Ricerca, sostenibilità e innovazione a cura di Filippo Angelucci

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Scenari di recupero e manutenzione per il paesaggio produttivo
Paolo Franco Biancamano, Donatella Diano, Maria Rita Pinto
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Abstract
L’esperienza di ricerca presentata dal Laboratorio Riuso Riqualificazione e Manutenzione (LRRM) del DiARC, è stata condotta nell’ambito del progetto PRIN “La difesa del paesaggio tra conservazione e trasformazione. Economia e bellezza per uno sviluppo sostenibile”, affrontando il tema del riequilibrio delle relazioni tra spazio fisico, comunità insediata, economie.Il paesaggio urbano produttivo di Torre Annunziata, individuato quale caso studio, è stato analizzato come sistema complesso ed adattivo, risultante di processi che ne hanno determinato, nel tempo, l’identità. Il contributo illustra la metodologia per il progetto di recupero dell’ambiente costruito finalizzata ad individuarne le vocazioni conservative e le vocazioni trasformative con lo scopo di scegliere scenari compatibili con le Raccomandazioni Historic Urban Landscape Unesco, 2011.

Parole chiave:
PE8-10          Tecnologia della produzione, ingegneria dei processi
SH3-9            Sviluppo e architettura territoriale, uso del suolo, pianificazione regionale
SH5-11         Patrimonio culturale, memoria culturale
PE8-3            Ingegneria civile, ingegneria marittima/idraulica, geotecnica, trattamento dei rifiuti

 

