Dossier: Progetti urbani per le periferie edited by/a cura di Maria Pone

torna su

“Restart Scampia”
Carmine Piscopo PDF



Parole chiave: Architettura, progetto, processo, politica, collettività
                     Architecture, Project, Process, Politics, People
                              

 

Abstract:
Disposte nel margine settentrionale del territorio comunale, le Vele oggi costituiscono il centro di una città continua che da Napoli arriva a Caserta. Un caso emblematico di “nuova centralità”, non solo fisica, quanto, anche, geografica ed esistenziale. Il testo prova a rileggere le mutate condizioni di tempo, di luogo e di scala, che sottendono il processo che ha portato al progetto “Restart Scampia” dell’Amministrazione Comunale di Napoli.

 

 

Fine dei grandi racconti

Figlie di un intenso dibattito sorto intorno agli anni ’50 e ’60, e poi sulla scorta degli studi della Commissione Piccinato (1964), le Vele costituiscono l’emblema di una stagione dell’architettura fondata sull’utopia dell’edificio per alloggi collettivi, sul decentramento dei pesi insediativi dal centro città, sul gigantismo dei piani di zona e sulla grande dimensione, sul ruolo dell’architettura nella costruzione della città moderna. E, ancora, sulla spina analitica degli studi urbani che attraversava il panorama disciplinare di quegli anni, sulla derivazione delle forme del progetto dalla realtà indagata e sull’insieme delle relazioni che si andavano stabilendo tra l’abitare moderno, la ricerca tipologica e il quadro delle tassonomie. Andrebbero, poi, qui ripercorsi il dibattito sulle 167, il richiamo alla tradizione autentica del Movimento Moderno, alle ipotesi di fondazione e rifondazione del panorama disciplinare, alla definizione di nuovo “insieme urbano” in relazione alle previsioni dei nuovi assi di sviluppo territoriale, alla messa a punto delle previsioni connesse con l’espansione, la crescita e il decentramento della città, ai modelli sociali ed economici che trovavano spazio nel panorama del primo nucleo di formazione delle esperienze del Centrosinistra a Napoli e in Italia.
Parimenti, e di contro, andrebbero qui riportati il dibattito degli anni ’80 e ’90 (che, in un raggio di azione più ampio segnarono, nelle esperienze fuori dall’Italia, la fine dell’assioma analitico), l’insieme delle rivendicazioni, delle lotte urbane e delle denunce delle condizioni di invivibilità che hanno attraversato il panorama di quegli anni, le prime grandi mobilitazioni e i primi sinceri riconoscimenti di quanto quella utopia fosse così astrattamente legata a modelli urbani che si erano dimostrati nel tempo non in grado di prevedere e coordinare la crescita e l’adattamento dei nuovi insediamenti collettivi, sorti in assenza di indirizzi di relazione o di profonda connessione con le altre parti del territorio urbano (Siola, 1994).
Un percorso, questo, che ha a lungo registrato l’opporsi di visioni differenti, spesso marcate da punte di radicalità, tra coloro i quali hanno fatto proprie le istanze di invivibilità delle realtà sociali, animate non dal solo spirito di urgenza di fuoriuscita dalla marginalità, quanto, anche, di una necessaria revisione dall'interno dei modelli insediativi di quegli anni, versus istanze di un mondo non solo accademico, che ha a lungo visto nella conservazione e nel completamento dell’impianto di Franz di Salvo, di cui restano oggi in piedi quattro delle originarie sette Vele, una necessaria operazione di continuità nei confronti di un patrimonio culturale e architettonico1 . Un confronto, dunque, ancora oggi vivo e aperto, nel quale si registrano, dall’uno e dall’altro lato, l’opporsi di differenti argomentazioni, che hanno finito, con il tempo, con il generare separazioni e divisioni non solo tra culture tra loro differenti, quanto, anche, lacerazioni interne alle medesime comunità accademiche, come alle medesime realtà sociali. Una discussione, che per economia di spazio non potrà essere affrontata nell’ambito di questa nota, che tuttavia riveste una portata straordinaria che ancora oggi attraversa e ispira, spesso in modo nostalgico, le ragioni di una parte della cultura architettonica.
Vale solo la pena di richiamare, infatti, quanto, in ambito scientifico, il prevalere di alcune forme di nostalgia, drammaticamente irretite da atteggiamenti di difesa ideologica di una radice che pur riveste grande importanza, sia stato profondamente studiato in recenti rassegne, in sezioni di documenti specificamente dedicati, in retrospettive storiche, in Biennali di Architettura ed esposizioni internazionali, in lucidi testi che hanno evidenziato quanto dietro tale atteggiamento si celi il senso della perdita di un riferimento dell’architettura, che vede in questa cultura l’ultimo atto di un modernismo eroico che ha finito con il produrre, nel confronto con la realtà, il fallimento di istanze autenticamente moderniste. Il cui ribaltamento, sulle spalle delle collettività, ha generato profondi conflitti e dialettiche, in alcuni casi, irriducibili.
Se la fine dei “grandi racconti” ha potuto mettere in luce fallimenti ed illusioni di poetiche, di immaginari separati da realtà sociali, illuminando istanze, desideri, proiezioni, bisogni, narrazioni, di collettività (e non solo) a lungo rimaste schiacciate, che oggi finalmente emergono con la propria «verità storica» (Celati, 1975), su un altro versante, il medesimo frangersi, per effetto del suo stesso passaggio, ha avuto anche il ruolo di mostrare quanto spessi e grevi siano i frantumi di castelli ideologici abitati dalla nostalgia e dal mito.
Così, con il loro orizzonte aspro e cementizio, che si staglia contro il cielo, le Vele sono figlie di un’illusione che è innanzitutto «cattiva utopia» (Cacciari, 2009), sostenuta da una politica e un’architettura che mai, a partire dagli autori, hanno riconosciuto quell’opera e quel programma elementi fondanti un tempo, un luogo e una scala, in cui il Moderno stesso, senza vergogna, potesse riconoscersi.

