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Napoli est, ambito 13, Water and energy networks, street landscape and new grounds
Carlo GasparriniPDF





Ad est della stazione ferroviaria e del fascio dei binari, il nuovo Piano urbanistico di Napoli approvato nel 2004 perimetra un’area di oltre 400 ettari – il cosiddetto “Ambito 13” - che ospitava un’importante raffineria fino alla fine degli anni ‘90 e che comprende ancora oggi i depositi petroliferi della Campania (Q8, Esso, Agip), oltre ad un insieme di impianti industriali di svariata dimensione in fase di riconversione funzionale, ancora attivi o dismessi. Qui negli ultimi anni è stato promosso dall’Amministrazione Comunale un ambizioso progetto urbano che costituisce il più importante investimento per il futuro della città. Per certi versi un investimento ancor più forte di quello compiuto per l’ex acciaieria Italsider di Bagnoli ad ovest che, nonostante sia stato avviato 20 anni fa, stenta tuttora ad esprimere le sue potenzialità. All’ ”Ambito 13” e alla sua rigenerazione è attribuito un valore strategico anche in ragione della posizione di cerniera rispetto alla collina di Poggioreale, il Centro direzionale, l’area di Gianturco e la piana vesuviana. Pur essendo diventata la più grande zona industriale della città a partire dagli inizi del secolo scorso, oramai da tempo i napoletani  vivono l’area orientale come un grande “buco nero”, come una vasta, impenetrabile e pericolosa barriera tra il centro della città e la periferia dei popolosi quartieri di San Giovanni, Barra e Ponticelli. Il Piano urbanistico punta quindi ad integrarla nel disegno e nel funzionamento della città, spostando progressivamente le fabbriche e i depositi inquinanti e innalzando la qualità urbana e ambientale.

Il progetto urbano è chiamato a dare risposte a queste domande e a proiettarle in un arco temporale compatibile con la graduale soluzione delle criticità esistenti nell’ambito, dichiarato peraltro “sito di interesse nazionale” alla fine degli anni ‘90 per la particolare densità dei fattori di rischio e dei necessari interventi di messa in sicurezza e bonifica1. Per la trasformazione dell’Ambito è stato predisposto uno schema di assetto urbanistico - definito “Preliminare dei Piani Urbanistici Attuativi”2 - un vero e proprio strumento di progettazione urbana che ha il compito di fornire un quadro di conoscenze approfondite, definire il disegno urbano dell’area sviluppando quello abbozzato col Piano urbanistico della città, configurare un complesso di regole morfologiche, funzionali e procedurali con funzioni di guida dei futuri piani e progetti attuativi di dettaglio e restituire un quadro della fattibilità economico-finanziaria.

Rispetto alle originarie pretese urbanistiche di un intervento sincronico in un gigantesco “vuoto urbano” da espropriare e riportare ad un assetto preindustriale e pseudo-naturalistico, si è fatta strada negli ultimi anni una strategia alternativa di progetto. Quella appunto dell’intreccio virtuoso tra una visione aggiornata d’assieme, un sistema di regole del disegno urbano e la messa in moto di procedure di adattamento di questo disegno alle dinamiche asimmetriche e sussultorie di dismissione/riconversione, connesse anche all’articolata compagine proprietaria esistente. Le reti infrastrutturali, idriche ed energetiche svolgono in tal senso una funzione essenziale di guida del processo trasformativo, interagendo con le esigenze di bonifica e la progressiva permeabilizzazione e rinaturazione, dentro scenari spaziali e temporali condizionati da molteplici variabili, non sempre prevedibili.

 

Street-landscape e riurbanizzazione

L’idea di progetto è basata sull’interazione innovativa di due materiali urbani tradizionali: un grande parco di scala urbana e territoriale e un complesso di nuovi isolati destinati a insediamenti urbani integrati. Il parco avrà un’estensione di 150 ettari, mentre gli insediamenti integrati saranno costituiti da circa 1.250.000 mq di superficie di pavimento destinati ad una mixité potenzialmente attrattiva di residenza, servizi pregiati, attrezzature urbane e industrie pulite, che non cancella quindi la vocazione produttiva dell’area.

Il progetto urbano propone un avanzamento concettuale e figurativo del parco e delle regole edificatorie rispetto a quello del Piano urbanistico del 2004, pur non contestandone i principi strutturanti.
La proposta di parco conferma infatti l’obiettivo di far “riemergere” la rete fluviale del Sebeto, obliterata dal consumo di suolo pervasivo della zona industriale nel secolo scorso. In realtà l’acqua già oggi riaffiora, in modo episodico e dannoso, nelle cantine degli edifici e nelle smagliature dei suoli impermeabili,  per effetto di una progressiva risalita della falda inquinata causata dalla drastica riduzione del suo emungimento. Una sorta di prevedibile nemesi degli “orti delle paludi” leggibili nella splendida Carta del Duca di Noja del 1775. La ricomparsa delle acque affronta questa criticità assumendo una prospettiva pienamente contemporanea di coesistenza della città con esse - sicuramente complessa ma fattibile nel tempo con l’avanzamento del processo di bonifica - piuttosto che provare a “resistere” con soluzioni tanto dure quanto costose e fallimentari. Questa prospettiva si coniuga al recupero e alla reinterpretazione della matrice agraria ancora leggibile e delle sue giaciture “diagonali”, prodotte da un plurisecolare adattamento del parcellario catastale alle direttrici di scorrimento idrografiche. Il disegno di suolo che prende forma da questo lavoro sulle acque superficiali e profonde da bonificare è sinergico con la riorganizzazione della rete infrastrutturale stradale ed energetica e con la previsione di una ricca tessitura formale di spazi verdi che interessa l’intero ambito. In questo modo il progetto urbano produce un ripensamento delle relazioni fisiche, funzionali e percettive tra la linea di costa e le aree interne della piana compres[s]a tra il sistema orografico dei Campi Flegrei e quello del Somma-Vesuvio. Un parco quindi non più confinato dentro perimetri rigidi e regolari – frammento recintato di una naturalità perduta da ripristinare - ma diffuso in tutto l’ambito lungo le linee di addensamento della rete di strade nord-sud ed est-ovest.

In modo complementare, il disegno degli isolati di nuova edificazione è caratterizzato dalla scelta di trasformare la superficie fondiaria in un nuovo suolo, tridimensionale e attrezzato, che si presenta come una sequenza di placche sagomate e rialzate rispetto al livello della falda poco profonda, con cui quindi non interferiscono da un punto di vista costruttivo. Ciò consente di accogliere in sicurezza, all’interno di ciascuna placca, le attrezzature di servizio e pertinenziali dei nuovi insediamenti, ma anche alcune attività rivolte all’uso urbano degli spazi esterni e interni agli isolati. Allo stesso tempo, il nuovo suolo comprende il sistema fondazionale della nuova edificazione, strutturalmente indipendente da questa per garantire maggiori prestazioni antisismiche, configurando quindi ciascuna placca come una parte dell’infrastrutturazione di base del nuovo quartiere, caratterizzata cioè da una maggiore persistenza nel tempo rispetto alla sovrastante edificazione.

I grandi “isolati-polder” disegnati su questo suolo si presentano come corti aperte di forme irregolari, caratterizzati da un’alternanza di edifici alti e bassi, che puntano a produrre uno spazio urbano diversificato e riconoscibile, in uno stretto rapporto con il parco e le sue infiltrazioni nel tessuto urbano. Questo nuovo paesaggio, per la cui costruzione sono state individuate alcune regole edificatorie di tipo morfologico3, conferma una prevalente dimensione orizzontale del paesaggio urbano - storicamente prodotta dalla continuità di capannoni e depositi - attraverso la prevalenza massiva del parco e dei grandi isolati a corte. Ad essi fanno da contrappunto alcune improvvise escursioni verticali, fino ad oggi affidate agli slanci metallici degli impianti tecnologici e dei fasci tubieri della ex Raffineria, quasi completamente scomparsi, e domani a quelli degli edifici a torre e di alcune memorie industriali da conservare . Viene tuttavia contestualmente introdotta una deformazione ed erosione della griglia regolare e cardo-decumanica dell’impianto novecentesco originario, riproposto dal Piano urbanistico della città, rendendola permeabile e scavata sia in verticale che in orizzontale.

Da un punto di vista paesaggistico, elemento centrale e caratterizzante del progetto urbano è il trattamento delle strade che guida la costruzione progressiva del paesaggio del parco e quindi la complessiva trasformazione urbana. Questa strategia di street-landscape affida alle strade un ruolo propulsivo nella riconfigurazione dei drosscapes, immaginando che la loro realizzazione -o la modificazione di quelle esistenti- possa determinare nel tempo rilevanti effetti sugli spazi aperti ad esse connessi in termini di rinaturazione e rifunzionalizzazione.

Il percorso di formazione del parco si basa, quindi, su una graduale densificazione di questi spazi che si sviluppa col progredire del processo di dismissione/trasformazione, assecondando la formazione di una rete continua e fruibile in ogni fase della sua costruzione. Assume centralità in tal senso la definizione di sezioni variabili delle strade, nelle quali vengono individuate le parti irrinunciabili degli invasi da realizzare subito e quelle che dovranno aggiungersi man mano che quel processo avanza. La relazione che si viene a determinare tra costruzione della rete stradale e parco configura così il sistema del verde come una sorta di grande “cretto verde” che innerva l’intero ambito e si incunea tra gli isolati di progetto, proponendo una stretta integrazione di paesaggio tra spazi aperti e nuova edificazione. Si tratta di un rovesciamento di priorità rispetto alla costruzione tradizionale della città – e non solo di Napoli - in cui sono sempre stati gli edifici e le regole di tessuto ad essere privilegiati mentre gli spazi aperti si sono ridotti ad essere, nel migliore dei casi, parti residuali anche dal punto di vista del senso e del significato.

La nuova rete di infrastrutture stradali d’altronde non è solo la matrice dinamica di costruzione del parco e degli isolati, ma sostiene anche una strategia dell’accessibilità affidata ad un completamento “leggero” del sistema di ferrovie metropolitane tangenti all’area, attraverso la realizzazione di un trasporto pubblico dedicato di superficie ospitato nelle strade a sezione variabile, in cui particolare importanza viene attribuita al nuovo “asse verde” di collegamento tra la stazione di piazza Garibaldi - ridisegnata da Dominique Perrault - e il quartiere di Ponticelli.

 

Tre parchi per un large park

La proposta di riqualificazione e valorizzazione delle aree di proprietà della Q85 costituisce di fatto il motore, anche dal punto di vista progettuale, della riqualificazione urbana dell’”Ambito 13”, interessando 97 dei 420 ettari complessivi. Per la sua dimensione e collocazione, quest’area rappresenta infatti una porzione significativa e baricentrica del processo di trasformazione urbana. Combinare quindi bonifica delle acque e dei suoli inquinati, ripensamento dello spessore tridimensionale del suolo e disegno urbano nel tempo, in un’area così estesa, rappresenta un’opportunità di grande interesse per verificare la praticabilità e l’efficacia della strategia adattativa  prevista dallo Schema di assetto urbanistico approvato nel 2009.

Le scelte progettuali nelle aree Q8 confermano infatti un’attenzione interpretativa e progettuale prioritaria per l’interazione dinamica delle reti che conformano suolo e sottosuolo. Le strade definiscono una rete fortemente interconnessa e diffusa, attenta a valorizzare e potenziare quelle esistenti lungo le linee di malleabilità delle confinazioni proprietarie e funzionali, piuttosto che prevedere un’impraticabile tabula rasa. La prospettiva è quella di un’accessibilità diffusa, pubblica e privata che induce un’elevata porosità del tessuto edificato e delle sue stesse forme.

Nello stesso tempo, la realizzazione delle nuove strade sviluppa l’idea di disegnare il telaio incrementale del parco ramificato e quindi anche della rigenerazione ecologica e ambientale, basato sull’interazione di due grandi paesaggi ed ecosistemi, il paesaggio secco e quello umido.

Il paesaggio secco è costituito dai boschi radi (pluri e monospecifici) e dai filari che si sviluppano sui rilievi e i bordi degli isolati-polder e lungo i tracciati viari, con cui interagiscono le aree umide e i loro diversi gradienti, dalla vegetazione idrofila sommersa e semisommersa al bosco planiziale lungo i canali. Nelle maglie definite dalla compressione/dilatazione di questi due grandi paesaggi vegetali, si sviluppa la varietà dei paesaggi agrari e degli orti urbani. E’ il paesaggio della metamorfosi agraria del bosco planiziale che viene addomesticato, diradato e fatto interagire con altri due sistemi colturali, i frutteti e le coltivazioni ortive promiscue. Gradienti e fasce di utilizzo diversificati, quindi, che definiscono una grammatica vegetale affidata ad una sequenza di giardini per la contemplazione, filari e masse arboree, parcheggi alberati, aree attrezzate e per usi ludici, orti urbani e aree agricole, prevedendo la compresenza di soggetti pubblici e privati che possano garantire un’efficace compartecipazione gestionale. Un patchwork di sistemi vegetali caratterizzati da processi e dinamiche evolutive di diversa natura e forma, sia di tipo intensivo che estensivo, che vanno gestite, monitorate e curate affinché ciascun tassello sia in grado di relazionarsi e integrarsi nel tempo agli altri dentro una trama unitaria da un punto di vista paesaggistico.

Il parco proposto, con i suoi 35 ettari dei 150 complessivi dell’intero “Ambito 13”, si configura come una cospicua anticipazione del previsto Parco del Sebeto. Presenta un disegno unitario e, allo stesso tempo, propone un racconto articolato in parti distinte per ciascuna delle quali definisce specifici connotati dotati di forte identità spaziale, funzionale e simbolica. Questa articolazione consente di rendere più denso e vitale il mix paesaggistico e funzionale, posizionando il parco alla duplice scala di attrezzatura di quartiere e di grande attrattore urbano, e di garantire contestualmente una più facile definizione delle opportunità gestionali per ambiti di dimensione discreta.

Il “Parco attrezzato della depurazione” costituisce la parte principale del Parco del Sebeto interessato dallo scorrimento superficiale delle acque depurate. Un lungo canale rettilineo di circa 500 metri, posizionato lungo una giacitura nord-est/sud-ovest, ribatte quella dei corsi d’acqua scomparsi. Il canale ha la sua sorgente a nord-est, a contatto col Depuratore di Napoli Est dal quale attinge l’acqua in una prima fase, all’interno di una dilatazione della strada che segnala ed enfatizza la presenza della sorgiva, dalla quale l’acqua si riversa nel canale e scorre lenta fino ad una grande vasca di laminazione e fitodepurazione a sud-ovest. Anche questo terminale disegna uno spazio aperto praticabile che deforma ed estende un raccordo stradale piegandolo all’esigenza di realizzare, con il disegno infrastrutturale, un brano del parco lineare strutturato attorno al canale e al suo racconto vegetale. Lungo il tracciato, la sezione variabile del canale disegna due sponde con paesaggi differenziati in ragione delle escursioni idrauliche, attrezzate per attività all’aperto, ludiche e sportive, e punteggiate da piccole attrezzature e servizi in grado di vitalizzare e rendere godibile la lunga passeggiata.

Il “Parco dei grandi attrattori” è in diretta continuità col precedente e interessa le aree comprese tra la viabilità est-ovest e le testate dei nuovi isolati. Su questa fascia di bordo dei “polder” si affacciano alcune attrezzature pubbliche e di uso pubblico, immaginate appunto come attrattori di scala urbana e territoriale, e un sistema di parcheggi alberati che consentono di razionalizzare l’accessibilità a tali attrezzature. Questa disposizione consente di immaginare che, lungo lo scorrimento viario delle strade est-ovest, il paesaggio urbano sia fortemente caratterizzato sui due versanti della percezione visiva: da un lato la continuità e densità arborea e di usi del parco lineare lungo il canale, dall’altro l’andamento sincopato delle testate degli isolati-polder.

Infine il “Parco dei depositi di naturalita’” è uno straordinario campionario dei paesaggi vegetali della piana napoletana - bosco umido, fragmiteto e vegetazione acquatica della fitodepurazione, agrumeto, frutteto, vigneto maritato ai pioppi, coltivazioni florovivaistiche, seminativo - ospitati all’interno dei segni circolari dei depositi petroliferi da smantellare, tracce vistose di una memoria industriale da conservare come fondazioni archeologiche emergenti dal suolo, come recinti-spezzoni dei serbatoi svuotati, come pieni vegetali e così via. Questo campionario di paesaggi è intercettato da un percorso pedonale continuo, fatto di passerelle aeree e tracciati a raso, che propone un racconto botanico unitario capace di testimoniare la varietà dei materiali costitutivi di una natura addomesticata nei secoli dall’uomo e progressivamente scomparsa con la crescita urbana dell’ultimo secolo. Questo racconto ha il valore simbolico di una radicale modificazione di senso che prende corpo qui e in altre parti del territorio urbano, ma anche la forza d’immagine di un grande orto botanico per la città e per una platea di fruitori molto più ampia.

Si conferma dunque la scelta principale di affidare agli spazi aperti, alla loro qualità e pervasività, un ruolo centrale per la rigenerazione ecologica e ambientale e per la riappropriazione di questa ampia porzione di territorio da parte della città. Il parco ha il compito di connotare l’identità di questo settore urbano, di divenire il luogo di condensazione qualificata di un nuovo welfare urbano e di guidare la stessa forma dei nuovi insediamenti edilizi. E lo fa in modo ancor più forte e integrato di quanto sia stato previsto a Bagnoli, nell’area occidentale della città, dove parco e nuovi edifici sono invece riconducibili a concezioni spaziali e ambientali nettamente separate, per effetto anche della distinzione delle fasi sequenziali di bonifica, urbanizzazione ed edificazione, concepite come azioni progettuali ed esecutive separate. Il disegno urbano del parco introduce così una serie di deformazioni del suolo e di modifiche delle sue quote, producendo un’erosione “scultorea”6 che riconfigura un territorio piatto come quello delle ex paludi, predisponendolo ad una coesistenza virtuosa con le sue acque. In questo senso attinge alla peculiare ricchezza morfologica di Napoli, alla costante interferenza tra un sopra e un sotto, tra un dentro e un fuori, tra un concavo e un convesso, che caratterizza da sempre la sua forma fisica.

Dentro questo nuovo spazio urbano incrementale, assume quindi centralità la realizzazione di vie e macchine dell’acqua per governare la falda e disegnare il parco. Nel canale principale convergono in una prima fase diversi apporti idrici, dalle acque in uscita dal Depuratore di Napoli Est - che completano il proprio processo di depurazione lungo il tracciato del canale e la fitodepurazione - a quelle meteoriche di ruscellamento superficiale convogliate dagli isolati-polder e a quelle di falda ripulite attraverso le barriere idrauliche previste dai piani di bonifica dei privati. Oltre a qualificare il disegno di paesaggio, esse garantiscono un’adeguata gestione e manutenzione del parco nel corso del tempo, attraverso un riciclo per esigenze di irrigazione e antincendio. In una prospettiva di lungo periodo, con l’avanzamento della bonifica dei suoli e delle acque, sarà possibile ridurre o annullare l’apporto delle acque del Depuratore, il letto del lungo canale a sezione variabile sarà reso permeabile e consentirà un processo tendenzialmente osmotico con l’acqua di falda, garantendo un affioramento e un’escursione regolata.

La riurbanizzazione lungo la rete stradale è rafforzata da un cunicolo “intelligente” di sottoservizi in cui sono ospitati tutti i servizi tecnologici, compresi quelli energetici. Sottosuolo, strade, parco ed edifici sono quindi attraversati da una rete energetica diversificata che fa affidamento su un ruolo esclusivo delle fonti rinnovabili articolato in tre diverse direzioni: coltivazioni intensive di pioppeti per biomasse, finalizzate anche alla rifinitura del processo di bonifica e al futuro impianto di orti urbani; alcuni monumentali dispositivi fotovoltaici che enfatizzano gli accessi al parco, e un asse diagonale di micropale eoliche parallelo al canale principale. Con questa scelta si coniuga un indirizzo di massimizzazione del comportamento passivo e del risparmio energetico degli edifici. Vengono così garantiti elevati rendimenti energetici e la necessaria autosufficienza per garantire il funzionamento delle macchine dell’acqua, dell’illuminazione e delle attrezzature pubbliche e si realizza un investimento anche simbolico rispetto alla presenza del petrolio che da decenni connota negativamente l’area orientale.

 

Isolati-polder e scenari funzionali

Per la nuova edificazione il progetto sviluppa l’indirizzo progettuale dato all’intero “Ambito 13”, approfondendo l’immagine e il funzionamento del nuovo suolo tridimensionale degli isolati-polder. La modifica di quota che esso determina è estesa all’intera superficie fondiaria di ciascun isolato e prevede un andamento decrescente fino alla quota stradale, in corrispondenza delle grandi strade d’impianto a cui ogni isolato è connesso. In ciascun isolato le piastre dei polder si lasciano perforare da una sequenza irregolare di patii alberati per il riposo e il gioco, posti alla quota del suolo originario: una serie cioè di pixel vegetali che di fatto estendono e massimizzano la permeabilità del suolo, riproponendo le stesse grammatiche vegetali definite per il parco che penetrano sin dentro la superficie di pertinenza dei nuovi edifici.

Su questo nuovo suolo, il disegno degli edifici conferma e precisa la ricerca di una nuova morfologia degli isolati a corte, in cui gli edifici sono poggiati, affondano e si sollevano rispetto alle piattaforme “emerse”, prodotte dalla movimentazione del suolo da bonificare. Attraversati da una croce di strade, gli isolati e gli edifici si aprono visivamente a 360 gradi verso le grandi risorse naturali del territorio napoletano e, al contempo, si presentano permeabili alle strade di bordo che consentono l’accesso ai luoghi pubblici centrali di nuova socialità definiti all’interno di ciascun isolato.

Il progetto urbano abbandona ovviamente il criterio della monofunzionalità delle aree che ha caratterizzato la costruzione delle singole parti della città nel secolo scorso, come nel caso appunto della zona orientale e del suo esclusivo uso industriale a ridosso della città centrale. Ricerca invece una efficace mixité funzionale - e, contestualmente, un’adeguata suddivisione del suolo e articolazione degli organismi architettonici in grado di accoglierla - per almeno due ragioni. Perché garantisce quella pluralità di utenti, usi e relazioni in grado di restituire le condizioni di accoglienza, vitalità e sicurezza che siamo soliti associare ad una città vivibile. Ma anche perché questa mixité consente di immaginare una maggiore flessibilità e quindi durabilità delle operazioni trasformative nel tempo, evitando le conseguenze nefaste prodotte dalla crisi e dall’abbandono improvviso di un’unica tipologia di attività economica e di un’unica destinazione funzionale. Ciò vale per l’industria come per i centri commerciali e per la stessa residenza che, se vive da sola, produce i ghetti di cui è costellata la stessa periferia orientale.

Vengono allora immaginate e descritte le miscele auspicabili e fattibili di attività sulla base delle norme di Piano e delle domande di mercato, attraverso la costruzione di scenari funzionali differenziati che combinano scala di quartiere, urbana e territoriale dell’offerta, aprendo ad una molteplicità di soluzioni che sono messe a disposizione degli “sviluppatori”. In questi scenari sono verificate le interazioni settimanali e stagionali delle diverse attività per realizzare ambienti urbani attraenti e piacevoli da visitare in qualsiasi ora del giorno da parte del più ampio numero e della più vasta gamma di utenti, il cui successo non dipenda cioè dal prevalere di una funzione sulle altre.

In questa molteplicità di usi, la funzione residenziale coesiste con le attività produttive “pulite”, con un’offerta commerciale composita e un forte peso delle attività relative al tempo libero, soprattutto in campo culturale e sportivo, da collocare all’interno del più ampio processo di riqualificazione in atto dell’area orientale. Una coesistenza che non si basa solo su un equilibrato peso quantitativo di ciascuna funzione, ma anche sul ruolo affidato alla capacità di condensazione valoriale dello spazio pubblico come fattore di eccellenza, attraverso cui quindi stimolare l’attrattività di questa vasta parte della città e la sua rigenerazione urbana.

Questo approccio va ben oltre la semplice addizione di attività legate al leisure e al consumo per ampliare l’esperienza di shopping, creando recinti per il “tempo libero passivo” capaci di attirare nuovi clienti. Un approccio di tipo qualitativo-prestazionale offre maggiori garanzie che le nuove parti di città siano meglio equipaggiate per far fronte alle domande attuali e future, e che conservino il proprio ruolo e valore anche se una singola funzione dovesse improvvisamente ridurre la propria presenza a favore di altre. Nel contempo, questo approccio accresce la capacità di cogliere le opportunità trasformative in un ciclo di lungo periodo. Il ruolo qualitativo affidato alla parte più resistente e simbolica - gli spazi aperti nelle loro diverse declinazioni - offre infatti maggiori garanzie di stabilità e rinnovo del senso e del significato dei luoghi urbani di fronte alle domande di cambiamento funzionale sempre più frequenti. Forse è proprio in questo sforzo progettuale e programmatico, necessariamente accompagnato da un altrettanto qualificato sforzo gestionale dell’attore pubblico nel tempo, che si gioca il futuro di operazioni di rigenerazione urbana come questa.

 

Note

1 L’individuazione è stata compiuta sulla base della legge n. 426/1998 e la perimetrazione è stata ratificata da un’ordinanza commissariale del 29 dicembre 1999 del Sindaco di Napoli nelle funzioni di Commissario delegato per gli interventi contenuti nell’ordinanza del Ministro dell’Interno n. 2509 e nelle successive collegate, d’intesa col Ministero dell’Ambiente.

2 L’incarico è stato affidato nel 2007 dalla Società consortile pubblico-privata “Napoli Orientale” alla società Ecosfera col coordinamento scientifico e progettuale di Carlo Gasparrini. Lo strumento è stato approvato nel gennaio 2009 dal Comune di Napoli

3 Le regole verbo-visive del disegno urbano degli isolati-polder fanno riferimento ai seguenti aspetti:

  1. Varchi principali e secondari di accesso all’interno dei polder
  2. Edificazione di bordo e flessibilità di arretramento
  3. Tipologie edilizie
  4. Inviluppo degli edifici, massimo ingombro in altezza e obblighi di continuità diagonale tra altezze diverse
  5. Massimo ingombro in altezza e posizionamento degli edifici a torre
  6. Innalzamento della quota d’imposta degli edifici e trattamento degli spazi coperti e aperti
  7. Trattamento dei margini di separazione tra spazi pubblici e privati e degli spazi aperti pertinenziali

4 Su tutti svetta la torre TCC (Thermal Catalytic Cracking), un edificio monumentale di 86 metri di altezza che svolgeva una funzione rilevante nel processo di raffinazione, di cui il progetto prevede una riconversione per usi pubblici e una funzione di “outlook tower” della trasformazione urbana e dell’intera città.

5 Il Piano delle aree Q8 è stato affidato già nel 2006, come idea-progetto, a Carlo Gasparrini che ha avuto poi l’incarico nel marzo 2010 di redigere uno specifico Piano Urbanistico Attuativo (PUA). Il gruppo di progetto dello Studio Gasparrini è così composto: Carlo Gasparrini, progettista incaricato e coordinamento scientifico e progettuale (urbanistica, architettura, paesaggio). Massimo Lanzi e Eduardo Mignone, responsabili di progetto. Paola D'Onofrio, Mirella Fiore e Cinzia Panneri, coordinamento operativo. Rosalba Giannoccaro, Danilo Nappo, Alessia Sannolo, Anna Terracciano, Invertimmagine.com (Marcello Parlati e Antonio Pellegrini), collaboratori. Consulenti specialistici: IN.CO.SE.T. s.r.l., aspetti trasportistici e infrastrutturali; Edin ingegneria srl, aspetti strutturali; Ettore Cinque, fattibilità economico-finanziaria; Massimo Greco, aspetti idraulici; CDS ingegneria s.n.c., aspetti Impiantistici ed energetici. Il PUA ha ricevuto una prima validazione preliminare nel settembre 2011 ed è in corso l’approvazione del progetto definitivo. Nel frattempo, nel luglio 2009 il Ministero dell’Ambiente ha approvato il “progetto definitivo di bonifica dei suoli dei siti di proprietà Kuwait di Napoli” che è attualmente in corso di esecuzione per l’area dismessa della ex Raffineria della quale si sono concluse le operazioni di smantellamento nel corso del 2011.

6 Il termine è stato usato dalla giuria dei 5 paesaggisti - Michael van Gessel (chairman), Amsterdam; João Gomes da Silva, Lisbon; Lynn Kinnear, London ; Stephan Kuhn, Zürich; Jacqueline Osty, Paris - che ha selezionato il progetto urbano dell’”Ambito 13” assieme ad altri 46 in tutta Europa (su 350 partecipanti) nell’ambito della seconda Rassegna triennale dei progetti di paesaggio in Europa del 2009 organizzata dalla Fondazione di Landscape Architecture Europe - LAE (cfr. LAE Foundation, On Site, Birkhauser 2009). Nella primavera del 2010, il progetto è stato selezionato dall’OICE per partecipare, all’interno di una rappresentanza di circa 50 progetti italiani, all’Expo di Shangai nell’ambito delle manifestazioni previste dal Padiglione Italia.

 

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