Parole chiave:
Habitat urbano, Progettazione tecnologico-ambientale, Trans-scalarità/Tran-disciplinarità
[continua da EWT #12]
Le innovazioni tecniche sono certamente entrate a far parte a pieno titolo nelle dinamiche di mantenimento, recupero e trasformazione delle città. Basta pensare alla diffusione dei dispositivi di monitoraggio, interazione, comunicazione, autoregolazione e di sicurezza con cui si tende, forse anche con un approccio di eccessiva semplificazione, a rideclinare le città contemporanee come entità insediative sempre più smart, globalizzate, connesse e vivibili. Il rischio che però può delinearsi dall’applicazione senza progetto dei prodotti dell’ultima grande rivoluzione tecnico-informatica è dato dalla tentazione del trasferimento asettico nell’ambiente costruito urbano di dispositivi che, spesso, risultano estranei ai codici comunicativi e alle prassi funzionali e percettive del vivere insieme la città.
In merito a questo rischio può essere utile riprendere le riflessioni di due autori che, da qualche tempo, indagano sulle possibili interazioni e interferenze delle innovazioni tecniche nelle dinamiche fruizionali e gestionali dello spazio urbano. La sedimentazione di oggetti tecnici nella città, in assenza di un’adeguata riflessione progettuale, potrà solo condurre a quella che Dorfles ha definito “congestione semiotica” che produce rumore, disturbo nello spazio urbano e un allontanamento dalle esigenze reali degli abitanti (Dorfles, 2008).
Ma anche la mancanza di un appropriato ragionamento sulle potenzialità innovative che tali tecniche possiedono può in realtà alimentare quella che Carlo Ratti definisce l’assenza di una visione di rete della città, intesa come principale causa inibitrice per lo sviluppo di un’architettura urbana “open source” (Ratti, 2014 ).
In entrambi i casi si rischierebbe di generare una condizione diffusa di insostenibilità dell’ambiente urbano. Nel primo caso, per un’irrimediabile snaturalizzazione delle relazioni tra abitanti, città e contesto, in nome di una reiterazione del mito moderno della città-macchina che può illusoriamente sostenersi senza ambiente. Nel secondo caso, per un’eccessiva ed esclusivistica compartimentazione delle connessioni informazionali, socioeconomiche e biologiche insite nell’idea di una urbs che vive priva di una propria civitas, con il pericolo di utopie e derive vecchie o nuove di tipo autoritario (Clementi, 2016).
Tuttavia, la già citata crisi economica e le rapide evoluzioni meteorologiche estreme indotte dai cambiamenti del clima hanno già determinato un generale riorientamento dei temi chiave della sostenibilità delle città.
L’ampliamento del concetto di sostenibilità urbana, attraverso nuovi paradigmi che pongono al centro delle finalità del progetto le condizioni e le capacità della città di essere più resiliente, inclusiva, sicura, vitale, creativa, autonoma, curativa, sta facendo emergere scenari operativi totalmente differenti dalle logiche di intervento specialistiche adottate fino a oggi.
L’ambito della progettazione urbana è evidentemente chiamato in causa, per primo, su queste tematiche, dovendo assumere decisioni e responsabilità che riguardano direttamente l’idea di città e dei suoi possibili orizzonti di sopravvivenza a fronte di questa importante fase di transizione (Lo Sasso, 2015).
Il ritorno a una dimensione riflessiva sui vantaggi del vivere insieme in città per fronteggiare la scarsità di risorse (suoli, alimenti, energia) e i fenomeni emergenziali (sociali, migratori, geopolitici) (Secchi, 2013) sta però comportando anche un re-indirizzamento delle ricerche sul progetto sostenibile della città, focalizzandone le implicazioni di natura tecnologica (Faroldi, 2015). Ponendo quindi domande che si soffermano sulla ridefinizione delle ragioni essenziali delle innovazioni tecniche per la città e delle loro conseguenti risposte costruttive nella configurazione degli spazi dell’urbanità.
Sono allora anche e soprattutto le discipline tecnologiche dell’architettura ad aver intrapreso un percorso di ri-codificazione di approcci, metodi e significati della progettazione, esplorandone le loro ricadute nel passaggio da una tecnologia edilizio-architettonica a una tecnologia per gli habitat urbani (Schiaffonati et al./ 2011).
Intorno a tali nodi problematici, con questo numero di EWT si conclude l’esplorazione condotta nelle scuole di Architettura italiane sulle ricerche che affrontano il rapporto tra sostenibilità e innovazioni tecnologiche nella progettazione dell’ambiente urbano1.
Di questa esperienza si può tracciare una prima sintesi dalla quale emerge la necessità di ripensare i processi d’innovazione tecnica che riguardano l’ambiente costruito urbano entro un campo d’indagine molto più ampio e de-settorializzato. Condizione che incorpora, potremmo dire nel codice genetico della logica di ricerca scientifica, la diversità intrinseca di abitanti e utenti della città, l’estrema variabilità degli assetti contestuali (nelle loro specificità climatiche, socioeconomiche, politiche, culturali) e, non come ultimo aspetto, la consapevolezza di una debolezza interna del progetto dell’ambiente urbano se inteso nell’accezione classico-moderna (ma anche postmoderna), come intervento pre-ordinato e immutevole nelle sue caratteristiche fisiche, tecniche e formali.
Sono due gli aspetti da evidenziare in questo primo2 bilancio della ricerca compiuta.
Il primo riguarda la diversa accezione con cui vedere gli orizzonti d’interesse e le competenze delle discipline tecnologiche dell’architettura, ormai non più relegabili entro l’esclusiva dimensione edilizia del progetto; aspetto questo che rimanda ai ruoli, ma anche alle relazioni – alcune ormai consolidate, altre totalmente nuove – che le discipline tecnologiche assumono nella cultura del progetto urbano.
Il secondo aspetto riguarda invece la centralità della sperimentazione progettuale come parte necessaria e attiva nella ricerca tecnologica sugli habitat antropici e che costituisce un importante elemento d’innovazione sia nel campo dell’organizzazione didattica, sia nel rilancio della competitività delle scuole di Architettura italiane rispetto alle nuove sfide formative nazionali e internazionali3 (Ferorelli e Trotti, 2012), (Garofalo, 2016), (Campioli, 2016).
Per quanto riguarda il primo aspetto, tutte le ricerche censite si collocano in un quadro di rapporti che le discipline tecnologiche dell’architettura hanno intrapreso con altri settori scientifici (della pianificazione, dell’ingegneria, delle scienze geologiche e naturalistiche) e nel contesto della produzione contemporanea del progetto. Si tratta di un aspetto che mette in gioco diverse e importanti ricadute per il governo delle relazioni tra innovazioni tecniche e sostenibilità urbana.
Una di queste ricadute è senz’altro determinata dalla necessità di individuare un’innovazione negli approcci, metodi e strumenti per armonizzare, in modo inter-disciplinare, i processi di mediazione e cooperazione tra vari attori e saperi che partecipano nella progettazione e nella trasformazione dell’habitat urbano. Innovazioni che permettono di agire in quelle che sono state definite “terre di nessuno” (Di Battista e Giallocosta, 2005) risultanti dall’eccessiva frammentazione delle attività decisionali e attuative, tra la pianificazione e l’esecuzione delle azioni tecniche. Un’altra ricaduta consegue dall’urgenza di una ricomposizione, nel progetto urbano, degli aspetti che riguardano la definizione e il raggiungimento di una qualità sostenibile e integrata della città. Qualità che deve oggi essere declinata sia in senso più strettamente prestazionale, parametrizzabile e verificabile, sia in termini di capacità di dare organizzazioni e forme agli spazi, ai servizi e alle infrastrutture urbane, cercando nuove configurazioni dialogiche, coerenti e multi/pluridisciplinari, tra aspetti tecnico-scientifici e umanistico-culturali. La terza ricaduta è generata dalla consapevolezza di dover ormai estendere fino a livello urbano-territoriale la logica sistemico-organica, ormai oggettivamente integrata nella cultura tecnologica del progetto sostenibile degli edifici. Portandola quindi a operare in una dimensione a-scalare e trans-disciplinare con cui riannodare relazioni tecnologiche tra disponibilità delle risorse locali, trasferimenti di materiali, soluzioni e componenti provenienti dal mercato globale e capacità progettuali top down e bottom up insite nel territorio (Dierna, 2005).
Il secondo aspetto rilevante, emerso dalla ricerca, è infine sicuramente da individuarsi nel progressivo passaggio da una cultura della progettazione tecnologica tout court, concentrata esclusivamente sugli aspetti tecnico-costruttivi della fase di cantierizzazione delle opere, verso una progettazione tecnologico-ambientale in cui si confrontano i processi di immaginazione e di creazione ai diversi livelli della trasformazione dell’ambiente costruito (Torricelli, 2011). Un progettare quindi che pone al centro delle proprie finalità e in tutte le sue specifiche fasi metodologico-conoscitive, la “pratica del costruire connessioni” (Guazzo, 2016), attraverso nuovi codici di lettura, interpretazione e modellizzazione della realtà, per comprenderne le complesse dinamiche interattive, le incertezze e, soprattutto, per ipotizzarne un’evolutività in termini ecologico-trasformativi.
Visione questa fondamentale nell’attuale fase di transizione delle città piccole e grandi che si rende sempre più necessaria per evitare la riproposizione di soluzioni tecniche passatiste fondate su un integrale rifiuto delle innovazioni, ma anche le posizioni neo-positiviste basate sull’innovazione a tutti i costi. Condizione imprescindibile però, quella del progetto, anche nella pratica della ricerca accademica, a fronte del tendenziale ri-orientamento delle attività scientifiche nella direzione di una loro immediata ricaduta nei percorsi di formazione didattica e nei processi d’innovazione socio-economica del territorio.
In questo senso, nelle esperienze di ricerca dei gruppi che hanno aderito all’iniziativa, si riscontrano, oltre ai già citati elementi comuni di carattere metodologico, anche specifici atteggiamenti progettuali che si soffermano non sulla caratterizzazione estetico-formale dello spazio urbano, ma sulla ben più complessa e impegnativa riflessione intorno alle ricadute effettive delle innovazioni indotte dal progetto nelle dinamiche evolutive, riproduttive e metaboliche del sistema città.
È una declinazione del fare progetto nel senso più ampio di una ricerca dei livelli responsabili e appropriati d’intervento innovativo nella città reale (presente e futuribile) ed entro cui si riconoscono tre principali momenti sperimentali.
Lo scenarismo tecnologico, concepito come momento di esplorazione della domanda effettiva d’innovazione nell’ambiente costruito urbano, dei bisogni e delle esigenze espresse dall’utenza reale, dell’analisi parametrica delle variabili di contesto e della conseguente individuazione delle ricadute della ricerca scientifica come prefigurazioni delle possibili realtà alternative e desiderabili della città.
La simulazione sperimentale, intesa come proiezione dei livelli di fattibilità tecnica delle proposte innovative che una ricerca può mettere in gioco nella trasformazione della città, verificandone le condizioni di compatibilità con le prefigurazioni di scenario e i gradi di flessibilità e adattabilità in ipotetiche situazioni limite.
La contestualizzazione pertinente, come sistema di attività che comportano il trasferimento dei risultati della ricerca non in progetti compiuti e definiti nella città – rischiando di confondere il senso della speculazione scientifica di base e applicata con le competenze e specificità della pratica professionale – ma a costituire apparati di conoscenze e strumenti a supporto dei processi decisionali e progettuali e in grado di indurre una cultura dell’innovazione come confronto continuo con le dimensioni globali e locali dell’habitat urbano. In pratica, programmando specifiche applicazioni induttivo-progettuali su casi di studio pilota, per evidenziare le potenzialità e debolezze della ricerca scientifica, ma anche per farle diventare un prezioso humus esperienziale da condividere nei percorsi formativi o per alimentare iniziative d’imprenditoria sinergica tra ricerca e territorio.
I ragionamenti tecnologici in atto sui temi dell’innovazione degli habitat urbani e testimoniati dalle esperienze presentate negli ultimi tre numeri di EcoWebTown, in questo senso, fanno emergere un’importante sfida da affrontare nei prossimi anni attraverso la ricerca scientifica.Una sfida che può essere riassunta nella necessità di superare la dialettica edificio-ambiente-città per quindi indagare, prima ancora di progettare, le relazioni inesplorate tra saperi, conoscenze e pratiche (tecniche, ecologiche, gestionali, economiche e legislative) che dovranno concorrere armonicamente nella definizione delle qualità dell’habitat urbano.
In questa direzione, per riprendere l’esortazione di Edgar Morin sulla necessità di definire una nuova forma di sapere “pertinente” per affrontare i temi reali della sostenibilità, è auspicabile che il dialogo e lo scambio tra le discipline che operano, da diversi punti di vista, sul sistema città possano entrare a fare parte sempre più nella quotidianità delle esperienze di ricerca e didattica delle scuole italiane di Architettura.
Note
1. La ricerca Sostenibilità e Innovazione nel Progetto della Città è stata avviata nel 2014 e ha visto coinvolti vari raggruppamenti di ricerca appartenenti all’area delle discipline tecnologiche dell’architettura che operano negli atenei italiani e le cui esperienze sono state documentate nei numeri 10/11-2014 e 12/2015.
2. Per ulteriori specifiche sui risultati emersi dalla ricerca si rimanda al mio contributo “L’habitat urbano: un possibile campo di esplorazioni e nuove sinergie per la progettazione tecnologica”, presentato in occasione del seminario La Progettazione tecnologica e gli scenari della ricerca, organizzato dalla SITdA, Società Italiana della Tecnologia dell’Architettura e svoltosi presso il Politecnico di Milano il 16 settembre 2016. Atti del seminario in fase di pubblicazione.
3. Si confronti in merito a questo tema il famoso elenco degli 11 punti allegato all’articolo 46, