La rigenerazione green dell’area industriale diChieti scalo predisposta nel Laboratorio Chietiriassume i principali temi in gioco nel Progetto urbano sostenibile: l’importanza degli ecosistemi e dell’ambiente ai fini della sostenibilità dello sviluppo; la possibilità di riscattare spazi che stanno perdendo la loro funzione produttiva, sostituendoli con nuove funzioni urbane; l’attenzione alla qualità della città fisica, come insieme di spazi qualificati, che fungono da ancoraggio a identità culturali e sociali sedimentate nel tempo, anche quando si tratta di introdurre nuove valenze funzionali più appropriate rispetto alle domande della società contemporanea.
Qui il contesto d’intervento è caratterizzato dall’incipiente dismissione delle attività produttive all’interno di una zona industriale realizzata nel dopoguerra con i fondi della Cassa per il Mezzogiorno; e dal dichiarato interesse espresso da diversi imprenditori, spesso d’intesa con l’amministrazione comunale, a farsi carico di un rilancio dell’area in dismissione, in particolare con la riconversione degli usi industriali a residenza, servizi e nuove centralità urbane, e con il reinvestimento delle rendite così percepite nella realizzazione di nuovi impianti produttivi delocalizzati in aree limitrofe.
E’ un contesto che si presta bene a fungere da banco di prova per un nuovo approccio culturale, il Sustainable Sensitive Urban Design, in cui il progetto urbano assume come centrale l’obiettivo della sostenibilità declinandolo alle diverse scale, da quelle proprie degli edifici a quella del quartiere. In questo caso il progetto si propone di conferire condizioni di qualità a una zona industriale in progressivo declino e all’adiacente quartiere residenziale particolarmente povero di valori urbani. IlProgetto urbano si configura come una combinazione finalizzata di azioni locali per il rilancio dell’economia e dell’occupazione, insieme a interventi per l’ambiente, per l’urbanistica, per l’edilizia, per le reti infrastrutturali, per la mobilità e le opere pubbliche. Queste azioni sono distribuite nel tempo con la necessaria flessibilità dovuta alle inevitabili difficoltà di far convergere le strategie del Consorzio industriale, del Comune, della Regione, dei singoli imprenditori, e naturalmente della popolazione locale. Sono previste tre fasi per la rigenerazione green della zona industriale: una prima fase, di ricolonizzazione, in cui si interviene su lotti interclusi con impianti già dismessi o in dismissione, con l’obiettivo di infrastrutturare la zona e di ripopolarla di nuove attività anche urbane; nellaseconda fase, si prevede il consolidamento delle attività produttive con l’inserimento di ulteriori funzioni urbane; infine, nella terza fase, dovrebbe aver luogo lo sviluppo sostenibile di un’area ormai urbana, al cui interno sono mescolate funzioni eterogenee nel segno della loro compatibilità ambientale e dell’attrattività per nuovi investimenti immobiliari.
La processualità delle tre fasi attiene al possibile rapporto tra il progetto e il tempo. Come avviene per i progetti di paesaggio, il progetto per la zona industriale di Chieti scalo non dovrebbe imporre forme compiute, che rischiano di ostacolare l’evolutività di processi altamente imprevedibili e di complicare inutilmente la complessa riorganizzazione progressiva dei cicli metabolici di consumo e rigenerazione delle risorse locali. In questo senso il progetto di rigenerazione green della zona industriale di Chieti scalo, considerato da antesignano di un possibile processo di rilancio delle aree industriali in declino dentro e fuori la Regione Abruzzo, va inteso come un progetto necessariamente incrementale e flessibile nel suo sviluppo temporale. Il progetto iniziale introduce alcuni dispositivi enzimatici che favoriscono possibili evoluzioni successive, senza pretendere di regolarle in modo troppo deterministico.
E’ in definitiva un progetto urbano che è sempre meno condizionato dall’approccio dell’autore e dalla volontà di configurare definitivamente gli assetti fisici e funzionali della città, ed è invece sempre più portato a innescare processi di trasformazione virtuosi, ben sapendo che questi nel tempo tendono a sfuggire alla razionalità di un singolo attore della trasformazione, sia esso il progettista o l’amministrazione committente.
In questa prospettiva, il processo di rigenerazione dell’area industriale tende a fungere da incubatore iniziale di trasformazioni orientate alla sostenibilità, da seguire nel tempo con sistemi di monitoraggio e apprendimento continuo che consentono di agire sulle traiettorie evolutive, per ricondurle quanto più possibile agli obiettivi prefigurati, oppure per definire nuovi obiettivi della trasformazione.
Più in dettaglio il programma proposto si articola temporalmente in una fase di ricolonizzazione, con l’ingresso delle prime infrastrutture verdi, la bonifica dei suoli inquinati, la riqualificazione del corridoio viario principale di via Piaggio e la ristrutturazione della stazione ferroviaria associata al nuovo Bus Terminal e parcheggi d’interscambio; inoltre sono previsti i primi nuclei residenziali nelle aree già dismesse, concepiti come ecoquartieri, in quanto testimonianza della volontà di riscatto contro il degrado ambientale presente su tutta l’area. La successiva fase del consolidamento è destinata ad attuare il programma di rigenerazione green, estendendolo anche alla produzione di energie rinnovabili al servizio dell’area e alla depurazione e riciclaggio delle acque superficiali; poi il potenziamento delle PMI che operano nel settore dell’artigianato smart; la prosecuzione delle iniziative residenziali; e infine l’istituzione delle prime riserve di naturalità nei siti decontaminati e in altri ormai vacanti di attività industriali. La terza fase, dello sviluppo sostenibile, prevede di insediare nuove fabbriche a tecnologia avanzata, in particolare nel settore del cleantech per il quale l’intero sistema abruzzese appare in grave ritardo, e dove il greening dell’area industriale esistente va considerato come una strategia di particolare rilevanza. Il completamento del Green frame collegato alle riserve di naturalità ricavate all’interno della zona industriale e la conclusione dei nuovi quartieri residenziali costituiscono le operazioni finali del programma di riconversione ipotizzato.
In questo processo evolutivo di natura incrementale, il progetto per Chieti scalo non lavora soltanto sulle componenti interne all’area, perpetuando l’errore di una zona pianificata come un’isola settoriale, che non scambia relazioni con l’intorno. Al contrario, vuole fungere da attivatore di contesto, mirato a propagare nello spazio (anche all’esterno, verso la città residenziale) e nel tempo ( oltre la fase dell’emergenza) processi di trasformazione degli assetti esistenti nel segno della sostenibilità urbana.
In questo senso, il programma di rigenerazione green è riferito al contesto direttamente interessato dall’intervento, ma anche allo spazio di prossimità dove si riverberano gli effetti generati dalla trasformazione ipotizzata. L’efficacia del progetto (o meglio della cumulazione dei progetti eterogenei per tipologia e per dimensione che nel loro insieme danno corpo al Progetto urbano) dovrebbe essere valutata di conseguenza non soltanto alla luce delle prestazioni ambientali conseguite all’interno dell’insediamento industriale (come emissione zero, o autosufficienza energetica), ma anche come contributo al miglioramento del contesto urbano circostante.
Il tempo, come si è detto, rappresenta un fattore essenziale della strategia prefigurata. Come osserva la Masboungi, “le trasformazioni che essa concepisce, progetta e realizza sono complesse, estese, articolate, e richiedono l’azione di soggetti diversi. Il tempo che intercorre tra la prima ideazione e la realizzazione dell’intero progetto è medio lungo, mai inferiore a dieci anni, spesso superiore a venti” (Masboungi, 2001)
E’ chiaro che gli interventi iniziali, quelli della fase di ricolonizzazione, dovrebbero essere avviati quanto prima possibile, per essere completati a breve termine (preferibilmente cinque anni). Però la durata dell’intera realizzazione del Progetto urbano non è definibile preventivamente; durante il suo corso saranno probabilmente necessarie modifiche, integrazioni, cambiamenti; gli attori potranno cambiare al mutare delle convenienze e delle domande, e se anche restano gli stessi, possono cambiare il loro orientamento e le loro scelte in base alle evoluzioni dei mercati e delle politiche pubbliche a sostegno delle attività industriali.
Non c’è dubbio tuttavia che Il successo del progettosi gioca fondamentalmente sulla sua capacità di innescare un processo di cambiamento delle strutture esistenti, con ricadute importanti anche sulla percezione sociale di un’area finora immaginata come separata dalla città e poco accogliente. E’ certamente decisiva l’ideazione di un progetto evolutivo, flessibile e incrementale. Poi però deve essere inventata la struttura di accompagnamento nelle fasi attuative che come abbiamo più volte affermato sono imprevedibili e indeterminate. Un buon esempio è costituito dalla London Docklands Development Corporation, istituita nel 1981 con ampi poteri e risorse per riorganizzare l’intera area dei Docklands londinesi. La Corporation ha cessato di esistere nel 1998, dopo aver completato buona parte degli interventi e trasferito ai Boroughs locali e ad altre authorities le proprie funzioni e soprattutto la proprietà.
Ma nel caso di Chieti, in presenza di attori istituzionali di natura eterogenea, poco propensi al partenariato come purtroppo insegna l’esperienza, appare complicato istituire un efficace sistema di governance, attrezzato a guidare lo sviluppo in modo continuativo e coerente nel tempo. La stessa fattibilità del Progetto va approfondita sotto il profilo tecnico, amministrativo, economico-finanziario, sociale.
Ad esempio l’obiettivo della sostenibilità in un’area industriale al disotto degli standards più comuni pone problemi rilevanti, anche dal punto di vista economico. Sappiamo che il miglioramento delle prestazioni ambientali comporta un aggravamento dei costi a carico anche dei destinatari finali dell’intervento. In effetti, è ragionevole considerare come inevitabile l’incremento dei costi di realizzazione di interventi che devono provvedere in particolare a bonificare l’area dotandola di appropriati dispositivi per la produzione delle energie rinnovabili, il filtraggio e recupero delle acque, la mobilità con emissioni meno inquinanti, e altre infrastrutture dedicate al miglioramento delle prestazioni ambientali locali. Nel tempo il maggior costo delle opere di messa in sostenibilità dovrebbe essere comunque compensato dall’incremento delle rendite fondiarie e anche delle economie di gestione, essendo possibile in molti casi trovare il punto di equilibrio nel cash flow tra saldi passivi e attivi dell’intervento in programma.
Però il sovraccosto delle opere finalizzate alla sostenibilità non deve essere enfatizzato più del necessario. Un buon progetto di rigenerazione green dell’area industriale ricorre quanto più possibile a una sana economia dei mezzi da impiegare, con una gestione parsimoniosa delle risorse che spesso contraddice l’impiego di tecnologie eccessivamente sofisticate per conseguire gli obiettivi della sostenibilità. Inoltre il progetto stesso può generare risorse aggiuntive da mettere in gioco per il finanziamento delle opere in programma. Così la generazione di significative rendite differenziali, se governata opportunamente, può mettere a disposizione della città risorse anche maggiori di quelle derivanti dagli oneri concessori tradizionali. Il meccanismo economico-finanziario attraverso cui alimentare il processo di rigenerazione diventa comunque determinante, e condiziona per molti versi la stessa scelta degli interventi da realizzare.
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