 “Re-start Scampia”

È in queste profonde dilacerazioni, cui si sono sovrapposti nel tempo una gran mole di studi e di progetti, sorti sia in ambito accademico e istituzionale, sia in ambito di comitati, collettivi, associazioni, che “Re-start Scampia” ha mosso i suoi primi passi. Era necessario riavvicinare, come aspetti di una stessa ricerca, la cultura accademica alla realtà sociale e all’azione politica, alle istanze della collettività, riconoscendo, da un lato, il valore di un quadro di ricerche e, dall’altro, la voce profonda di una comunità che per tanti anni aveva messo in piedi una vera e propria strategia di resistenza contro una narrazione univoca e omologante, costruendo forme alternative e nuove di cultura. E, ancora, riconoscere che in una situazione così dilacerata e divisa, l’architettura è parte di un processo più grande, che cammina sulle gambe della collettività e vive nel respiro delle sue generazioni, come una condizione nuova da cui non è possibile prescindere.
È su queste basi, dunque, e nella disamina attenta di studi, ricerche, elaborazioni stratificatesi nel tempo, che nasce “Re-start Scampia”, il progetto di rigenerazione urbana con il quale il Comune di Napoli ha partecipato, classificandosi tra gli interventi finanziati, al "Bando per la presentazione di progetti per la predisposizione del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia".
Il progetto, già interessato da una quota di cofinanziamento di circa 9 milioni di euro nell'ambito del PON Metro, ha ottenuto così un finanziamento di circa 18 milioni di euro, cui si aggiungono ulteriori risorse economiche reperite dai capitoli di bilancio che formano il Patto con la Città (30 milioni di euro) sottoscritto con Presidenza del Consiglio dei Ministri a Napoli a ottobre 2016, nonché l’ulteriore finanziamento già previsto dal Governo per la Città Metropolitana (30 milioni di euro) e un ulteriore impegno di risorse proprie programmate dalla Città Metropolitana (20 milioni di euro). 
Un’operazione, dunque, di ingegneria finanziaria, che tiene insieme numerose competenze e diversi strumenti, con il coordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dal Bando Periferie, al Pon Metro, che hanno dato luogo al Progetto “Re-start Scampia”, che prevede l’abbattimento di tre Vele e la riqualificazione della quarta per l’abitare temporaneo, unito a un complesso programma di trasferimento dei nuclei insediati, al Patto per Napoli, alla seconda tranche del Bando Periferie destinato alle Città Metropolitane e alle risorse della Città Metropolitana, che darà luogo al bando per la rigenerazione dell’intera area del Lotto M, del Parco della Socialità, di tutte le aree contigue, degli accessi infrastrutturali ai più importanti assi di scorrimento che connettono Scampia con i Comuni dell’entroterra, delle aree risultanti dai principali assi stradali di connessione urbana, fino alla rimodulazione dell'edificio della Stazione della Metropolitana, che ha drammaticamente separato il quartiere di Scampia dal quartiere di Piscinola. Un programma, quest’ultimo, che vedrà, attraverso l’indizione di un concorso internazionale di progettazione, la trasformazione dell’ultima Vela (celeste) da edificio destinato all’abitare temporaneo in nuova sede della Città Metropolitana e la dotazione per l’area di servizi urbani integrati, attrezzature collettive, spazi comuni, standard di quartiere, asili nido, luoghi di istruzione e di formazione professionale, nuove residenze nei limiti previsti dal Piano Regolatore, insieme con alcuni progetti speciali che riguardano l’edificio della Stazione e il grande parco, con l’obiettivo di trasformarli da “barriera che separa” in elementi di riaggregazione alle diverse scale, di riconnessione del tessuto urbano e luogo di concreta vivibilità della collettività.
Non solo, dunque, un intervento di demolizione delle Vele A, C, e D, quanto un progetto complessivo di rigenerazione, che prevede la realizzazione di nuove volumetrie residenziali, la dotazione di servizi urbani intergrati e di attrezzature collettive (assistenza sociale, formazione scolastica, sicurezza, attività educative), nonché la realizzazione della nuova sede della Città Metropolitana e interventi sul parco di Scampia e sul sistema della mobilità.
Il piano urbanistico attuativo, che riguarderà la rigenerazione del lotto M, del Parco e delle nuove connessioni, sarà pertanto oggetto di specifica gara di progettazione, al fine di consentire un dibattito e un’ampia partecipazione pubblica alla trasformazione dell’intera area. Circa le demolizioni, attualmente l’Amministrazione ha predisposto e bandito tutte le gare di progettazione, ha curato con il Governo l’insieme degli atti amministrativi e contabili, e di recente si sono concluse le gare dei lavori per l’abbattimento della prima Vela 2 .

