Abstract
L’integrazione architettonica di tecnologie da f.e.r. in ambienti sensibili, deve rispondere al doppio requisito della conservazione del patrimonio urbano e del paesaggio e del risparmio energetico negli edifici. Il conflitto che si può generare nel rispondere a queste esigenze si può evitare anche grazie all’utilizzo di strumenti semplici e di facile impiego da parte di singoli, progettisti e amministratori che possano valutare l’impatto visivo di ogni singolo intervento. Lo strumento grafico descritto nel paper può risultare utile per verificare contemporaneamente la visibilità di un sistema solare in copertura al variare della sua inclinazione, dell’altezza dell’edificio e della distanza dell’osservatore che si trovi in posizione frontale rispetto all’elemento integrato per esempio in un edificio sottoposto a tutela.
Parole chiave:
SH3-1: Ambiente risorse e sostenibilità
SH3-2: Cambiamenti ambientali e società
Integrazione architettonica
Sistemi solari
Impatto visivo
1. Conoscenze, competenze ed esperienze del gruppo di ricerca
Il paper riporta il contributo svolto all’interno della ricerca PRIN “L’integrazione sistemica di tecnologie da fonte rinnovabile nell’ambiente costruito” portata avanti tra il 2010 e 2012 e coordinata dal prof. Gianni Scudo del Politecnico di Milano e che ha visto la partecipazione delle Università di Firenze, Genova, Napoli II.
Questa ricerca costituisce una parte dei temi che caratterizzano l’attività di ricerca di un gruppo di ricercatori e docenti del settore ICAR12 all’interno del dipartimento DAStU del Politecnico di Milano.
Il gruppo, che, oltre che da chi scrive, è rappresentato dai proff. Gianni Scudo e Alessandro Rogora, porta avanti attività di ricerca su temi che coinvolgono l’area dell’ambiente costruito e dello spazio urbano da vari punti di vista, ma comunque temi accomunati da un approccio eco-compatibile e molto orientati alla verifica delle prestazioni ambientali delle configurazioni ambientali e tecnologiche indagate.
Strumenti di valutazione delle prestazioni ambientali e di comfort termico sono stati oggetto di indagine per quanto riguarda lo spazio urbano e sono stati sviluppati nel tempo strumenti anche grafici molto semplificati (COMFA+, per esempio, sviluppato nel 2007 per il calcolo del bilancio termico negli spazi esterni, o i grafici per la determinazione della temperatura media radiante, uno dei risultarti della ricerca RUROS, ricerca finanziata dal V programma quadro della UE, concluso nel 2004 e coordinata dal centro di ricerca CRES di Atene, del quale il gruppo di ricerca già menzionato era partner).
L’integrazione di tecnologie da f.e.r. (fonti energetiche rinnovabili) in sistemi edilizi è un altro campo di indagine, che ha interessato storicamente il Prof Scudo e più di recente i proff. Scudo e Rogora che hanno promosso e sviluppato un ricerca finanziata dall’ENI sull’integrazione di componenti solari luminescenti su componenti e sistemi di involucro avanzati.
La ricerca PRIN nasce con l’obiettivo di elaborare un processo di integrazione metodologica nei tre ambiti coinvolti nella determinazione degli scenari progettuali – l’ambito procedurale, di processo; l’ambito decisionale, di progetto; e l’ambito di applicazione economica, di prodotto, e mettere a sistema criteri di processo, strumenti analitici e informazioni tecniche per l’integrazione sistemica di tecnologie da f.e.r. nei progetti di trasformazione dell’ambiente costruito.
