Opinioni a confronto. Tre domande per un possibile Progetto urbano: Esperti

torna su

Lorenzo Pignatti
intervista a cura di Domenico Potenza

PDF




D1. Tra archeologia e urbanistica
Nella varietà delle soluzioni che sono state prospettate fino ad oggi per l’Area Archeologica Centrale di Roma, uno dei temi decisivi e più controversi riguarda il senso primario da attribuire a questo grande spazio composito dall’immenso valore simbolico, storico e culturale e al tempo stesso ricco di straordinarie valenze di animazione urbana e di attrazione turistica. Nella visione al futuro dell’area dei Fori e del suo immediato intorno urbano, sono da confermare le condizioni attuali? Oppure si devono privilegiare gli obiettivi della conoscenza archeologica e conseguentemente un uso condizionato delle nuove aree di scavo, destinate poi a diventare un parco archeologico recintato e sorvegliato? O ancora devono essere mantenute e migliorate le funzioni di attrazione urbana, lasciando lo spazio a disposizione delle molteplici popolazioni che lo affollano nei diversi tempi e lo usano come uno dei luoghi dove la città incontra gli strati più profondi della sua lunga storia? È possibile insomma conciliare archeologia e urbanistica? A quali condizioni?

L’area archeologica centrale di Roma ha avuto, nella sua recente storia, due momenti in cui è riuscita ad esprimere una propria visione, forte e determinante.
Un primo momento si è avuto alla fine dell’Ottocento al tempo dell’unificazione del Regno d’Italia, quando Roma aspirava ad esprimere un senso di orgoglio nazionale ed affermare la propria immagine quale nuova capitale, sia a livello nazionale che europeo. Nuovi edifici pubblici e ministeri venivano costruiti in diverse parti della città con l’intento di darle una nuova identità e farle acquisire un ruolo peculiare in Italia; tra queste opere anche il Vittoriano, simbolo aulico, anche se ridondante, della nuova era.
Nella concezione urbana di fine Ottocento, le aree verdi ed i parchi pubblici avevano un ruolo importante, alla pari degli edifici governativi ed istituzionali. A Roma, oltre ai parchi esistenti che corrispondevano principalmente alle dimore suburbane dell’aristocrazia romana, venne proposto un nuovo spazio verde con il “Piano di Sistemazione della Zona Monumentale Riservata di Roma” (Commissione Fiorelli - 1887) che per la prima volta, oltre a porre un vincolo per la zona archeologica, considerava i grandi monumenti dell’antichità come nuovi protagonisti culturali ed urbani della città. Questo embellissement de la ville attraverso il patrimonio antico era già stato proposto durante l’occupazione napoleonica, quando l’archeologia era considerata il principale strumento per la riqualificazione urbana, con i progetti per la sistemazione del Foro Romano ed il Palatino quali nuovi spazi della grandeur ottocentesca. Solo il piccolo ma significativo intervento intorno alla Colonna Traiana venne di fatto realizzato.
Il Piano di Sistemazione della Zona Monumentale Riservata di Roma definiva per la prima volta un’area verde (parco) delimitata e vincolata, che conteneva spazi pubblici, giardini, viali, passeggiate e terrazze dalle quali godere ed ammirare le antichità del passato. Il progetto esprimeva una visione molto chiara, che corrispondeva alle aspirazioni del momento: dare identità e carattere alla nuova capitale sia attraverso nuovi edifici pubblici, sia attraverso il proprio passato storico ed archeologico.
Un secondo momento in cui si è manifestata una visione forte per l’Area Archeologica Centrale è stato durante il Fascismo, con la glorificazione in parallelo del passato imperiale e del regime fascista. Le opere di demolizione e diradamento del tessuto urbano rinascimentale-barocco del quartiere Alessandrino e delle pendici del Campidoglio miravano allora a cancellare ogni senso di urbanità all’interno dell’Area Archeologica, per poter fruire delle testimonianze del passato in una condizione di totale isolamento. Il progetto del Duce era di eliminare ogni traccia di vita quotidiana all’interno di questo grande spazio dedicato soltanto alla memoria del passato ed alla rappresentazione del nuovo regime e, non ancora, al turismo. I nuovi assi urbani (come via dell’Impero, via del Mare, via dei Trionfi) erano pensati come grandi spazi aulici, dove le rovine facevano da sfondo alle parate militari ed alla glorificazione del Fascismo.
In seguito l’Area Archeologica Centrale non è mai più riuscita ad esprimere una propria identità marcata. Per molti anni l’area è andata incontro a un lento ed inesorabile declino, fino a quando l’amministrazione municipale di Giulio Carlo Argan, per il tramite in particolare degli assessori Aymonino e Nicolini, ha riportato un notevole successo nell’attivare inediti programmi culturali e nel riportare i romani dentro il loro centro archeologico, anche se in maniera saltuaria ed “effimera”. Ne è seguita la fase delle proposte di riassetto Benevolo-Gregotti-Scoppola in cui, con un certo coraggio utopico, veniva progettata l’eliminazione di via dei Fori Imperiali e la conseguente riunificazione di tutti i fori antichi, da quello repubblicano a quelli imperiali. Una bella visione, ma purtroppo mai realizzata.
Oggi l’Area Archeologica Centrale appare lasciata a sé stessa, al turismo ed all’oblio. I romani la ignorano o eventualmente la attraversano in auto (quando possibile) e la visitano solamente quando sono in programma eventi particolari (come mostre, aperture di nuovi scavi, spettacoli al Circo Massimo) o durante le domeniche ad accesso gratuito. Insomma i romani, nella loro vita quotidiana, sembrano essere assolutamente estranei a questo contesto eccezionale.
Verrebbe da dire che l’Area Archeologica Centrale non ha oggi alcun ruolo nella Roma contemporanea, e non riesce ad esprimere altro valore che quello di essere una formidabile meta turistica. Un’area di altissimo valore monumentale che racchiude un inestimabile patrimonio storico, ma che di fatto non riesce più ad esprimere una sua identità nella Roma di oggi, e appare sempre più incapace di dialogare con il resto della città.


