Dossier Roma, Area Archeologica Centrale

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L’Area archeologica centrale di Roma. Un secolo di piani e progetti
Monica Manicone
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Le città sono in continuo divenire. Le trasformazioni fanno parte della vita normale di qualsiasi centro urbano. Anche l’Area archeologica centrale di Roma ha subito molte trasformazioni nei secoli, trasformazioni puntuali e altre che hanno riguardato tutta l’area, trasformazioni lente e trasformazioni rapide che hanno modificato anche in modo estremo gli assetti precedenti. Ancora oggi si tratta di una parte della città in continua evoluzione, senza una visione complessiva che dia una direzione unitaria agli interventi che interessano un’area di straordinaria ricchezza, che sembra ancora non aver trovato un equilibrio definitivo.
Lo scopo di questo scritto è raccogliere in maniera sintetica alcune delle proposte più significative che sono state avanzate nel tempo, cercando di metterne in risalto brevemente i caratteri principali. Oltre che i piani regolatori sono stati presi in considerazione i singoli progetti le cui soluzioni hanno contribuito a esplorare le potenzialità dell’area. Va considerato, inoltre, che le vicende dell’area archeologica centrale sono state raramente regolate dai piani urbanistici, che spesso sono intervenuti a posteriori per legittimare alcune scelte già compiute.
Dall’età tardoantica fino al diciottesimo secolo l’area dell’antico Foro Romano, chiamata a quel tempo Campo Vaccino, era una campagna periferica utilizzata principalmente per il pascolo e per il mercato boario. Alcune rovine della città antica affioravano qua e là dal suolo, il tempio di Saturno era interrato fino alle basi delle colonne, quello di Vespasiano fino alla metà dei fusti e nessuno poteva immaginare cosa potesse essere nascosto nel sottosuolo. Anzi, spesso si ricorreva allo spoglio dei ruderi per riutilizzarne i materiali edilizi, in particolare i marmi. Comunque, la suggestiva atmosfera che caratterizzava il Campo Vaccino lo rese uno degli scorci preferiti dai pittori in visita a Roma tra il Cinquecento e l’Ottocento. È proprio grazie ai dipinti di grandi artisti come Claude Lorrain, Gaspar van Wittel, Giovanni Paolo Pannini, Giovanni Battista Piranesi, William Turner, che possiamo avere un’idea di come appariva l’area a quel tempo. Già a partire dal pontificato di Alessandro VII fino all’Ottocento era stata realizzata una strada rettilinea fiancheggiata da olmi che conduceva dall’Arco di Tito all’Arco di Settimio Severo. L’olmata è riportata anche da Giovanni Battista Nolli nella Nuova Topografia di Roma, la grande mappa ultimata e pubblicata nel 1748. In seguito, con i primi scavi archeologici e la progressiva scoperta dei resti della città antica caduta in rovina, l’area non fu più usata come mercato boario. Si provò, così, a ricostruire poco alla volta la storia del luogo e contemporaneamente iniziarono i primi interventi di restauro.
