Quattro domande a partire dal progetto per le vele di Scampia

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Aldo di Chio,
quattro domande a partire dalle vele di Scampia
a cura di Marica Castigliano

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Q1. Sulla demolizione e ricostruzione
La soluzione radicale dell’abbattimento delle vele di Scampia, con il recupero di una vela residua da destinare a funzioni pubbliche, solleva questioni di portata più generale riguardo al recupero delle periferie pubbliche in condizioni critiche. Può essere considerata una soluzione accettabile e generalizzabile?

Demolizione e ricostruzione è ovviamente un principio condivisibile e condiviso del quale la naturale evoluzione della città non può fare a meno ma non può certo essere una soluzione generalizzabile, il caso delle Vele di Scampia è emblematico al riguardo. “Che errore grossolano abbattere le Vele, è come bruciare le streghe in piazza” scrivevamo così già 20 anni fa nel tentativo vano di impedire il piano di abbattimento delle Vele di Scampia voluto dall’Amministrazione della città di allora per abbattere quei simboli del male, oggi insistiamo ancora contro chi, paradossalmente da sponde diverse, quello stesso vecchio piano vuole portare a compimento. E’ un errore storico, un atto barbarico, un sopruso urbanistico e per di più alimenta la grave confusione tra l’architettura e il disastroso degrado sociale che l’asfissia, “è come prendersela con le cozze per il colera” si disse allora per dissuadere coloro che volevano l’abbattimento delle Vele, convinti che, eliminate le Vele, si sarebbe eliminato anche il degrado di cui esse sono assurte a simbolo, così non è stato: tre delle grandi Vele sono state abbattute in pompa magna, dopo altrettanti fiaschi, e il degrado è ancora ancora lì, sempre più forte. Peggio: al loro posto sono stati costruiti orrendi palazzotti, quelli sì senza alcuna qualità e rispetto per gli abitanti e la città. E fa tremare i polsi che il piano che prevede l’abbattimento delle Vele sia frutto anche di studi e convenzioni proprio con la Facoltà di Architettura di Napoli. Dunque è la qualità dell’Architettura il tema. Eliminare una delle pochissime opere della Scuola di Architettura moderna napoletana, quando era una Scuola, costruita nella nostra terra martoriata dalla massa informe dell’edilizia spazzatura, quella si da abbattere, strumentalizzarla come capro espiatorio del degrado sociale, ci ferisce profondamente. Proprio oggi, nell’epoca del recupero delle volumetrie esistenti, della rigenerazione sostenibile, del non consumo di suolo, quando gli architetti nelle culture più avanzate smontano e rimontano con delicatezza gli edifici per riconvertirli e riutilizzarli, la scelta di condannare a morte con la dinamite edifici così significativi, ritrovandosi con immense macerie risultanti dagli oltre duecentocinquantamila metri cubi da abbattere, da smaltire chissà dove e con quanti soldi, per costruire ancora ignobili condomini senza senso e senza senno, è un gesto antistorico, dannoso per la città, e volgare contro l’architettura e gli architetti che credono nell’architettura come soluzione dei problemi sociali di convivenza. Difendiamo ciò che resta del grandioso progetto di Di Salvo perché difendiamo la grandiosità dell'architettura e crediamo profondamente nella forza della bellezza, invece combattiamo la mediocrità che ci costringe nella bruttezza. Le Vele sono potenti "oggetti a reazione poetica", che si stagliano nella storia e nella geografia dei luoghi, anche le cineprese di Gomorra e le penne degli scrittori hanno contribuito a "liberare la visione del pensiero" ma purtroppo è ancora in corso la battaglia dell’architettura moderna "contro gli occhi che non vedono, che non riescono a vedere appieno essendo dipendenti da altre percezioni" (L.C.).

 
Q2. Sul caso Scampia

Scampia è ormai diventato - in negativo e in positivo - un importante simbolo della città, come appare paradossalmente anche nel film “Ammore e malavita” dei fratelli Manetti. Tenendo conto del suo potente ruolo simbolico, si sarebbe potuto adottare altre soluzioni meno traumatiche e più conservative?

