Ricerca, sostenibilità e innovazione a cura di Filippo Angelucci

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Riqualificazione urbana tra resilienza e sostenibilità
Roberto Bologna, Paola Gallo
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Abstract
Il testo illustra le principali linee teoriche ed applicative che caratterizzano le attività scientifiche condotte negli ultimi anni in ambito ICAR12 da alcuni membri della sede di Firenze sui temi della Sostenibilità e Innovazione Tecnologica nella Progettazione dell’Ambiente Urbano, attraverso la descrizione degli aspetti metodologici ed i risultati di due ricerche frutto delle esperienze nazionali ed internazionali più recenti.
I lavori rappresentano alcune delle linee programmatiche di sviluppo della ricerca nel settore, con una prospettiva che mette al centro le problematiche dello sviluppo sostenibile nel rispetto e la tutela ambientale e sociale, ma che nell’insieme deve garantire una buona crescita economica dei territori su cui si incide.

Parole chiave:
PE8-11          Design del prodotto, ergonomia, interfaccia uomo-macchina
PE8-12          Progettazione sostenibile (per il riciclo, l’ambiente, l’eco-design)
SH3-1            Ambiente, risorse e sostenibilità

 

Premesse
Il potenziale di ricerca di un paese incide in maniera determinante sulla sua competitività nella società della conoscenza, se misurata come la capacità di produrre innovazione e, quindi, rispondere in maniera adeguata ai bisogni espressi dalla comunità.
Un sistema di ricerca  ben congegnato ed efficiente, strategicamente orientato, genera benessere economico così come forte coesione sociale; questa partita si gioca sia a livello nazionale che a livello internazionale, dove la capacità di un paese di competere sui mercati, dipende dal suo sistema di innovazione e della ricerca: fattori che incidono fortemente ai fini delle sua crescita economica. Crescita economica che si confronta con la crescita demografica unita agli effetti delle migrazioni i cui indicatori ad oggi sono ancora sconosciuti e che mettono in crisi un delicato equilibrio mai raggiunto tra domanda ed offerta sul mercato di abitazioni, servizi, mobilità, ecc. Il tutto senza contare il fabbisogno abitativo pregresso derivato, ad esempio,  dalle necessità di  edilizia residenziale pubblica per venire incontro alla domanda di coloro che non possono accedere al  mercato,  che si stima oggi sono non meno di 600mila unità. 
Quindi, nei decenni a venire tra nuova domanda abitativa e mobilità della popolazione, assisteremo ad un’ulteriore enorme pressione insediativa nei confronti del nostro territorio, determinata dalla  necessità di realizzare nuove abitazioni (quelle esistenti potranno solo in  parte soddisfare le dinamiche evidenziate), che, se questa tendenza sarà “sostenuta”, avverrà prevalentemente in contesti suburbani.
In un momento di mutazioni sempre più rapide, città e territorio si trovano quindi ad affrontare fasi di sviluppo che richiedono di elaborare sempre più, risposte adeguate per affrontare l’attuale crescita esponenziale. Un “know-how” che però non può prescindere dalla valutazione critica di un tessuto di strutture, di culture e di assetti ereditati” (Capestro 2012), e che prefigura uno scenario di risposte complesse basato tra continuità ed innovazione: continuità rispetto alla struttura del territorio consolidata, ereditata dalle stratificazioni e modificate dalle evoluzioni subite nel tempo; innovazione come risposta alle istanze  di vivibilità urbana sostenibile.
In questo quadro, le principali linee teoriche ed applicative che caratterizzano le attività scientifiche condotte negli ultimi anni in ambito ICAR12 da alcuni membri afferenti alla sede di Firenze sui temi della Sostenibilità e Innovazione Tecnologica nella Progettazione dell’Ambiente Urbano, si collocano quindi in molteplici contesti fisici e geografici con specifiche caratteristiche climatiche, inquadrate in ambiti sociali ed economici di grande rilievo, affiancando i molteplici ambiti produttivi che coadiuvano il lavoro del progettista; tutti considerati all’interno di una dialettica tra internazionale, nazionale e locale.
Tale lavoro si è sviluppato nel tempo con l’obiettivo di approcciare i problemi della progettazione in ambito urbano, con il presupposto di dare impulso all’impiego di tecnologie innovative adeguate ai contesti di riferimento, efficaci ma allo stesso tempo efficienti, capaci cioè di raggiungere l’obiettivo impiegando le risorse minime indispensabili nell’ottica della sostenibilità ambientale.
La ricerca della sede fiorentina, partendo da tali presupposti, si è svolta seguendo una ideale prospettiva del ciclo di vita, che inquadra le attività nel rispetto del rapporto tra capitale naturale e capitale antropico, con l’obiettivo di ridurre gli impatti degli edifici e delle città, senza però tralasciare la visione della sperimentazione come slancio concreto.
Tale aspetto è capace di offrire un nuovo sguardo nei confronti dei processi di trasformazione dell’ambiente nel quale viviamo, confrontandosi con vincoli e risorse che partono da una solida conoscenza dei temi trattati e da un robusto bagaglio di strumenti operativi, propri dell’esperienza di ricerca condotta dalla sede fino ad oggi.
Quindi una visione della città del futuro come scenario della competizione delle energie, delle risorse umane, delle intelligenze collettive, capaci di costruire una evoluzione sempre più compatibile con le vocazioni e le identità e più sostenibile nei confronti delle risorse del territorio.