Nel 1811, durante l’amministrazione napoleonica (1809-1814), venne commissionata a Giuseppe Valadier e Giuseppe Camporesi la riqualificazione e sistemazione a parco di un’ampia area, ricca di testimonianze archeologiche. La loro proposta prevedeva non solo di demolire alcune costruzioni medioevali ma, anche, di intraprendere un programma di scavi nelle zone del Foro e del Palatino. Il progetto prevedeva, inoltre, la realizzazione di giardini pubblici. Dopo alcuni mesi lo stesso progetto venne affidato all’architetto francese Louis-Martin Berthault. I lavori per il “Giardino del Campidoglio” furono iniziati nel 1812, ma ben presto vennero abbandonati per gli eventi politici avvenuti. Il progetto di Berthault è stato il primo a proporre un asse lineare tra Campidoglio e Colosseo, riprendendo e prolungando l’olmata esistente. L’interesse del progetto sta anche nella sua capacità di ricomporre gli scavi archeologici in un disegno unitario.      
Dopo l’Unità d’Italia e il trasferimento della capitale a Roma fu commissionato all’ingegnere Alessandro Viviani il primo piano regolatore per la città capitale (1873). Venne individuata, in tale occasione, una “parte riservata alle antiche memorie” che comprendeva il Foro Romano e le aree limitrofe, il Monte Palatino, parte dell’Aventino con le Terme Antonine, il Celio e parte dell’Esquilino. In questo modo, di fatto, veniva individuata una chiara distinzione tra la città moderna e la città antica. Nell’area, principalmente destinata a giardini pubblici, erano vietate nuove costruzioni. Il piano di Viviani raccoglieva le indicazioni di una precedente “Commissione per l’ingrandimento e l’abbellimento di Roma” insediata in Campidoglio nel 1870 (di cui aveva fatto parte lo stesso Viviani), la quale auspicava un collegamento non rettilineo tra via del Corso e il Colosseo. Il piano prevedeva, inoltre, una grande piazza di snodo a nord della Basilica di Massenzio nel punto in cui convergevano quattro percorsi urbani: via Cavour, originata dalla demolizione di parte dei tessuti preesistenti; un nuovo percorso verso piazza Venezia, da realizzare allargando una strada esistente; un terzo percorso in direzione del Colosseo e da lì verso la nuova via Labicana; infine un quarto percorso che con un ponte di ferro avrebbe scavalcato il Foro Romano, collegandosi con via di S. Teodoro. In questa configurazione il Colosseo appariva come un monumento isolato, circondato da un viale di scorrimento del traffico.
Il piano di Viviani del 1873 è rimasto su carta ma il piano successivo, redatto ancora da Viviani, fu approvato dal Consiglio Comunale nel 1883. In quegli anni era ministro della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia Guido Baccelli, umanista, appassionato di antichità classica e uno dei teorizzatori della nuova capitale dello Stato unitario come Terza Roma, dopo quella antica e quella dei Papi. Durante il suo secondo e terzo Ministero, tra il 1882 e il 1884, Baccelli promosse una importante campagna di scavo e risistemazione del Foro Romano. In base a questa esperienza, nel 1887 presentò in Parlamento un “Piano per la sistemazione della zona monumentale riservata di Roma”, che divenne Legge nazionale in pochi mesi. La legge ampliava notevolmente l’estensione dell’area vincolata a parco archeologico, comprendendo il Foro Romano con una piccola parte dei Fori Imperiali, il Colosseo, le terme di Traiano, parti di Celio, Palatino, Foro Boario, Circo Massimo, Aventino, Terme di Caracalla, via Appia fino alle mura Aureliane.

