Posizioni sul progetto urbano / 3

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Città, spazio e tempo. Traiettorie del progetto urbano
Anna Laura Palazzo PDF




I temi dell’agenda urbana

In ogni epoca i traguardi di modernità sono stati condensati dalle città: città come avamposti del vivere associato e sedi di elezione per l’affermazione del requisito essenziale della libertà nel legame sociale.
Dalla rivoluzione francese in poi, la concezione universalistica dei diritti si è estesa dalla dimensione urbana – citadinité – a quella dello Stato nazione – citoyenneté - con riformulazioni continue dei sistemi di garanzie e delle soglie di prestazioni erogate alla intera popolazione.
Le città hanno tuttavia proseguito a coltivare i valori della convivenza: il patrimonio comune di tradizioni e virtù civiche inscritto nella civilisation insieme alle prerogative della politesse, l’appropriatezza del contegno individuale.
E’ tuttora così? In cosa la città di oggi è ancora debitrice alla città di ieri? Come ascrivere comunque al dominio urbano situazioni estremamente differenziate di cui solo una esigua minoranza risponde a una qualche “idea di città”?
Ad essere in questione sono gli stessi fondamenti dello stare insieme: non soltanto nelle conurbazioni formali e informali dei paesi emergenti la cui attrazione fatale risulta legata al riscatto da condizioni di miseria assoluta, ma anche nelle città del vecchio mondo, messe a dura prova da processi che modificano gli statuti della cittadinanza, e, con essi, gli elementi di rappresentatività delle categorie tradizionali dell’urbano, il lessico e le forme dello spazio comune.
Le agende urbane sono incalzate da emergenze sempre nuove: ieri gli elevati tassi di crescita che avrebbero mobilitato expertise maturate sul campo da professionisti della tecnica e dell’amministrazione, oggi i rischi globali, come il cambiamento climatico e i nuovi flussi migratori, che oltrepassano le tradizionali categorie interpretative di classe o di confini nazionali e producono nuove diseguaglianze. Questa metamorfosi del mondo non si verifica in un orizzonte di significato stabile, sovverte le certezze e costanti antropologiche del vivere comune e sfida la sfera della politica e della democrazia (Beck, 2017).
L’emersione del paradigma delle Città-mondo, centri di controllo del capitale globale, è forse la più significativa espressione della destrutturazione delle relazioni gerarchiche tipiche degli Stati nazione e delle loro filiere decisionali. Pertanto, soltanto nelle alleanze tra città risiede una possibile definizione di quadri di senso condivisi e modi di intervenire per le scelte di fondo e per quelle legate al quotidiano. Nel metodo, come dimostra il Patto di Amsterdam per l’agenda urbana europea siglato nel 2016, la collaborazione tra città appare efficace per sperimentare, costruire e implementare nuove architetture multi-situate di decisione in tema di pianificazione, adattamento e mitigazione degli impatti climatici e ambientali (Battaglini, 2017). Mentre la collaborazione nelle città, con autentiche esperienze di cittadinanza attiva con gli amministratori, gli Stati membri, le istituzioni dell'UE e i portatori d'interesse, consente di prendere decisioni collettivamente vincolanti sulle tematiche della sostenibilità e resilienza che potrebbero essere incorporate nel diritto internazionale.
Se la vera forza della città è la forza della reciprocità, quella che sconfigge l’estraniamento e il rancore (Sennett, 2012), le città, in quanto soggetti di diritto attivo, sono potenzialmente in grado di promuovere progetti di legislazione combinata rafforzati dalle reti di partecipazione civica portatrici di argomenti stringenti in materia di diritti e di giustizia in grado di forzare un contesto normativo attualmente ristretto nella cornice della riproduzione dell’ordine sociale e politico.
Il discorso sociologico storicamente incentrato sulla nozione di società ricorre con sempre maggior frequenza al termine denso ed emblematico di comunità, a sancire il passaggio da quella che Max Weber definiva una razionalità rispetto allo scopo tipica della citta del moderno e dei suoi codici figurativi dove “l’ordine dei discorsi costruiva le relazioni sociali” (Ilardi, 2017) a una razionalità incentrata sul valore. Di fatto, le “comunità di rischio” di cui parla Ulrich Beck sono sensibili al consumo di suolo e alla riproducibilità delle risorse ambientali, al contenimento dei suoli urbanizzati, alle misure di adattamento e mitigazione climatica che costituiscono i temi più innovativi e rilevanti delle agende progettuali.
“Comunità” rinvia, nella città occidentale, al connotato profondo dei valori civici praticati sulla scena urbana, ma anche agli elementi di un’identità materiale e figurativa continuamente rimaneggiata. Non è dato sapere se le inquietudini globalizzate avranno la capacità di rimettere in gioco a livello locale nella dialettica permanenza-mutamento quei beni, valori e immaginari dell’urbano offuscati o musealizzati dalla modernità: se, in altri termini, nell’associazione problematica tra "patrimonio" e "sostenibilità", quest’ultima riuscirà a orientare in maniera sistematica le politiche e gli strumenti di tutela, e, simmetricamente, se una interpretazione del senso, oltre alle questioni di forma e materia, sarà in grado di reimmettere la memoria nel ciclo di vita della città.

