Abstract:
Nell’ambito dell’indagine sul progetto urbano e le sue forme, EcoWebTown propone un dossier che riguarda il noto caso delle Vele di Scampia. Il dossier si compone di una prima parte che raccoglie una serie di contributi che offrono punti di vista di diversi testimoni sulle ultime fasi del processo di trasformazione che sta interessando Scampia (dai risultati di numerose ricerche dell’Università di Napoli, al racconto di alcuni esperimenti didattici con tema “Vele”, fino al progetto Restart Scampia vincitore del Bando ministeriale del 2016 per la riqualificazione delle periferie). La seconda parte del dossier si compone di una serie di interviste che raccolgono i pareri e le posizioni di diverse personalità riguardo all’esperienza napoletana.
Al di là dell’interessante e sempre attuale dibattito nato attorno alla scelta (ormai “storica”) di demolire le grandi strutture di Franz Di Salvo, il dossier racconta il processo che ha guidato lo sviluppo dell’attuale progetto, provando a sottolinearne da una parte gli sperimentali modelli di partecipazione sviluppati negli anni e, dall’altra, le posizioni assunte via via dalle amministrazioni e dall’Università nello svolgersi di questa articolata vicenda e, in particolare, in questo suo “ultimo atto”.
Che succede a Scampia?
Nel maggio 2016 la Presidenza del Consiglio dei Ministri pubblica tramite decreto il “Bando per la presentazione di progetti per la predisposizione del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia”. Il Comune di Napoli partecipa con il progetto Restart Scampia, da margine urbano a nuovo centro dell’area metropolitana che viene finanziato nel dicembre dello stesso anno. Nell’aprile 2017 il Comune pubblica il bando per l’affidamento della progettazione esecutiva: le Vele denominate A, C e D devono essere abbattute, la Vela B, detta Vela Celeste, deve essere riqualificata per ospitare alloggi temporanei e gli spazi aperti risultanti dalle demolizioni devono essere risistemati. Nel luglio 2017 la gara viene aggiudicata e il progetto esecutivo approvato con delibera di giunta, viene realizzata una prima previsione dei costi che ammontano a circa 27 milioni di euro. L’indizione della gara d’appalto per la realizzazione delle opere è legata anche alla previsione della pubblicazione di un nuovo bando per la progettazione del piano urbanistico attuativo: il PUA dovrà affrontare la risistemazione del Lotto M dopo l’abbattimento, nonché la relazione con il Parco e la riorganizzazione delle vie d’accesso. Il PUA dovrà prevedere nel dettaglio anche la localizzazione di alcune funzioni privilegiate nonché la consistenza di nuove funzioni, a carattere urbano e territoriale, in grado di dare una diversa articolazione alla composizione sociale del quartiere.
Ma come si è arrivati a questo risultato?
Tutti sanno che…
Scampia non è una periferia come tutte le altre; da decenni sotto i riflettori (praticamente dalla sua “fondazione”, o meglio, da quando fu costituita come 21° circoscrizione di Napoli, negli anni ‘70) , paradigma di degrado e povertà delle periferie del Sud Italia e tristemente nota per essere quartier generale della camorra nell’area Nord di Napoli e una delle più grandi piazze di spaccio d’Europa, negli ultimi anni è stata trasformata in palcoscenico per storie e racconti che non fanno che rafforzare l’etichetta che, fin da subito, gli è stata attaccata addosso: Scampia=Gomorra.
Ovviamente molti sanno anche che Scampia non è solo questo. Nel quartiere abitano più di 55.000 persone (senza contare quelle non censite perché occupanti o abusive) e, se si contano i quartieri limitrofi (Secondigliano, Miano, Piscinola), l’area nord della periferia napoletana ospita più di 150.000 persone. E proprio in difesa del quartiere e della sua immagine negli ultimi anni si sono moltiplicati comitati, associazioni, gruppi di volontari che lavorano sul territorio provando a costruire alternative.
Il primo e più antico gruppo di abitanti è il “Comitato Vele”.
Le Vele sono il paradigma nel paradigma. Sono il simbolo di tutto quello che Scampia rappresenta: povertà, degrado, abusivismo, criminalità. La costruzione del complesso si concluse nel 1980 e già nel 1988 si verificò la prima importante e violenta manifestazione di protesta da parte degli abitanti che denunciavano le precarie condizioni termo-igrometriche, la carenza di sistemi tecnologici adeguati e le degradanti condizioni abitative e urbanistiche delle Vele. In tempi brevissimi e con una certa evidenza, il progetto di Scampia si è mostrato come un “organismo nato malato” presentando problemi e carenze di sistema che non potevano essere ignorati (fig. 1).
Da quel momento in poi il quartiere è stato oggetto di continui studi, analisi, accertamenti (se non altro perché il Comitato ha continuato a portarlo l’attenzione di istituzioni e autorità); nel 1989 si insedia una Commissione Tecnica delegata ad accertare responsabilità e individuare possibilità di intervento. Già nel 1989, a soli 9 anni dal completamento degli edifici, il comune delibera di assoggettare i lotti su cui ricadono le Vele (L e M) a Piani di Recupero. Dalla progettazione del parco alla realizzazione di opere urbanistiche primarie e secondarie, Scampia è stata oggetto di numerosi interventi che spesso erano il prodotto della collaborazione tra amministrazioni comunali e Università e che, quasi sempre, hanno visto il Comitato Vele partecipare ai tavoli decisionali (fig. 2).
Gli attori locali sono stati tradizionalmente protagonisti nella storia delle Vele; nel progetto Restart Scampia questa caratteristica non viene perduta. Fin dalle sue fasi iniziali il progetto è stato discusso e concordato non solo con lo storico Comitato, ma anche con varie di quelle associazioni e gruppi cui si faceva cenno. Si sentono ancora gli echi delle assemblee pubbliche tenute, spesso anche sotto le intemperie, dentro il piano cantinato delle Vele, in cui si è sviluppato un confronto serrato sul destino del quartiere e in particolare su quello degli edifici progettati da Franz Di Salvo e presto diventati il simbolo di un ghetto.
Un po’ di storia…
Il progetto per le Vele prende il via nel 1968 con un gruppo di progettisti capitanati da Franz Di Salvo. Nello stesso periodo nascevano opere come il Forte Quezzi a Genova, il quartiere Rozzol Melara di Trieste, lo ZEN di Palermo e il Corviale a Roma. Siamo nel periodo definito della “illusione della grande dimensione”, in cui il modello della Machine à Habiter corbusiano aveva affascinato e spinto a sperimentazioni, come quelle citate, anche in Italia. Il grande edificio-città che rappresentava una vera e proprio megastruttura urbana, sembrava una soluzione affascinante al problema dell’aumento della richiesta di alloggi a basso prezzo che fino a poco tempo prima aveva portato alla realizzazione dei quartieri Ina-casa e poi dei “quartieri coordinati” Cep (fig. 3).
Il progetto prevedeva la costruzione di 8 edifici a corpo doppio (collocati su due lotti diversi, chiamati lotto L, su cui erano previsti 3 edifici, e lotto M, sul quale ne erano previsti 5) che accoglievano in un vuoto centrale il sistema distributivo costituito da passerelle, posizionate a piani alterni, e scale in un sistema tipologico che ibridava il ballatoio e l’edificio in linea. La distanza tra i due corpi, da progetto doveva essere di 10,80 metri e gli edifici avrebbero raggiunto un’altezza di 40 metri. Questa tipologia porta le cellule abitative ad avere un solo affaccio “vero” (il secondo si sviluppa su questa sorta di “vicolo” tra i due corpi).
Nella realtà solo 7 edifici vennero realizzati, subendo peraltro una serie di variazioni in fase di costruzione che hanno contribuito fortemente a rendere “inabitabile” il complesso delle Vele:
Oltre alle problematiche intrinseche nel progetto, oltre ai disastri causati dalle modifiche in corso d’opera, ulteriore elemento di crisi fu il terremoto in Irpinia del 1980. Una quota parte di sfollati fu infatti destinata agli edifici di Scampia, il che comportò un ulteriore aggravamento delle condizioni abitative del complesso e un’ulteriore “ghettizzazione”, già esistente a causa della caratteristica mono-funzionalità (più dell’88% degli spazi era destinato a edilizia pubblica) e dell’uniformità di utenti a cui il progetto era rivolto (i cittadini a basso reddito o senza reddito).
Ma il terremoto ebbe anche un effetto “indiretto” su Scampia e sulle Vele: proprio a partire dagli eventi sismici dell’80 infatti venne adottato il piano delle periferie che, nel caso specifico di Scampia, prevedeva che il lotto centrale (che nel progetto di Di Salvo doveva essere destinato alle attrezzature pubbliche) fosse trasformato in parco (fig. 4).
Il parco ha rappresentato un vero e proprio punto di cesura nel già diradato e sfrangiato tessuto urbano del quartiere: completamente inaccessibile sui suoi lati lunghi (tranne per un accesso che si trova sul fronte opposto a quello delle Vele) e sviluppato su quote diverse da quelle delle strade adiacenti, il parco è una vera e proprio barriera architettonica che ha ulteriormente condannato l’area delle Vele a un destino di sempre maggior isolamento.
Qualche cenno sul Piano di Riqualificazione del 1995.
Questa sintetica ricostruzione dei fatti si intreccia con i primi tentativi di intervento sull’area delle Vele.