Il Piano Regolatore Generale di Roma del 1909, firmato dall’ingegnere Edmondo Sanjust di Teulada con Ernesto Nathan sindaco della città, mantenne sostanzialmente le indicazioni del piano di Viviani per l’area dei Fori: l’asse di via Cavour era stato già realizzato e in corrispondenza dell’area dei Fori il percorso si divideva in due direzioni: da un lato fino al Colosseo e, dopo aver girato intorno al monumento, continuava verso via Labicana; dall’altro lato era previsto l’allargamento della strada verso piazza Venezia dove intanto, non prevista dal piano precedente, era iniziata nel 1885 la costruzione del Monumento nazionale a Vittorio Emanuele II, i cui lavori furono portati a termine nel 1935. Pochi anni dopo, nel 1916, la nuova Amministrazione capitolina nominò una commissione, di cui fu membro tra gli altri Gustavo Giovannoni, per la revisione del piano di Sanjust. Nel 1923 venne istituita una seconda commissione per la riforma del piano regolatore di Roma, con la partecipazione di Giovannoni insieme a Marcello Piacentini. La vicenda della Commissione fu lunga e travagliata. Il lavoro degli architetti voleva sintetizzare la teoria del diradamento perseguita da Giovannoni con quella piacentiniana del decentramento. Allo stesso tempo cercava anche un compromesso con le ambizioni di grandezza di Mussolini, il quale, attraverso gli uffici comunali, tendeva a stravolgere il lavoro della Commissione, condizionandola fino a provocare le dimissioni di Giovannoni. La “Variante generale”, predisposta nel 1925, non divenne legge, tuttavia condizionò l’evoluzione della città in maniera decisiva. Nonostante la posizione contraria di Giovannoni, furono previsti numerosi sventramenti nella città storica, dei quali vennero realizzati solo quelli intorno all’Augusteo, le demolizioni per realizzare corso Rinascimento, quelle per la via del Mare alle pendici del Campidoglio e quelle per realizzare via dell’Impero, l’attuale via dei Fori Imperiali. Negli anni subito successivi alla Variante generale si assistette al confronto polemico tra due gruppi di urbanisti: il GUR (Gruppo degli Urbanisti Romani) che contava tra le sue fila anche Piacentini, Luigi Piccinato e Gaetano Minnucci e il Gruppo degli Architetti dell’Urbe (il quale chiamò la propria proposta di un nuovo piano per Roma “la Burbera”) in cui erano coinvolti Giovannoni e altri, tra cui Enrico Del Debbio, Vincenzo Fasolo e Pietro Aschieri. Nel 1930 il Governatore Boncompagni Ludovisi istituì una ulteriore Commissione per il nuovo piano regolatore. Ne facevano parte, tra gli altri, Giovannoni, Piacentini e Antonio Muñoz. Il progetto di piano fu approvato nel 1931, dopo un solo anno dall’insediamento della commissione. Per l’area dei Fori il piano confermava il tracciato precedente della strada di attraversamento, con la deviazione verso la collina della Velia all’altezza di largo Ricci. Questo andamento avrebbe permesso di conservare per intero il giardino della Villa Silvestri Rivaldi, costruita nel Cinquecento. La collina fu invece tagliata per una lunghezza maggiore di duecento metri. Tra il 1924 e il 1932, per decisione dello stesso Mussolini, venne realizzata la via dell’Impero attraverso una massiccia opera di demolizione che riguardò non solo la collina della Velia ma l’intero quartiere Alessandrino, edificato durante il pontificato di Pio V (1566-1572) per volontà del cardinale Michele Bonelli (nipote del papa e soprannominato l’Alessandrino perché originario di Alessandria). L’intenzione di Mussolini era di ricongiungere piazza Venezia con le due direttrici viarie del centro città - verso i Monti e verso il Mare - e con la direttrice verso via Flaminia, proiettando così il centro storico e via dei Fori Imperiali verso il territorio circostante, con l’intenzione di riaffermare il ruolo egemone del centro-città e, al tempo stesso, di indirizzare il processo di espansione urbana alla grande scala. Per potenziare ulteriormente il ruolo politico del centro della capitale venne indetto nel 1934 il concorso per la progettazione del nuovo “Palazzo del Littorio e della Mostra della Rivoluzione Fascista in via dell’Impero”.  Era richiesto ai partecipanti il disegno di un edificio arretrato di circa venticinque metri rispetto all’allineamento di via dell’Impero e comunque di una distanza tale che non venisse pregiudicata la vista dell’intera mole del Colosseo da piazza Venezia. Inoltre, tale arretramento avrebbe dovuto consentire la creazione di una spianata sopraelevata sulla via dell’Impero che svolgesse la funzione di accogliere le adunate popolari nelle manifestazioni del regime. L’area di intervento, di forma triangolare, era compresa tra il Colosseo, il Foro romano, i Fori di Augusto e Traiano e la Basilica di Massenzio (che, sempre da indicazioni del bando, il Palazzo non avrebbe dovuto superare in altezza). L’impresa venne abbandonata, probabilmente a causa degli sbancamenti necessari e degli alti costi previsti, mentre per la nuova sede del Littorio fu scelta l’area meno centrale del Foro Italico. L’area lungo via dei Fori Imperiali precedentemente destinata al Palazzo Littorio fu indicata in seguito per la costruzione del Danteum, il tentativo, per celebrare Dante Alighieri, di trasformare in architettura la Divina Commmedia. Proposto nel 1938 a Mussolini da Rino Valdameri, direttore della Reale Accademia di Brera a Milano e presidente della Società Dantesca Italiana, venne progettato da Giuseppe Terragni insieme a Pietro Lingeri con la collaborazione del pittore e scultore Mario Sironi. A causa della sconfitta di Mussolini nella Seconda Guerra Mondiale, neanche il Danteum venne mai realizzato.

Negli anni del secondo dopoguerra, il territorio di Roma era ancora formalmente regolato dal piano del 1931 con il rinvio a specifici piani particolareggiati e varianti. La via dei Fori Imperiali, di fatto realizzata senza tenere conto del Prg appena approvato, venne sanata in variante solo nel 1958. Anni dopo, nel 1962, venne approvato un Prg radicalmente nuovo, redatto dagli architetti Luigi Piccinato, Piero Maria Lugli, Mario Fiorentino, Vincenzo Passarelli, Michele Valori, come espressione di una modernità auspicata per l’interno Paese. L’area archeologica centrale, in questo piano, era configurata come un insieme di recinti separati da strade, attribuendo al disegno della viabilità il ruolo di matrice dell’assetto morfologico e funzionale. Il piano confermava l’esistenza di via dei Fori Imperiali e ribadiva la viabilità ad anello intorno al Colosseo. Proiettava l’area archeologica centrale alla scala territoriale, prevedendone una opportuna continuità verso il Parco della Caffarella e dell’Appia antica.

Il dibattito sul destino dell’area archeologica centrale si riaccese tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, in modo particolare durante le giunte di sinistra dei sindaci Giulio Carlo Argan, Luigi Petroselli e Ugo Vetere. Da allora in poi si sono susseguite varie commissioni di studio con diverse ipotesi e progetti per la sistemazione dell’area. Adriano La Regina, Soprintendente alle Antichità di Roma dal 1976 al 2004, sollevò la questione dei danni che l’inquinamento atmosferico, dovuto in particolare al traffico automobilistico, stava causando al patrimonio archeologico. Si cercò di fronteggiare il problema impedendo il transito dei veicoli a motore in via dei Fori Imperiali e chiudendo, nel 1979, via del Foro Romano, la strada che attraversava il Foro ai piedi del Campidoglio. La proposta, promossa da La Regina, fu accolta con favore dalla cultura dell’epoca, in particolare da Antonio Cederna e Italo Insolera, anche perché consentiva di riunificare le due parti dell’area monumentale, ripristinando il percorso antico tra il Campidoglio e la piazza del Colosseo. In quella occasione fu consentito anche il libero attraversamento del Foro. Tale provvedimento rendeva, di fatto, una buona parte dell’area dei Fori a disposizione di tutti i cittadini, funzionando non soltanto come parco destinato ai turisti. La strategia di limitazione del traffico, rimozione della via del Foro Romano, di facilitazione dell’accessibilità agli scavi e del loro libero attraversamento condusse a riesaminare l’assetto che l’area aveva assunto negli anni Trenta. In questa prospettiva fu avanzata la proposta di rimuovere la strada voluta da Mussolini. Il programma di uno scavo che avrebbe eliminato la via dei Fori Imperiali fu presentato dalla Soprintendenza archeologica con una mostra tenuta nella Curia del Senato al Foro Romano nel 1981.
In seguito, su incarico della stessa Soprintendenza, il gruppo guidato da Leonardo Benevolo e Vittorio Gregotti disegnò un progetto di trasformazione dell’area, pubblicato nel 1985 (Roma. Studio per la sistemazione dell’area archeologica centrale). Il progetto fu in seguito approfondito da un ulteriore gruppo guidato da Leonardo Benevolo e Francesco Scoppola con la partecipazione tra gli altri di Vittorio Gregotti, Antonio Cederna, Vezio De Lucia. Il lavoro venne completato e presentato nel 1988 (Roma. L’area archeologica centrale e la città moderna). In questo progetto appariva evidente l’intenzione di operare alla giusta scala dando continuità all’area dei Fori come un grande cuneo verde che si ricongiungeva al Parco dell’Appia antica, istituito proprio nello stesso anno. L’area archeologica centrale a sua volta era immaginata completamente pedonalizzata e liberata anche dalla via dei Fori Imperiali.
Contemporaneo a quello di Benevolo, il progetto di sistemazione dell’Area archeologica promosso dal gruppo coordinato da Raffaele Panella, sulla base di un articolato programma di ricerche condotte presso l’Università “La Sapienza” di Roma, suggeriva la riunificazione dei Fori Imperiali e il loro attraversamento da piazza Venezia a largo Ricci con una “passerella archeologica” sul tracciato della via dei Fori Imperiali, di cui si prevedeva la rimozione. Una seconda fase della ricerca, iniziata nel 2010, si è poi conclusa nel 2013 con la pubblicazione del volume Roma, la città dei Fori – Progetto dell’area archeologica tra Piazza Venezia e il Colosseo. Alla fine degli anni Novanta, sviluppando l’ipotesi di eliminare via dei Fori Imperiali, iniziò una nuova campagna di scavi, che prese il via nel 1995 con le indagini archeologiche nel Foro di Nerva. Venne così avviato il Progetto Fori Imperiali, inserito nel Piano degli Interventi per il Giubileo durante l’amministrazione Rutelli, con un programma di realizzazione articolato in due fasi: la prima tra il 1998 e il 2000, la seconda tra il 2004 e il 2006.