Sistemi insediativi e vulnerabilità multidimensionale del paesaggio storico urbano
L’indagine conoscitiva dell’ambiente costruito ha fatto riferimento ad un solido orientamento della cultura tecnologica dell’architettura (Ciribini, 1984), costituito dall’approccio sistemico. Quest’ultimo consente lo studio e l’analisi di processi di configurazione di elementi interagenti non solo in relazione alla componente organizzativa e strutturale, ma anche in relazione alla definizione di specifiche dinamiche di un sistema nel tempo, al fine di individuarne i comportamenti attuali e prefigurarne futuri1.
L’ambiente costruito è un sistema ad alta complessità, l’approccio multiscalare ne permette la lettura e l’analisi quale sovra-sistema di sistemi, caratterizzato da attributi, e strutturato in sistemi interagenti. Nei sistemi insediativi le connessioni e le interdipendenze non sono lineari e sono variabili nel tempo. Tale variabilità connota i diversi sistemi insediativi nel tempo e nello spazio e consente di identificare ed analizzare l’unicità di un luogo, la sua identità.
La connotazione della variabilità nel tempo di relazioni dovute ad eventi e variazioni di stato del sistema insediativo in osservazione coinvolge in maniera sinergica anche i sub-sistemi costituenti, richiedendo lo sviluppo di un quadro conoscitivo al tempo stesso di natura sincronica e diacronica.
Con l’obiettivo di leggere la variabilità nel tempo dei sistemi insediativi, è stata introdotta una chiave interpretativa costituita dalla vulnerabilità multidimensionale, intesa come la mancata capacità di un sistema di resistere alle pressioni/criticità (Miller et al., 2010). In altri termini, la vulnerabilità è stata considerata come la misura dell’incapacità di un sistema di rispondere alle pressioni esterne esercitate su di esso (Fortune e Peters, 1995), determinando un aumento del rischio di impatti negativi derivanti da shock inattesi.
Un ecosistema vulnerabile è un sistema che ha perso le capacità di autorigenerarsi, divenendo esposto al rischio di un impatto negativo, che precedentemente poteva essere assorbito (Naudé and all, 2008). Di conseguenza piccole pressioni possono qualitativamente alterare lo stato e lo sviluppo in maniera radicale di un sistema vulnerabile (sistema inteso come l’insieme di singoli individui, collettività, organizzazione economica, sistema delle infrastrutture, territorio nel suo complesso, ecc.) (Cutter and Finch, 2007), provocando impatti che impediscono il ripristino della situazione precedente (Graziano, P., 2012). Queste pressioni sull’ambiente costruito connotano l’intensificazione della vulnerabilità del patrimonio tangibile ed intangibile (fig. 1).
Considerando il sistema insediativo, le trasformazioni possono essere interpretate come frutto di possibili pressioni perturbative (Diano, 2015). In un sistema in cui le pressioni non sono controllate si genera un’evoluzione non lineare (Fujita, Viola, 2014), con reazioni negative per le relazioni dinamiche tra pressioni perturbative e salvaguardia dei caratteri identitari del Paesaggio Storico Urbano (Miller et al., 2010).
Emerge la necessità di delineare procedure di gestione dei patrimoni, espressione delle modalità insediative delle comunità (Unesco, 2013), per limitarne l’esposizione a perdite e snaturamento dei caratteri distintivi (Caterina, 2012).
In questa nuova configurazione gli attori coinvolti nei processi di trasformazione dell’ambiente costruito, hanno il compito di gestire le pressioni e di individuare modalità e priorità per mitigare la vulnerabilità degli insediamenti. Il controllo della vulnerabilità diventa condizione di esposizione e capacità di far fronte a processi dinamici (Fujita, Viola 2014).
In una visione multidimensionale dell’ambiente costruito, il concetto di vulnerabilità è riferibile non solo agli aspetti fisico/ambientali, ma anche a quelli sociali ed economici (Gurrieri, 2011).
La costruzione del quadro di vulnerabilità alla scala di paesaggio interpreta la sovrapposizione dell’interazione tra luogo e comunità, ed è riferito alle sue dimensioni principali: economica, fisico/ambientale, sociale (Unesco, 2011). Di conseguenza, l’individuazione di criteri/indicatori permette di misurare quali scelte determinano una riduzione della vulnerabilità del paesaggio e di conseguenza un aumento della sua “resilienza”.
Allo scopo di interpretare la complessità del paesaggio, è possibile far riferimento alla definizione contenuta al punto 9 delle Raccomandazioni Unesco sull’Historic Urban Landscape (UNESCO, 2011) in cui si definiscono i diversi layers di cui è composto il paesaggio: “il paesaggio è la sovrapposizione e l’interazione di valori culturali e naturali nel tempo”. Tale lettura ha come oggetto dati “hard” (caratteri naturali, ambiente costruito, infrastrutture, utilizzo del suolo, ecc.) e dati percettivi, “soft” (percezioni, relazioni visive ecc.), includendo anche pratiche e valori sociali e culturali, processi economici, dimensioni intangibili del patrimonio così come collegate a diversità e identità.
In questo modo è possibile determinare i criteri/indicatori che compongono il paesaggio e le soglie di vulnerabilità per ciascun criterio/indicatore e/o insieme di indicatori. Attraverso le soglie è possibile prevedere e gestire il dosaggio tra conservazione e trasformazione indotto dall’impatto di nuove azioni e alla base della teoria del recupero.
Il quadro di vulnerabilità multidimensionale viene completato dallo studio sulle pressioni perturbative a cui è sottoposto il sistema insediativo in esame.
L’osservazione delle pressioni e la loro interdipendenza può essere indagata attraverso matrici di correlazione. Infatti, la comprensione delle relazioni tra comunità e ambiente costruito permette di delineare i fattori di rischio economico, sociale e fisico che determinano la vulnerabilità multidimensionale (Turvey, 2007).
Individuare le relazioni tra pressioni/criteri/indicatori nel contesto consente di scegliere le strategie di progetto, tenendo conto degli effetti delle trasformazioni non solo sui criteri interessati, ma anche su quelli strettamente correlati. Analizzando la correlazione tra le diverse dimensioni considerate, è possibile identificare quali nuove azioni/pressioni (ed in che misura) possono determinare impatti diretti o indiretti, positivi o negativi, sul paesaggio.
L’approccio teorico è stato validato su un caso studio, costituito dalla Buffer Zone di Pompei. Quest’ultima è stata definita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali insieme alla Regione Campania come la zona circostante i siti Unesco di Pompei, Oplonti ed Ercolano.
Rispetto ai comuni interessati (Pompei, Ercolano e Torre Annunziata, Torre del Greco, Trecase, Boscoreale, Boscotrecase, Castellammare di Stabia, Portici), la ricerca ha focalizzato l’attenzione sull’area di Torre Annunziata, che rappresenta un paradosso in termini di valore: da un lato, l’alto valore storico e culturale dei siti archeologici riconosciuti a livello internazionale (Oplontis); dall’altro, il degrado diffuso, causato da trasformazioni/pressioni non controllate, che ne ha danneggiato il valore non solo economico, ma anche ambientale e sociale. Pertanto è stato elaborato un modello di descrizione del quadro di vulnerabilità multidimensionale che ripercorre l’approccio teorico.

