Opinioni a confronto. Tre domande per un possibile Progetto urbano: Istituzioni

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Pio Baldi
intervista a cura di Claudia Di Girolamo
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D1. Tra archeologia e urbanistica
Nella varietà delle soluzioni che sono state prospettate fino ad oggi per l’Area Archeologica Centrale di Roma, uno dei temi decisivi e più controversi riguarda il senso primario da attribuire a questo grande spazio composito dall’immenso valore simbolico, storico e culturale e al tempo stesso ricco di straordinarie valenze di animazione urbana e di attrazione turistica. Nella visione al futuro dell’area dei Fori e del suo immediato intorno urbano, sono da confermare le condizioni attuali? Oppure si devono privilegiare gli obiettivi della conoscenza archeologica e conseguentemente un uso condizionato delle nuove aree di scavo, destinate poi a diventare un parco archeologico recintato e sorvegliato? O ancora devono essere mantenute e migliorate le funzioni di attrazione urbana, lasciando lo spazio a disposizione delle molteplici popolazioni che lo affollano nei diversi tempi e lo usano come uno dei luoghi dove la città incontra gli strati più profondi della sua lunga storia? È possibile insomma conciliare archeologia e urbanistica? A quali condizioni?

Da più di un secolo c’è conflitto a Roma tra archeologia e città. La morfologia delle aree archeologiche romane deriva dagli scavi e dai recuperi di fine Ottocento e soprattutto dei primi decenni del Novecento, quando imponenti e rapide trasformazioni urbanistiche determinano ritrovamenti di strutture storiche sepolte favorendo la curiosità e l’interesse per l’antico che veniva alla luce, con motivazioni in parte scientifiche e cognitive, in parte simboliche e celebrative.
L’area archeologica viene strutturata come un perimetro invalicabile: muraglioni di bordo e parapetti che siglano il dislivello tra zona antica e città moderna separandole integralmente, anzi segregando l’antico nel proprio ambito recintato. Al cittadino o al turista che passa non resta che gettare un’occhiata distratta e dubbiosa (le spiegazioni non abbondano, le recinzioni sono spesso opache) e proseguire il cammino.
Tutto il comparto dei Fori Imperiali, a parte qualche recente passerella percorribile, è caratterizzato da questa soluzione di continuità residuo di una impostazione otto-novecentesca che si tarda a superare. E questo vale per moltissime aree archeologiche romane (scavi di largo Argentina, di via delle Botteghe Oscure, del Mausoleo di Augusto, di via Petroselli, di S. Omobono, di Monte Savello, del Ludus Magnus e molte altre).
In realtà la città, con tutte le sue stratificazione storiche, guadagnerebbe ad essere apparecchiata come un continuum che attraversa le epoche attraverso un processo di trasformazione e riscrittura senza interruzioni. Così come attraversiamo le zone medioevali, rinascimentali, barocche e ottocentesche dovremmo poter godere delle aree più antiche. Sarebbe naturale, piacevole e istruttivo attraversare le zone archeologiche con percorsi pedonali inclinati eliminando salti verticali e recinzioni e reinserendo tutto nella libera transitabilità, con soluzioni ben progettate di arredo urbano, nel rispetto, ovviamente, di tutti i livelli stratigrafici,riducendo la caricaturale segregazione dell’antico e reinserendolo, per quanto possibile, nella vita e nella spazialità del contesto urbano.


D2. Del possibile Progetto urbano
Nonostante il conflitto ancora irrisolto delle visioni e i numerosi fallimenti progettuali finora incontrati, non c’è dubbio che sia diventato ormai urgente dotarsi di un Progetto urbano credibile e alla scala giusta, per indirizzare in modo coerente i diversi interventi che a vario titolo investono l’Area Archeologica Centrale. Ma la forma tradizionale del Progetto urbano, come disegno compiuto di un assetto fisico-funzionale a medio-lungo termine, appare ormai del tutto inadeguata a guidare le trasformazioni future. C’è piuttosto da immaginare una convincente visione per l’avvenire dell’Area; e poi l’avvio di un processo di progettazione aperto, finalizzato al conseguimento della visione prefigurata: in pratica una combinazione flessibile ed evolutiva di interventi multiscalari, traguardati in funzione della visione assunta. La visione dovrebbe essere condivisa quanto più possibile dalla città, dalle istituzioni e dall’opinione pubblica internazionale, e alimentata operativamente dalle ingenti risorse attivabili in presenza di un progetto ben costruito e affidabile. Quali dovranno essere i temi più rilevanti del nuovo Progetto urbano per l’Area archeologica centrale di Roma, quale la sua forma e soprattutto quali le modalità d’attuazione possibili, nella nostra epoca sempre più dominata dall’incertezza e dall’imprevedibilità per il futuro?