D2. Del possibile Progetto urbano
Nonostante il conflitto ancora irrisolto delle visioni e i numerosi fallimenti progettuali finora incontrati, non c’è dubbio che sia diventato ormai urgente dotarsi di un Progetto urbano credibile e alla scala giusta, per indirizzare in modo coerente i diversi interventi che a vario titolo investono l’Area Archeologica Centrale. Ma la forma tradizionale del Progetto urbano, come disegno compiuto di un assetto fisico-funzionale a medio-lungo termine, appare ormai del tutto inadeguata a guidare le trasformazioni future. C’è piuttosto da immaginare una convincente visione per l’avvenire dell’Area; e poi l’avvio di un processo di progettazione aperto, finalizzato al conseguimento della visione prefigurata: in pratica una combinazione flessibile ed evolutiva di interventi multiscalari, traguardati in funzione della visione assunta. La visione dovrebbe essere condivisa quanto più possibile dalla città, dalle istituzioni e dall’opinione pubblica internazionale, e alimentata operativamente dalle ingenti risorse attivabili in presenza di un progetto ben costruito e affidabile. Quali dovranno essere i temi più rilevanti del nuovo Progetto urbano per l’Area archeologica centrale di Roma, quale la sua forma e soprattutto quali le modalità d’attuazione possibili, nella nostra epoca sempre più dominata dall’incertezza e dall’imprevedibilità per il futuro?