 

Il sistema insediativo e le pressioni perturbative: il caso di Torre Annunziata
La ricerca ha analizzato il paesaggio produttivo urbano di Torre Annunziata. Il carattere e l’identità dell’antico insediamento è rintracciabile nella sua passata economia industriale e nei profondi legami che si intrecciano tra questa ed il sistema costruito ed ambientale, il sistema sociale e culturale (Fusco Girard, 2014).
Lo studio delle perturbazioni dello stato del sistema ha permesso l’analisi dei comportamenti dell’ambiente insediativo, che evolve verso la ricerca di un nuovo equilibrio, dinamico e diverso dal precedente. Questa visione inclusiva ed olistica costituisce un approccio integrato alla comprensione dei continui cambiamenti nell’uso funzionale, nella struttura sociale, nel contesto economico del paesaggio storico urbano.
Oggetto specifico di studio è stata la dimensione fisica del paesaggio di Torre Annunziata, i processi di industrializzazione e de-industrializzazione che hanno gravato sull’ambiente costruito, i processi di transizione innescati da pressioni antropiche ed ambientali (fig. 2).
Una radicata attitudine alla rigenerazione caratterizza il paesaggio torrese; un punto di forza in grado di innescare processi di riequilibrio tra risorse costruite, risorse ambientali, valori culturali, per il raggiungimento di nuove forme di equilibrio tra risorse fragili, potenzialità latenti, azioni di tutela ed obiettivi di sviluppo socio-economico.
Il sistema fisico osservato (Di Battista, 2006) è l’antico tessuto residenziale e produttivo a partire dalla seconda metà del XIX secolo ad oggi.
Il sistema di perturbazioni oggetto di indagine è riconducibile a fenomeni di natura ambientale, pressioni legate allo sviluppo delle tecnologie produttive, pressioni di natura sociale e di natura economica con effetti di degrado fisico, economico e sociale sulla struttura urbana.

 

Le pressioni ambientali
Un sistema di pressioni ambientali ha gravato e tutt’oggi affligge il sistema insediativo oggetto di studio (fig. 3). La presenza del Vesuvio con relativo rischio eruttivo, il rischio sismico, il dissesto idrogeologico e fenomeni di impermeabilizzazione, erosione, degrado e consumo di suolo, costituiscono il complesso sistema di pressioni endogene ed esogene.
L’attività vulcanica, oggi silente, è stata nel corso dei secoli caratterizzata da fenomeni di natura esplosiva ed effusiva, che hanno condotto a successive distruzioni del tessuto costruito, delle aree agricole e del paesaggio naturale.
Torre Annunziata rientra nella mappa della sismicità del territorio nazionale, zona 2 a rischio sismico medio (Ordinanza PCM3274/2003, Ordinanza PCM 3519/2006).
Fenomeni riconducibili al dissesto idrogeologico (Piano stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico, aggiornamento 2011), sono stati provocati da progressiva riduzione della copertura vegetale dei suoli, dando luogo periodicamente, nel corso degli ultimi tre secoli, a fenomeni franosi e alluvionali, ed in generale di instabilità e di vulnerabilità idrogeologica di suoli di origine piroclastica.
Infine, fenomeni di incremento incontrollato del carico insediativo, di ampliamento (abusivo) del tessuto costruito, e disotto-utilizzo, abbandono e dismissione di spazi aperti ed aree edificate, gravano ulteriormente su un’area caratterizzata da dinamismo geomorfologico.

