necessità di matrice turistica, ma capace di volgere lo sguardo verso lo spazio circostante, in un’ottica di riconnessione e ridefinizione della continuità urbana tra il nucleo storico e la Città Storica. A queste nuove condizioni va aggiunto l’importante lavoro che ha condotto all’iscrizione del sito nel patrimonio UNESCO.
In definitiva, in un contesto in cui la ricucitura della frattura imposta oltre un secolo fa diventa tema di trasformazione urbana attuale e necessario, il progetto dello spazio pubblico, ed in particolar modo di tutto quel sistema di luoghi che configurano il margine tra archeologica e città, diventa uno strumento di riqualificazione di grande importanza.
Principali criticità di delimitazione
L’Area Archeologica Centrale nella sua versione più accreditata costituisce un’area di circa 75 ettari, corrispondente al quadrilatero costituito da: Piazza Venezia, Fori Imperiali, Colosseo, Colle Oppio, Campidoglio, Teatro di Marcello, Foro Romano, Palatino e Circo Massimo (Commissione paritetica Mibact-Roma Capitale, 2015) (fig.1).
Il lavoro di ricerca qui presentato parte dall’attuale situazione di progressivo e sempre più marcato isolamento tra Area Archeologica Centrale e Città Storica, in una situazione che produce condizioni di degrado, frammentazione sociale e in generale di perdita di senso e valore delle parti rispetto al sistema. Sono individuabili alcuni macro-ambiti che riassumono i caratteri principali di questa crisi.
Dal punto di vista urbano la città, fin dai primi interventi post - unitari, non è mai stata in grado di garantire la continuità fra tessuto edilizio e area archeologica. Questo sistema da periferia interna si trasforma in centro su cui, improvvisamente, gravano flussi e dinamiche della nuova Capitale. Il violento ed improvviso contrasto fra nuovo e vecchio, nonché la progressiva contrapposizione fra progetto e archeologia, si accentuano con la realizzazione del Vittoriano, che rompe definitivamente il rapporto fra il centro ed i Fori. Gli interventi degli anni Trenta danno forma a questo distacco, includendo il sistema archeologico in un disegno a scala urbana di matrice ideologica che distrugge l’idea ottocentesca del Parco Archeologico, accentuando il valore delle rovine come oggetti decontestualizzati. Il risultato è una struttura insediativa che negli anni successivi si mostra immediatamente inadeguata, e che rimane sostanzialmente inalterata fino ai giorni d’oggi, incapace di rispondere alle pressioni ed alle trasformazioni sia urbane che sociali.
Spostando l’attenzione dal tema propriamente urbano a quello della pianificazione, sin dal Piano Regolatore del 1962 (rimasto sostanzialmente inattuato per quanto riguarda il decongestionamento dell’Area Archeologica Centrale), appare evidente l’assenza di un piano unitario in grado di mettere a sistema le varianti locali, e di strumenti amministrativi adatti ad un contesto così complesso, al cui interno opera una grande varietà di soggetti pubblici1.
Conseguenza inevitabile ne è un insieme eterogeneo e frammentario di interventi, spesso a carattere puntuale e in risposta a specifiche istanze archeologiche relative allo scavo, alla perimetrazione e alla tutela dei monumenti. Questa situazione conduce alla progressiva perdita di senso e di comprensibilità tanto dell’area nel suo complesso, quanto delle sue singole parti in rapporto con la città. La crescente discontinuità sia interna che esterna accentua in particolare fenomeni di degrado e periferizzazione di vasti tratti di uno spazio pubblico estremamente complesso, incidendo anche sulla perdita di rapporti fra cittadini ed identità storica sedimentata localmente.
Appare inevitabile allargare l’attenzione al tema del costante incremento del turismo2. La mancanza di una risposta coordinata e di un adeguato incremento dei servizi ha prodotto un progressivo asservimento a fini turistici sia delle strutture presenti all’interno dell’area, che delle parti di città circostanti. Il risultato è una condizione di caos che induce un rafforzamento delle misure di tutela e protezione del patrimonio, generando un processo di ulteriore frammentazione e, di pari passo, un peggioramento dei rapporti tra abitanti e turisti.
Dal Progetto Fori al Parco Archeologico del Colosseo
A partire dagli anni Ottanta il dibattito si è concentrato nuovamente sull’Area Archeologica Centrale: da una parte sulla necessità di una ricucitura sia fisica che sociale con la città, dall’altro sul tema della conservazione e della salvaguardia3 dei monumenti. Con Luigi Petroselli, eletto Sindaco nel settembre del 1979, si riporta l’attenzione sull’area e, attraverso il Progetto Fori, si propone la ricomposizione di tutto il sistema archeologico secondo un progetto a scala urbana. In parallelo avviene un tentativo di riavvicinare gli abitanti alla propria identità storica consegnando alla cittadinanza le aree archeologiche con le iniziative delle Estati Romane e con le chiusure domenicali di via dei Fori Imperiali.
Si delinea quindi il possibile ritorno ad una idea di progetto intesa come “risposta complessa, plurale, fortemente compromessa con il contesto e, pertanto, elastica e tollerante all’errore” (Elia, M.M., 1998), in cui il progetto architettonico ed urbano si pone come il mezzo ideale per superare lo specialismo e la frammentarietà in favore di una visione più ampia e multidisciplinare, all’interno della quale possono convivere diversi temi: l’archeologia, intesa come salvaguardia e condivisione, le infrastrutture, la riacquisizione da parte della collettività di uno spazio identitario e dei valori in esso sedimentati.
Questo importante momento storico ha poche conseguenze concrete, in quanto il Progetto Fori rimane inattuato. Tuttavia, ripetutamente evocato, diventerà un fondamentale riferimento per tutto il lavoro successivo, fino alle trasformazioni di questi ultimi decenni. Con l’istituzione del Parco Archeologico del Colosseo nel 2016, preceduto dagli accordi per il Consorzio per i Fori di Roma (2015) e dalla redazione del Piano di Gestione per il Sito UNESCO (con l’importante dibattito che ha preceduto questo documento4), si avverano le condizioni amministrative e gestionali per mettere mano a quel piano strategico unitario a scala urbana che è stato auspicato sin dagli anni Ottanta. Ciò potrebbe consegnare finalmente al Progetto Architettonico il ruolo di sintesi e messa a sistema di una realtà così complessa.
Il perimetro come luogo di trasformazione.
In questo contesto il tema della riconnessione assume nuova centralità: la ricostruzione di una continuità fra Area Archeologica Centrale e Città Storica va prospettata sia su scala generale, come ripristino dell’unità spaziale e di paesaggio, sia su scala infrastrutturale, in termini di mobilità, servizi e relazioni. A questo scopo appare però fondamentale innanzitutto superare la concezione di perimetro come limite, inteso nella sua valenza amministrativa. Il perimetro va considerato invece come un luogo che necessita di essere indagato con un lavoro puntuale di ricognizione della città, per comprenderne le diverse condizioni: criticità, potenzialità, forma e dimensione. La prospettiva è di trasformare il limite in una “buffer zone” (Piano di Gestione del Sito Patrimonio Mondiale UNESCO[...], 2016), una membrana permeabile capace di dialogare tanto con la città, quanto con le aree archeologiche: un luogo unitario di riqualificazione e riconnessione.
L’importanza delle aree di bordo appare evidente. Già nel Piano Strategico redatto nel 2015 dalla Commissione Paritetica MiBACT - Comune di Roma, l’Area Archeologica Centrale è definita come “ambito [...] riconoscibile da un sistema di aree di margine che configurano una sorta di bordo”. Viene quindi rovesciato il rapporto che ha sempre posto l’area archeologica al centro rispetto al suo immediato contesto. Le “aree di margine” acquisiscono per contro una rilevante centralità come insieme dei luoghi che definiscono l’ambito archeologico, e, per questo, si trasformano in uno spazio essenziale di trasformazione urbana. Proseguendo, nel Piano di Gestione del 2016 si “rimarca l’importanza delle aree di confine e di passaggio” in un’ottica che prevede non solo la “tutela dei luoghi storici, ma anche delle relazioni tra questi luoghi e il loro contesto, collegamenti che sono di tipo strutturale [...], sociale [...], visivo”.
Nonostante la centralità del tema delle aree di bordo, le indicazioni rimangono spesso vaghe in termini progettuali, soprattutto se confrontate con l’attenzione rivolta a risolvere concretamente le principali criticità in termini di accessi, mobilità, servizi turistico-culturali all’interno dell’Area Archeologica Centrale.
Il lavoro di ricerca a cui allude il presente contributo intende concentrarsi sul quell’insieme di luoghi, attualmente oggetto di degrado e periferizzazione, che costituiscono il limite fra due strutture urbane caratterizzate da un diverso grado di trasformabilità, ovvero fra due sistemi che spesso non condividono necessità e bisogni.
Le aree di bordo diventano aree di notevole importanza in quanto possono contribuire sia alla riorganizzazione strategica della città storica, sia alla ricostruzione dei rapporti fra questa e le aree archeologiche. Sotto questo profilo il tema dei bordi non riguarda solamente gli accessi e le connessioni. I margini si presentano piuttosto come un sistema di luoghi del collettivo ove entrano in relazione le trame del contemporaneo e dell’antico5, e dove può essere nuovamente leggibile la stratificazione storica che caratterizza Roma. Queste aree si prestano ad essere oggetto di trasformazione per il loro ruolo di cerniera fisica, culturale e funzionale, secondo una progettualità che le definisca come una vera e propria “categoria operativa” (Panella, R. (1989) Roma Città e Foro) e che agisca non solo in modo centrifugo, cioè a partire dalle aree archeologiche verso l’esterno, ma anche da fuori a dentro, al fine di ritrovare la continuità tra Città Storica ed Area Archeologica Centrale. Si tratta di una dinamica che intende ribaltare il processo di periferizzazione dei bordi, trasformandoli in centralità: ridefinendo in particolare il ruolo urbano di questi luoghi ed il relativo rapporto con cultura e società attuale, con il sistema dei flussi, dei trasporti e dei nodi di interscambio. Un sistema del genere dovrebbe aiutare ad interpretare la realtà contemporanea e rispondere in modo elastico, accogliendo tanto le istanze turistiche quanto quelle abitative locali.
La riqualificazione delle aree di bordo diventa in definitiva una opportunità di riqualificazione e ricucitura dello sradicamento prodotto in nome della conservazione e dalla mancata gestione e pianificazione di un contesto così prezioso ed importante.
Note
1 Allo stato attuale i soggetti pubblici presenti sull’area sono: MiBACT, Parco Archeologico del Colosseo, Regione Lazio, Comune di Roma (Sovrintendenza Capitolina), Santa Sede (Vicariato).
2 Fra il 1996 e il 2017 il numero di visitatori dell’area corrispondente all’attuale Circuito Archeologico Colosseo, Foro Romano e Palatino è passato da 1.417.134 visitatori a 7.036.104. Fonte: MiBACT, Ufficio di Statistica.
3 Il tema della conservazione e della salvaguardia dei monumenti viene sollevato con la lettera di denuncia sul deterioramento delle superfici marmoree scritta dal Soprintendente ai Beni Archeologici Adriano La Regina e pubblicata su Il Tempo il 21\12\1978.
3 Nel 2004 l’UNESCO richiede la redazione di un Piano di Gestione per i siti iscritti. Sulla base di questa richiesta nel 2007 viene nominata una Commissione per il Piano di Gestione (Studio Preliminare Verso un Piano di Gestione). Nel 2012 l’UNESCO fornisce le linee guida per il Piano di Gestione, rispetto al quale nel 2014 la Commissione Paritetica MiBACT - Comune di Roma adatta il Piano di Gestione precedentemente prodotto per poi, nel 2016, arrivare ad approvazione da parte del Comune.
4 Secchi, B., Le incertezze del programma e necessità del progetto, in Panella, R. (1989) Roma Città e Foro. Roma. Officina Edizioni.
Riferimenti Bibliografici
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