Il tutto attraverso collaborazioni e collegamenti tra le discipline della Tecnologia dell’Architettura e della Fisica Tecnica Ambientale. Essa ha rappresentato l’opportunità per i partner della ricerca di elaborare criteri e strategie per l’integrazione di sistemi solari in ambienti sensibili, come per esempio centri storici ed edifici tutelati, ma soprattutto di realizzare una sorta di cassetta degli attrezzi utile per progettisti e pubblici amministratori che si trovino ad operare in questo campo. In particolare, il presente contributo rappresenta un’esperienza di ricerca trasversale a varie tematiche già affrontate dal gruppo di ricerca; si focalizza infatti sulla possibilità di valutare l’inserimento di tecnologie da f.e.r. (prevalentemente collettori solari) su coperture di edifici collocati in contesti sensibili, attraverso uno strumento molto semplificato utile prima di tutto al proprietario dell’edificio, ma anche a chi progetta l’inserimento e agli amministratori che ne verificano l’impatto visivo prima di concedere il permesso di intervenire.
2. Applicazioni tecnologie da f.e.r. in ambienti urbani sensibili.
Cenni sullo stato dell’arte
La ricerca si inserisce nell’ambito dove è molto evidente la necessità tutelare gli ambienti di pregio, e di fatto importante conservare il patrimonio urbano, le città e il paesaggio, e dove al contempo è altrettanto evidente, nelle nostre città, la necessità di risparmiare e produrre energia, per esempio, attraverso l’integrazione di sistemi solari negli edifici.
In tali ambiti è molto sentita la forte resistenza da parte di coloro i quali vorrebbero mantenere inalterata l’immagine della città mentre dall’altra parte è sempre più evidente la necessità che il singolo edificio punti all’autosufficienza energetica per ridurre i consumi di una città eccessivamente energivora; proprio in questi contesti l’inserimento di collettori solari deve garantire una integrazione armoniosa, sia alla scala dell’edificio, che alla scala più ampia del paesaggio. In altre parole l’inserimento deve rispondere a requisiti di tipo normativo, ma anche di percezione e salvaguardia dell’immagine dell’edificio o di uno spazio urbano, o di uno scorcio paesaggistico.
I casi di corretto inserimento offrono interessanti spunti di riflessione, sia per l’approccio usato per minimizzare l’impatto visivo per un osservatore presente nell’area dove si trovi l’edificio, sia per stabilire le potenzialità energetiche di un sito, che prendono in considerazione le superfici (soprattutto delle coperture) degli edifici.
In Italia attualmente questo tipo di verifiche si realizzano sulla base di indagini preliminari a volte molto sofisticate, perché l’inserimento di tecnologie da f.e.r., spesso successivo alla realizzazione dell’edificio che le ospita, è soggetto a parere vincolante dell’autorità.
In relazione al quadro normativo italiano, si può in breve dire che nel 2010 sono state approvate le linee guida relative all’autorizzazione da parte delle Regioni degli impianti alimentati da fonti rinnovabili1, che nascevano con l’obiettivo di rendere più facile la diffusione di tecnologie da fonti energetiche rinnovabili. Tuttavia, questa importante normativa di riferimento che delega alle Regioni le modalità di applicazione nei diversi territori regionali, suscita molte perplessità e lascia aperti degli scenari incerti, sia per il fatto che questa delega estromette di fatto gli enti locali, sia perché la sola identificazione delle aree non idonee, che impedisce la totale utilizzazione di tali tecnologie, non permette di valutare ipotesi accettabili e rispettose del contesto. Alla luce di quanto definito dalla legge è interessante notare come ci siano regioni che hanno aderito alle indicazioni delle linee guida in toto, identificando le aree non idonee con le aree elencate nelle linee guida a titolo d’esempio, così come altre che hanno deciso di non recepire la legge nazionale e continuare ad operare in propria autonomia.
Tuttavia il tema oggi non dovrebbe più essere posto nei termini del “se e dove”, ma del “come” si deve integrare un sistema solare in contesti sensibili, in edifici storici di pregio e in luoghi che rappresentano la memoria e l’identità storica di una popolazione. Oggi si trovano anche degli esempi interessanti di applicazione su edifici sotto tutela della sovraintendenza alle belle arti che hanno affrontato il tema di un retrofit energetico in maniera assolutamente rigorosa e con risultati apprezzabili da tutti i punti di vista.