I tempi del progetto urbano

Tra Otto e Novecento le società urbane si sono espresse attraverso il controllo dello spazio e dei suoi usi “nel dominio del tempo”. La dimensione della durata era affidata alle previsioni disegnate dei piani regolatori cui spettava il compito di uno sviluppo organico e ordinato mediante un’associazione senza residuo tra forme e funzioni urbane.   
Le condizioni attuali di accelerazione dei processi e di imprevedibilità dei bisogni impongono di ripensare il tempo stesso “nel dominio dello spazio”, tematizzando la compresenza e simultaneità tra differenti razionalità e ragioni - abitare, produrre, circolare, impiegare il tempo libero -, governando le interferenze e negoziando i possibili registri di convivenza.
Tra le strumentazioni per il governo del cambiamento, il campo di azioni che si associa comunemente alla locuzione “progetto urbano” nelle città del mondo esprime la supremazia della dimensione dello spazio - uno spazio che è estensione solcata da flussi - su quella del tempo. Ciò accade nelle economie emergenti dove l’affermazione del fenomeno urbano non trova riscontro nello spessore dei luoghi e in una tradizione locale di codici linguistici (Clementi, 2017), ma anche nelle trame della città europea, dove la transizione dal moderno al contemporaneo lascia emergere sintassi figurative inedite.
Peraltro, la città continua a reclamare tempo oltre che spazio, e con esso le diverse temporalità che si esprimono sotto forma di eventi o di eventi mancati. Se la durata viene evocata in ogni progetto di città e di territorio, in Francia la démarche prospective è ciò che ha sostituito sia la profezia che la previsione come “formidabile strumento di pedagogia politica”: essa non predice il futuro ma aiuta a costruirlo, attraverso la formulazione di una serie di ipotesi da istruire e valutare nel dibattito collettivo, facilitando la dinamica tra attori e aprendo a prospettive insospettate (de Jouvenel, 1999).
Che ruolo hanno all’interno del progetto urbano queste modalità di interrogazione del futuro ancora figlie dell’Illuminismo pur mitigate dalla insorgenza di una sorta di “patto di cittadinanza”? Con riferimento alle nostre latitudini, l’approdo naturale del discorso sul futuro della città sembrerebbe ancora costituito da un insieme organico di politiche piani e programmi in grado di articolare e far dialogare su ambiti territoriali definiti specifici obiettivi di natura strategica e sistemi di regole conformative e performative. Parafrasando un saggio di Jean François Lyotard (Lyotard, 1990), la legge, la forma, l’evento, veicolano intenzioni progettuali incardinate sulle varie temporalità dell’azione.