Un dibattito e un progetto. Infine, un processo

Con tale proposta, elaborata insieme con i Dipartimenti di Ingegneria e Architettura dell’Università Federico II3 e con i comitati e le associazioni attive sul territorio, si conferma dunque la volontà dell'Amministrazione di operare incisivamente su quelle aree di margine urbano che oggi acquisiscono, di fronte alla dimensione della Città Metropolitana, nuovo ruolo e nuova centralità urbane. Alla base, una duplice volontà: riconoscere che quanto abbiamo a lungo chiamato “margine urbano”, giacché osservato a scala del territorio comunale, si dispone, oggi, a scala della Città Metropolitana, come il centro di una Città continua che da Napoli arriva a Caserta. E, insieme, costruire il luogo di una discussione pubblica, che tenesse insieme un dibattito e un progetto, entro cui far confluire non solo un quadro di ricerche maturato nel tempo, di cui andavano recuperati certamente un metodo e una stratificazione di scritture progettuali, quanto, anche, un nuovo quadro di cultura, che dagli anni ’80 in poi, in modo certamente imperfetto, aveva iniziato a mettere a fuoco presso le collettività, in collaborazione con studiosi, ricercatori autonomi e reti informali di ricerca, nuove figure urbane e nuovi punti di vista, visioni di cambiamento e necessità di trasformazione. Inaugurando, così, un processo del tutto inedito, che traeva origine da una condizione estrema, per distaccarsene, innervandosi in luoghi di recupero di dignità e di riaffermazione della centralità della persona. Giacché dietro la rabbia, vi è sempre una sofferenza e l’architettura tutta, se vuole, sa bene che anche di ciò è fatta quella che Aldo Rossi definiva la «sua sottoveste umile e sacrale» (Rossi, 1988).
Il luogo di tale discussione, dunque, non poteva che essere pubblico, ossia, innanzitutto le grandi piazze disposte ai piedi delle Vele. È lì che si sono tenute decine di assemblee territoriali, dove, tra l’altro, sono state sperimentate forme di partecipazione diretta delle collettività nella definizione dei pesi e delle rappresentanze nella formalizzazione delle scelte amministrative. Un modo, oggi, che può certamente apparire inedito, ma che tuttavia non riprende altro che un cammino antico dell’architettura. Sono state così formalizzate decine di assemblee territoriali affollatissime e spesso attraversate da grande tensione, nelle quali si registravano, in una riduzione costante di distanza tra rappresentati e rappresentanti e in un dialogo costante tra Istituzioni e collettività, di volta in volta, i differenti stati di avanzamento di un progetto, cui lavoravano rappresentanze della collettività, comitati, Università e Amministrazione. Così, da luogo di marginalità, le Vele hanno costituito il luogo di accoglienza di una discussione che nel tempo si era spezzata, mentre, contestualmente, altri confronti si svolgevano nelle aule universitarie, negli Uffici del Comune, nella sede dello storico Comitato Vele e, di là in poi, in piazza Montecitorio, nelle sale di Palazzo Chigi, nelle commissioni Ambiente e Territorio della Camera e del Senato e nell’Aula della Camera, dove, il progetto, in una storica seduta, è stato presentato e discusso alla presenza delle più alte cariche dello Stato. E di là, sono entrate di nuovo in circolo, allorché lo Stato, attraverso i propri rappresentanti, è stato accolto, in un atto di ricezione e di amore, nelle case degli abitanti delle Vele.
Il principale risultato di questo percorso, che ha visto la trasformazione di una prima proposta progettuale in un insieme di progetti finanziati e di gare pubbliche, non è nel progetto, di cui la collettività è concretamente autrice, quanto in un processo, che ha riavvicinato, e tenuto insieme, Istituzioni e collettività, comitati, associazioni, cittadini, abitanti, a partire da un’operazione di “riconoscimento” reciproco, delle Istituzioni e delle collettività di riferimento, di distribuzione di “sovranità”, di rispetto delle reciproche autonomie, nonché di sperimentazione diretta di forme inedite di partecipazione e di costruzione di un dibattito pubblico, aperto ad accogliere dialettiche anche irriducibili. Un percorso, che ha tenuto insieme, come aspetti di una stessa ricerca, architettura, collettività, partecipazione alle scelte, realtà fisica e sociale, città e politica. Il senso di questo “riconoscimento” (che deve sempre animare lo spirito delle Amministrazioni) è parte di un processo più grande dentro cui l’architettura tutta è oggi impegnata, nella costruzione di un orizzonte di attesa, dentro cui si riflettono istanze, desideri, bisogni delle collettività. Il progetto ne prolunga il movimento.