 

Le pressioni dell’innovazione tecnologica
Un sistema di pressioni esogene può essere ricondotto ai processi di innovazione tecnologica legati alla produzione della pasta (fig. 4).
A Torre Annunziata si stabilisce un primato per la garanzia di qualità del prodotto, per l’elevata qualità del grano duro Taganrog proveniente dalla Russia, per le competenze acquisite dalle maestranze, per le favorevoli condizioni climatiche che facilitano i processi di essiccazione naturale. La tecnologia di produzione della pasta avviene secondo le tre fasi di preparazione dell’impasto di semola e acqua calda, di formatura della pasta e di asciugatura. La pasta viene prodotta per consumo personale della famiglia o per la vendita ed il commercio, secondo una dimensione d’impresa artigianale.
Piccoli laboratori ai piani terra di edifici residenziali utilizzano la particolare configurazione di elementi spaziali sia per l’attività di produzione che di deposito e vendita del prodotto finito; corti e cortili, terrazzi e spazi esterni pubblici confinanti con le abitazioni, sono adoperati sia per la prima fase di asciugatura detta “incartamento”, che per completamento del processo; i depositi al piano seminterrato sono sfruttati per la fase di “rinvenimento”, seconda fase del processo di asciugatura, in cui la pasta viene conservata in un locale umido per almeno 12 ore. L’intera famiglia è coinvolta nell’attività di produzione e vendita, con l’aiuto di lavoranti addetti alle operazioni più pesanti (Dati, 1962).
Fino agli anni ’20 del XX secolo, le innovazioni tecnologiche concernono essenzialmente le prime due fasi ed influiscono sulla velocizzazione del processo produttivo e sull’assetto dei pastifici per la richiesta di spazi appropriati per la produzione. L’intera economia urbana ruota sull’industria della pastificazione, incrementando le attività dello scalo portuale per l’importazione del grano russo e l’esportazione dalla pasta. La maggior parte della popolazione è coinvolta nel processo produttivo o nell’indotto. Nel 1910 nella provincia di Napoli si produce il 60% della pasta italiana; ben 700.000 quintali sono esportati negli Stati Uniti d’America. L’aumento dei volumi di produzione determina una maggiore richiesta di spazi per il processo di asciugatura.
Tuttavia, la messa a punto del “metodo Cirillo”, che riduce drasticamente i tempi di essiccazione (Rovetta, 1921), il brevetto Braibanti, che consente un processo unico di lavorazione senza soste e scarti dalla semola alla pasta, e la realizzazione di stenditrici automatiche ed essiccatori ruotanti sottoposti a cicli di alte ed altissime temperature sovverte il modo di produzione tra gli anni ’20 e ’30 del XX secolo, rendendo obsoleti i pastifici sorti nel tessuto urbano, all’interno di edifici residenziali.
La crisi dell’organismo edilizio è generata dalla prefigurazione di una condizione industriale che diviene incompatibile con la dimensione fisica del manufatto. Gli elementi spaziali che ospitano le attività connesse al processo produttivo, sono oggetto di trasformazioni e riconvertiti ad esclusivo uso abitativo con frazionamento del sistema edilizio in più unità residenziali.
Gli edifici in muratura a masso, con solai su volte e terrazzi di copertura piani, sono adeguati alle nuove funzioni abitative con operazioni che alterano sia il sistema ambientale che il sistema funzionale-spaziale dell’organismo edilizio. La chiusura di oculi e bocche di lupo che favorivano l’asciugatura della pasta altera pesantemente le condizioni climatiche dell’edificio. Inoltre, il sistema funzionale-spaziale è modificato a seguito degli interventi per la realizzazione di unità abitative. Gli interventi escludono il primo livello, che ospita l’abitazione del proprietario del pastificio e coinvolgono il piano terra, il piano seminterrato, il cortile e l’ultimo livello. Un lento processo di densificazione e saturazione degli spazi aperti interni coinvolge gli isolati urbani, segnando la loro trasformazione. L’attività produttiva, che per un secolo si è radicata nel sistema urbano fatto di isolati, edifici, strade e piazze che si conformano per dar vita ai luoghi della produzione, viene sostituita dalla funzione residenziale, che snatura l’identità del paesaggio produttivo fertile e rigoglioso.

