D1. Tra archeologia e urbanistica
Nella varietà delle soluzioni che sono state prospettate fino ad oggi per l’Area Archeologica Centrale di Roma, uno dei temi decisivi e più controversi riguarda il senso primario da attribuire a questo grande spazio composito dall’immenso valore simbolico, storico e culturale e al tempo stesso ricco di straordinarie valenze di animazione urbana e di attrazione turistica. Nella visione al futuro dell’area dei Fori e del suo immediato intorno urbano, sono da confermare le condizioni attuali? Oppure si devono privilegiare gli obiettivi della conoscenza archeologica e conseguentemente un uso condizionato delle nuove aree di scavo, destinate poi a diventare un parco archeologico recintato e sorvegliato? O ancora devono essere mantenute e migliorate le funzioni di attrazione urbana, lasciando lo spazio a disposizione delle molteplici popolazioni che lo affollano nei diversi tempi e lo usano come uno dei luoghi dove la città incontra gli strati più profondi della sua lunga storia? È possibile insomma conciliare archeologia e urbanistica? A quali condizioni?
Conciliare archeologia e urbanistica? Non solo è possibile ma necessario. Da tempo, l’integrazione tra i due punti di vista è culturalmente, in parte anche operativamente, acquisita. Ne è un buon esempio il PRG vigente: nella sua impostazione – dal “centro storico” alla “città storica”, per la quale sulla base di studi attentissimi e aggiornati sono stabilite regole che garantiscono e integrano tutela, manutenzione, rigenerazione – nei suoi elaborati prescrittivi e soprattutto nella formulazione, tra i cinque ambiti strategici, di quello per il Parco dei Fori e dell’Appia Antica.
A quali condizioni può avvenire questa integrazione? Essenziale una effettiva collaborazione tra le Amministrazioni preposte alla tutela, alla gestione, alla valorizzazione, dunque tra Stato (MIBACT) e Comune. Collaborazione che nei primi 15 anni del secolo ha fatto passi avanti. Ricordo il lavoro di due successive, autorevoli, Commissioni Stato/Comune che a fine 2014 si è concluso con una relazione ampia, dettagliata e ricca di indicazioni tra le quali la definitiva acquisizione dell’area archeologica centrale quale parte integrante della città, come dite giustamente “spazio a disposizione delle molteplici popolazioni che lo affollano nei diversi tempi e lo usano come uno dei luoghi dove la città incontra gli strati più profondi della sua lunga storia”. Ferma restando naturalmente la superiore finalità della tutela, che oggi tuttavia può far conto, diversamente dai tempi delle leggi Bottai, su una cultura ben più solida e diffusa del Patrimonio storico culturale.
La fase delle Commissioni paritetiche Stato Comune si è conclusa con una decisione importante: la costituzione, ad inizio 2017, del Parco Archeologico del Colosseo con un suo solido apparato di gestione. Seppure accompagnata da polemiche (il Comune ha considerato la decisione come “invasione di campo”) e discutibile nella denominazione, la decisione, per l’ampiezza territoriale del Parco, che include gran parte del Colle Oppio, i Fori Imperiali, il Foro Romano, il Circo Massimo inclusa Via dei Cerchi, stabilisce già di fatto che l’Area Archeologica Centrale è una parte integrante della città, supera qualsiasi ipotesi di “separazione” e apre una nuova fase per la vita di questo immenso e mirabile cuore urbano.
Vorrei solo aggiungere che, per garantire la migliore e dinamica gestione di questo “cuore”, già oggi un immenso parco urbano, andrebbe ripresa la proposta di un Consorzio Stato – Comune già avanzata da tempo ma colpevolmente messa in soffitta.
D2. Del possibile Progetto urbano
Nonostante il conflitto ancora irrisolto delle visioni e i numerosi fallimenti progettuali finora incontrati, non c’è dubbio che sia diventato ormai urgente dotarsi di un Progetto urbano credibile e alla scala giusta, per indirizzare in modo coerente i diversi interventi che a vario titolo investono l’Area Archeologica Centrale. Ma la forma tradizionale del Progetto urbano, come disegno compiuto di un assetto fisico-funzionale a medio-lungo termine, appare ormai del tutto inadeguata a guidare le trasformazioni future. C’è piuttosto da immaginare una convincente visione per l’avvenire dell’Area; e poi l’avvio di un processo di progettazione aperto, finalizzato al conseguimento della visione prefigurata: in pratica una combinazione flessibile ed evolutiva di interventi multiscalari, traguardati in funzione della visione assunta. La visione dovrebbe essere condivisa quanto più possibile dalla città, dalle istituzioni e dall’opinione pubblica internazionale, e alimentata operativamente dalle ingenti risorse attivabili in presenza di un progetto ben costruito e affidabile. Quali dovranno essere i temi più rilevanti del nuovo Progetto urbano per l’Area archeologica centrale di Roma, quale la sua forma e soprattutto quali le modalità d’attuazione possibili, nella nostra epoca sempre più dominata dall’incertezza e dall’imprevedibilità per il futuro?
Direi anzitutto che, superata la “forma tradizionale” del Progetto urbano – del resto estranea alla stessa esperienza romana, basti pensare al Progetto Urbano Ostiense Marconi - è del tutto condivisibile la proposta di avviare un processo che inizi con una “convincente visione dell’avvenire dell’Area” e si concretizzi poi in percorsi di progettazione e attuazione multiscalari. La presenza entro il Parco del Colosseo di almeno sei unità morfologico-culturali-funzionali, come le chiama la relazione della commissione paritetica del 2014, Foro Romano, Fori Imperiali, Colosseo, Palatino, Circo Massimo, Monte Oppio, ognuna delle quali include spazi recintati e spazi aperti, impone un sistema assai articolato di azioni interconnesse ma che si svilupperanno lungo un ampio arco temporale e avranno caratteri, dimensioni, modalità di attuazione molto diversi.
