Abstract
Il manifesto La città futura, sviluppato nell’ambito delle attività degli Stati Generali della Green Economy dal gruppo di lavoro “Per un manifesto della Green Economy nell’edilizia e nell’urbanistica”, parte dall’assunto che Architettura e Urbanistica, come discipline che studiano e progettano forme e processi di conservazione, trasformazione ed evoluzione del patrimonio umano nelle città, possano dare un importante contributo nell’attuazione degli obiettivi di riorientamento sostenibile delle economie locali e globali.Il manifesto affronta questa sfida ragionando sulle declinazioni della qualità architettonico-urbanistica, proiettandole dentro un’idea di città intesa come sistema eco-tecnologico ad alta complessità, in cui riallacciare la progettualità alle dinamiche ecologiche del territorio e in cui costruire architetture relazionali tra comunità insediate e risorse in una visione circolare e di filiera delle azioni antropiche.
Quando nel 1971 nel suo The closing circle. Nature, Man, and Technology, Barry Commoner analizzò le dinamiche di crescita dell’economia dei paesi industrializzati secondo il concetto della circolarità – preso in prestito dalla biologia – per la prima volta nella storia evolutiva delle civiltà si delineò un orizzonte di frattura irreversibile tra le capacità tecniche sviluppate dalla specie umana e le capacità della natura di assorbire gli impatti prodotti dagli effetti dello sviluppo tecnologico.
Per Commoner, questa nuova condizione si era generata per l’innalzamento eccessivo sia del consumo di risorse naturali non rinnovabili (soprattutto da parte delle società basate su modelli di consumo ‘occidentali’), sia dell’introduzione di sottoprodotti e rifiuti “estranei alla natura” e non riassimilabili nei cicli biologici (Nebbia, 2011).
Il modello delle circolarità e delle quattro ecologie1 proposto da Commoner, insieme con altre nuove teorie provenienti dalle scienze biologiche (Carson, Odum), fisico-chimiche (Lovelock, Margulis, Prigogine, Tiezzi), economiche (Bresso, Georgescu-Roegen, Schumacher) e socioeconomiche (Rifkin, Shiva, Sen), avrebbe influito profondamente nella ridefinizione del quadro problematico degli equilibri infranti fra uomo e natura. Si stabilirono così gli elementi fondativi della cultura della sostenibilità ambientale che furono poi al centro delle analisi condotte sui primi segnali precursori della crisi delle risorse (MIT–The Limits of Growth/1971, Conferenza di Stoccolma/1972, Rapporto Brundtland/1983) e nelle successive conferenze mondiali su clima, sviluppo sostenibile e ambiente (Rio de Janeiro 1992, Kyoto 1997, Johannesburg 2002, Copenhagen 2009, Parigi 2015).
È in questo percorso però che si compie soprattutto il passaggio graduale dalla concezione classica dell’economia, incentrata sullo studio dei valori di scambio e dei meccanismi del mercato globale, alle teorie dell’economia ecologica, in cui si recupera la cognizione delle relazioni profonde esistenti tra ambiente, risorse, produzione e società.
Con gli studi di Herman Daly, Nicholas Georgescu-Roegen, Mercedes Bresso (per citare solo alcuni dei principali protagonisti di questo segmento di ricerca) il concetto di circolarità biologica, anticipato da Commoner, trasposto nelle discipline economiche condusse a un importante cambio di rotta culturale. L’οiκος inteso come ambiente, studiato in ecologia nelle sue interazioni tra organismi e risorse, non è altro che lo stesso οiκος, inteso come dimora, studiato dalle scienze economiche nelle sue forme di organizzazione d’uso di risorse limitate e, oggi, anche sempre più scarse (Bresso, 1997). Su questa declinazione doppia della radice eco/οiκος, lo sviluppo dell’economia ecologica condurrà a una reinterpretazione sostanziale dei processi di utilizzo del capitale naturale per trasformare l’habitat, produrre beni e soddisfare bisogni ed esigenze delle popolazioni.
Gli appelli di Commoner per la ricomposizione delle circolarità infrante tra uomo, natura e tecnologie influiscono anche su altre innovazioni del pensiero scientifico-economico. Tra questi si possono citare: la critica radicale di Ernst Schumacher dell’economia classica nel suo Small is Beautiful; le teorie di Prigogine sull’instabilità dei sistemi ambientali; gli studi di Georgescu-Roegen sulla natura entropica delle trasformazioni; la teoria di Enzo Tiezzi sulla biforcazione fra tempi biologici e storici che impone l’adozione di una cultura basata sul contenimento della produzione di entropia e sulla conservazione e rigenerazione delle risorse (Scandurra, 1995).
In questi termini, l’evoluzione delle discipline economiche segue il parallelo sviluppo di una cultura ambientalista a livello planetario. A volte in senso biocentrico, altre volte in chiave antropocentrica o addirittura tecnocentrica, il dialogo tra le due principali discipline scientifiche che si occupano dell’οiκος si svolge nel rideclinare i fondamenti etici del vivere insieme in armonia con la natura, i livelli di responsabilità e di autonomia dell’agire umano e le forme di azione sull’habitat terrestre (in termini normativi e regolamentativi) (Della Valle, 1998).
Su questi tre aspetti (etica, soggettività delle azioni e regole d’intervento) si giocano anche le principali sfide di trasposizione delle teorie economiche basate sui principi ecologici nell’ambito delle pratiche di governo e costruzione dell’ambiente antropizzatodel secondo dopoguerra e della postmodernità. Si collocano in questa direzione i protocolli di certificazione ambientale degli edifici HQE, BREEAM, LEED, Green Star – oggi quasi tutti sviluppati anche per il livello urbano – in cui si trasferiscono le metodiche di validazione parametrica dell’economia nel controllo della rispondenza ecologica delle prestazioni edilizie/urbane alle nuove esigenze di sostenibilità e salvaguardia dell’ambiente.
Tuttavia, soprattutto in Italia, lo sviluppo della cultura ambientalista, le revisioni in chiave ecologico-ambientale delle teorie economiche e le innovazioni tecnologiche che hanno contribuito a innalzare in modo esponenziale le prestazioni ambientali di prodotti e sistemi per la trasformazione degli habitat umani, non hanno determinato un’altrettanto radicale trasformazione dei paradigmi costruttivi dell’architettura e delle città. Si potrebbe asserire che il panorama costruttivo italiano abbia continuato a conservare una fondamentale continuità con le logiche e le forme del pianificare e costruire edifici, città e territorio in termini economici strettamente classici e moderni.
Una traiettoria quindi completamente opposta a quel “nobile ottuplice sentiero” in cui Schumacher rintracciava i principali driver del cambiamento eco-logico: “più piccolo, più semplice, più economico e più sicuro” (Sale, 2003).
Nonostante le esperienze post-Rio quali l’Agenda 21, l’adesione di molte città al movimento The Covenant of Majors, (Ronchi, 2017), alcune sperimentazioni sugli ecoquartieri e l’ancora con completata adozione dei Protocolli ITACA da parte di tutte le Regioni, è mancata forse quella necessaria trasformazione dei principi teorici dell’ambientalismo globale in comportamenti e pratiche locali in grado di invertire abitudini, modalità abitative e logiche d’uso intensivo delle risorse ormai consolidate nel corso dei secoli. È stata sicuramente debole la traduzione delle teorie economiche ecologico-ambientali in azioni in grado di modificare strutturalmente le regole dei mercati, comunque rimaste saldamente legate a principi (l’economia del mattone e delle rendite fondiarie) di massimo sfruttamento delle risorse (energie, suolo), massimo profitto (superfici, volumetrie) e massima produzione di scarti (emissioni, rifiuti). Come aspetto non ultimo, la disponibilità di tecnologie sempre più raffinate per dare soluzioni più efficienti ed efficaci ai problemi del costruire e alle nuove problematiche della città e del territorio non ha condotto a una reale innovazione nei processi ideativi, attuativi e gestionali dello spazio abitativo, riducendosi spesso a sterile sovrapposizione di soluzione tecniche su un substrato costruito rimasto fondamentalmente insostenibile ed esclusivo (Papa Francesco, 2015). In questo senso, anche le sperimentazioni in atto sui temi della smart city rischiano di essere ridotte a un’applicazione di dispositivi informatico-digitali che innalzano il livello dei servizi, senza innovare l’idea di spazio, di architettura e di città.
La crisi economico-finanziaria iniziata nel 2008, cui si sono affiancate forse non casualmente anche le crisi climatiche, politiche, sanitarie e migratorie, ha costituito l’occasione per riaprire e sviluppare ulteriormente il dialogo tra economia ed ecologia.