 

Le pressioni sociali
Pressioni perturbative di natura sociale, dovute alle pessime condizioni lavorative e remunerative degli operai, e riflesso di una prima crisi economica del settore sul finire del XIX secolo, gravano sulle condizioni di equilibrio del paesaggio urbano (fig. 5).
La retribuzione a cottimo, la giornata lavorativa di 16 ore per gli adulti, di 14 ore per i bambini, senza riposo festivo, la velocità, la maestria ed il ritmo delle fasi del processo produttivo, fortemente influenzato dai tempi di svolgimento delle singole operazioni per l’ottenimento di un prodotto di elevata qualità, incidono negativamente sulla condizione economica e sociale dei pastai ed in generale di tutti coloro che lavorano nell’indotto.
Il divario tra sviluppo produttivo e condizione sociale della classe operaia è di rilevanti dimensioni perché non si traduce in miglioramento dei livelli di benessere economico e sociale della popolazione che risulta, per la maggior parte, coinvolta nelle attività della pastificazione. Al contrario, l’introduzione delle macchine alimentate da motori idraulici e poi meccanici, fino alla macchina continua, riducono i tempi di lavorazione della pasta, liberano una serie di elementi spaziali in cui fino ad ora le maestranze svolgono le operazioni manuali, e provocano la diminuzione del numero di addetti alle singole fasi del processo produttivo.
La successione di crisi finanziarie è determinata da ingenti debiti contratti dai piccoli imprenditori per l’adeguamento tecnologico degli impianti, da un’incapacità di gestione dei ricavi, da un’inefficace direzione tecnica imposta dai nuovi ritmi di produzione. Effetti si riscontrano in una forte diminuzione nell’impiego di manodopera, disoccupazione, tensioni sociali con una conseguente modificazione della struttura sociale della popolazione.

 

