Opinioni a confronto. Tre domande per un possibile Progetto urbano: Esperti

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Elisabetta Pallottino
intervista a cura di Anna Laura Palazzo e Tiziana Casaburi
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D1. Tra archeologia e urbanistica
Nella varietà delle soluzioni che sono state prospettate fino ad oggi per l’Area Archeologica Centrale di Roma, uno dei temi decisivi e più controversi riguarda il senso primario da attribuire a questo grande spazio composito dall’immenso valore simbolico, storico e culturale e al tempo stesso ricco di straordinarie valenze di animazione urbana e di attrazione turistica. Nella visione al futuro dell’area dei Fori e del suo immediato intorno urbano, sono da confermare le condizioni attuali? Oppure si devono privilegiare gli obiettivi della conoscenza archeologica e conseguentemente un uso condizionato delle nuove aree di scavo, destinate poi a diventare un parco archeologico recintato e sorvegliato? O ancora devono essere mantenute e migliorate le funzioni di attrazione urbana, lasciando lo spazio a disposizione delle molteplici popolazioni che lo affollano nei diversi tempi e lo usano come uno dei luoghi dove la città incontra gli strati più profondi della sua lunga storia? È possibile insomma conciliare archeologia e urbanistica? A quali condizioni?

Sono molte domande in una; provo a rispondere almeno ad alcune di esse.
Il senso primario … in effetti la complessità sta proprio nel fatto che è difficile individuare un unico senso primario, ammesso che ciò sia mai possibile nei luoghi che abbiamo ereditato dal passato, anche più semplici e univoci di questo. Ma è forse possibile individuare almeno due orizzonti, due traiettorie di senso, a loro volta complesse al loro interno:
-l’orizzonte ontologico, quello che attiene agli oggetti e ai contesti d’antan (le molteplici stratificazioni fisiche e temporali in cui si andò costituendo quella che oggi chiamiamo l’Area Archeologica Centrale), ma anche alle loro trasformazioni nel tempo (abbandono, riusi) e soprattutto ai più recenti processi di selezione che, tra Settecento e Novecento, li hanno riconosciuti e rifondati come oggetti e contesti patrimoniali (scavi, restauri, isolamenti);
-le ragioni della contemporaneità che vedono l’Area Archeologica Centrale situarsi al centro di una città viva e funzionante in tutte le sue componenti materiali e le sue vocazioni immateriali.
Anche se non è sempre facile, non c’è altra strada che quella di tenere insieme questi due orizzonti in forme e azioni non dogmatiche, capaci di conciliare le esigenze della vita urbana contemporanea (ivi comprese quelle della più ampia fruizione dei luoghi dell’antico) con quelle della salvaguardia di questi contesti (ivi comprese le eventuali separazioni e chiusure che si dovessero rendere necessarie per motivi di sicurezza di persone e oggetti, non di incuria e abbandono). Una conciliazione laica che non può essere decisa a priori - tanto all’archeologia, tanto all’urbanistica - ma che dovrebbe scaturire da ogni situazione particolare, dando vita a un insieme di azioni progettuali endogene a tutte le scale.


D2. Del possibile Progetto urbano
Nonostante il conflitto ancora irrisolto delle visioni e i numerosi fallimenti progettuali finora incontrati, non c’è dubbio che sia diventato ormai urgente dotarsi di un Progetto urbano credibile e alla scala giusta, per indirizzare in modo coerente i diversi interventi che a vario titolo investono l’Area Archeologica Centrale. Ma la forma tradizionale del Progetto urbano, come disegno compiuto di un assetto fisico-funzionale a medio-lungo termine, appare ormai del tutto inadeguata a guidare le trasformazioni future. C’è piuttosto da immaginare una convincente visione per l’avvenire dell’Area; e poi l’avvio di un processo di progettazione aperto, finalizzato al conseguimento della visione prefigurata: in pratica una combinazione flessibile ed evolutiva di interventi multiscalari, traguardati in funzione della visione assunta. La visione dovrebbe essere condivisa quanto più possibile dalla città, dalle istituzioni e dall’opinione pubblica internazionale, e alimentata operativamente dalle ingenti risorse attivabili in presenza di un progetto ben costruito e affidabile. Quali dovranno essere i temi più rilevanti del nuovo Progetto urbano per l’Area archeologica centrale di Roma, quale la sua forma e soprattutto quali le modalità d’attuazione possibili, nella nostra epoca sempre più dominata dall’incertezza e dall’imprevedibilità per il futuro?

Non so dire se esista una forma tradizionale del Progetto Urbano dal momento che una delle caratteristiche precipue di questo strumento di pianificazione, indipendentemente dal raggiungimento di un’effettiva compiutezza nei tempi prestabiliti, è proprio quella di modellarsi in risposta a domande locali di luoghi specifici. Lo strumento sarebbe quindi più che adeguato ad affrontare la complessità dei problemi dell’Area Archeologica Centrale di Roma. Quanto alla visione che dovrebbe istruirlo, molto era già emerso in termini di conciliazione e di ascolto nei programmi della Commissione Comunale 2004-2006 e del PRG del 2008, con l’elenco delle intelligenti ricuciture urbane volte a qualificare il contorno della via dei Fori Imperiali, e nelle indicazioni della Commissione Stato-Comune, Rutelli-Veltroni, 2006-2008, con le intelligenti previsioni di anastilosi volte a rendere comprensibili i rapporti tra i monumenti all’interno dell’area scavata. L’insieme di queste attività programmatorie corrispondeva a tutti gli effetti a una visione del problema, che teneva conto della complessità e della frammentarietà dei temi, senza per questo rinunciare a promuovere un programma unitario e organico, definito attraverso una concertazione intersettoriale ad alto livello scientifico e in grado di avviare progetti parziali e coordinati da attivare anche con lo strumento dei concorsi (tav. 15.4 dell’Ambito di programmazione strategica del Parco Archeologico-Monumentale dei Fori e dell’Appia antica, PRG 2008).
Da allora, sul fronte urbano, le ricuciture previste non sono state mai avviate, e la stessa definizione d’ambito è stata messa in secondo piano.
Sul fronte della sistemazione delle emergenze monumentali, è stato realizzato soltanto il progetto di anastilosi di una porzione del portico del Foro della Pace, accompagnato da un mare di pretestuose polemiche sulla legittimità di un’operazione che da secoli è stata adottata in tutte le aree archeologiche del mondo occidentale per dare voce a rovine altrimenti incomprensibili. Fatta salva la qualità tecnica che dovrebbe essere ovviamente garantita, è a interventi come questo che andrebbe rivolta particolare attenzione perché sono il primo contributo per una condivisione e una fruizione allargata dei luoghi “separati” dell’archeologia. Cittadini e turisti sarebbero molto contenti di poter capire dal vivo - oltre che con l’ausilio degli strumenti virtuali - il funzionamento antico di questi luoghi: un processo di valorizzazione contestualizzata che, dalla semplice ricostruzione parziale di un singolo elemento architettonico, può essere esteso al funzionamento generale dell’area, riproponendo laddove possibile le percorrenze antiche e studiando in questi termini anche il sistema degli accessi. 


D3. Un programma a breve
Intanto che si discute la visione programmatica sono in corso interventi eterogenei ed emergenziali che rischiano di modificare in modo rilevante lo stato dell’area, prima ancora di avere a disposizione una prospettiva convincente per il progetto d’insieme, mirato a migliorare l’assetto complessivo evitando gli effetti controproducenti di interventi estemporanei o troppo settoriali. In particolare alcune questioni aperte che attendono risposte tempestive riguardano: a. l’inserimento della nuova stazione della linea C della metropolitana; b. la sistemazione dello scavo degli Auditoria di Adriano a piazza Venezia; c. la disciplina del traffico dei bus turistici; d. la regolazione dell’uso di via dei Fori imperiali; e. come far fronte al persistente degrado indotto da presenze abusive che involgariscono tutta l’area. In attesa della definizione del Progetto urbano complessivo, quali sono a suo avviso le azioni più urgenti da intraprendere? E chi dovrebbe farsene carico?

La visione insieme complessa e frammentata dei programmi e delle iniziative maturate ormai più di dieci anni fa è rimasta sullo sfondo o è stata messa nuovamente in discussione: si pensi, tra l’altro, al reiterato proposito di cancellare la via dei Fori Imperiali che porterebbe a dover affrontare una serie di revisioni a catena del contesto circostante e del suo assetto immaginato negli anni Trenta (un’operazione non consigliata dal PRG che raccomanda la conservazione della strada come segno urbano ormai consolidato per il quale va limitato il traffico e incoraggiata una progressiva pedonalizzazione). Sembra sfuggire la possibilità di agire, anche a tappe, secondo un pensiero unitario. La seconda Commissione paritetica Stato-Comune (2014) ha confermato la visione olistica di tutti i problemi dell’Area Archeologica Centrale e non si è espressa a favore della demolizione della strada che nel frattempo è stata chiusa al traffico; la progettata attivazione di un Consorzio per i Fori di Roma, tra il MiBACT e Roma Capitale (2015), al fine di superare la divisione di competenze e funzioni tra Stato e Comune e assicurare una gestione unitaria dell’Area, non ha avuto seguito; al suo posto sono nati invece il Parco archeologico del Colosseo e il Parco archeologico dell’Appia antica, a direzione statale, compresi tra gli Istituti del Ministero dotati di autonomia speciale; i lavori per la linea C della metropolitana progrediscono lentamente e con grandi incertezze; la via Alessandrina è stata oggetto di interventi di demolizione scarsamente condivisi.
L’accavallarsi delle iniziative, spesso estemporanee o anche tra loro contraddittorie, non sembra aver seguito un indirizzo di programmazione; e se le responsabilità sono formalmente ripartite, l’esasperata separazione che ha afflitto il nuovo disegno delle istituzioni competenti, con la conseguente mancanza di una solida e sistematica collaborazione tra Stato e Comune (che era la giusta intuizione coltivata nel decennio 2004-2014, conclusasi nel 2015 con l’inspiegabile aborto del Consorzio per i Fori), impedisce di riconoscere in modo chiaro le responsabilità e favorisce il moltiplicarsi degli interventi emergenziali e la sospensione delle risposte a temi cruciali. A quelli segnalati da EWT (senza evocare qui le grandi questioni che riguardano il Museo della città o la musealizzazione della Forma Urbis severiana) ne aggiungerei almeno uno, tra i tanti possibili già ricordati dalla Commissione paritetica: il necessario riscatto delle vergognose situazioni di abbandono e degrado di alcuni edifici ai limiti esterni dei confini del Parco del Colosseo ma a esso - e alla perduta Area unitaria - a vario titolo intimamente legati. In attesa di riattivare un pensiero strategico sulle funzioni utili all’Area archeologica centrale, dovrebbe essere venuto almeno il momento di affrontare i diversi gradi di decadenza fisica dell’Antiquarium comunale, della Torre dei Conti e della Villa Rivaldi (dove sono in atto nuove iniziative dello Stato che potrebbero far ben sperare).