Dentro questo quadro scientifico-culturale che, per molti aspetti, si connota per la cronicizzazione degli stati emergenziali delle relazioni tra uomo e natura, si sta collocando il progressivo superamento della classica brown economy (basata sulla produzione di massa illimitata, alti consumi di risorse non rinnovabili ed elevate emissioni climalteranti) verso la green economy (fondata sulla produzione ambientalmente sostenibile, l’uso di risorse materiali ed energetiche rinnovabili e il contenimento delle emissioni inquinanti).
Infatti, se l’economia ecologica avviata dagli studi di Boulding, Georgescu-Roegen, Daly, Bresso tende ad affermare un suo ruolo strumentale per riorientare l’economia umana dentro le dinamiche energetico-materiche degli ecosistemi naturali, la Green Economy coinvolge istituzioni politiche, scientifico-accademiche, società civili e utenti/consumatori/produttori dentro una visione più olistica, attuativa e inclusiva, a forte connotazione inter/trans-disciplinare.
Le attività avviate dal 2012 dagli Stati Generali della Green Economy (SGGE)2, in questa direzione, hanno inteso cogliere nel protrarsi degli effetti delle crisi economica e nel concetto di Green Economy elaborato dall’ONU, le occasioni per riallacciare la scena italiana al quadro delle evoluzioni culturali internazionali in materia di azioni mirate alla sostenibilità ambientale.
L’UNEP definisce la Green Economy come “un’economia che porta a un miglioramento del benessere umano e all'equità sociale, allo stesso tempo riducendo significativamente i rischi ambientali e le scarsità ecologiche” (UNEP, 2011). A questa definizione generale seguirà una specifica precisazione della Green Economy Coalition di 9 principi che dovrebbero orientare la Green Economy: sostenibilità, equità, qualità della vita, rispetto dei limiti della natura, inclusione e partecipazione, responsabilità, resilienza, efficienza e solidarietà verso le future generazioni3.
Su queste sollecitazioni, il gruppo di lavoro della SGGE “Per un manifesto della Green Economy nell’edilizia e nell’urbanistica”4, coglie finalmente la sfida di interpretare la duratura condizione di crisi economica in un’opportunità d’implementazione degli obiettivi della Green Economy.
Il manifesto parte dall’assunto che Architettura e Urbanistica, in qualità di discipline che studiano e progettano forme e processi di conservazione, trasformazione ed evoluzione del patrimonio umano che si concentra nelle città, possano dare un importante contributo nell’attuazione degli obiettivi individuati dall’UNEP e dalla Green Economy Coalition (Tucci, 2017).
Il “Manifesto della green economy per l’architettura e l’urbanistica”, denominato La città futura, pur inserendosi nella lunga tradizione dei manifesti dell’architettura e dell’urbanistica succedutisi dal XX secolo, rompe con l’impostazione dei documenti della modernità e della postmodernità.
Non intende né assumere posizioni radicali e ideologiche come strumento rivoluzionario e trasformativo di rottura della cultura del progetto (manifesto futurista, CIAM, Archigram), né collocarsi nella visione retroattiva dei manifesti che hanno fatto dell’uso della parola lo strumento analitico-descrittivo delle dinamiche architettonico-urbanistiche già in atto nella città (Venturi, Koolhaas).
La città futura assume invece la consistenza di un documento di ri-posizionamento concettuale sulla sostenibilità dell’ambiente urbano del futuro e sugli scenari, possibili e probabili che potranno attuarsi dalle sollecitazioni indotte dalle trasformazioni culturali in atto al di fuori dell’architettura e dell’urbanistica. Sollecitazioni esterne che assumono però una particolare centralità quando sono espressione di cambiamenti in progress nelle teorie e pratiche economiche e quindi, nell’ambito delle dinamiche trasformative della società, delle istituzioni e dei comportamenti individuali che dovrebbero sempre costituire il punto di partenza delle innovazioni in architettura e nell’urbanistica.
In questo senso, il Manifesto della green economy per l’architettura e l’urbanistica assume un preciso ruolo nel riposizionare gli orizzonti di innovazione del progetto architettonico e urbano rispetto a una nuova domanda emergente di sostenibilità. La Green economy, come emerge anche nei documenti della Comunità Europea, non si sostituisce all’idea dello sviluppo sostenibile ma tende a generare crescita e lavoro, sradicare le povertà, investendo sulla salvaguardia delle risorse del capitale naturale da cui dipende la sopravvivenza del pianeta (CE, 2011).