Sull’originario impianto mussoliniano dei Fori Imperiali, dotato di una indubbia coerenza formale e funzionale, si sono sovrapposti ulteriori interventi meno integrati e coordinati. Le operazioni di scavo effettuate tra il 1998 e il 2002 in occasione dell’anno giubilare hanno esposto alla vista e al degrado una grande quantità ulteriore di resti murari in prevalenza databili al 1500-1800, oltre ad aver eroso i bordi di via dei Fori Imperiali eliminando alberi, giardini, statue, luoghi di sosta ed intaccando la magniloquente grandiosità del percorso originario. Di conseguenza è divenuta più complessa la interpretazione del generale testo narrativo dei Fori.
Per questo e per molti altri motivi tutta la sistemazione dei Fori imperiali è da molti anni in attesa di un nuovo progetto generale. Sono troppi i temi ancora aperti: una pedonalizzazione parziale attuata di recente che però non ha preso in considerazione le pesanti conseguenze sul traffico, lo scavo per la stazione della metropolitana di piazza Venezia e per quella del Colosseo rimasti aperti in attesa di decisioni, il Colosseo stesso che per i due terzi dello sviluppo è ancora un gigantesco spartitraffico, la linea della metro C verso S. Pietro di cui ancora non sono noti l’eventuale tracciato e le possibili stazioni.
Se non c’è dubbio che sia necessario un progetto a scala urbana, è anche vero che le variabili in gioco sono così numerose e complesse da sconsigliare una pianificazione particolareggiata predefinita. Credo sia opportuno individuare alcuni obbiettivi di massima inquadrati in una concezione generale che tenga conto tutti i rapporti e le relazioni tra l’area dei Fori ed il resto della città e che fra queste relazioni dia massima importanza agli studi ed alle iniziative sulla mobilità.


D3. Un programma a breve
Intanto che si discute la visione programmatica sono in corso interventi eterogenei ed emergenziali che rischiano di modificare in modo rilevante lo stato dell’area, prima ancora di avere a disposizione una prospettiva convincente per il progetto d’insieme, mirato a migliorare l’assetto complessivo evitando gli effetti controproducenti di interventi estemporanei o troppo settoriali. In particolare alcune questioni aperte che attendono risposte tempestive riguardano: a. l’inserimento della nuova stazione della linea C della metropolitana; b. la sistemazione dello scavo degli Auditoria di Adriano a piazza Venezia; c. la disciplina del traffico dei bus turistici; d. la regolazione dell’uso di via dei Fori imperiali; e. come far fronte al persistente degrado indotto da presenze abusive che involgariscono tutta l’area. In attesa della definizione del Progetto urbano complessivo, quali sono a suo avviso le azioni più urgenti da intraprendere? E chi dovrebbe farsene carico?

Le azioni da intraprendere per l’immediato non moltissime. Innanzitutto occorre investire sulla protezione dei ruderi. Il rudere è un elemento fragile, la sua incompletezza ne determina la instabilità. Le linee di colmo fratturate e disallineate favoriscono la penetrazione e il ristagno dell’acqua, le pareti, spesso prive del rivestimento, sono corrose dagli agenti inquinanti ed attaccate da vegetazione infestante micro e macro. In più il rudere, non essendo abitato, è privo della sorveglianza e della attenzione manutentiva di cui ogni edificio utilizzato usufruisce ad opera dell’utente. Insomma i ruderi, soprattutto se non vengono, per quanto possibile, regolarizzati e rimontati sono per antonomasia fragili e deperibili. C’è da aggiungere che sarebbe bene che i ruderi risultassero chiaramente inscritti nel contesto storico della propria epoca, per non rendere complicata la comprensione del senso delle aree archeologiche.
Sono benvenute, da questo punto di vista, le anastilosi come quella recentemente compiuta sul colonnato del tempio della Pace (2016) che ha riacquisito forma e capacità evocativa.
Occorre, quindi, e si può fare da subito:
-che si attuino interventi conservativi sugli elementi più deperibili e a rischio;
-che si abbia il coraggio di rimettere in piedi colonne e volumi, come è in uso in quasi tutte le principali aree archeologiche del mondo;
-che si nasconda o si spieghi meglio ciò che è moderno e fuori contesto come gli apparecchi, i pavimenti e i muri delle fasi recenti e recentissime (’700, ‘800 e ‘900, attualmente poco distinguibili dalle testimonianze più antiche);
-che si ridisegni, attraverso concorsi di progettazione, una percorrenza pedonale leggera di tutte le zone archeologiche con possibilità di chiusura notturna;
-che, insomma, si restituisca intellegibilità e integrazione, a partire dalle principali rovine repubblicane e imperiali, a quello che oggi, per la stragrande maggioranza dei visitatori, è un grande campo di ruderi e buche dal fascino misterioso.