A seguito della delibera del Comune del 1989, viene approvata, nel 1994, un’ulteriore delibera che prevedeva l’abbattimento (parziale) delle Vele e, nel 1995, il “Piano di Riqualificazione Vele Scampia”. Questo progetto viene redatto sulla scorta di un lavoro di ricerca prodotto dall’Università di Napoli e coordinato dal professor Uberto Siola nel 1993. In particolare questa ipotesi prevedeva la realizzazione di una serie di edifici di edilizia residenziale pubblica a 3-4 piani, collocati sui bordi dei lotti. In questi edifici, il in cui rapporto con la strada è mediato dalla presenza di portici e negozi, si ricollocavano gli abitanti delle Vele. Il progetto prevedeva che le Vele rimanessero all’interno dei lotti e venissero utilizzate per funzioni varie ma ancora indeterminate.
Tutte le ipotesi di intervento che sono seguite si sono confrontate con il tema del recupero, e sono sempre state legate alla polemica tra chi riteneva le Vele irrecuperabili (prevalentemente gli abitanti) e chi invece le difendeva come esempio importante di intervento macrostrutturale degli anni ’70 ancora molto recentemente sono state portate come argomentazioni la loro ‘bellezza’ o il loro ipotetico valore sul mercato). Queste ipotesi oscillavano dunque tra le proposte di abbattimento di tutte o di alcune delle Vele e quelle di un loro recupero e riqualificazione
Alla fine sono emerse in modo evidente due fondamentali motivazioni a sostegno delle ragioni dell’abbattimento: una di tipo tecnico/ambientale per cui è emerso che recuperare tutti gli edifici prevedeva difficili e costosi interventi sulla struttura (pesante e molto bloccata) e sulla tipologia a doppio corpo (che produceva non pochi problemi rispetto alle questioni poste dalla nuova sensibilità ambientale), e una di tipo simbolico, di cui sono portatori soprattutto gli abitanti storici delle Vele, determinati a cancellare una memoria troppo drammatica e preoccupati dal fatto che nuove occupazioni e nuovi usi abusivi potessero riprodurre e aggravare la situazione precedente.
Le prime Vele demolite sono state quelle che sorgevano sul lotto L. Nel 1997 vengono avviate le operazioni di trasferimento dei nuclei familiari e, alla fine di quello stesso anno, viene effettuato il primo abbattimento, seguito da un secondo nel febbraio del 2000 e da un terzo in aprile del 2003. In questa occasione gli edifici hanno mostrato il lato “positivo” della loro logica costruttiva così pesante e bloccata: hanno resistito alle prime cariche esplosive e per buttarle giù c’è stato bisogno di insistere parecchio (fig. 5).
Al momento della redazione del progetto Restart, il Piano di Riqualificazione del 1995 era stato per buona parte attuato; il 90% di edilizia residenziale pubblica sostitutiva delle Vele è stato realizzato, così come le principali opere di urbanizzazione primaria (impianti di illuminazione e fognari, le strade, la grande piazza Giovanni Paolo II) e varie opere di urbanizzazione secondaria (tra cui un centro servizi, un campo di calcio, alcune aree di parcheggio pubblico, ecc.); sono in corso di realizzazione il Polo della Facoltà di Medicina e Chirurgia della Federico II e la piazza attrezzata con strutture per il commercio e la cultura, detta “Piazza della Socialità” (fig. 6).
Ad oggi più di 800 nuclei familiari (dei 1200 originari) sono stati trasferiti nei nuovi comparti edilizi (previsti dal PRU del ’95) restano ancora circa un centinaio di famiglie (regolari) nelle Vele superstiti, destinate ad essere trasferite nei 188 alloggi in Via Labriola e Via Gobetti terminati nel 2016 (si tratta di edifici di 4/6 piani). Degli altri 300 nuclei 80 sono stati trasferiti in alloggi di edilizia pubblica del dopo terremoto e 220 nel lotto G, nell’intervento IACP finanziato con i fondi previsti dal Piano di Riqualificazione. Gli occupanti che ancora abitano le Vele che devono essere demolite (che non hanno titolo per l’assegnazione di alloggi, ma hanno tutti condizioni sociali ed economiche adeguate ad accedere alle graduatorie per alloggi di edilizia popolare) verranno trasferiti temporaneamente nella Vela Celeste (per un tempo previsto di 3 anni).