Nell’attuale fase di transizione delle città e del territorio, essa assume un ruolo strumentale perché può essere il mezzo per attuare il cambiamento verso nuovi modelli di sviluppo sostenibile nel lungo periodo ma, nello stesso tempo, costituisce il fine, come possibile nuovo modello economico per stabilizzare la sostenibilità nel breve e medio periodo (Mancuso e Morabito, 2012).
Inquadrandosi nello status “in transizione” delle città contemporanee, il manifesto coglie la sfida della Green Economy confrontandosi con un’idea di città che si configura sempre più come metapolis, intesa come luogo di produzione di nuove relazioni e qualità5. Un organismo insediativo che è sede fisica del confronto/scontro tra dinamiche complesse di cambiamento economiche, sociali, politiche e culturali; al contempo, sistema attivo in cui sperimentare forme d’innovazione per affrontare le fasi di crisi/instabilità, adattarsi al cambiamento e mitigarne gli effetti (Lucarelli et al. 2017).
La città futura affronta questa sfida ragionando sulle possibili declinazioni della qualità architettonica e urbanistica per la sostenibilità, proiettandole dentro un’idea di città che deve essere ripensata come sistema eco-tecnologico ad alta complessità, in cui è fondamentale riallacciare la progettualità alle dinamiche ecologiche del territorio e in cui costruire architetture relazionali (Clementi, 2016) tra comunità insediate e risorse in una visione circolare, tendenzialmente ciclica e di filiera delle azioni antropiche.
Sono sette le declinazioni di qualità entro cui il manifesto colloca la sua visione di scenario per tornare a fare dell’Architettura e dell’Urbanistica le discipline privilegiate per costruire gli spazi della sostenibilità futura.
La qualità delle innovazioni dei modelli d’intervento e delle tecnologie per l’architettura e la città che richiede una consapevolezza progettuale per definire nuove linee di coerenza tra problematiche contemporanee della sostenibilità, ricerca sperimentale e capacità tecnica di risolvere problemi in modo appropriato con le capacità rigenerative del capitale naturale.
La qualità energetica che si rende necessaria per riorganizzare le città e il territorio in termini reticolari e sistemici, passando da edifici a energia quasi zero ad architetture a energia zero, tendendo verso modelli costruttivi a energia positiva.
La qualità ecologica che dovrà comportare una diversa concezione delle relazioni tra artificio e natura e tra edifici, città e territorio, attraverso la ricostruzione delle relazioni interrotte di filiera produzione/consumo, minimizzando il prelievo delle risorse naturali e favorendo le molteplici forme di recupero delle risorse.
La qualità architettonica e urbana che dovrà tornare al centro della creatività progettuale, affiancando agli obiettivi parametrico-prestazionali di controllo dei livelli qualitativi del progetto gli obiettivi ineludibili delle qualità percettive e funzionali dello spazio abitativo, della bellezza e della vivibilità di edifici, città e territorio, anche attraverso l’incentivazione di forme di adozione, cura e manutenzione del capitale umano da parte degli abitanti e delle comunità.
La qualità rigenerativa e sociale del patrimonio culturale, architettonico e archeologico delle città, per cui saranno necessarie nuove strumentazioni, regole trasparenti, processi partecipativi per favorire gli investimenti nella direzione del recupero e della riqualificazione degli spazi degradati prodotti dalla crescita caotica e incontrollata degli ultimi decenni.
La qualità economica che dovrà essere perseguita in tutte le attività trasformative riguardanti le città e il territorio, attraverso una capillare diffusione del life cycle thinking, anche nell’ambito delle attività didattiche e formative ai vari livelli scolastici e professionali, per disseminare nelle attuali e future generazioni l’approccio del ciclo di vita quale elemento fondante per lo sviluppo di un’economia circolare e sostenibile.
La qualità integrata che, probabilmente, costituisce la principale sfida da affrontare nella città del futuro e per cui si richiede un coraggioso ritorno alla pratica della progettazione architettonica e urbana, non solo per restituire allo spazio insediativo forme bilanciate e adeguate di co-ecoluzione tra processi trasformativi del capitale naturale e umano, ma anche per favorire migliori e più inclusive condizioni di vitalità, accessibilità equa alle risorse, benessere e sicurezza sociale.
Le sfide lanciate dal manifesto La città futura sembrano non solo riaprire il dibattito sulla centralità dell’Architettura e dell’Urbanistica e sul loro ruolo sociale nel riconnettere le traiettorie della ricerca, della formazione e del mercato professionale (CNAPPC/CUIA, 2017). Esse costituiscono anche le nuove oggettive e condivise finalità del progetto della città per compiere un importante avanzamento culturale e intersistemico sulla base dei nuovi modelli proposti dalla Green Economy per il riorientamento sostenibile dei processi di produzione e uso del patrimonio edilizio, architettonico e urbano.
È questa una presa di coscienza della visione dinamica dell’οiκος da adottare nella progettazione delle architetture e delle città. Una posizione che torna a riflettere sull’intuizione di Commoner della necessaria ricomposizione delle circolarità ecologiche, economiche e tecnologiche delle società del futuro ma che riassume anche quella concezione più estensiva e dinamica dell’οiκος, precisata dagli studi sul diritto antico di Ugo Enrico Paoli che ne rivela la sua identità di “organismo nel quale sono compresi cose, persone e riti” con i quali nell’Antica Grecia si costruivano i rapporti tra collettività, proprietà e polis (Paoli, 1961).
Una visione dinamica dell’ambiente, della città e delle sue economie che necessiterà anche di successive specificazioni sulle metodiche e sugli strumenti per misurare, creare consenso e produrre innovazioni realmente sostenibili; aspetti che troveranno certamente una loro definizione nelle attività del neonato gruppo di lavoro ‘Proposte di policy dell’architettura per la green economy nelle città’.
Note
1 Nello stesso The Closing Circle, Commoner individuava un set informale di quattro leggi ecologiche così definite: 1. Everything Is Connected to Everything Else; 2. Everything Must Go Somewhere; 3. Nature Knows Best; 4. There Is No Such Thing as a Free Lunch. La necessità di inquadrare gli aspetti relazionali tra uomo, natura e tecnica in termini sistemici ed ecologici costituisce un carattere specifico degli anni in cui si sviluppano nelle varie discipline le basi fondative della coscienza ambientalista. Basti pensare a Reyner Banham, in campo architettonico, nel suo Los Angeles: The Architecture of Four Ecologies (1971) o a Felix Guattari, in campo filosofico, nel suo Les Trois Écologies (1989).
2 Gli Stati Generali della Green Economy, promossi dal Consiglio Nazionale della Green Economy in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e il Ministero dello Sviluppo Economico, costituiscono un’iniziativa italiana inserita nel processo che l’Unione Europea ha avviato per dare attuazione agli impegni presi nella Conferenza di Rio +20 del 2012. Il processo di elaborazione strategica, aperta e partecipata, è coordinato in gruppi di lavoro che si coordinano annualmente nell’ambito delle manifestazioni riminesi di Ecomondo.
3 In particolare, l’UNEP individua un modello di sviluppo sostenibile basato su due precisi ambiti d’investimento prioritario dell’economia verde del futuro, per complessivi 11 elementi chiave. Il primo ambito è riferito alla sfera del capitale naturale: foreste, acqua, agricoltura, pesca. Il secondo riguarda la sfera del capitale umano: fonti rinnovabili, industria manifatturiera, rifiuti, edilizia, trasporti, turismo e città. Cfr. in riferimenti bibliografici EA, 2012.
4 Il gruppo di lavoro coordinato da Fabrizio Tucci si è costituito a Rimini in occasione della V edizione di Ecomondo, 8-9 novembre 2016.
5 Il concetto di metapolis sviluppato da Manuel Gausa nel Metapolis Dictionary of Advanced Architecture sembra riassumere le condizioni di complessità, instabilità e multidimensionalità delle città contemporanee in cui, con molta probabilità, si sperimenteranno le nuove forme di uso, consumo e riuso delle risorse naturali e umane secondo i principi della Green Economy. «[…] The Metapolis represents a frame work of relationships - and qualitative productions – based upon the processing and combination of simultaneous bits of information. The Metapolis is no longer be expressed only in terms of growth but also, in combinations; combinations that allude to evidence of an informational, dynamical and uncertain process, made up of interactions with the territory and with territories; with the place and with other places».
Riferimenti bibliografici
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