Riqualificazione resiliente dello spazio urbano
Una delle tematiche trattate nella sede di Firenze, si confronta con l’Emergenza abitativa in relazione ai flussi migratori e all’urbanization of poverty.
Da qualche anno oltre metà (54%) della popolazione mondiale vive in insediamenti urbani ad alta densità abitativa, con un trend di crescita che vede nel 2050 la popolazione urbana toccare il 66% di quella mondiale (UNDESA, 2015). Questo fenomeno ha determinato una crescita delle aree urbane a ritmi elevati, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove si prevede la costruzione di almeno 70 milioni di nuove residenze ogni anno (UN-Habitat, 2003). Il processo di inurbamento riguarda perlopiù una popolazione povera con evidenti svantaggi di natura economica, sociale e culturale, che si adatta a vivere in insediamenti costituiti da abitazioni precarie senza infrastrutture di supporto, conosciuti con diversi nomi: bidonville, favelas, villas miseria, slums, shantytowns, baraccopoli (Sampò, 2012). Gli insediamenti informali, quasi sempre illegali e fuori dal controllo delle istituzioni pubbliche di governo sul territorio (anche nei paesi industrializzati), inducono condizioni di vita insostenibili sotto il profilo ambientale, oltre che sociale e culturale. La crescita spontanea degli agglomerati informali genera condizioni di rischio di varia natura: dal rischio idrogeologico per instabilità dei suoli a quello strutturale per inadeguatezza costruttiva, dal rischio sanitario per precarie condizioni di salubrità a quello sociale per l’attecchimento della criminalità.
Il fenomeno dell’inurbamento e della emergenza abitativa si è ulteriormente acuito per i flussi migratori che negli ultimi anni stanno interessando in particolar modo i paesi europei e del bacino mediterraneo (UNDESA, 2016). Conflitti, instabilità economica, perdita dei diritti umani e civili, disastri naturali e antropici, cambiamenti climatici spingono un numero elevato di persone a migrare in altri territori che a causa di ciò si trovano a fronteggiare una pressante domanda abitativa caratterizzata da instabilità temporale da parte di popolazioni colpite da gravi crisi sociali e economiche. A fronte di questa realtà l’attenzione si concentra sulla pianificazione degli insediamenti e la progettazione degli edifici, sia nel caso della riqualificazione dell’esistente sia nel caso della previsione di nuove espansioni. Si tratta di concepire un habitat in grado di soddisfare I livelli minimi esigenziali nel rispetto della qualità ambientale ed architettonica; ovverosia di lavorare sui concetti della “architettura di necessità” che presenta caratteri (economicità, essenzialità, semplicità costruttiva, reversibilità, riciclabilità ecc.) comuni a molte forme dell’abitare. Elevare il livello qualitativo significa superare quella condizione di precarietà, normalmente associata al concetto di provvisorio, e recuperare un livello di vivibilità più prossimo a quello ordinario, anche se in un regime transitorio; significa affrontare la questione dello spazio abitato resiliente rispetto alle urgenti dinamiche trasformative, riflettendo sulle nuove forme di vita aggregata, sulla produzione formale e informale della costruzione degli habitat, sulla metamorfosi della città e del territorio, sui diversi livelli di appropriazione dello spazio pubblico e privato, sui processi di integrazione nell’ambito di una società multiculturale, nella necessità di confrontarsi con le questioni relative allo sviluppo sostenibile ambientale, sociale e economico e alla fattibilità tecnica ed operativa degli interventi.

