D1. Tra archeologia e urbanistica
Nella varietà delle soluzioni che sono state prospettate fino ad oggi per l’Area Archeologica Centrale di Roma, uno dei temi decisivi e più controversi riguarda il senso primario da attribuire a questo grande spazio composito dall’immenso valore simbolico, storico e culturale e al tempo stesso ricco di straordinarie valenze di animazione urbana e di attrazione turistica. Nella visione al futuro dell’area dei Fori e del suo immediato intorno urbano, sono da confermare le condizioni attuali? Oppure si devono privilegiare gli obiettivi della conoscenza archeologica e conseguentemente un uso condizionato delle nuove aree di scavo, destinate poi a diventare un parco archeologico recintato e sorvegliato? O ancora devono essere mantenute e migliorate le funzioni di attrazione urbana, lasciando lo spazio a disposizione delle molteplici popolazioni che lo affollano nei diversi tempi e lo usano come uno dei luoghi dove la città incontra gli strati più profondi della sua lunga storia? È possibile insomma conciliare archeologia e urbanistica? A quali condizioni?
Le domande ruotano attorno a un nodo che si è presentato sin da quando i bersaglieri hanno aperto la breccia di Porta Pia circa un secolo e mezzo fa. Il fatto è che al persistere delle domande cambiano invece continuamente le carte in tavola, cioè le condizioni socioeconomiche della vita urbana, le categorie di interpretazione della realtà, e ovviamente il rapporto del presente con il passato. La prima cosa da considerare mi pare dunque riguardi il fatto che, quali che siano le risposte che oggi proviamo a darci, è bene avere la consapevolezza che sono risposte destinate a modularsi continuamente, ad adeguarsi al fluire del tempo e delle condizioni umane.
Detto questo, alla domanda finale: “E’ possibile conciliare archeologia e urbanistica?”, la risposta non può essere che affermativa. L’archeologia studia il passato attraverso le sue tracce materiali perché ci sia di aiuto alla vita del presente e alla programmazione del futuro e l’urbanistica cerca di adeguare le forme della condizione urbana al miglior godimento possibile della qualità della vita. La contraddizione nasce, come in ogni campo del sapere e dell’agire umano, se uno degli occhiali viene considerato l’unico modo di osservare la realtà. Nel concreto, non si può pensare che un’area complessa e vasta come l’AAC possa essere gestita in modo omogeneo in tutti i suoi aspetti e comparti. La scelta prevalente deve andare a mio avviso nella direzione della gestione di un ‘parco urbano’ intimamente integrato nella vita quotidiana e aperto ai molteplici usi degli spazi che essa può comportare. E’ del tutto evidente che alcune aree, anche significative, debbano essere soggette a maggiori controlli e restrizioni, anche recintate, purché a questo regime faccia riscontro non solo una adeguata apertura agli usi pubblici, ma anche un’ottima manutenzione. Questo oggi è più garantito in alcune aree a gestione statale (come il Foro Romano o il Palatino) che non a gestione comunale (abbandono del Parco dell’Oppio, gestione sciatta del Ludus Magnus, cronica fatiscenza dell’Antiquarium Comunale e via dicendo). Quanto alla conoscenza archeologica, è bene che questa non si interrompa mai: si tratta di fare in modo (e ciò è possibile), che i cantieri della conoscenza non si tramutino in Fort Apache privi di qualsiasi trasparenza, come è avvenuto nei lunghi anni delle indagini connesse alla Metro C. La conoscenza può andare di pari passo con la vita purché si disponga anche lei, senza eccessi, sul palcoscenico della città.