Quanto ai temi rilevanti, che appaiono tali in funzione delle evoluzioni storiche e culturali definite dal trascorrere del tempo, credo ormai maturata la necessità di un radicale ribaltamento dell’”affaccio” verso la città del sistema Foro Romano-Palatino. La retorica imperiale e coloniale del regime fascista impose l’asse di Via dei Fori Imperiali, peraltro già previsto seppure in forme poco diverse dai Piani Regolatori post unitari. Un dibattito divenuto piuttosto ossessivo sul destino dello stradone ha contribuito dagli anni ’80 del secolo scorso a mettere in ombra il grande significato dell’altro versante del sistema, quello che si rivolge al Circo Massimo. Eppure per almeno dieci secoli, da quando in epoca arcaica fu prosciugata la palude Murcia e si consolidò l’insediamento palatino, il suo affaccio primario era la valle Murcia. Su quel versante si localizzò l’insediamento originario, le “capanne di Romolo”, e dopo otto secoli su quel versante Augusto e Livia stabilirono le loro residenze. Restituire a questo versante la sua continuità con lo spazio del Circo Massimo, eliminando le automobili lungo via dei Cerchi; integrare l’invaso del Circo, dal quale si traguardano i Colli Albani e la memoria riconduce ad Alba Longa e agli insediamenti laziali che originarono il primo sinecismo di Roma, con il complesso della ex Pantanella e di S. Maria in Cosmedin; ridare finalmente un uso appropriato al palazzo dei Musei impropriamente occupato da laboratori e uffici; ritrovare, valorizzandola, una assialità urbana verso i due templi di Portunus e di Ercole Vincitore sulla riva del Tevere: ecco un grande tema che dovrebbe ispirare un nuovo Progetto Urbano per l’Area Archeologica Centrale. Un progetto che abbia una dimensione urbana e metropolitana (il traguardo verso i Colli Albani) e interpreti, ancorandoli alla contemporaneità, i valori della storia (i sistemi archeologici) e della natura (il Tevere)
D3. Un programma a breve
Intanto che si discute la visione programmatica sono in corso interventi eterogenei ed emergenziali che rischiano di modificare in modo rilevante lo stato dell’area, prima ancora di avere a disposizione una prospettiva convincente per il progetto d’insieme, mirato a migliorare l’assetto complessivo evitando gli effetti controproducenti di interventi estemporanei o troppo settoriali. In particolare alcune questioni aperte che attendono risposte tempestive riguardano: a. l’inserimento della nuova stazione della linea C della metropolitana; b. la sistemazione dello scavo degli Auditoria di Adriano a piazza Venezia; c. la disciplina del traffico dei bus turistici; d. la regolazione dell’uso di via dei Fori imperiali; e. come far fronte al persistente degrado indotto da presenze abusive che involgariscono tutta l’area. In attesa della definizione del Progetto urbano complessivo, quali sono a suo avviso le azioni più urgenti da intraprendere? E chi dovrebbe farsene carico?
L’esigenza di elaborare una visione prospettica è indiscutibile. Oggi, magari su iniziativa della nuova Direzione del Parco Archeologico del Colosseo, potrebbe essere lanciata l’iniziativa di un nuovo Progetto Urbano, attraverso un bando e diverse forme di consultazione, necessariamente anche di respiro internazionale. Nel frattempo, come dite, vi sono diverse questioni aperte la cui mancata soluzione continua a dare a troppi spazi dell’intero ambito urbano un’aria sciatta di incerta sospensione: tipica la situazione degli Auditoria a Piazza Venezia, come anche quella dell’Antiquarium mitigata solo dal paravento della fitta vegetazione.
Tuttavia si tratta di situazioni che richiedono il concorso di diverse Amministrazioni, il che rallenta l’azione.
Al contrario alcune iniziative, interne al perimetro del neo costituito Parco del Colosseo, potrebbero essere intraprese autonomamente da quella Amministrazione e attuate rapidamente. Urgente mi sembra un generale e radicale ripensamento dell’apparato comunicativo ed esplicativo interno al Parco a cominciare dal Palatino. Chi oggi sale al Colle, sia un turista giunto da qualsiasi parte del mondo o sia un romano, nulla capisce dell’antico se non la maestosità di alcuni ruderi e la loro numerosa, confusa sovrapposizione. Le tabelle che accompagnano i singoli monumenti sono sintesi scolastiche più o meno diligenti degli scavi condotti. Sola eccezione i racconti che introducono le due splendide uccelliere degli Horti Farnesiani, recentemente restaurate e riaperte. Rendere comprensibile l’immenso patrimonio del Colle Palatino, e perciò fare della sua visita una esperienza indimenticabile non meno di quella del Colosseo è certo impresa non facile, ma ineludibile. Per fare solo un esempio: dalla terrazza in copertura della Domus Severiana si gode di un paesaggio celebre e unico al mondo, al cui centro si staglia il profilo dei colli Albani. Valorizzare questo paesaggio, spiegarne il valore storico che riconduce all’età della nascita di Roma, significherebbe, anche in questo modo contribuire al ribaltamento di cui ho parlato. Significherebbe comunicare un racconto delle origini di una civiltà radicata nell’integrazione di genti e di culture diverse e nell’accoglienza assicurata dall’Asylum, che le ricerche archeologiche ci indicano collocato grosso modo nel sito ove fu collocata dopo oltre due millenni, la statua di Marco Aurelio.