Contributi specialistici

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La Città e i Fori Per una visione strategica di Roma
Alessandra Capuano
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L’area archeologica urbana più importante al mondo, così come è stata definita nell’ultimo documento in ordine di tempo che si interessa dell’area dei Fori (Studio per un Piano strategico per la sistemazione e lo sviluppo dell’Area Archeologica Centrale di Roma, Commissione paritetica MIBACT - Roma Capitale), è al tempo stesso il cuore della città antica e della città moderna. Si tratta di un’area con 45 ettari di estensione, circa 6,5 milioni di visitatori all’anno e oltre 42 milioni di introiti da biglietteria, la cui sistemazione è da secoli al centro del dibattito culturale, politico e urbanistico.
Già nel periodo napoleonico, ma poi soprattutto dall’Unità d’Italia e durante il Ventennio Fascista, fu interessata da riflessioni teoriche e trasformazioni urbane mirate a valorizzarne il patrimonio archeologico, all’epoca concepito più come suggestiva quinta scenografica all’interno di un nuovo ordine infrastrutturale, a cui riconoscere - enfatizzandolo - un valore fondativo nell’identità nazionale.
Il dibattito si riaccese tra gli anni Settanta e Ottanta, quando il degrado dei monumenti a causa dell’inquinamento del traffico sollecitò provvedimenti legislativi per la protezione dell’area archeologica centrale di Roma. Da allora si sono susseguiti scavi e studi che hanno permesso di comprendere meglio le stratificazioni storiche, accompagnate da molteplici proposte di rigenerazione urbana, che ancora non hanno trovato una concretizzazione stabile.
Si possono individuare tre periodi principali di queste proposte.

1 - Dal 1978 al 1985 accese discussioni hanno impegnato politici, cittadini e intellettuali sull’opportunità di rimuovere il tracciato fascista della via Imperiale, causa del traffico che danneggiava i monumenti, ma anche simbolo di un’epoca da cancellare. Il riassetto complessivo dell’area, formulato per la Soprintendenza Archeologica di Roma - allora diretta da Adriano La Regina - da un gruppo guidato da Leonardo Benevolo, Francesco Scoppola e Vittorio Gregotti, oltre a prevedere la eliminazione dell’infrastruttura, ipotizzava la ricostruzione della Velia come contenitore dell’Antiquarium, immaginando un vasto parco archeologico inteso come luogo delimitato della città, anche se servito da attraversamenti e connessioni. Il progetto proponeva, fin troppo ideologicamente, anche l’eliminazione dell’altra arteria fascista, la via del Mare, e una diffusa rimozione dell’assetto viario, non solo quello del Ventennio, ma anche quello che si era formato precedentemente con gli interventi per Roma Capitale. Il progetto di un unico grande ambito protetto dentro le Mura, che si estendeva dal Laterano a S. Pietro e da piazza Venezia a Porta S. Sebastiano, riorganizzava le zone archeologiche in un contesto di spazi verdi e individuava 17 aree problematiche, dove le soluzioni architettoniche e urbane si sarebbero confrontate con le specificità dei siti.  Il parco archeologico, che sarebbe dovuto diventare un tutt’uno con il Parco dell’Appia, azzerava gli interventi degli anni Trenta, proponendosi di riprendere il problema dell’Area Archeologica nei termini in cui era stato impostato dalla Commissione Reale tra il 1887 e il 1914 per la realizzazione della Passeggiata Archeologica. Il fine era, come scriveva Benevolo, di creare un grande parco come Villa Borghese, costituito da un insieme di recinti archeologici, permeabile al traffico pedonale e in certe parti anche al traffico motorizzato. La realizzazione di questo grande parco, nelle intenzioni dei progettisti, rispondeva certamente alla necessità pratica di eliminare il traffico nel centro città, ma subiva eccessivamente le istanze dell’archeologia, scienza finalizzata all’esplorazione precisa e alla conoscenza della memoria storica, e dunque, per statuto, meno interessata agli esiti spaziali che gli interventi di scavo producono. Oggi è per noi fuori discussione la necessità di conservare e valorizzare questa antica parte della città, restituitaci grazie al progetto mussoliniano. Più discutibile, invece, l’idea di volerne fare un grande parco sentimentale e romantico nel senso schilleriano del termine, trascurando le ibridazioni e i sincretismi tra diverse epoche, tra artificiale e naturale, che Roma esprime e che deve costituire per noi un proficuo insegnamento.