D2. Del possibile Progetto urbano
Nonostante il conflitto ancora irrisolto delle visioni e i numerosi fallimenti progettuali finora incontrati, non c’è dubbio che sia diventato ormai urgente dotarsi di un Progetto urbano credibile e alla scala giusta, per indirizzare in modo coerente i diversi interventi che a vario titolo investono l’Area Archeologica Centrale. Ma la forma tradizionale del Progetto urbano, come disegno compiuto di un assetto fisico-funzionale a medio-lungo termine, appare ormai del tutto inadeguata a guidare le trasformazioni future. C’è piuttosto da immaginare una convincente visione per l’avvenire dell’Area; e poi l’avvio di un processo di progettazione aperto, finalizzato al conseguimento della visione prefigurata: in pratica una combinazione flessibile ed evolutiva di interventi multiscalari, traguardati in funzione della visione assunta. La visione dovrebbe essere condivisa quanto più possibile dalla città, dalle istituzioni e dall’opinione pubblica internazionale, e alimentata operativamente dalle ingenti risorse attivabili in presenza di un progetto ben costruito e affidabile. Quali dovranno essere i temi più rilevanti del nuovo Progetto urbano per l’Area archeologica centrale di Roma, quale la sua forma e soprattutto quali le modalità d’attuazione possibili, nella nostra epoca sempre più dominata dall’incertezza e dall’imprevedibilità per il futuro?
La domanda contiene già in sé le risposte. Credo che una visione d’insieme, certamente necessaria, non debba necessariamente prescindere dalle soluzioni progettuali, come ha tentato di fare, ad esempio, l’ultima Commissione paritetica Stato-Comune, che ha elaborato un progetto concreto sostenuto da una visione coerente. Ciò non implica, che le soluzioni per i tanti diversi aspetti del problema non possano essere diversificate, flessibili, evolutive… Personalmente, credo che la prima cosa da fare sia dare una risposta chiara e operativa ad alcuni dei ‘buchi neri’ che ho ricordato nella risposta precedente. Se la Pubblica Amministrazione (in primis Roma capitale, ma non solo) dimostra di saper dare una risposta al degrado che contorna e permea tante parti dell’AAC (magari a partire dal nodo strategico di Villa Rivaldi), ci saranno le premesse per una maggiore fiducia da parte della popolazione circa la redazione di un piano complessivo di rigenerazione e gestione dell’intera area, che può essere costruito a partire dai primi risultati concreti eventualmente raggiunti e dal rapporto di fiducia che può instaurarsi tra cittadinanza e amministrazioni pubbliche. Il metodo non può essere che quello della condivisione partecipata, che non significa ovviamente dismissione di responsabilità pubblica.
D3. Un programma a breve
Intanto che si discute la visione programmatica sono in corso interventi eterogenei ed emergenziali che rischiano di modificare in modo rilevante lo stato dell’area, prima ancora di avere a disposizione una prospettiva convincente per il progetto d’insieme, mirato a migliorare l’assetto complessivo evitando gli effetti controproducenti di interventi estemporanei o troppo settoriali. In particolare alcune questioni aperte che attendono risposte tempestive riguardano: a. l’inserimento della nuova stazione della linea C della metropolitana; b. la sistemazione dello scavo degli Auditoria di Adriano a piazza Venezia; c. la disciplina del traffico dei bus turistici; d. la regolazione dell’uso di via dei Fori imperiali; e. come far fronte al persistente degrado indotto da presenze abusive che involgariscono tutta l’area. In attesa della definizione del Progetto urbano complessivo, quali sono a suo avviso le azioni più urgenti da intraprendere? E chi dovrebbe farsene carico?
Non c’è dubbio che la soluzione di singoli problemi non può avvenire in un contesto di assenza generalizzata di programmazione. Le parti in causa possono cercare di risolvere i problemi di propria competenza in un clima di condivisione e collaborazione fra le diverse competenze. Per fare solo qualche esempio, il tema degli Auditoria a Piazza Venezia era stato affrontato dalla Soprintendenza archeologica di Roma ed ora non sembra più prioritario per l’attuale SSABAP (Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma): il bando per il progetto di intervento dovrebbe essere rimesso in moto. Il degrado dell’area di via dei Fori imperiali può essere facilmente ridimensionato se solo l’amministrazione comunale facesse quello che può e che deve fare in termini di polizia urbana e di regolamenti commerciali. Dalle piccole/grandi cose può nascere una temperie nuova, che dia alla cittadinanza l’impressione che qualcosa si muove, che i problemi non si rincorrono ma si affrontano, che a volte non è solo questione di risorse finanziarie, ma di volontà politica e amministrativa. Anche piccoli episodi e passi in avanti possono aumentare la fiducia e aprire un circolo virtuoso. Bisognerebbe cominciare a chiedersi dove siano le responsabilità dell’uccisione in culla del Consorzio Stato-Comune che aveva suscitato tante speranze andate rapidamente in fumo.