 

Note

1 Tra i numerosi contributi, Cfr. Belfiore P., Gravagnuolo B. (1994), Napoli. Architettura e urbanistica del Novecento, Laterza, Roma-Bari IT.; Sicignano E. (1998), “Le Vele di Scampia ovvero il fallimento dell’utopia, in Costruire in Laterizio, n. 65, pp. 368-373, Tecniche Nuove, Milano, IT.; Coccia F., Costanzo F. (2002), Recuperare Corviale, Kappa, Roma, IT.; Gambardella A. (2003), Postfazione a G.  Fusco (a cura di), Francesco di Salvo. Opere e progetti, pp. 180-182, Clean, Napoli, IT; Gizzi S. (2010), Come mettere le mani sulle Vele, in "La Repubblica", cronaca di Napoli, 14 ottobre, Napoli, IT.; Discepolo B. (2010), Il sovrintendente al Comune. Da ecomostro a monumento: Le vele non vanno abbattute, in "Il Mattino", 2 ottobre, p. 41, Napoli, IT.; Cosenza G. (2010), Per far rinascere le Vele c’è bisogno di architettura (ma non degli architetti), in "Corriere del Mezzogiorno", 12 novembre, Napoli, IT.; Mazziotti G, Rosi M. (2010), Salviamo le Vele di Scampia, in "Corriere del Mezzogiorno", 13 novembre, Napoli, IT.; Castagnaro A. (2010), Quanto veleno su quelle Vele. Eppure, all'assessore piacevano, in "Corriere del Mezzogiorno", 19 novembre, Napoli, IT.; Carughi U. (2010), Il destino delle Vele, in "La Repubblica", cronaca di Napoli, 12 ottobre, Napoli, IT.; Dezzi Bardeschi M. (2011), “Archeologia del moderno e tramonto dell’utopia. Le Vele di Gomorra sono lo specchio del nostro imbarazzo?, pp. 2-5, in Ananke. Quadrimestrale di cultura, storia e tecniche della conservazione per il progetto, n. 62, Firenze, IT.; Purini F. (2016), “Contro gli errori del Moderno, in Ananke. Quadrimestrale di cultura, storia e tecniche della conservazione per il progetto, p. 57, e Mascilli Migliorini P., Castelluccio R., Casati C. (2016), “Napoli: si chiuda la sperimentazione, si aprano le periferie”, pp. 58-63, in Ananke. Quadrimestrale di cultura, storia e tecniche della conservazione per il progetto, n. 79, Firenze IT.