Le pressioni economiche
Pressioni di natura economica determinate dallo scoppio della prima grande guerra e dalla rivoluzione socialista in Russia, non consentono di esportare la pasta negli Stati Uniti d’America e in Canada, grandi mercati di consumo per la presenza di migranti italiani, e provocano il blocco delle importazioni di grano dalla Russia (Giordano, 1992) (fig. 6).
La restrizione degli scambi commerciali, le difficoltà di accesso al credito bancario, determinano una repentina e brusca riduzione della produzione, ulteriormente limitata ed aggravata dall’attuazione dello Stato della politica annonaria. I primi effetti si riscontrano nella crisi del sistema portuale di Torre Annunziata: la provenienza di grano dalla Puglia e dalle regioni centro-settentrionali non rende più competitivo lo scalo portuale ed il suo trasporto via terra è reso più oneroso dall’applicazione di una speciale tassa.
L’immediato dopoguerra è segnato da un’inversione del trend, attraverso la ripresa dell’attività produttiva per l’aumento della richiesta di beni di largo consumo che incoraggiano i piccoli imprenditori a ricostruire ed ampliare i manufatti edilizi ed incrementare la produzione. L’abolizione del sistema dell’ammasso e il reintegro delle norme sull’importazione di grano estero costituiscono ulteriore incentivo alla ripresa. Muta lo scenario dei mercati di esportazione della pasta: la più vicina piazza europea sostituisce quella d’oltreoceano, in virtù della libera circolazione di persone, servizi, merci e capitali del Mercato comune europeo nel 1957. Tuttavia i pastifici torresi non sono in grado di competere con i più grandi impianti industriali settentrionali, in parte ricadenti nel comparto agroalimentare dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI). Essi sono destinati a soccombere sia per l’impossibilità di accedere a condizioni di credito agevolato, sia per incapacità gestionali che non hanno consentito la fusione tra piccole imprese, con la realizzazione di nuovi insediamenti produttivi, sia per inadeguatezza a perseguire la costituzione di associazioni di consorzi per la produzione e commercializzazione della pasta recante il brend di Torre Annunziata2 (Pinto, Viola, 2015).
I piccoli proprietari dichiarano fallimento o interrompono l’attività produttiva e vendono i manufatti edilizi; scompare un piccolo distretto industriale nato dall’ingegno e dalla creatività di alcuni imprenditori e che coinvolge l’intera popolazione.
Obsolescenza tecnologica e funzionale, scarse capacità imprenditoriali, inadeguate politiche economiche ed inefficaci interventi dei governi, provocano fenomeni di degrado economico, sociale e fisico del paesaggio urbano torrese. Degrado fisico con interventi di trasformazione degli organismi edilizi per adeguarli alle nuove esigenze abitative, dismissione ed abbandono degli opifici industriali, disoccupazione, tensioni sociali, fenomeni diffusi di microcriminalità ed illegalità minacciano l’equilibrio tra i sistemi e rompono i legami tra luogo e comunità. Il paesaggio urbano perde qualità ed identità.

 

L’analisi di Vulnerabilità dell’area di Torre Annunziata
L’analisi delle pressioni e delle conseguenti trasformazioni prodotte ha consentito di costruire il quadro di vulnerabilità multiscalare riferito al contesto di Torre Annunziata. Con il supporto di strumenti GIS è stato possibile costruire mappe tematiche per la definizione della vulnerabilità multidimensionale del sistema paesaggio (Fusco et all, 2016; Biancamano, 2016). Il sistema informativo territoriale (SIT, oppure in inglese GIS, Geografic Information System), ha consentito di sovrapporre la conoscenza di dati spaziali (Sessa, De Martino, 2005) riconducendo le informazioni (indicatori numerici, open data, punti di interesse, ecc…) nel quadro complesso e sistemico territoriale. L’integrazione tra strumenti di conoscenza (Rocchi et al., 2015) e il GIS ha permesso di costruire mappe complesse (Cerreta e De Toro, 2012) contenenti informazioni sul contesto e sul paesaggio (fig. 7).
In particolare alla scala urbana (suddivisa in caselle censuarie) il quadro di vulnerabilità può essere composto sulla base di due indici sintetici: l’Indice di Disagio Sociale (IDS) (fig. 8.a) e l’Indice di Disagio Edilizio (IDE) (fig. 8.b) secondo le direttive del D.PCM. 15-10-2015 (G.U. N° 249 26.10.15). Gli indici sono stati costruiti a partire dalla media ponderata degli scostamenti dei valori degli indicatori dai rispettivi valori medi nazionali.
I due indici sono stati riassunti in unico indicatore sintetico che evidenzia la presenza di aree degradate all’interno di un comune (fig. 9).
La ricerca ha portato ad evidenziare che proprio le aree interessate dalla presenza di pastifici presentano un elevato degrado sia sociale che fisico. Infatti il paesaggio circostante, contraddistinto dallo skyline con lo sfondo del Vesuvio, è oggi degradato dalla presenza di un’edificazione priva di qualità fatta da edifici dismessi, capannoni industriali, stazioni di servizio, strade a scorrimento veloce. Lo sviluppo attuato a partire dal dopoguerra, e soprattutto negli anni ‘70 e ‘80, ha causato il degrado complessivo del paesaggio, accompagnato da un malessere sociale diffuso. Si tratta, infatti, di uno dei territori con il più alto indice di disoccupazione e criminalità, condizioni che rappresentano un ulteriore ostacolo allo sviluppo.
Negli ultimi anni, la crisi economica ha determinato la sistematica chiusura delle aziende presenti nell’area.
Gli stabilimenti produttivi caratterizzano fortemente il paesaggio: gli edifici presentano uno sviluppo prevalentemente lineare, si distinguono per la notevole cubatura e sono delimitati da muri di cinta inaccessibili, che rispecchiano le modalità insediative dell’industria tradizionale. Il degrado in cui versano rende questi spazi estranei alla città, consegnandoli oggi ad uno stato di abbandono che si ripercuote nel paesaggio, già caratterizzato da infrastrutture viarie pesanti oggi parzialmente in disuso (Russo, 2011).
 