Le Vele hanno una storia lunga 50 anni, dal progetto di Franz Di Salvo della fine degli anni ’60 alla costruzione degli anni ’70, dalle occupazioni della camorra degli anni del post terremoto dell’80, agli abbattimenti iniziati negli anni ’90: quello delle prime due Vele dell’allora sindaco “rosso” Bassolino nel ’97, della terza del sindaco “bianco” Iervolino nel 2003 e quello programmato di altre tre dall’attuale sindaco “arancione” De Magistris, oggi, nel 2016, passando attraverso il sempre più drammatico degrado dei luoghi ma pure attraverso intense battaglie, suggestioni, dibattiti, film, romanzi e storie belle di riscatto sociale. Perché si vogliono eliminare le Vele? Perché lo dice l’accademia? Quella stessa che qualche anno fa asseriva che la Terra era immobile! Perché si stima che è troppo costoso recuperarle? Non è vero! E poi quale concetto di economia e finanza si può mai adottare per stimare il recupero dell’immagine della città moderna! Perché il progetto non è stato realizzato esattamente come è stato progettato? E quando mai succede! Tentiamo una risposta seria, al di là degli interessi di pochi che è possibile ci siano, oggi si ha paura della vera Architettura, si vuole eliminare il principio stesso, rivoluzionario, dell’Architettura, il ruolo di guida da essa esercitato nella comunità, l’Architettura minaccia il potere dell’accademia e dell’autorità costituita, l’Architettura trasmette e rigenera la storia, dà forma alla comunità, ha un potere forte e naturale con i suoi valori di protezione e condivisione, trasmette forza alla popolazione, proprio come le donne, bruciate in piazza come streghe. Del binomio Vele/camorra vogliamo conservare le Vele e abbattere la camorra. Vogliamo rigenerare la storia della città, non solo quella antica, ma anche moderna e contemporanea, senza interruzioni. Recuperare il gesto di un'Architettura ideale, di una così grande lezione di Architettura moderna napoletana, diventata la più inaccessibile roccaforte dei clan, oltre ad essere un’eccezionale operazione di riscatto sociale è la giusta operazione di valorizzazione del patrimonio pubblico ed un investimento economico intelligente. Oggi che tutto è co-living, co-working, co-making, quell’idea di mixité funzionale può essere riproposta, perfettamente adeguata ai nuovi modelli di vita e lavoro che si fondono sempre più tra loro secondo concetti di sviluppo sostenibile, mantenimento dell’esistente, conservazione del suolo, così essenziali per la vita. Vogliamo conservare tutte e quattro le Vele superstiti perché è il loro insieme urbano la caratteristica propria da salvaguardare, i tetti piani, le terrazze panoramiche che guardano lontano, gli spazi esterni condivisi, lo skyline che si moltiplica nel cielo di Napoli, sono perfettamente capaci di dare immagine e carattere potente all’intera Scampia e, insieme a quella preziosa compresenza sociale da ricostruire all’interno, così tipica di Napoli, rappresentano un’esplosione di energia che non va distrutta ma alimentata. Le Vele non sono affatto un fallimento dell'Architettura, sono il fallimento della politica. Non sprechiamo altri milioni di euro dei nostri soldi per distruggere, investiamoli per salvare dal degrado l'Architettura e le persone. Tenere in vita le Vele significa conservazione tout court? Crediamo sia vero il contrario, è una bieca cultura della conservazione quella che vuole abbattere le Vele e costruire al loro posto condomini banali, si vuole conservare e riprodurre una malintesa mediocre dimensione umana e distruggere Architetture visionarie proiettate verso il futuro.


Q3. Potenzialità dell’architettura
Spesso gli architetti e gli urbanisti salgono sul banco degli imputati per le responsabilità sociali del loro operato. Ma in una prospettiva meno deterministica dei progetti e dei loro effetti, quanto può contribuire davvero l’architettura all’obiettivo della sicurezza sociale e della vivibilità in contesti particolarmente difficili?

L'Architettura è felicità (l’edilizia no)! l’Architettura serve a proseguire la storia dell’umanità, a rendere il mondo dove viviamo più bello e più giusto, adeguato ai bisogni e ai sogni dell’uomo contemporaneo. L’Architettura è la più completa delle arti, l’arte maggiore, la sola che cura il corpo e l’anima. La nostra non è una battaglia di architetti snob, è l’opposto, difendiamo l’Architettura perché ne possano godere tutti, perché anche chi è povero possa vivere in una casa d’Architettura. È una battaglia di giustizia sociale. Committenti, Enti, Università, Politici e Progettisti tornino a puntare sulla Bellezza dopo anni in cui della triade vitruviana a stento individuavano l’Utilitas e la Firmitas, incapaci di sognare e di riconoscere la Venustas quale ragione prima della Vita oltre che dell’Architettura. Occorrerebbe che finalmente qualcuno quantificasse davvero il valore economico di bellezza e cultura. Tanto bene può fare l’Architettura in contesti difficili quanto disastrose per la città e la comunità possono essere le scelte urbanistiche sbagliate e le Vele non sono solo un patrimonio dell’Architettura, sono anche un patrimonio pubblico, storico ed economico, della città e dei cittadini, oltre che dell'immaginario collettivo, distruggerle è un sopruso contro il patrimonio oltre che contro l'Architettura.Qualche tempo fa su una delle Vele svettava uno striscione profetico con su scritto: "quando il vento dei soprusi sarà finito, le Vele saranno spiegate verso la felicità". Eupalinos, architetto che Fedro cita ammirato a Socrate, nella ricerca della perfezione e dell’armonia degi edifici, suddivideva gli stessi in tre categorie: muti, che parlano e che cantano, e le Vele cantano;bellissima a proposito delle potenzialità dell’Architettura la citazione del tempio di Artemide Cacciatrice “il mio tempio deve muovere gli uomini come li muove l’oggetto amato”.