2 Un approfondimento ulteriore andrebbe ancora condotto circa l’insieme delle mobilitazioni che nel tempo si sono susseguite e i trasferimenti dei nuclei familiari. Data l’economia della presente nota, ciò che sinteticamente può esser detto è che già a partire dalla prime mobilitazioni, il Comune, in data 10 giugno 1989, delibera di assoggettare i lotti su cui ricadono le Vele (L e M) a Piani di Recupero ai sensi della Legge 457/1978. La fattibilità del Piano viene verificata già in assemblea con una proposta progettuale che prevede la realizzazione di corpi di fabbrica di 3-4 piani, con scale relazionate a 6-8 famiglie, corti di pertinenza sistemate a verde, separazione dei percorsi e realizzazione di nuovi luoghi di relazione sociale.
Le sollecitazioni poste all’Amministrazione cittadina portano nel 1994 all’approvazione di una delibera che prevede l’abbattimento (anche se parziale) delle Vele e, nel 1995, all’approvazione del piano di riqualificazione “Vele” Scampia, redatto sulla scorta di studi e proposte progettuali della Facoltà di Architettura di Napoli. La distruzione di tre Vele avviene con gli abbattimenti dell’11 dicembre 1997, del 22 febbraio 2000 e del 29 aprile 2003. L’apertura dei cantieri, per il trasferimento abitativo dei nuclei familiari presenti nelle Vele ha inizio nel 1997.
Le rivendicazioni degli abitanti e le denunce relative alle intollerabili condizioni di vita del quartiere hanno da sempre generato, tra gli abitanti di Scampia, condizioni per la costruzione di un’ipotesi condivisa e realmente partecipata di progetto.
Vale, a riscontro, nel 1991, l’istituzione da parte del Ministero delle aree urbane di un gruppo di coordinamento costituito dai rappresentanti delle istituzioni firmatarie del programma di riqualificazione, approvato poi nel 1995 e attuato per il 90% per quanto riguarda gli interventi di edilizia residenziale pubblica sostitutiva delle Vele.
Ad oggi, sono stati trasferiti nei nuovi comparti edilizi più di 800 nuclei familiari. Dei nuclei ancora presenti nelle Vele, sui quali è in corso un accurato monitoraggio dell’Assessorato alle Politiche abitative e dei relativi Uffici, parte rientreranno nel completamento del programma di edilizia residenziale pubblica di 188 alloggi recentemente completati e parte verranno trasferiti temporaneamente nella Vela B, di cui al bando di progetto.
Di altri 300 nuclei insediati originariamente nelle Vele, 80 sono stati trasferiti in alloggi di edilizia residenziale pubblica del dopo terremoto, mentre altri 220 sono stati trasferiti nel lotto G mediante la realizzazione di un intervento IACP per Edilizia Economica e Popolare, destinato originariamente a essere finanziato con la legge 167/1962 e successivamente realizzato con i fondi del Piano di Riqualificazione Urbanistica (PRU) “Vele” Scampia.

3 Accordo di Collaborazione Scientifica tra il Comune di Napoli (Assessorati all’Urbanistica e al Patrimonio; Direzione Centrale Pianificazione del Territorio) e il DiARC_Dipartimento di Architettura, il DICEA_Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale e il DIST_Dipartmento di Strutture per l’Ingegneria e l’Architettura, sottoscritto nel 2014, dal titolo “Studio per la fattibilità strategica, operativa e funzionale finalizzato alla valorizzazione e alla riqualificazione dell’area delle Vele di Scampia”. Firmatari e autori dello studio, anche i Comitati e le Associazioni attive sul territorio,tra cui alcuni rappresentati dello storico “Comitato Vele di Scampia”.

 

Riferimenti bibliografici

Belfiore P, Gravagnuolo B. (1994), Napoli. Architettura e urbanistica del Novecento, Laterza, Roma-Bari, IT.
Cacciari M. (2009), La Città, Pazzini Editore, Verrucchio, IT.
Celati G. (1975), Il Bazar archeologico, in “Il Verri” n° 12, Einaudi, Torino, IT.
Relazione della Commissione Piccinato sul Piano di Napoli, 28 gennaio 1964, Napoli, IT
Rossi A. (1988), Un’educazione realista, in Ferlenga A., Aldo Rossi. Architettura 1959-1987, Electa, Milano, IT.
Siola U. (1994), Relazione di Coordinamento e sintesi, in “Le Vele di Scampia”, Bollettino del Dipartimento di Progettazione Urbana, Napoli, IT.