L’Area Archeologica Centrale è uno spazio storico e soprattutto culturale. Uno spazio dove si consuma cultura, visitato quotidianamente da migliaia di turisti provenienti da tutto il mondo; il Colosseo è infatti il sito più visitato d’Italia con 7 milioni di visitatori l’anno.
Ma tutto ciò non basta. Oggi si discute molto di come la cultura possa diventare un volano per l’economia e come le politiche culturali debbano avere un ruolo importante per lo sviluppo economico e sociale del nostro territorio, costituendosi come una vera e propria risorsa strategica. Il nostro è il Paese al mondo con il maggior numero di siti designati dall’UNESCO quali patrimonio dell’umanità, ma non siamo in grado di mettere a frutto questa grande eredità che il passato storico e la qualità del nostro paesaggio ci hanno tramandato.
Per anni abbiamo solamente “sfruttato” il patrimonio storico-artistico, ritenendolo una risorsa inesauribile da “spremere” il più possibile, senza pensare intanto a come attivare o incentivare nuove economie che fossero in sintonia con la valorizzazione del patrimonio, aperte a nuove forme culturali, innovative e creative.
Occorre rendersi conto che il nostro patrimonio non va soltanto salvaguardato, protetto e riqualificato, perché può fungere anche da occasione privilegiata per promuovere nuove iniziative con molteplici ricadute positive ai fini dello sviluppo. Non ci si riferisce assolutamente alla “commercializzazione” del patrimonio storico, ovvero al suo sfruttamento economico per ricavare profitti, né tanto meno alla locazione dei nostri spazi monumentali per organizzare eventi episodici (come nel caso tristemente famoso dello spettacolo per il Divo Nerone al Palatino). Né evidentemente alla sua inaccettabile alienazione ai privati, neanche quando si offrissero presunte condizioni di gestione più efficace. Si tratta invece di introdurre nuovi programmi culturali che operino in sintonia con le attività di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio storico-culturale, e che siano in grado di attrarre nuovi interessi, giustificati dall’ eccezionalità dei luoghi e dalla presenza conclamata di enormi flussi turistici.
Va immaginato insomma un nuovo layer di vita attuale e di produzione culturale che si sovrapponga e giustapponga ai grandi siti del passato, introducendo la cultura del contemporaneo a fianco della cultura dell’antico.
La personale esperienza didattica all’interno dei programmi universitari nord-americani in Italia mi ha permesso nel corso del tempo di elaborare molteplici sperimentazioni progettuali all’interno della vasta Area Archeologica Centrale, nella prospettiva di un arricchimento delle funzioni culturali.
Andando oltre lo stereotipo che la cultura nordamericana è troppo disincantata rispetto al nostro patrimonio storico, si è semplicemente riproposto quanto è stato già fatto in altri paesi europei (per esempio Francia, Spagna e Portogallo), ovvero saper coniugare l’antico con un’attenta cultura contemporanea del progetto urbano ed architettonico, sensibile alla storia ed al contesto.
All’interno dell’Area Archeologica Centrale sono state individuate delle “aree grigie”, ovvero spazi in between tra le grandi emergenze archeologiche, aree leggermente defilate, prive di importanti reperti archeologici e potenzialmente in grado di creare una rete di spazi complementari rispetto ai grandi spazi dell’archeologia. Una fra queste è l’area adiacente al vecchio Antiquarium comunale, appena sopra via di San Gregorio, prospiciente il Palatino ed il Colosseo. Si tratta di un’area ad altissimo potenziale trasformativo, in quanto al tempo stesso è centrale ma anche defilata, priva di evidenti reperti archeologici, vicina all’ingresso del Palatino e del Colosseo e già percorsa dalla  mobilità su rotaia (tram linea 3) che potrebbe metterla facilmente in collegamento con nuovi parcheggi per autobus posizionati in aree strategiche (come l’ex-Arsenale Pontificio o l’area di villa Pepoli).
Una futura visione dell’Area Archeologica Centrale potrebbe quindi tematizzare la rilevanza di aree grigie da rivitalizzare a fianco alle aree che contengono importanti testimonianze del passato archeologico da salvaguardare. Queste aree di secondo livello potrebbero ospitare nuove funzioni e nuovi programmi al fine di istituire un layer di cultura contemporanea all’interno dell’Area Archeologica Centrale. Si potrebbe in particolare pensare a funzioni che coinvolgano istituti di ricerca, sedi di accademie ed università straniere, ma anche a spazi come espressione della cultura contemporanea, dallo spettacolo alla produzione culturale, investendo in modo convinto su processi d’innovazione e di sviluppo della creatività.
Questa prospettiva potrebbe sembrare utopistica di fronte alla pesante congiuntura economica che investe il nostro paese, e di fronte anche alla conclamata priorità della tutela e conservazione del patrimonio interno all’Area Archeologica Centrale. Per di più porta a scontrarsi con la tendenza all’immobilismo che blocca in Italia qualsiasi proposta di cambiamento. Ma come nel 1887 e negli anni Trenta si era riusciti ad imprimere all’Area Archeologica Centrale un’identità commisurata a quelle fasi della storia, non dovrebbe essere impossibile provare anche oggi a lasciare una impronta del nostro tempo ricorrendo a nuovi programmi culturali innovativi, capaci di affermare una cultura del contemporaneo all’interno di questo straordinario spazio antico.