Tra gli esempi più noti vi è l’intervento di integrazione di impianto solare in una parte della copertura di un edificio storico di Napoli, il Real Albergo dei Poveri, uno dei palazzi più grandi d’Europa, situato nell’area del Centro Storico della città, inserito, fin dal 1995 nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO (criteri ii e iv). Nel 2002, il Comune di Napoli, proprietario dell’edificio, ha avviato un complesso programma di recupero, affidando i lavori ad un’équipe pluridisciplinare europea di professionisti, ingegneri ed architetti altamente specializzati2. il progetto ha preso in considerazione il consolidamento puntuale di volte e pareti; il ripristino, laddove possibile, di elementi crollati, l’eliminazione di aggiunte incongrue e la riconfigurazione di vani e di pareti sommitali, la conservazione o il rifacimento di pavimentazioni, la protezione dalle intemperie delle coperture e delle murature, la conservazione di intonaci e materiali lapidei e mattoni originali, la messa in opera di un sistema flessibile di predisposizioni impiantistiche; vengono reimpiegati i materiali originari come tufo, mattoni, calce, pietra, e si restaurano gli antichi infissi in legno, e le antiche cisterne vengono ripristinate per la raccolta delle acque piovane.
Per quanto riguarda le coperture sono state messe in opera coperture vegetali e l’attuale copertura in calcestruzzo armato sui corridoi agli ultimi livelli viene sostituita da una copertura trasparente con integrazione di celle fotovoltaiche (fig. 1).
La verifica dal punto di vista ambientale ha indicato un ridimensionamento della produzione di energia dovuta a un adattamento all’involucro (in termici di inclinazione e orientamento). Rispetto alla produzione ottimale si è ridotta la produttività del 16,9% arrivando ad una producibilità specifica di energia pari a 1269 Kwh/Kwp anno.
Un’altra questione importante rimane aperta e non risolta dalla normativa, ed è relativa all’ausilio strumentale necessario per la valutazione di questo tipo di impatto. Ad oggi sono disponibili strumenti anche sofisticati che possono essere adattati ai differenti contesti. Il problema può essere affrontato da due punti di vista: da una parte abbiamo bisogno di strumenti che dovrebbe avere chi intende realizzare il progetto, per verificarlo ed eventualmente modificarlo rendendolo così più accettabile. Dall’altra è la pubblica amministrazione che deve dotarsi di strumenti di verifica e controllo dei progetti proposti. Anche in questo caso le soluzioni possono essere differenti e variare a seconda del grado di difficoltà e complessità del contesto ambientale nel quale deve essere inserito l’impianto.
“Metodi e tecniche non devono basarsi sul mero rendimento energetico di produzione e trasporto ma devono essere attinenti all’analisi territoriale, e occorre pertanto sviluppare strumenti che integrino le due istanze al loro interno in termini anche spaziali”. Questo è l’obiettivo di un interessante studio basato su un approccio di integrazione tra i temi energetici e quelli territoriali proposto dall’Ing. Casini, del dipartimento DESE dell’Università di Ingegneria di Pisa che hanno lavorato sul Comune di Pisa.
Per implementare questo approccio occorre prima di tutto una ricostruzione 3D della città o porzione di città che serve prima di tutto ad evidenziare le aree, e in particolare le coperture, che per esposizione e inclinazione risultano più adatte all’installazione di collettori solari e dunque a rispondere al fabbisogno energetico e di acqua calda, e dove al contempo è contenuto o ininfluente l’impatto visivo per un turista che si trovi a passeggiare per le vie della città storica.
Molto efficaci nella ricostruzione tridimensionale risultano essere i dati satellitari di tipo LiDAR, ottenuti tramite una sorta di scansione da un mezzo aereo che permette la ricostruzione delle falde inclinate delle coperture3.
L’approccio proposto dall’ing. Casini e sperimentato per il comune di Pisa prevede successivamente altre cinque fasi. La prima, realizzata con un sistema GIS, risulta necessaria per valutare il potenziale energetico dell’area, attraverso il calcolo della radiazione solare incidente. Successivamente dai luoghi più sensibili, in questo caso la cima della torre di Pisa, i lungarni e altri percorsi turistici, si verifica la visibilità. La fase successiva combina algebricamente i risultati della visibilità con quelli del soleggiamento sui tetti, determinando la reale disponibilità delle superfici, al netto delle superfici visibili dai punti di vista turistici. L’ultima fase è quella di incrociare la domanda e l’offerta, cioè le aree definite adatte e il fabbisogno energetico, in questo caso il fabbisogno estivo di acqua calda sanitaria da coprire con collettori solari in copertura (fig. 2).
Come descritto (Casini, 2011), i risultati specifici dalle analisi svolte hanno messo in evidenza che la maggior parte delle strutture ricettive sono in grado di coprire il loro fabbisogno con la tecnologia del solare termico senza per questo causare impatti visivi significativi al contesto urbano in cui si trovano, siano essi nel centro storico o nelle aree periferiche. Inoltre, l’utilizzo dei software GIS ha consentito di combinare dati statistici (anagrafe comunale), energetici (fabbisogno di acqua calda nei settori residenziale e turistico) e territoriali (forma fisica della città) in modo innovativo.
Il contributo di chi scrive all’interno della ricerca PRIN si è basato principalmente sulla restituzione dello stato dell’arte relativo alla presenza e impiego di strumenti grafici semplificati di facile reperibilità e comprensione da parte di singoli, progettisti e amministratori. Effettivamente esiste un terreno molto fertile anche perché oggetto di ricerca per di più finanziate dalla UE fin dagli anni ’90 e comunque incentivato dalle amministrazioni locali e sovralocali.
Uno dei programmi di ricerca più importanti e completi riguarda sicuramente il Task 41 Solar energy & Architecture della IEA- Solar heating and Cooling Programme che ha approfondito il tema dei criteri e delle linee guida per l’integrazione dei sistemi solari, contemplando tra le soluzioni tecnologiche possibili le applicazioni in contesti sensibili, così come gli ausili studiati per i progettisti che usino per esempio strumenti CAD per progettare le integrazioni dei sistemi solari sugli edifici, e ancora la task 51 sull’energia solare nella pianificazione urbana dove si trova una parte relativa all’integrazione dei sistemi solari in architettura.
Tra i centri di ricerca che hanno approfondito il tema degli strumenti grafici semplificati ci sono sicuramente la SUPSI di Lugano e il LESO dell’Università EPFL di Losanna e il, entrambi in Svizzera, che da anni lavorano sia sul prodotto e la sua integrazione, sia sulla visibilità dell’intervento dallo spazio urbano sul quale si affaccia.
Il lavoro portato avanti dalla SUPSI, in particolare dal centro di competenze BiPV con sede a Canobbio, ha permesso di sviluppare un metodo per la valutazione dell’impatto delle tecnologie solari su edifici di riconosciuto interesse storico-culturale. Il lavoro, dal titolo “Sviluppo di linee guida tecniche e architettoniche per l’integrazione dei sistemi solari negli edifici storici”, è stato commissionato dalla municipalità di Bellinzona e si sviluppa a partire da una serie di criteri già presi in considerazione in alcuni Cantoni della Svizzera. I criteri esistenti si basano prevalentemente sulla geometria e il posizionamento dei pannelli solari sulle coperture. La ricerca ne ha individuato altri, focalizzandosi in particolare sull’impatto visivo.
Uno dei primi requisiti per migliorare la qualità architettonica degli edifici nuovi o esistenti che prevedono l’installazione dei sistemi solari, consiste nel definire e quindi cercare di ridurre le limitazioni formali che caratterizzano negativamente l’installazione, in modo da poter identificare le soluzioni più appropriate. Rappresentano un set di suggerimenti per approcciare il progetto di integrazione delle tecnologie da fonte rinnovabile sugli edifici. Si tratta di requisiti oggettivi che non escludono l’analisi di ogni caso specifico e che risulta fondamentale soprattutto in edifici o zone di interesse storico nei quali la proposta d’intervento deve essere valutata da differenti punti di vista. I requisiti presi in considerazione sono: la complanarità, il rispetto della linea, la forma, il raggruppamento degli elementi, l’accuratezza e la visibilità (fig. 3).
I criteri precedentemente descritti sono accompagnati da una serie di raccomandazioni, non obbligatorie, di tipo soggettivo che fanno riferimento alle caratteristiche visive dell’installazione.
Il laboratorio LESO della EPFL ha messo a punto un software che aiuta a chiarire il concetto di qualità dell’integrazione architettonica anche attraverso un metodo di valutazione della qualità. È pensato per le autorità coinvolti nell’implementazione dei requisiti di accettabilità a livello locale, sulla base del concetto di criticità (fig. 4).
Il software riporta degli esempi (più di 100 casi emblematici) che visualizzano l’impatto visivo di alcune installazioni, basandosi su un set predefinito di requisiti di qualità e offre nel contempo alle autorità un modello per valutare la qualità delle integrazioni (fig. 5).
3. La verifica della visibilità del sistema solare in copertura: uno strumento semplificato
Alla luce dell’analisi realizzata, e soprattutto riguardo alla necessità di disporre di strumenti semplificati per la valutazione dell’impatto visivo, è stato messo a punto uno strumento grafico che valuta la proposta di integrazione in copertura, al variare della distanza dell’osservatore, della pendenza del tetto e dall’altezza dell’edificio.
È pensato prevalentemente per un progettista incaricato di verificare il grado di visibilità dalla strada; o anche un ente che debba verificare che il progetto presentato rispetti determinati requisiti legati all’impatto visivo.
È possibile, tramite una singola lettura, verificare il possibile impatto visivo. Questo è il primo passo che però è fondamentale per individuare successivamente la configurazione che il sistema di individuato deve avere, o per dirla come i ricercatori della SUPSI, i criteri per rispondere ai requisiti di un inserimento rispettoso del contesto, sia che si parli di edificio che di uno spazio urbano, o un paesaggio più ampio.
La figura 7 illustra un tipo di grafico che mette insieme 3 variabili, e può essere utilizzato per verificare l’impatto che una tecnologia posta in copertura (per esempio un pannello solare) ha dalla strada o dalla piazza, comunque da una posizione frontale rispetto alla copertura. Con questo metodo si individua un punto al centro della copertura che rappresenta il pannello. Le variabili che possono essere valutate contemporaneamente sono: la distanza dall’edificio, l’altezza dell’edificio e la pendenza del tetto.
Nel complesso vengono prese in considerazione 4 diverse altezze e 4 inclinazioni del tetto differenti (fig. 6).
Come si può osservare nella figura 7 le diverse inclinazioni della copertura sono riconoscibili anche dai colori diversi: rosa per l’inclinazione di 15°, verde per l’inclinazione di 30° e giallo per l’inclinazione di 45°. Il colore riportato nelle celle rettangolari nel quale è suddiviso il rettangolo mettono in evidenza il fatto che nella cella che rappresenta una determinata combinazione di altezza edificio e distanza dell’osservatore l’elemento posto in copertura è o non è visibile, e se sì per quale inclinazione del tetto. Chiaramente nel caso di copertura piana, dove il collettore non sia inclinato non risulta visibile.
Considerando un edificio alto meno di 7 metri, il pannello posto su una copertura inclinata di 15° non è visibile da una distanza inferiore a 30 metri (come si può capire osservando l’intersezione tra la linea orizzontale che indica l’altezza degli edifici e la linea verticale che indica la distanza dall’edificio).
Nell’edificio alto 10 metri, dai 17 metri di distanza (tra 15 e 20 metri) si comincerà a vedere il pannello sul tetto inclinato di 45° (area gialla), a partire dai 22 metri se il tetto è inclinato di 30° come indica l’area gialla e verde che indica che il pannello è visibile sia da una copertura inclinata di 30° che di 45°.
Ad una distanza di 10 metri da un edificio alto 10 metri il pannello non è visibile per nessuna inclinazione, infatti la cella non è colorata (figg. 8, 9, 10).
4. Conclusioni
Gli strumenti semplificati di valutazione dell’impatto visivo di impianti da f.e.r. nei nostri contesti urbani hanno il ruolo sempre più importante di mitigare il conflitto tra la necessità di conservazione del nostro patrimonio urbano e di paesaggio e la necessità di ridurre l’impatto ambientale delle nostre città sempre più energivore. Gli strumenti sofisticati (come descritto per esempio nel caso dell’Università di Pisa), che permettono una verifica precisa e affidabile di un particolare caso specifico, spesso richiedono competenze specifiche, sia nella realizzazione dello studio, sia nella interpretazione dei risultati da parte delle autorità. Altri strumenti risultano sufficientemente semplificati da poter essere utilizzati in maniera diffusa da singoli, progettisti e autorità che devono approvare un intervento (si pensi ai lavori della SUPSI e del LESO). Questo approccio è quello che va nella direzione della normativa nazionale, orientata a favorire una diffusione capillare dell’impiego di tecnologie da f.e.r nel territorio nazionale. Tuttavia la normativa non lascia spazio alla valutazione di interventi in contesti sensibili che rispettino la duplice esigenza di conservare un’immagine armoniosa del luogo e diano un contributo positivo in termini energetici, che possono essere verificati dall’autorità locale. Lo strumento proposto prende in considerazione simultaneamente i tre aspetti - inclinazione della copertura, altezza dell’edificio, posizione dell’osservatore- che determinano la visibilità dell’elemento in copertura. Questo è un primo passo, ma propedeutico alla scelta dell’elemento e alla sua collocazione in copertura. Aspetti legati alla dimensione, alla forma, al colore e alla texture sono aspetti altrettanto importanti che rendono possibile una integrazione armoniosa in un contesto contemporaneo in continua evoluzione nel rispetto della memoria e dell’immagine originale di un manufatto architettonico.
È importante proseguire il lavoro in modo tale da inserire in uno strumento semplificato i gradi di accettabilità di un retrofit energetico di questo tipo che può variare in funzione del tipo di paesaggio, di cultura “ambientale” della cittadinanza e delle amministrazioni, in modo da incrociare con i tre parametri già presi in considerazione anche il parametro di qualità del componente progettato e le modalità di integrazione.
Note
1. (Decreto 10 settembre 2010: Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), previste dal DLgs 387/2003.
2. Il gruppo di professionisti incaricati era composto da: RTP Croci-Repellin, Prof. Ing. Giorgio Croci, Arch. Didier Repellin, Arch. Francesca Brancaccio, Arch. Nicolas Detry, Arch. Laurence Lobry, Arch. Pascal Prunet, Ing. Mario Biritognolo, Ing. Giuseppe Carluccio, Prof. Arch. Paolo Rocchi, consulente società B5 srl.
3. Il laser-scanner è composto da un trasmettitore, cioè un laser, di un ricevitore, rappresentato da un telescopio, e di un sistema di acquisizione dati.
L’autore
Valentina Dessì, Architetto, dottore di ricerca, ricercatrice TI ICAR 12 presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano.
Svolge attività di ricerca sul comfort degli spazi urbani e la valutazione delle prestazioni ambientali degli edifici. Insegna progettazione ambientale presso la Scuola AUIC del Politecnico di Milano.
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