Conclusioni
Delineare un quadro delle trasformazioni dell’ambiente costruito, avvenute a seguito dell’insorgere di pressioni perturbative, consente di decodificare le attitudini del sistema insediativo a ricreare nuove condizioni di equilibrio al variare delle sinergie, e di definire vocazioni inespresse per restituire qualità di vita a contesti degradati (Grin, 2010).
Il governo delle trasformazioni ha l’obiettivo di inviduare strategie ed azioni compatibili con un futuro che conservi identità e valori sedimentati nelle comunità civili (Musso, 2012).
La sfida prioritaria affrontata dalla ricerca è stata quella di delineare scenari di recupero e manutenzione per antichi contesti produttivi che superino l’orizzonte dello sviluppo legato alla sola crescita economica. L’obiettivo è promuovere un riequilibrio dei sistemi insediativi, basato sulla consapevolezza di valorizzare risorse che, nel passato, hanno coniugato utilità e bellezza (Fusco, 2016; Pinto, 2016).

 

Note

1. La ricerca PRIN coordinata dal Prof. Carlo Truppi, avviata nel 2013, e conclusasi nel 2016, ha coinvolto sette sedi universitarie con competenze interdisciplinari. In particolare perdell’unità di Napoli, il contributo del settore Progettazione Tecnologica dell’Architettura con il Laboratorio Riuso Recupero e Manutenzione (LRRM), ha riguardato la tutela delle identità sedimentate e il recupero di paesaggi urbani produttivi caratterizzati da una eccellente qualità, oggi perduta.
2. La città di Gragnano, a 15 Km da Torre Annunziata ancora oggi produce pasta. Il Consorzio Gragnano Città della Pasta, è nato nel 2003, riunisce 12 pastifici storici, con un fatturato annuo che supera i 300 milioni di euro. È stato anche grazie al lavoro del Consorzio che nel 2013 la pasta di Gragnano ha ottenuto il marchio IGP, primo riconoscimento comunitario di qualità assegnato alla pasta in Italia e in Europa.

 

Gli autori

Paolo Franco Biancamano, ingegnere, dottore di ricerca in “Metodi di Valutazione per la Conservazione Integrata, Recupero, Manutenzione e Gestione del Patrimonio Architettonico, Urbano ed Ambientale”, Curriculum di Recupero Edilizio ed Ambientale, Manutenzione e Gestione, presso il Dip. di Architettura Federico II - Napoli.
Donatella Diano, architetto, dottore di ricerca in “Recupero Edilizio e Ambientale”. Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura di Napoli. Attualmente docente a contratto del corso di Tecnologia del Recupero Edilizio presso il CLM Arc5UE, Università degli Studi di Napoli Federico II.
Maria Rita Pinto, architetto e dottore di ricerca in “Recupero Edilizio e Ambientale”, è Professore Ordinario di Tecnologia dell’Architettura e responsabile del Laboratorio di Riqualificazione, Riuso e Manutenzione (L.R.R.M.) presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

 

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