Il Progetto Restart Scampia
L’origine del progetto Restart è da attribuire alla costituzione, nel 2014, di un tavolo tecnico attorno a cui si riuniscono ancora una volta Comune, Università e abitanti, rappresentati dal Comitato Vele. Esito finale di questo tavolo è un documento che da un lato racconta la storia delle Vele, indissolubilmente legata alle discussioni sulla legittimità della loro sopravvivenza e sulle possibilità del loro recupero, e dall’altra propone una strategia di intervento, interscalare e composita, che viene presentata sinteticamente con un disegno di indirizzo (in cui viene evidenziata la complessità dei processi e degli attori messi in gioco) e con 6 azioni per Scampia: la riqualificazione del nodo intermodale, importantissimo per qualificare la centralità del quartiere; il compimento definitivo della cosiddetta Piazza della Socialità, il cui mancato completamento appare un’occasione importante per modificare alcune scelte sbagliate; gli interventi sul parco, legati a una lettura approfondita della sua materiale configurazione e degli usi che si sono consolidati nei vent’anni della sua esistenza; la riqualificazione del Lotto M con l’ipotesi di conservazione della sola Vela Celeste (B) e l’ipotesi di localizzazione di una serie di edifici destinati ad attrezzature e servizi nello spazio libero e aperto del lotto; interventi sull’accessibilità a scala umana con percorsi ciclabili e pedonali che evitino la formazione di ulteriori recinti; il potenziamento del ruolo della “piazza dei giovani”, luogo di concentrazione di importanti attrezzature che vive oggi in una dimensione di isolamento e di sottoutilizzazione. Per ciascuna di queste azioni, che non sono disposte in ordine di priorità ma “in parallelo”, vengono identificati gli elementi principali del processo di trasformazione e i possibili partner (fig. 7).
Tra i temi principali che tengono insieme il documento di indirizzo e le 6 azioni ci sono:
Il Progetto Restart, confermando l’impianto generale del disegno di indirizzo, mette in primo piano l’azione 4, quella intitolata Lotto M, “approfittando” dell’occasione del finanziamento della Presidenza del Consiglio. I punti principali del progetto riguardano dunque le demolizioni di 3 delle 4 vele restanti sul lotto M la riqualificazione della quarta (la Vela B), rifunzionalizzata per ospitare alloggi temporanei e, in seguito, funzioni pubbliche di interesse comunitario e la riorganizzazione dello spazio aperto risultante dalle demolizioni. Il Progetto riprende nel dettaglio i contenuti del documento del Tavolo sviluppandone e specificandone gli aspetti tecnici (dal piano di pre-fattibilità ambientale alle indicazioni per le demolizioni, all’analisi del degrado della Vela B). Molta attenzione viene prestata al processo di demolizione delle Vele sia per quanto riguarda le fasi di cantiere sia sullo smaltimento dei prodotti della demolizione: nessuna parte degli edifici verrà demolita attraverso esplosioni (con sommo dispiacere dei giornalisti), il processo di abbattimento sarà eseguito con braccio meccanico, il che consente di ridurre al minimo la permanenza dei prodotti della demolizione al suolo.
Il processo che ha portato alla definizione del progetto Restart presenta alcuni elementi di interesse, soprattutto perché nasce dalla collaborazione di attori in modi e tempi non tradizionali. Gli abitanti del quartiere non sono stati consultati, hanno effettivamente e attivamente partecipato alla costruzione del progetto, i gruppi di ricerca accademici non sono arrivati alla definizione di un piano tradizionale, hanno invece lavorato alla costruzione di una serie di linee guida strategiche e ad un disegno di indirizzo che l’amministrazione ha potuto tecnicamente rendere operativo (questo perché la strategia complessiva è “lieve” e si scompone immediatamente in “azioni” concrete che consentono di affrontare le “questioni principali” individuate nel disegno generale) proprio nella logica già accennata di “approfittare” delle occasioni (in particolare di finanziamenti o fondi) che si presentano.
Un processo che sembra suggerire l’idea che l’architettura, con le sue specifiche competenze, possa mettersi al servizio delle persone e delle loro necessità senza imporsi ma senza rinunciare a se stessa, in situazioni complesse, contraddittorie, difficili, che sempre più spesso sono “la scena viva” dei nostri territori contemporanei.
Bibliografia
Comune di Napoli (2016). Restart Scampia. Da margine urbano a nuovo centro dell’area metropolitana. Progetto di fattibilità tecnica ed economica.
Gruppo di ricerca Università di Napoli Federico II, Scuola Politecnica e delle Scienze di Base (2014). Studio per la fattibilità strategica, operativa e funzionale finalizzato alla valorizzazione e alla riqualificazione dell’area delle Vele di Scampia. Disegno di indirizzo: coordinamento prof. Mario Losasso.
Si ringraziano inoltre Daniela Buonanno e Carmine Piscopo per la disponibilità a rispondere a domande e curiosità, a fornire informazioni e precisazioni che hanno consentito la redazione di questa breve sintesi di una storia infinitamente più complessa che ha radici lontane e un futuro in costruzione.