Per seguire l’ordine cronologico occorre ricordare il nuovo Piano Regolatore di Roma (adottato nel 2003 e approvato nel 2008), che riconosce la valenza strategica dell’Area archeologica centrale, intesa come Parco archeologico-monumentale, includendola in un Ambito strategico insieme con l’Appia antica. L’area di piano comprende, “oltre all’area dei Fori Imperiali vera e propria e al Foro Romano, tutte le aree forensi che si estendono attorno al Campidoglio e al Palatino, fino all’antico porto fluviale dell’Isola Tiberina (Foro Boario e Olitorio, Velabro), e all’asse verde costituito dal Circo Massimo e dalla Passeggiata Archeologica, verso la Porta S. Sebastiano e l’Appia Antica, nonché il bacino del Colosseo con i colli prospicienti e il Celio”. Nel Piano è specificata la necessità che l’area così indicata sia oggetto di un “programma unitario”, un programma “organico che dia l’avvio a progetti di intervento parziali e coordinati, per la definizione esecutiva dei quali potranno essere attivati anche strumenti attuativi di tipo concorsuale”.

Nel 2004, su committenza del Comune di Roma, del Ministero dei Beni Culturali e della Soprintendenza Archeologica di Roma, Massimiliano e Doriana Fuksas elaborarono una ulteriore ipotesi di trasformazione per l’area di via dei Fori Imperiali. Il risultato venne presentato nell’ambito della mostra Forma. La città moderna e il suo passato. Anche questo progetto proponeva la sostituzione della via dei Fori Imperiali con una passerella sospesa sul piano di calpestio archeologico, integrata con piattaforme dotate di servizi.

Per concludere è interessante ricordare la recente Call Internazionale di progettazione per via dei Fori Imperiali bandita dall’Accademia Adrianea di Architettura e Archeologia, in collaborazione con l’Ordine degli Architetti di Roma, nel quadro del Piranesi Prix de Rome 2016. Tra le molteplici proposte emerse nel concorso si può segnalare quella presentata dal gruppo di architetti, ingegneri, archeologi e storici guidati da Franco Purini (Università Sapienza) e Tommaso Valle (Tommaso Valle Progettazioni) che ha conseguito il primo posto ex aequo insieme al gruppo di Luigi Franciosini (Università degli Studi Roma Tre) e Riccardo Petrarchi (2TR) e al gruppo coordinato da Alexander Schwarz (Universität Stuttgart) e Martin Reichert (David Chipperfiel Architects). Si tratta di un progetto di risistemazione per l’area archeologica centrale conforme al bando del concorso, predisposto sulla base del lavoro della Commissione paritetica MiBACT-Roma capitale, presieduta da Giuliano Volpe. Il progetto prevede di mantenere l’asse di via dei Fori Imperiali, ormai storicizzato, sostituendo la strada attuale con un percorso belvedere poggiato su pali d’acciaio disposti in modo da ridurre al minimo l’impatto sul sottosuolo. La passeggiata pedonale, affiancata dalla viabilità di servizio, mantiene la quota attuale, mentre alla quota degli scavi le diverse aree ora separate dalla strada sono riunificate.

Da quanto detto emerge che la sistemazione dell’area archeologica centrale è da secoli oggetto del dibattito culturale, politico e urbanistico di Roma. Non sempre gli strumenti urbanistici si sono dimostrati decisivi nel guidare le trasformazioni dell’area e i numerosi progetti che si sono raccolti nel tempo manifestano quanto sia complesso trovare una soluzione efficace e condivisa che definisca l’assetto dell’area una volta per tutte. Il Prg vigente prospetta una soluzione d’insieme che sembra raccogliere positivamente i contributi più qualificati sedimentati nel tempo. Forse solo la continua esplorazione progettuale può contribuire a individuare e mettere a punto le soluzioni più opportune che consentano di impostare un Progetto urbano articolato, che risponda alle esigenze diverse e complesse di quest’area straordinaria e unica al mondo.

 

Riferimenti bibliografici

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