Q4. Politiche di rigenerazione urbana
La rigenerazione sostenibile dei complessi abitativi in cui è sfuggito in modo apparentemente irrimediabile il controllo della legalità può essere demandata alla convergenza locale di politiche sociali, di sicurezza personale, edilizie, ambientali, mobilità, opere pubbliche e servizi collettivi, con l’invenzione di nuovi modelli di gestione partecipata in grado di favorire la mobilitazione individuale e la gestione positiva dei conflitti interindividuali? Oppure è una questione da affrontare soprattutto con politiche sociali e di sicurezza promosse e gestite nel partenariato con il centro, non potendo confidare realisticamente sulle disponibilità individuali locali? Insomma, può diventare tema di progetto urbano integrato o è una questione da affrontare soprattutto con politiche sociali e di sicurezza pubblica eterodirette?

Due esempi significativi, tra i tanti, della bontà del progetto urbano integrato. Abbiamo visitato recentemente Le Lignon, un enorme complesso residenziale, il più lungo d'Europa, si trova a Ginevra, lungo più di 1 Km ospita più di 5.500 abitanti. Le Lignon fu costruito negli anni Sessanta dall'architetto Georges Addor. Dopo un periodo difficile e un intenso dibattito, passato anche attraverso le ipotesi di abbattimento, è stato perfettamente recuperato. Le strategie di risanamento utilizzate per la Cité du Lignon colpiscono per il loro pragmatismo, la loro oculatezza e interdisciplinarietà. Grazie all'impegno profuso è stato possibile armonizzare in modo ottimale esigenze difficili, complesse e contraddittorie e risanare con successo le unità abitative. Il metodo di intervento scelto si è orientato al valore della cultura della costruzione e apporta, in vista del risanamento di altri grandi complessi simili degli anni Sessanta e Settanta, un contributo prezioso e suggestivo. Il DeFlat Kleiburg, il progetto vincitore della nuova edizione EU Prize for Contemporary Architecture - Mies van der Rohe Award, progetto realizzato ad Amsterdam che propone il rinnovamento di uno dei più grandi complessi di appartamenti dei Paesi Bassi denominato "Kleiburg", stecca residenziale da 500 appartamenti. Il consorzio DeFlat ha salvato l'edificio dalla demolizione trasformandolo in un "Klusflat", ossia in un complesso in cui sono gli stessi proprietari a rinnovare i propri alloggi. Si evita la demolizione e si mette in campo un progetto di riqualificazione con il supporto dei singoli inquilini. Cosi è stato salvato dalla demolizione uno dei più grandi blocchi abitativi dei Paesi Bassi, con un progetto sperimentale è stato rivitalizzato il complesso residenziale costruito negli anni ‘60 nella periferia di Amsterdam. Una bella notizia questo premio: le residenze collettive e il recupero dell’architettura moderna finiscono sotto i riflettori e sono occasione per una riflessione per le tante città europee impegnate su questi temi. In questa ricerca il recupero di tipologie del passato è importante tanto quanto la sperimentazione di nuovi modelli, un progetto che sprona a riflettere ancora sul tema della casa, sul valore dell’Architettura. Dunque difendiamo l'Architettura, l’Architettura delle Vele e le storie degli Uomini, di Architettura e di Architetti c'è un disperato bisogno oggi come allora, le Vele sono indiscutibilmente un capitolo significativo della storia dell'Architettura e della nostra Città che vorremmo continui la sua evoluzione senza che la furia iconoclasta neghi il presente e bruci intere pagine della sua memoria, sostituendole orribilmente. Recuperare il più inaccessibile dei luoghi di Napoli, roccaforte dei clan ma anche simbolo di un'architettura ideale, oltre ad essere una eccezionale operazione di riscatto sociale è la giusta operazione di valorizzazione del patrimonio pubblico ed un investimento economico intelligente, abbattere le Vele è un grave errore storico, architettonico, urbanistico, economico, sociale, politico; è una profonda ferita inferta alla città, una lacerazione insanabile.