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Cambiare il progetto urbanistico contemporaneo1
Michelangelo RussoPDF





Il progetto urbanistico contemporaneo muta costantemente, al cambiare delle condizioni globali.
L’urbanistica non può essere insensibile alla metamorfosi della domanda di progetto, dei suoi contenuti, dei materiali, di strumenti e strategie cognitive, in un tempo sempre più condizionato dalla pressione della crisi globale. Una crisi sociale, economica, ambientale che, nella città, non è visibile solo nel rallentamento dei processi di trasformazione e di crescita, quanto nell’arretramento delle politiche di welfare e nell’aumento delle diseguaglianze e della concentrazione di flussi e di ricchezza cumulativa in regioni metropolitane cui si contrappongono povertà, marginalità sociale e urbana delle periferie delle città del mondo.
Il paradosso della “crescita illimitata” ha creato ingiustizia sociale nella disponibilità e nell’uso dello spazio, nella sua abitabilità. Lo spazio della città è sempre più ineguale per l’asimmetria delle condizioni di sicurezza e di rischio di fronte alle minacce esterne, agli effetti del climate change. Intere popolazioni sono sempre più fragili di fronte a eventi che rendono in maniera progressiva il territorio strutturalmente a rischio: la sicurezza del territorio, rappresenta – insieme ad altre – una risorsa scarsa, non disponibile per tutti in egual misura, determinando conflitti tra le comunità che si trovano a doversi contendere l’uso delle risorse non riproducibili, prima tra tutte l’acqua.
Le diseguaglianze sono corollario di una crisi ambientale che deriva, innanzitutto in economia, da una malintesa nozione di crescita che ha generato per diversi decenni, soprattutto dal dopoguerra a oggi, il drastico superamento dei limiti e l’alterazione dei fragili equilibri dei sistemi ambientali e delle loro componenti ecologiche. Nozione per decenni faro delle teorie classiche dell’economia, l’idea di crescita è ancora considerata come obiettivo tendenziale e progressivo di traiettorie di sviluppo “senza limiti”: la crescita illimitata è l’espansione dei consumi priva di responsabilità nei confronti dei limiti della Terra. I limiti ambientali ed ecologici sono stati per decenni oltrepassati, violati e rimossi, a vantaggio di un’economia che ha alimentato l’espansione dell’urbanizzato a danno dei suoli agricoli, degli spazi aperti, della conservazione degli ambienti e dei paesaggi2.
Il concetto di crescita in questi termini è ormai obsoleto, indica un dis-valore3 dalle conseguenze che, se riferite al territorio, non risultano misurabili esclusivamente in termini economici, monetari o semplicemente quantitativi: produttiva di effetti irreversibili, del depauperamento di risorse non riproducibili a causa dell’espansione edilizia e insediativa, per cui la crescita si è tradotta in alcune aree, come ad esempio nel Mezzogiorno d’Italia, in speculazione edilizia, abusivismo, distruzione dei valori del paesaggio e dell’ambiente. La crescita restituisce l’immagine squilibrata dei territori urbani, dove l’espansione ha modificato le relazioni tra componenti ecologiche e strutture di lunga durata, ha mutato cioè la natura stessa dei paesaggi.
Dunque anche per il territorio contemporaneo è possibile pensare l’idea di una “prosperità senza crescita” 4 che non intende la decrescita (la décroissance di Latouche) come soluzione, né allude a una prospettiva di arretramento e di contrazione espressione di un modello generico di pauperismo. Prosperità vuol dire innanzitutto la possibilità di pensare il benessere come dimensione collettiva dei valori sociali dello spazio urbano, come principio di cambiamento, come progetto consapevole dei limiti del nostro ecosistema, dei tempi e degli effetti della trasformazione. In economia il concetto di decoupling (disaccoppiamento), è la risposta tradizionale al dilemma della crescita: significa disaccoppiare espansione da benessere, sviluppo dalla produzione di throughput,intese quali ricadutedei processi d’incremento delle economie, nocive per l’ecosistema. In altre parole, affrancare la crescita economica dalla pressione sui limiti ecologici e sulle risorse non riproducibili richiede un progetto di uso responsabile delle risorse piuttosto che di espansione, spinge a “fare più con meno”: più attività economica con meno danni ambientali, più beni e servizi con meno consumi ed emissioni, attraverso un’intenzionalità in grado di usare con efficienza le risorse5.
Il throughput è il “flusso metabolico attraverso il quale viviamo e produciamo”, cioè “il flusso di energia e materia utile che proviene da fonti ambientali, passa per il sottosistema economico (produzione/consumo) e torna all’ambiente sotto forma di rifiuti, di scarti”6.
In Urbanistica questo principio richiede didisaccoppiare crescita da espansione, non certo da sviluppo. Espansione è la crescita delle città dal secondo dopoguerra, costruzione della periferia pubblica, ma anche diffusione polverizzata dell’urbano a bassa densità che si è addensato lungo le reti infrastrutturali, lungo le tracce del territorio storico, nello spazio rurale del periurbano delle regioni urbane italiane, fenomeni ampiamente esplorati dalla ricerca urbanistica e territoriale italiana degli anni ’80 e ‘90. Ma è anche la diffusione dell’edilizia abusiva, non solo di necessità, che ha invaso e modificato parti del paesaggio italiano7. Disaccoppiare - in urbanistica - vuol dire creare sviluppo e benessere senza espansione, sulla base di un’idea del territorio esistente come patrimonio di risorse da rigenerare. Il depauperamento delle risorse ambientali in Italia, nella città diffusa del Mezzogiorno ad esempio, ha avuto una forte influenza sulla configurazione dello spazio abitato, omologato in spazi privi d’identità, strade prive di margini e di aree pedonali, tessuti senza spazi aperti, recinti senza porosità, città chiuse, difficilmente accessibili, frammentate e divise. Lo spazio della città ha continuato a perdere continuità, non solo ecologica, ma anche funzionale e simbolica: le relazioni di accessibilità ad esempio, divengono ostacoli, barriere e segmenti – infrastrutturali, edilizi, gestionali – come segni di una profonda frammentazione del territorio.
La soluzione non è un’urbanistica senza crescita, quanto un’urbanistica consapevole di una nuova tensione che esiste tra le componenti sociali, economiche e ambientali che configurano una nuova questione urbana8. Dove la crescita sia da intendersi come incremento del benessere nel rapporto tra comunità e territori di appartenenza, come valorizzazione dei limiti, consapevolezza che “nessun sottosistema di un sistema finito può crescere all’infinito” 9, e che un sistema economico in continua crescita non può non confrontarsi con un sistema ecologico finito. Ciò implica che “si torni a ragionare sulle dimensioni del collettivo” tentando di “sviluppare più democrazia, riducendo le diseguaglianze dello spazio”10,pensando in forme nuove lo spazio della città in relazione con il paesaggio e con l’ambiente.
Paesaggio e ambiente devono essere concepiti come spazio abitabile, settori di nuove economie, dispositivi di nuove forme di benessere e di welfare.
Disaccoppiare espansione da sviluppo, vuol dire ripensare il progetto della città come “strategia del possibile”, con profonda consapevolezza per l’esistente, per i valori riconosciuti dalle comunità, per le istanze concrete delle persone, delle società, degli abitanti e di coloro che rappresentano interessi comuni da salvaguardare. Pensare il futuro della città vuol dire partire dall’esistente, dai contesti multi-scalari, dalle potenzialità di trasformazione, dalla capacità di innovazione in termini di sviluppo, di abitabilità, di resilienza.
Resilienza è la capacità delle città di reagire a shock esterni e oggi incarna un nuovo, più pragmatico senso del concetto consolidato di sostenibilità. Il suo successo comunicativo sta nel fatto di costituire una pre-condizione per lo sviluppo delle città, delle società, delle economie: far fronte al rischio è un investimento collettivo essenziale per costruire futuro.
L’urbanistica è senz’altro una delle risposte possibili alla domanda di resilienza delle città, in termini di adattamento oltre che di mitigazione: non è possibile far fronte agli effetti del climate change semplicemente agendo sulle politiche locali. La mitigazione implica la necessità di rimuovere le cause a scala globale: è una questione planetaria oggetto di politiche globali, di interventi a rete, come dimostrano gli sforzi intergovernativi da Kyoto a Parigi COP 21 e le attuali aporie.
Le città tuttavia devono affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici anche localmente – e questo è l’adattamento – in prossimità dello spazio della città, dei suoi flussi, attraverso soluzioni capaci di rispondere al rischio in contesti e realtà specifiche. Lo spazio resiliente della città prende forma non solo da approcci settoriali alla condizione topografica “securitaria”, ma da un principio generatore di nuove forme di spazio pubblico urbano, flessibile e multifunzionale, ad alta vocazione paesaggistica, come mostrano ad esempio i progetti per il nuovo waterfront resiliente di Manhattan, ri-concettualizzato a partire da una profonda domanda di innovazione in conseguenza dei danni procurati dall’uragano Sandy del 201211, oppure nel sistema degli spazi pubblici di Copenaghen dove lo spazio pubblico si adatta, luoghi e piazze divengono all’occorrenza vasche di laminazione per proteggere gli abitanti dalle ondate alluvionali.
Si afferma una nuova istanza di metabolismo, come equilibrio organico del territorio e come bilancio dei flussi di diversa natura che ne attraversano la struttura, come ad esempio nei cicli di produzione dell’energia o di smaltimento dei rifiuti e degli scarti. La conoscenza e il controllo del metabolismo territoriale, come controllo dell’impronta residuale che i flussi di materia e di energia lasciano al loro passaggio, è una forma di progetto inedita ma utile per sviluppare le potenzialità della città: il metabolismo è un delicato punto di equilibrio territoriale, molto sensibile alle forme di governo del territorio. Metabolismo può diventare obiettivo di politiche territoriali e forma del progetto, consentendo di elevare la vivibilità degli spazi e di conferire loro nuovi significati. Così come anche il tema della mobilità diviene un modo per dare forma allo spazio, alla percezione e alla vivibilità della città; una sorta di lente attraverso cui è possibile traguardare la città e i suoi spazi, polarizzare i nodi della regione urbana con nuove funzioni e nuove infrastrutture ecologiche, perseguendo effetti urbani e ambientali come nel caso del Green Network Plan di Amburgo (2010).
Nuove relazioni tra spazio, attività e funzioni, generano economie: l’economia circolare è un modo diverso e innovativo di considerare le risorse, la loro riproducibilità e il loro uso, che si basa sulla conversione del principio stesso di materia prima12. Non esistono più materie prime in un equilibrato metabolismo tra produzione, consumo e scarto, ma materie prime-seconde, come esito di una necessaria conversione della filiera lineare dei processi di produzione: il riciclo non è un modo per immaginare a posteriori cosa fare degli scarti, ma rappresenta uno stimolo a ripensare il modo di usare e di produrre ciò che più facilmente diviene rifiuto, ciò che ha un ciclo di vita impropriamente breve, che può essere ridotto nei consumi e riusato da altri e con altri scopi. In definitiva progettare nella logica del riciclo consente di influenzare il modo di abitare, di attraversare lo spazio e di modellare gli stili di vita del quotidiano.
Riciclare dunque, ben oltre la mera reinvenzione creativa degli oggetti, è una prospettiva che definisce l’ambizione di costruire una visione più ampia legata al metabolismo del territorio, a una diversa prospettiva sociale dell’abitare, all’equilibrio dei cicli ambientali, del territorio e del paesaggio. Proprio perché il paesaggio è al contempo valore d’identità e di appartenenza, è vita delle comunità ma è anche continuità e integrità ambientale, equilibrio e salvaguardia della biodiversità, è insieme landscape e environment: forse proprio per la pluralità dei suoi significati e per le potenzialità della sua trasformazione, per la sua centralità nel discorso sullo spazio contemporaneo, il paesaggio ha acquisito negli ultimi anni una dimensione sempre più strutturale nel pensiero urbanistico13. Paesaggio è lente interpretativa, strategia cognitiva, dispositivo di costruzione del progetto contemporaneo, ma include anche ciò che è “scarto”, che si può costruire e ricostruire attraverso un lavoro di attenta considerazione dell’esistente innanzitutto, del residuale, attraverso forme di rigenerazione delle componenti del territorio considerate in relazione ai loro cicli di vita. In questo senso il paesaggio consente – non convenzionalmente – di coniugare principi e materiali differenti per natura, per forma, per stato d’uso. E’ un approccio che collega natura e artefatto e ha come continuo riferimento la percezione dello spazio, la sua visibilità, la sua comunicazione, la sua condivisione; richiama la conoscenza del territorio, la sua immagine, la sua descrizione, la memoria e il palinsesto come pratica interpretativa e conoscitiva.
L’incontro di concetti diversi nel pensare il futuro della città e del progetto, come ad esempio resilienza e riciclo, crescita e valore, scarto e paesaggio, mette in tensione relazioni problematiche con le reti di valori ecologici dell’ambiente urbano, consentendo una riflessione radicale su metodologie e materiali del progetto urbanistico contemporaneo che sollecitano sei punti di riflessione, individuando altrettante famiglie di materiali utili al suo ripensamento.

  1. Multiscalarità14, come carattere distintivo della dimensione ecologica dei fenomeni ambientali, è la categoria interpretativa per comprendere e trattare la complessità dei fenomeni urbani e territoriali nel contemporaneo: in particolare quando il tema ecologico e la sensibilità per il paesaggio rappresentano un consistente fondamento del progetto territoriale. Pensare il territorio attraverso uno sguardo multiscalare, consente di incrociare costantemente le componenti fisiche, materiali e visibili dello spazio con la dimensione immateriale dei soggetti che dello spazio sono i protagonisti attivi; ma consente anche di intendere la produzione dello spazio come esito di un processo in cui sia indispensabile definire un punto di mediazione tra molteplici istanze – economiche, sociali e culturali – che, proprio in nome di tale complessità non possono più essere segmentate da razionalità separate e da un agire settoriale. Il tema della multiscalarità dunque consente di distinguere e riconoscere le morfologie del territorio contemporaneo, nelle forme della loro trasformazione, in un senso di adattività propria del progetto contemporaneo.
  2. Visibilità, si basa sulle immagini e sulla loro capacità comunicativa, come dispositivo di conoscenza per il progetto che è sempre una forma di interpretazione. La costruzione di un’immagine del cambiamento rappresenta un esercizio di definizione collettiva dell identità di un territorio, ne rappresenta la storia e il senso di appartenenza dei suoi abitanti, le sue tradizioni abitative e costruttive. L’immagine è rappresentazione del progetto, capacità di prefigurarne un futuro possibile in maniera comunicativa, plurale e collettiva. L’urbanistica recupera l’immagine per rilanciare la sua capacità di prefigurare spazio mettendo insieme le scienze sociali con l’architettura.
  3. Partecipazione e inclusione, per uno sviluppo che si basa su un’idea di urbanistica open source, sulla capacità di interagire con i cittadini, di creare un’economia alternativa, assegnando valore all’azione locale e all’empowerment delle persone, rendendole capaci di fare, di dare, di condividere e di risparmiare energia, servizi, beni, conoscenza, skills. Anche la dimensione dello sharing diviene una nuova forma creativa di economia della città: piuttosto che consumare la città, i residenti condividono la sua produzione15.
  4. Tempo. Se è vero che il progetto, adattandosi alla natura dei fenomeni urbani, deve individuare strategie possibili per razionalizzare le risorse e per fare bricolage con ciò che è disponibile, per riciclare e ottimizzare l’uso e il riuso degli scarti, allora il tempo del progetto, diventa un dispositivo utilizzabile. Si accorcia, ha un orizzonte pragmatico legato a ciò che è possibile fare nell’immediato, nel breve periodo, si confronta con l’incertezza del futuro e spesso richiede azioni minute, temporanee, molecolari, agite attraverso una razionalità tattica piuttosto che strategica, variabile nel tempo, capace di indirizzare la natura stessa degli usi, la loro temporalità.  Il tempo cioè, risulta un’unità frazionabile e sempre componibile, sulla base dell’inadeguatezza del tempo lungo come forma di controllo conformativo riferito a un modello rigido, a un disegno fisso e sovraordinato a cui riferire ogni modificazione del territorio. Una rinnovata nozione di temporalità del progetto urbanistico, come contesto multiscalare, reclama invece la dimensione della lunga durata come quadro di riferimento per le questioni di interesse generale, quali i cambiamenti climatici, l’emergenza energetica, la redistribuzione della popolazione e della produzione nel pianeta. Il tempo lungo esige una dimensione strutturale del pensiero progettuale, reclama forme di conoscenza improntate a saperi e competenze plurali, richiede di mettere in relazione le scale del progetto, di collegare la dimensione strategica con quella tattica. Reclama la necessità di mettere in tensione le visioni in una temporalità (timeline) che dà forma allo spazio. Il tempo è scomponibile in una molteplice sequenza di cicli di vita16 con cui il progetto deve interagire: vita che è possibile conoscere solo sulla base di uno sguardo che sovverte i paradigmi interpretativi tradizionali. Conoscere il territorio vuol dire costruire una topografia di valori sedimentati; ma anche ricostruire una cartografia dei cicli di vita della città, capace di individuare parti, soggetti e oggetti, forme di uso e di vita che definiscono nuove geografie intenzionali della città.
  5. Ecologia come materiale di progetto. Vulnerabilità, mitigazione, sicurezza, resilienza, eco-innovazione e uso efficiente delle risorse, rigenerazione energetica e riduzione delle emissioni di CO2, non possono più essere considerate questioni di sfondo per il progetto del territorio contemporaneo, bensì obiettivi essenziali per costruire visioni e per indirizzare il futuro, nuovi materiali del progetto urbanistico che ne ridefiniscono la forma, le tecniche, il linguaggio. Materiali che spingono alla mutazione di modelli cognitivi, delle tecniche d’indagine e delle forme di descrizione, e inducono strategie di valorizzazione dei beni pubblici e di produzione di welfare. L’ecologia è il nuovo palinsesto delle dinamiche relazionali, riferimento di continuità fisica e spaziale per il territorio, capace di una densa potenzialità di reinvenzione del linguaggio, dello spazio comune, del disegno di suolo. Nuove ecologie alimentano la consapevolezza di un concetto dinamico di equilibrio: la resilienza, ad esempio, è una ricerca adattiva e in movimento di equilibrio sempre nuovo e sempre diverso17; un equilibrio che riguarda i limiti e il funzionamento del territorio come organismo complesso e mutante, come ecosistema, con i suoi meccanismi costitutivi.
  6. Nuove cartografie per il progetto, risultano indispensabili per gestire l'incertezza del futuro e per cogliere le interazioni tra modelli urbani e fenomeni di cambiamento locale e globale (come energia, micro-clima, eventi climatici estremi, metabolismi, flussi ). Una cartografia innovativa cambia il modo di tematizzare lo spazio, consente di rappresentare e descrivere nuovi fenomeni (quali l’obsolescenza materiale, l’intensità e temporalità dei cicli di vita, le modalità e intensità degli usi); una cartografia può riguardare anche relazioni e aspetti comportamentali di fronte al rischio, in considerazione delle condizioni di impoverimento, di segregazione e di migrazione, oltre che degli effetti di eventi estremi sulle condizioni di abitabilità dello spazio urbano e peri-urbano.

Il riciclo è un’idea di progetto che traguarda il futuro dalle ragioni del presente: è una forma di pensiero che ricerca un modo innovativo di conoscere e selezionare i materiali della realtà, per avere contezza del valore di ciò che deve essere conservato, rigenerato, modificato e ripensato con forme e significati diversi da quelli originari. Ciò reclama un’attenzione sottile alle forme di equilibrio che tale modificazione potenziale istituisce con altri cicli di vita, non solo quelli materiali, in relazione agli ecosistemi di contesto. Ciò richiede di concepire la città come un organismo dotato di metabolismo, la cui manomissione procura la perdita di equilibrio dinamico e mutevole – evolutivo nel senso di inedito, nuovo, non uguale a prima18 – che è anche il grado di resilienza della città, la sua capacità di rispondere, di assecondare, di produrre cambiamento. Il progetto urbanistico muta il suo oggetto considerando questo equilibrio come spazio creativo d’ innovazione, per l’invenzione di nuovi assetti fondati su valori condivisi: diviene uno spazio intermedio di trasformazione, di sviluppo, continuità e salvaguardia dei valori ambientali.
Ciò vuol dire pensare e progettare il territorio in termini di abitabilità e di resilienza intesi come welfare: la riproducibilità delle risorse riguarda innanzitutto la città come valore sostantivo e relazionale, la sua continuità; la riproduzione – sempre più complessa e con forme sempre meno espansive e convenzionali – della città come parte di un ecosistema è orizzonte ineludibile di un modo non banale né codificato di concepire il progetto urbanistico contemporaneo.



Note
1 Questa nota è una riflessione al margine del lungo e intenso programma di ricerca PRIN 2015 Re-cycle Italy, a partire da alcune considerazioni in C. Gasparrini, A. Terracciano (a cura di), DROSSCITY. Metabolismo urbano, resilienza e progetto di riciclo dei drosscape, List Lab, Trento 2017.

2 M. Russo, “Un’urbanistica senza crescita?”, in M. Russo (a cura di), Urbanistica per una diversa crescita, Donzelli, Roma 2014.

3 Ivan Illich, Nello specchio del passato. Le radici storiche dei moderni concetti di pace, economia, sviluppo, linguaggio, salute, educazione, Borolli Editore, 2005.

4 Jackson T., Prosperità senza crescita. Economia per il pianeta reale, Edizioni Ambiente, Milano 2011; ed. or. Prosperity without Growth: Economics for a Finite Planet, Earthscan/Routledge, London 2009.

5 P. Næss, K. G. Høyer, The Emperor's Green Clothes: Growth, Decoupling, and Capitalism, «Capitalism Nature Socialism», Volume 20, 2009 – Issue 3, Volume 20, 2009 - Issue 3, (pag. 74-95), Routledge.

6 H. Daly, Che cos’è lo sviluppo sostenibile? «Lettera Internazionale» n. 92/2007 (pagg. 20-24).

7 F. Curci, E. Formato, F. Zanfi, Territori dell’abusivismo nel Mezzogiorno contemporaneo, Donzelli, Roma 2017.

8 B. Secchi, “La nuova questione urbana: ambiente, mobilità e disuguaglianze sociali”, Crios n.1/2011 (pp. 83-92).

9 Jackson T., Prosperità senza crescita. Economia per il pianeta reale, Edizioni Ambiente, Milano 2011; ed. or. Prosperity without Growth: Economics for a Finite Planet, Earthscan/Routledge, London 2009.

10 Secchi, B. 2013, La città dei ricchi e la città dei poveri, Laterza, Roma-Bari.

11 Il motto di “Rebuild by design”, è stato “Working Together to Build a More Resilient Region”.  Si tratta di un’iniziativa finalizzata al concorso di idee, sviluppato a New York tra il 2014 e il 2015 in seguito all’uragano Sandy; è stata attivata dalla Hurricane Sandy Rebuilding Task Force e HUD, in collaborazione con Institute for Public Knowledge at New York University, Municipal Art Society of New York, Regional Plan Association, e Van Alen Institute, e con il supporto della Rockefeller Foundation.

12 E. Bompan, I.N. Brambilla, Che cosa è l’economia circolare, Edizioni Ambiente, Milano 2016.

13 “Across a range of disciplines, landscape has become a lens through which the contemporary city has represented and a medium through which is constructed”, C. Waldheim, “A reference Manifesto”, in C. Waldheim (editor), The Landscape Urbanism Reader, Princeton Architectural Press, New York, 2006 (pag. 15).

14 M. Russo, Multiscalarità. Dimensioni e spazi della contemporaneità, «Archivio di Studi Urbani e Regionali» n. 113, 2015 (pp. 5-22).

15 “Instead of consuming the city, residents will now resiliently coproduce it”, Superpool, Atelier d’Architecture Autogèrèe, in P. Gadanho (editor), Uneven Growth. Tactical Urbanism for Expanding Megacities, The Museum of Modern Art, New York 2014 (pag. 84).

16 McDonough W. e Braungart M., Dalla culla alla culla. Come conciliare tutela dell'ambiente, equità sociale e sviluppo, Torino, Blu Edizioni, 2003; ed. or. Cradle to Cradle: Remaking the Way We Make Things, North Point Press, New York, 2002

17 S. Davoudi, Resilience: A Bridging Concept or a Dead End?, «Planning Theory & Practice», Vol. 13, No. 2, (pp. 299–333), June 2012.

18 Carpenter, S.R., Westley, F. & Turner, G., Surrogates for resilience of social–ecological systems, «Ecosystems», 8 (8), (pp. 941–944), 2005.

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