Aspetti metodologici e risultati della ricerca
Considerata la globalizzazione dei fenomeni e la dimensione internazionale dei problemi, le attività di ricerca nascono prevalentemente in un contesto di collaborazione con istituzioni straniere.
Nel caso specifico della riqualificazione degli insediamenti informali la ricerca si sviluppa nell’ambito di un accordo di cooperazione scientifica e culturale tra l’Università di Firenze e la Universidade Federal de Santa Caterina (Brasile), concretizzatosi attraverso un seminario teorico e progettuale che prende come base di riferimento metodologico l’analisi di uno specifico caso di studio (la favela Serrinha a Florianopolis nello Stato di Santa Catarina) (figg.1a,1b) e la elaborazione di indicatori progettuali per la riqualificazione sostenibile1. L’assenza di modelli che informano gli interventi di pianificazione territoriale e urbanistica di queste comunità è spesso causa di criticità tecnico-operative che possano orientare l’elaborazione progettuale di scenari attendibili. Questa carenza procedurale ha determinato l’esigenza di affrontare il problema del progettare per la città informale secondo una metodologia operativa finalizzata in prima istanza ad individuare le cause che determinano i fattori di criticità con l’obiettivo successivo di trovare soluzioni finalizzate ad incrementare la qualità degli insediamenti informali nel loro rapporto con il territorio (figg. 2a, 2b, 2c).
I criteri progettuali sono stati improntate alle seguenti considerazioni:
·    necessità di contenere il consumo di suolo all’interno della città informale, adottando nuovi modelli di occupazione pubblica delle aree non edificate strettamente legate alla cultura della favela che possano ospitare attività sociali e/o commerciali di servizio alla collettività;
·    necessità d’incrementare la superficie destinata ad ospitare aree verdi, intese sia come spazio fisico lineare (che serve a ridisegnare il limite della città informale) che come area non edificata da destinare a produzione agricola per il sostentamento;
·    necessità di elaborare modelli di espansione che permettano di ridurre il rischio idrogeologico a cui questo tipo di insediamenti è abitualmente sottoposto, adottando soluzioni che favoriscano il recupero e lo stoccaggio delle acque piovane;
·    necessità di incrementare soluzioni tecnologiche capaci di promuovere e supportare i processi di autocostruzione e tese a favorire l’utilizzazione di materiali riciclati e/o riciclabili;
·    integrazione a scala urbana ed edilizia di soluzioni passive per la massimizzazione della ventilazione naturale in luogo dei tradizionali sistemi di ventilazione meccanica.

Le proposte si sono basate sul concetto di infrastruttura inteso come elemento fondante dell’intervento di riqualificazione dell’insediamento, in grado di fornire i servizi di rete (viabilità, risorse energetiche, flussi di approvvigionamento e smaltimento ecc.) necessari per il funzionamento di un comparto residenziale, ipotizzando non solo le soluzioni tecniche e costruttive, ma anche un modello di intervento compatibile con le capacità di investimento e gestionali degli utenti, secondo un approccio tematico che ha dato i maggiori esiti positivi (Abbott, 2002) nel caso di riqualificazione degli insediamenti informali. Questa considerazione scaturisce dalla constatazione che, nel caso della favela di Serrinha, come per molte altre favelas brasiliane, la municipalità locale interviene abitualmente a posteriori investendo notevoli risorse economiche per sanare i problemi derivanti dalla mancata realizzazione dei servizi e delle infrastrutture generali al momento dell’insediamento spontaneo. In questo senso si assume che la municipalità competente si renda parte in causa del processo di riqualificazione secondo una logica infrastrutturale (Friedman, 2009). Nel caso specifico della favela Serrinha l’attività di ricerca progettuale (fig. 2)  ha inteso sintetizzare in un masterplan un modello evolutivo di rigenerazione, improntato alla traduzione del concetto di infrastruttura sociale in una rete fisica di spazi fondamentali alla comunità per sviluppare la propria identità e, allo stesso tempo, l’integrazione con la città formale secondo prioritarie strategie progettuali: regolamentare l’espansione urbanistica sul territorio ridefinendo i margini, determinare un modello insediativo compatibile con la tradizione culturale e le caratteristiche fisiche del contesto basato sui concetti di sostenibilità ambientale e coesione sociale, dotare il comparto residenziale dei servizi primari (strade, approvvigionamento idrico, rete elettrica, fognature ecc.) per il suo funzionamento, insediare servizi di interesse per la comunità: (centri sociali e culturali, centri per l’infanzia, servizi commerciali ecc.), garantire le condizioni minime di sicurezza rispetto ai rischi prevalenti di ordine strutturale, idrogeologico, igienico-sanitari, elettrici, stimolare le iniziative, la partecipazione e i processi di autodeterminazione della comunità (autocostruzione) in un quadro di regole generali, promuovere una economia locale e legale di auto-sostentamento.

 

Entropia Urbana e Sostenibilità
Nell’area della progettazione tecnologica per l’architettura, gli interlocutori principali della ricerca, sviluppata dalle Università e dai Centri di ricerca riconosciuti nell’area 08 (ingegneria ed architettura), sono principalmente le imprese di costruzioni, le aziende di produzione di componenti e sistemi per l’edilizia, così come gli enti locali (Municipalità, Province, Regioni) che rappresentano rispettivamente la comunità che produce conoscenza scientifica e tecnologica, quindi l’offerta, e la comunità che applica la conoscenza scientifica e tecnologica come capitale sociale e culturale, quindi la domanda (Gallo 2017).
In questo scenario e a partire dagli ultimi Programmi Quadro della ricerca europea, non ultimo  Horizon 2020, si è andato sempre più rafforzando il ruolo dell’offerta e cioè delle imprese e delle aziende richiamate a una compartecipazione sempre più vantaggiosa tra pubblico e privato, al fine di convertire la ricerca pura in ricerca applicata. Grazie infatti al determinante impulso dell’Unione Europea, è emersa sempre più la necessità di considerare gli obiettivi di sviluppo delle imprese all’interno di un concetto di competitività nuovo che si declina nella “capacità di un’economia di garantire alla propria popolazione, su basi sostenibili, livelli di vita elevati e in crescita e alti tassi di occupazione” (Lisbona 2000).
Tutto ciò ha posto le basi per un opportuno cambiamento nelle politiche produttive: lo sviluppo sostenibile esige il rispetto e la tutela ambientale nonché sociale che nell’insieme, devono garantire la crescita economica.
Alla dimensione economica e sociale dello sviluppo, l’Unione Europea (Consiglio Europeo di Göteborg del 2001) ha infatti aggiunto in modo esplicito la componente ambientale come occasione per migliorare il potenziale di innovazione tecnologica e degli investimenti che possono così generare occupazione e ricchezza. Negli ultimi difficili anni le imprese, per reggere la sfida all’internazionalizzazione dei mercati, hanno innovato i processi organizzativi e produttivi e i distretti hanno allargato i confini ed allungato le reti di relazione. Sempre più frequentemente però le imprese e le loro rappresentanze di fronte alle nuove frontiere della competizione tecnologica ed internazionale hanno sempre più evidenziato che la propria competitività è collegata anche a fattori di contesto e territoriali: da qui la necessità di una politica di sistema che punti ad un approccio integrato dei soggetti e delle azioni.
In riferimento quindi a quelle aree del nostro territorio maggiormente problematiche a livello ambientale, come ad esempio le aree industriali e/produttive, e seguendo questo impulso, un primo passo significativo negli ultimi anni è stato sicuramente quello di ampliare il concetto di recupero delle aree marginali e nel caso specifico delle aree produttive dismesse le quali, mediante l’istituzione di programmi comunitari2 e di strumenti nazionali3  sono diventate oggetto di riqualificazione del territorio, in quanto aree cardine nelle decisioni strategiche dell’Amministrazione Pubblica (fig 3).
In particolare, la sensibilità da parte delle Regioni nell’inserire le tematiche ambientali all’interno della pianificazione e la volontà di rendere tali iniziative sempre più programmatiche e standardizzate, hanno dato nuovo impulso al tema della governance del problema della rigenerazione e riuso anche delle aree produttive dismesse (Regione Marche 2005).
Una delle criticità maggiormente in evidenza però, nonostante tali iniziative, è ancora la mancanza di un concreto interesse nei confronti delle aree del tutto o in parte dismesse localizzate nei centri minori o nelle aree periferiche delle grandi città, in quanto scevre di quell’interesse immobiliare da parte delle grandi imprese di real estates e degli investitori che prediligono invece aree industriali e artigianali dismesse ben inserite nelle aree più sature del tessuto urbano, che spesso sono state oggetto di operazioni più o meno speculative di riconversione ad usi remunerativi (Cetica 1998).
Il fenomeno della dismissione industriale e della riqualificazione delle are ex-produttive, pone in gioco alcuni nodi complessi che occorre affrontare mediante strumenti della critica architettonica che tengano conto non solo del difficile rapporto tra il concetto di area disponibile come risorsa e concetto di patrimonio territoriale da preservare come valorizzazione documentaria, ma riguarda principalmente la difficoltà di misurarsi con una eredità materiale ed immateriale da gestire. Le aree industriali (sia esse di  nuova costruzione che in ristrutturazione) rappresentano quindi l’occasione per diventare scenario di una nuova generazione di aree produttive pensate in un’ottica ecologica; la gestione ambientale dell’area industriale, infatti, sempre secondo le normative vigenti ed i regolamenti emanati in merito4, deve costituire un vantaggio per le imprese in termini di maggiore sostenibilità nelle produzioni e manifestarsi con una maggiore qualità di vita all’interno dell’area industriale e nel territorio ove è localizzata (Gallo, Carletti 2000).

Sostenibilità nelle trasformazioni urbane: una concezione ritrovata

Molte amministrazioni quindi hanno colto l’occasione, interpretando le esigenze di rinnovo dei sistemi e dei processi produttivi, per creare un ambiente favorevole allo sviluppo delle imprese ed attuare nuove capacità, centrate non solo e non tanto sulla qualità del prodotto, ma anche sulla qualità del territorio che lo genera.
È in questo quadro che si è mossa la ricerca condotta da un ristretto gruppo di ricercatori della sede di Firenze5, nell’ambito di una convenzione con la Regione Toscana6 che si è articolata secondo alcune linee programmatica principali relative allo sviluppo di un nuovo concetto di area produttiva che tenga conto degli aspetti e degli effetti incidenti sul contesto ambientale in cui è insediata (Regione Toscana 2006).
L’attenzione di questa ricerca si è focalizzata su quanto già predisposto in ambito europeo e nazionale per quanto riguarda:
·    la ristrutturazione dei distretti industriali;
·    l’implementazione dei cluster d’impresa per il rafforzamento della capacità competitiva del sistema delle imprese;
·    l’interazione tra logiche di sviluppo esogeno e logiche di sviluppo endogeno;

Secondo tali prospettive, secondo gli indirizzi programmatici nazionali in merito alle aree industriali,  e nella direzione delle richieste della committenza, il programma di ricerca è stato orientato allo sviluppo di linee guida ed indirizzi programmatici per specifici processi e strategie finalizzate a realizzare interventi di progettazione e riconversione di aree dismesse, con l’obiettivo di trasformarle “da residuo in risorsa disponibile” per nuove organizzazioni urbane.Questo tema è stato introdotto in Italia dal D.Lgs. n. 112/98 cosiddetto “Decreto Bassanini” che ha individuato le cosiddette Aree Produttive Ecologicamente Attrezzate (APEA) rimandando alle singole regioni il compito di disciplinare la materia ponendo alcuni elementi di riferimento basilari quali:
1.   le aree ecologicamente attrezzate sono dotate delle infrastrutture e dei sistemi necessari a garantire la tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente;
2.   le aree ecologicamente attrezzate sono caratterizzate da forme di gestione unitaria delle infrastrutture e dei servizi;
3.   gli impianti produttivi localizzati nelle aree ecologicamente attrezzate sono esonerati dall’acquisizione delle autorizzazioni concernenti la utilizzazione dei servizi ivi presenti.

In questo panorama legislativo nazionale i dettami regionali emanati fino ad oggi hanno avuto l’obiettivo generale di verificare l’opportunità strategica per la realizzazione e/o riqualificazione di insediamenti produttivi ecologicamente attrezzati sui territori regionali, e definire così un nuovo paesaggio antropico eco-sostenibile con il raggiungimento della qualità di inserimento ambientale delle infrastrutture. L’obiettivo, secondo tali premesse, è stato quello di definire una metodologia innovativa per rigenerare e progettare aree industriali con destinazione ad uso produttivo, con lo scopo di convertire il processo di trasformazione da emergenza ambientale ad opportunità di sviluppo nei territori.

Intenti del lavoro di ricerca applicata

La ricognizione sullo stato di attuazione del modello insediativo delle APEA, restituisce una panoramica molto frastagliata, dato che sono poche7 le Regioni che sono andate oltre il mero recepimento formale della delega, anche se, laddove non esistono leggi specificatamente dedicate a queste aree, sono però in vigore norme che agevolano la gestione ambientale delle arree produttive o la creazione di Parchi Eco-Industriali (Bollini, Borsari, Stacchini 2007). La Regione Toscana, a partire dal Piano Regionale di Azione Ambientale 2007-2010, ha messo a frutto comunque questa peculiarità, attivando alcune iniziative con il coinvolgimento dei principali attori che concorrono alla gestione ambientale delle aree produttive, con lo scopo di estrapolare, dalle esperienze maturate dagli insediamenti produttivi più avanzati e dall’analisi dei casi eccellenti affinata dal confronto con analoghi contesti extraregionali, un sistema compiuto di riferimenti regolamentari e di indicazioni operative che renda applicabile con profitto anche in Toscana lo strumento APEA.
Nel corso di questi ultimi anni quindi è emersa chiaramente la necessità di presidiare una normativa così innovativa e complessa attraverso l’attivazione di vari livelli di confronto, sia a livello nazionale con le istituzioni centrali e con le altre Regioni, che a livello locale con i vari portatori di interesse. Ed è a questa scala, e per raggiungere gli obiettivi proposti dal decreto istitutivo, che il tavolo di lavoro costituito tra la Regione Toscana, il Dipartimento di Architettura8 e La Scuola Superiore di S. Anna di Pisa, è stato finalizzato alla costituzione di un regolamento, non prescrittivo e di correlate linee guida, per indirizzare in chiave sostenibile la progettazione di queste particolari aree urbane: uno specifico documento per affrontare in modo esauriente tutti gli aspetti e consentire di definire le migliori modalità operative per realizzazione di queste aree (fig. 4).
Secondo l’impostazione dei requisiti per un’APEA sostanzialmente condivisa dalle Regioni che hanno elaborato indicazioni in materia (con alcune differenze applicative), il lavoro condotto dal gruppo di ricerca si è articolato in tre livelli di azione:
·    innanzitutto, la ricerca di prestazioni di eccellenza nelle APEA che deve necessariamente partire dal modo in cui vengono concepiti gli spazi all’interno dell’area industriale, dalla progettazione delle reti tecnologiche e viarie, alla formulazione delle regole che ne disciplinano l’urbanizzazione;
·    il secondo livello di azione si è focalizzato sulla dimensione tecnica dell’allestimento delle strutture dell’area (es. le strutture edilizie) e riguarda, ad esempio, l’applicazione delle migliori tecniche disponibili sotto il profilo ambientale (es. reti duali per quanto riguarda il ciclo delle acque, l’autoproduzione dell’energia, ecc.) ovvero la realizzazione di spazi e impianti comuni anziché di singolo sito aziendale (es. aree di stoccaggio dei rifiuti collettivi, vasche di raccolta e trattamento delle acque meteoriche a servizio di più imprese);
·    il terzo livello di azione ha previsto l’ottimizzazione delle sinergie organizzative e gestionali attivabili tra le diverse imprese insediate, nonché le opportunità di gestione unitaria degli spazi e degli impianti centralizzati (es. attivazione di un commercio per il recupero dei rifiuti tra: raccolta differenziata “porta a porta” dei rifiuti, mobility management, energy management, ecc.).

In particolare, la struttura per la redazione delle Linee Guida perseguita dal gruppo di ricerca è stata concepita allo scopo di illustrare e definire quali sono le principali motivazioni strategiche, le opportunità ed i benefici derivanti dallo sviluppo delle APEA nel tessuto economico e produttivo locale.

Gli obiettivi strategici e le azioni per la definizione dei risultati della ricerca

La metodologia utilizzata per la redazione delle Linee guida con riferimento alle modalità di realizzazione di un’APEA”, ha visto in prima istanza l’individuazione delle Tematiche Ambientali caratterizzanti alle quali corrispondono una serie di Obiettivi Strategici che annunciano Azioni concrete per il soddisfacimento dei requisiti necessari di un’APEA. In particolare, le singole tematiche hanno messo in rilievo i punti essenziali per la pianificazione e lo sviluppo sostenibile, per meglio definire le diverse attrezzature che un’area produttiva dovrà possedere per essere definita eco-compatibile.
Dopo una prima verifica comparativa tra gli obiettivi e gli interventi prioritari previsti, con gli indirizzi di politica regionale e con le reali esigenze derivanti in particolare dall’ambito produttivo, sono state messe a sistema le diverse azioni per il raggiungimento degli obiettivi attraverso cui è stato possibile definire le strategie maggiormente efficaci per la qualificazione ambientale degli ambiti produttivi e industriali.
Nella determinazione delle azioni, si è però reso necessario individuare i campi di applicazione per ognuna di esse, attraverso l’indicazione di tre parametri tecnici di riferimento9, che rappresentano i livelli di attuazione principale delle diverse azioni, per il raggiungimento della qualifica di area produttiva ecologicamente attrezzata.
In particolare i livelli individuati sono:
·    gestione unitaria dell’area attraverso l’amministrazione del Soggetto Gestore, responsabile della programmazione delle attività, della gestione delle infrastrutture comuni, degli aspetti economici d’area;
·    contenuti di Pianificazione urbanistica territoriale, che costituiscono un ruolo chiave non solo nelle scelte di localizzazione dell’insediamento, ma anche nei sistemi di accessibilità all’area, nel masterplan di progetto, nel collegamento con gli insediamenti urbani e sistemi territoriali adiacenti all’area;
·    coinvolgimento delle aziende insediate o da insediare, responsabili della corretta gestione all’interno dei singoli insediamenti, i cui requisiti ambientali costituiscono la condizione neccessaria per l’appartenenza ad una APEA.

Il lavoro si è concluso con l’emanazione del Regolamento che disciplina le aree APEA in Toscana affinché queste possano contribuire alla creazione di un modello di governo del territorio orientato alla sostenibilità e fondato su relazioni collaborative tra soggetti pubblici e privati, e la successiva pubblicazione delle Linee Guida, vero e proprio strumento di lavoro rivolto a tutti i soggetti (amministratori, tecnici, professionisti, imprenditori), interessati a realizzare un insediamento produttivo con le caratteristiche delle APEA10.

 

Prospettive di sviluppo
Gli ambiti tematici affrontati dalle ricerche aprono la discussione su molteplici questioni. Un primo ambito di riflessione è il ruolo del progettista e la partecipazione degli attori al processo progettuale. In un mondo dove tutto è progettazione e tutti progettano (Manzini, 2015) il ruolo del progettista architetto-urbanista non è più quello del demiurgo dispensatore di soluzioni, ma piuttosto di un mediatore culturale che facilità il dialogo e stimola l’apporto e la partecipazione di tutti i portatori di interesse; una figura in grado di recepire da un lato le istanze della collettività e degli enti di governo territoriale e dall’altro le esigenze degli utenti reali. Solo in questo modo è possibile addivenire preventivamente ad una risoluzione delle aree di conflitto, come quelle richiamate tipicamente delle ricerche, al fine di garantire il migliore risultato qualitativo.
Una seconda questione riguarda il progetto dello spazio urbano e del territorio secondo criteri di adattabilità e flessibilità nel tempo che consentano di limitare le “ipoteche” e i vincoli di suolo permanenti, ma garantiscano di evolversi seguendo le dinamiche trasformative sociali ed economiche, secondo il concetto di temporary urbanism (Bishop e Williams, 2012).
Una terza e ultima questione riguarda il concetto della green economy che vede prioritariamente interessato il settore delle costruzioni sia per la consistenza degli investimenti sia per l’impatto che genera sull’ambiente. Questo vuol dire introdurre il principio di economia circolare (riciclo, riutilizzo, rigenerazione) e stimolare nuovi modelli di economia nei processi produttivi tanto quanto nelle logiche di insediamento, tenendo conto delle specifiche realtà territoriali e valorizzando, allo stesso tempo, il capitale umano, il capitale naturale, il capitale culturale e il capotale sociale.

 

Note 

1. La ricerca è stata condotta a partire dal 2013 sotto la responsabilità scientifica del Prof. Roberto Bologna con la partecipazione di docenti e ricercatori delle sedi di Firenze e di Florianopolis.
2. LEADER Programme (current programme 2014/2020) e URBAN Programme, rientrano nelle iniziative finanziate dalla Comunità Europea a supporto di progetti per lo sviluppo dei territori secondo
3. come i PRU (programmi di recupero urbano quali strumenti per trasformare tessuti urbani consolidati per favorire una più equilibrata distribuzione dei servizi e delle infrastrutture e migliorare la qualità ambientale e architettonica dello spazio urbano, al fine di eliminare le condizioni di abbandono e di degrado edilizio, ambientale e sociale che investono le aree urbanizzate) o i Patti Territoriali fino alla Programmazione Negoziata
4.  Il D.Lgs. n. 112/98 cosiddetto “Decreto Bassanini” che, all’art. 26, indica: “Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano, con proprie leggi, le aree industriali e le aree ecologicamente attrezzate, dotate delle infrastrutture e dei sistemi necessari a garantire la tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente….OMISSIS.” introduce in Italia il tema delle Aree Produttive Ecologicamente Attrezzate
5. Il Comitato Tecnico Scientifico per la redazione del Regolamento e delle Linee Guida della regione Toscana è composto, dal gruppo di lavoro regionale della D.G. Sviluppo Sostenibile con la partecipazione delle Università quali la Scuola Superiore di S. Anna di Pisa e l’Università degli Studi di Firenze. In particolare per quest’ultima, il gruppo di ricerca è stato coordinato dai Proff. Marco Sala e Paola Gallo, con la partecipazione dell’Arch. PhD Valentina Gianfrate.
6. DR. Toscana n° 6269 del 06 Dicembre 2007in attuazione al  PRAA 2007-2010. Attuazione del macrobiettivo E5 - Obiettivo specifico “Promozione delle Aree Produttive Ecologicamente  Attrezzate -  A.P.E.A.”
7. La convenzione di Ricerca è stata stipulata dal Dipartimento TAeD (Tecnologie dell’Architettura e Design), che è poi confluito per effetto dell’attuale Legge Gelmini, nel Dipartimento di Architettura DIDA (Dipartimento Di Architettura) dell’Università degli Studi di Firenze
8. Le Regioni che, ad oggi, hanno disciplinato il tema delle APEA secondo tale decreto, sono ancora poche (Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Liguria, Marche, Puglia e Toscana); tra queste solo alcune (come la Toscana, Emilia Romagna e Marche) hanno attivato una molteplicità di iniziative (condotto progetti sperimentali, elaborato linee guida, erogato finanziamenti), mentre altre stanno ancora programmando le proprie strategie di sviluppo sul territorio.
9.  In linea con quanto disposto dall’art. 18 della L.R. 61 del 2003 della Toscana
10.  Regione Toscana, 2009a. Regolamento Regionale n. 74/r in materia di Aree produttive ecologicamente attrezzate (APEA) in attuazione dell’articolo 18 della legge regionale 10 dicembre 1998, n. 87  Firenze, Regione Toscana. Regione Toscana, 2009b. Deliberazione della Giunta Regionale n. 1245 Approvazione del documento “Criteri per la definizione delle prestazioni ambientali delle Aree produttive ecologicamente attrezzate e Linee guida (http://www.regione.toscana.it/-/l-applicazione-della-disciplina-toscana-sulle-aree-produttive-ecologicamente-attrezzate-metodologia-e-casi-studio).

 

Gli Autori

Roberto Bologna (1959), Architetto e Dottore di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura, Professore Ordinario di Tecnologia dell’Architettura (ICAR12) presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze.
Paola Gallo (1964), Architetto, Dottore di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura è Professore Associato di Tecnologia dell’Architettura (ICAR12) presso il Dipartimento DIDA dell’Università degli Studi di Firenze.  Segretario scientifico del Centro ABITA svolge la sua attività di ricerca nell’ambito tematico dell’innovazione tecnica e tecnologica nel progetto di architettura.

 

Riferimenti bibliografici

Abbott J. (2002), An analysis of informal settlement upgrading and critique of existing methodological approaches, Habitat International, n. 26/2002, p. 303-315.
Bishop P., Williams L. (2012), The Temporary City, Routledge, London.
Bologna R., (2016), The requalification of the informal city. The favela Serrinha in Florianopolis. TECHNE, vol. 11, pp. 194-200, ISSN:2239-0243.
Bologna R., Gallo P., Romano R., Calcagno G., (2016), Living the informal city. Sustainable design education in risk areas. In: PLEA 2016: 32nd International Conference on Passive and Low Energy Architecture, Los Angeles, 11-13 July, PLEA 2016 Los Angeles, pp. 833-839, ISBN:978-0-692-74961-6.
Capestro A. (2012), Progettando città. Riflessioni sul metodo della progettazione urbana, Firenze University press, Firenze.
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