2 - Dal 1985 al 2005 Raffaele Panella affronta il tema dell’Area Archeologica Centrale su mandato comunale, avviando una riflessione che si articolerà in quattro fasi successive per una durata ventennale. L’assunto di partenza, mai contraddetto nelle diverse ipotesi progettuali, consisteva nel concepire l’Area Archeologica come parte della città contemporanea. Il Piano che ne scaturì individuava unità minime d’intervento e distingueva tra comparti archeologici e monumentali (nei quali prevaleva la conservazione) e aree di bordo (dove erano previsti progetti di trasformazione). Per superare il recinto archeologico infatti, Panella lavorava sulle “aree di bordo”, che identificava come una vera e propria categoria operativa. Questo spazio di margine, luogo di scambio tra città antica e città moderna, scongiurava l’idea di chiusura dell’area archeologica e aveva una funzione di servizio nei confronti del “nocciolo” centrale. È la lettura del tessuto della città, con le sue stratificazioni, a suggerire soluzioni progettuali e modalità di contatto fra struttura urbana e Area Archeologica. In sostanza l’ipotesi formulata da Panella si discostava dall’idea romantica di isolare le rovine nel verde, prediligendo un’interpretazione urbana e contemporanea dell’area antica, e quindi identificando nella compresenza di epoche diverse il principale elemento dell’identità di Roma. Nei quattro scenari predisposti dall’architetto, il centro antico è sempre concepito come spazio pubblico vissuto: nel 1985 il Primo Progetto Fori accetta la sfida della Soprintendenza di demolire la via dei Fori Imperiali e lavora sulla riconoscibilità delle antiche piazze imperiali; nel progetto del 1993, sempre con l’intento di rendere espliciti i margini dei complessi monumentali, una nuova connessione sostituisce la via dei Fori Imperiali attestandosi lungo il Portico di Traiano e Ottaviano; nella versione progettuale del 2000, il percorso si interrompe su largo Corrado Ricci, dove viene riprogettato il muro di sostegno della Velia, che diventa sede della stazione della metro C; infine, il Quarto Progetto Fori propone un percorso principale sollevato dal suolo che sostituisce la via dei Fori Imperiali e un sistema di passerelle che connette tra loro le diverse aree archeologiche. In questo periodo era infatti maturata nel pubblico dibattito la volontà di conservare via dei Fori Imperiali come parte della storia e pertanto nel 2001 viene posto un vincolo di tutela della strada.

3 - Dal 2013 con la Giunta Marino e il suo assessore all’urbanistica Giovanni Caudo si prospetta un parziale ritorno alla proposta Benevolo. Mentre si accende il dibattito sull’opportunità di realizzare una stazione della Metro C a Piazza Venezia, viene istituita una commissione paritetica tra Ministero dei Beni Culturali e Comune per superare le diverse competenze e giurisdizioni dell’area. Viene rimesso in discussione il vincolo monumentale su via dei Fori Imperiali, prevedendo la rimozione dello “stradone” tra piazza Venezia e largo Corrado Ricci per liberare e dare continuità ai Fori Imperiali, tornati ad essere osservati dai cittadini romani con le bellissime ricostruzione virtuali di Piero Angela e Paco Lanciano. In questo quadro di ragionamenti, Caudo elabora uno schema di assetto che individua numerosi attraversamenti trasversali tra l'area archeologica e la città moderna (tra cui l’asse della via Baccina che arriva al Foro di Augusto e segue verso il Velabro, il Tevere e l'Aventino, fino al giardino degli Aranci), e prevede la sistemazione di uno spazio pedonale attorno al Colosseo, che risolva l'uscita dalla stazione della metro e indirizzi i flussi pedonali verso l'inizio della via Sacra e l'ingresso al Palatino.

Risulta evidente come sia per il gruppo Benevolo, che per Panella e Caudo, si trattava di produrre una visione strategica e d’insieme per la capitale, in cui la trasformazione dell’Area Archeologica Centrale fosse parte di un più vasto programma di interventi, basati innanzitutto sulla riconsiderazione del sistema infrastrutturale e dei trasporti. A questo complesso e articolato dibattito si aggiunge l’indefessa attività di sperimentazione svolta dalle università Sapienza e RomaTre, che nell’ambito di progetti di ricerca e di didattica, e attraverso tesi di laurea e di master, hanno costantemente indagato il ruolo e il significato nella città contemporanea dell’area archeologica centrale e del Parco dell’Appia Antica, sua naturale prosecuzione fuori le Mura Aureliane.
Come è sotto gli occhi di tutti, realizzare soltanto la pedonalizzazione di via dei Fori Imperiali, senza associarla ad adeguati interventi alla scala urbana capaci di riscrivere il modo di fruire di questa zona, ha finito per aggiungere un ulteriore elemento di cristallizzazione del patrimonio storico e di marginalizzazione di questa parte della città, che finisce per essere difficile da valicare e frequentare, se non per ragioni turistiche. Quella che può definirsi una delle parti più simboliche di Roma, e che corrisponde anche ad una delle zone che maggiormente è mutata nel corso della storia assumendo connotazioni radicalmente diverse di epoca in epoca, si trova in uno stato caotico caratterizzato da indispensabili operazioni di restauro conservativo, progetti di sistemazione di singole parti e interventi di emergenza, dove manca però un quadro organico di utilizzo moderno del patrimonio archeologico.

La riqualificazione degli spazi aperti, la necessità di attraversare un’area così ampia al centro della città, che non può essere sottratta ai cittadini e utilizzata solo per la sua commercializzazione turistica, la predisposizione di servizi e attrezzature non solo per i visitatori, ma anche per la fruizione quotidiana degli spazi, l’allestimento di dispositivi di protezione per le aree archeologiche, il tema delle infrastrutture e dei trasporti sono quindi alcune questioni inderogabili e indispensabili se vogliamo risolvere il rapporto tra città contemporanea e sito archeologico. Come connettere l’Area Archeologica al resto della città è un problema che non può essere certo affrontato per parti autonome, cioè ignorando l’assetto più ampio della città e il rapporto fisico e simbolico che si vuole stabilire oggi tra contesto urbano e contesto archeologico. Non sarà infatti un singolo intervento a risolvere quello che è un problema strutturante della città. E per quanto riguarda l’opportunità di trasformare con inserti di architettura contemporanea quest’area, così si esprimeva Renato Nicolini: “Si può inserire l’architettura ‘del nostro tempo’ nel paesaggio urbano dei Fori Imperiali? E perché dovremmo inibirlo?”. D’altro canto i recenti progetti per le stazioni della metro C a San Giovanni per opera di Andrea Grimaldi e Filippo Lambertucci e a via dell’Ambaradam dello studio ABDR testimoniano che non solo l’incontro tra passato e futuro è possibile, ma è auspicabile e stimolante.

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