D3. Un programma a breve
Intanto che si discute la visione programmatica sono in corso interventi eterogenei ed emergenziali che rischiano di modificare in modo rilevante lo stato dell’area, prima ancora di avere a disposizione una prospettiva convincente per il progetto d’insieme, mirato a migliorare l’assetto complessivo evitando gli effetti controproducenti di interventi estemporanei o troppo settoriali. In particolare alcune questioni aperte che attendono risposte tempestive riguardano: a. l’inserimento della nuova stazione della linea C della metropolitana; b. la sistemazione dello scavo degli Auditoria di Adriano a piazza Venezia; c. la disciplina del traffico dei bus turistici; d. la regolazione dell’uso di via dei Fori imperiali; e. come far fronte al persistente degrado indotto da presenze abusive che involgariscono tutta l’area. In attesa della definizione del Progetto urbano complessivo, quali sono a suo avviso le azioni più urgenti da intraprendere? E chi dovrebbe farsene carico?

Le azioni più urgenti da intraprendere nel frattempo sono necessariamente quelle legate alle infrastrutture della mobilità ed alla limitazione degli autobus turistici.   Occorrerebbe al riguardo riprendere lo studio realizzato dal Dipartimento di Architettura di Roma Tre, che prevedeva due nuovi terminals per gli autobus turistici (all’ex-Arsenale Pontificio e presso villa Pepoli), dai quali i turisti si sarebbero mossi su navette ecologiche per raggiungere l’Area Archeologica Centrale. Come precedentemente accennato, si potrebbe pensare in particolare all’area del vecchio Antiquarium Comunale come spazio di smistamento dei flussi turistici verso il Palatino, il Colosseo e l’area dei Fori, senza investire in maniera diretta il centro città.
La linea della metropolitana C in programma fino al Colosseo potrebbe diventare un altro punto di ingresso all’area, soprattutto per i romani.
Via dei Fori Imperiali deve essere pedonalizzata completamente, negando il transito anche ad autobus, taxi, macchine blu. Si dovrebbe anzi fare un concorso internazionale per trasformarla in vero grande spazio pubblico urbano (piazza dei Fori).
Un vero info-point dovrebbe poi essere creato a servizio dei turisti, con tutte le informazioni necessarie per la visita, ma anche molto semplicemente con la presenza di adeguati servizi igienici e altri servizi di base.
Inoltre i venditori ambulanti dovrebbero essere eliminati e sostituiti con piccole attività di ristoro da prevedere, con un design semplice e sobrio, anche dentro la zona del Foro e del Palatino (eliminando gli attuali osceni distributori automatici).
Occorre infine chiamare un grande architetto come Norman Foster, perché progetti una semplice e pulita pensilina con l’intradosso a specchio (come quella di Marsiglia), da posizionare sopra lo scavo degli Auditoria di Adriano.