La legge risponde alla possibilità di operare attraverso un criterio normativo dello spazio e dei suoi usi. Essa formula una ipotesi nel tempo lungo, la mette alla prova mediante scenari alternativi e predispone le condizioni che la rendono possibile. Con riferimento al caso italiano, il criterio normativo attiene (anche, forse soprattutto) alle questioni di tutela: l’allineamento progressivo operato tra permanenze e invarianti strutturali, che è un portato della pianificazione di area vasta, ha indotto a ragionare su livelli di trasformabilità compatibili con il mantenimento dei caratteri e valori riconosciuti.
La forma indica la possibilità di agire nel tempo medio – l’orizzonte di uno o due mandati amministrativi - attraverso gli strumenti del progetto urbano vero e proprio. Una condizione operativa di particolare interesse propria dei contesti ricchi di storia e di sovrascritture si costruisce a partire da materiali spuri, a ridosso di spazi o di funzionalità irrisolte nella città. Qui si gioca la maggiore discrezionalità, ma anche il senso di responsabilità connesso all’ideazione dei temi di risignificazione e della messa in valore: riuso degli spazi aperti di relazione e di sosta, di margine e di connessione, organizzazione e localizzazione delle attività produttive, di distribuzione e servizio, per cui non sempre è necessario l’intervento sulle forme fisiche che pur trasformano la città. Ma anche la restituzione alla fruibilità collettiva di carceri, caserme, zone archeologiche, insediamenti produttivi dismessi, e infine forme di allestimento degli spazi dell’attesa destinati nel tempo lungo ad altri usi, con finalità che vanno dal tempo libero allo sport alle attività di servizio alla cittadinanza al welfare verde sempre più diffuso in città.
Questi percorsi di rinnovamento non lavorano esclusivamente sul corredo genetico esistente, sulle riscritture e riconnessioni di fatti e materiali urbani, ma nel mostrare una incrinatura nel senso della storia investono una riflessione complessiva sulle nuove forme città nell’era della metamorfosi del mondo. Le regole di assetto, così come alcune funzioni, non sono necessariamente contenute nelle forme date, e la costruzione del problema è di pertinenza delle politiche urbane. Le pratiche di rigenerazione della città esistente, tra cui il progetto urbano, prendono forma in risposta a una domanda sociale che è circostanziata nello spazio e nel tempo. E’ in causa una capacità di risposta e di cambiamento entro percorsi non standardizzati di apprendimento collettivo che implicano la piena valorizzazione del confronto tra saperi analitici e saperi progettuali, dove la progettualità non investe soltanto la forma, ma anche i procedimenti e le decisioni che sono a monte del disegno delle forme, e le modalità di realizzazione, che sono a valle.
Infine, l’evento interviene regolando l’uso del tempo (dei tempi) nello spazio, colonizzando reversibilmente alcuni spazi per esplorarne le potenzialità in un’ottica di sviluppo futuro con il contributo ritenuto sempre più essenziale di forme di arte civica o arte urbana.

Conclusioni

Con la crisi dei paradigmi predittivi, il governo delle città oscilla tra tentazioni di ripiegamento su una idea di forma urbana che sappia contenere e indirizzare le diverse “forme dell’urbano” e prospettive sganciate dalla tradizione ma non ancora approdate a modi di agire pienamente convincenti.
Nelle esperienze internazionali di successo, la rigenerazione urbana si è tendenzialmente affermata attraverso politiche complesse che coniugano “certezza” (le regole connesse all’assegnazione di usi e diritti) e “flessibilità” (connaturata a un disegno strategico piuttosto che a un land use plan), superando l’impasse di una pianificazione di tipo tradizionale dove le preoccupazioni di conformità formale risultano preminenti rispetto alle prestazioni sostanziali ricercate (Mazza, 1998).
Anche in Italia, pur nella diversità degli scenari trasformativi, “certezza” sta per garanzia delle regole e modalità fondamentali di una sorta di road map della trasformazione, come il rispetto dei tempi nelle singole fasi e la definizione di quelle opzioni strategiche connotate da più forte incisività, come le opere di interesse pubblico e le infrastrutture, che generalmente producono conflittualità elevata e stallo decisionale. Il requisito della flessibilità, invocato in relazione alla mutevolezza dei contesti e alla gestione degli imprevisti, sacrifica i consueti vincoli delle “unità” - unità di tempo, di luogo e di azione -, che almeno in linea teorica assicuravano “certezza” nei procedimenti tradizionali, in favore di laboriose attività di concertazione e valutazione dei programmi per singoli stadi di avanzamento, stabilendo le diverse temporalità nell’attuazione e coordinando soggetti distinti: così la mixité, fatta di prossimità o convivenza tra attività di diverso segno - pubbliche e private; o ancora, tendenzialmente inclusive e tendenzialmente esclusive -, comporta sovrascritture di ambiti urbani complessi e governance di attori chiamati a collaborare nella fase di realizzazione, ma ancor più in quella di gestione e di consolidamento del capitale relazionale.
Il progetto urbano incorpora il tempo, accoglie la possibilità. Nel far ciò, si apre a competenze e mestieri non meno definiti che in passato ma diversamente definiti, in approcci interdisciplinari e interscalari in grado di affrontare le sfide della complessità con un impegnativo lavoro di squadra: sfide alle quali non vi sono risposte univoche ma istruttorie e traiettorie di sperimentazione, pratiche e attività la cui efficacia è sottoposta a misurazioni e valutazioni per sub-obiettivi parziali e intermedi ma tangibili, in sostituzione di obiettivi globali, intergenerazionali ed astratti.
Non si può chiedere al progetto urbano un radicamento immediato nel testo urbano interagendo con le forme preesistenti. Gli si deve invece chiedere di mobilitare i nuovi bisogni ed interessi sociali nello scambio dinamico con la cultura degli abitanti. Questo radicamento tra “tempo breve” e “tempo lungo” della città si riferisce alle opportunità di azione latenti che ogni “fatto urbano” offre all’attore sociale attraverso le sue prestazioni formali (conformance) e funzionali (performance), grazie a particolari caratteristiche – affordances - che attivano spontaneamente azioni adeguate ben prima della mediazione valoriale operata dalla cultura (Gibson, 1979; Dessein et al., 2016).  Il concetto di affordance (“presa”) suggerisce l’idea di un invito all’attore sociale e alla città chiamata come soggetto molteplice a forzare la rigidità dello spazio costruito depositandovi nuovi apparati di senso.
In ogni caso, la durata, espunta o esorcizzata dal contemporaneo, è il suo convitato di pietra.

 

Riferimenti bibliografici

Battaglini, E., 201, Note della Fondazione Di Vittorio a commento della Agenda per lo sviluppo urbano sostenibile 2017, Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASVIS) – Urban@it
Beck, U., 2017, La metamorfosi del mondo, Laterza
Clementi, A., 2017, Forme imminenti. Città e innovazione urbana, LISt
de Jouvenel, H., 1999, La démarche prospective. Un bref guide méthodologique, in “Futuribles” n. 247: 47-68
Dessein J., Battaglini E. and Horlings L., eds, 2016, Cultural Sustainability and Regional Development. Theories and practices of territorialisation, Routledge Studies in Culture and Sustainable Development, Routledge
Gibson, J.,1979, The ecological approach to visual perception, Houghton Mifflin
Ilardi, M., 2017,Il progetto come controparte politica, in “Eco Web Town” n. 15
Lyotard, J.F.,1990, Pérégrinations: loi, forme, événement, Galilée
Mazza, L., 1998, Certezza e flessibilità: due modelli di piani urbanistici, in “Urbanistica” n. 111
Sennett, R., 2012, Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli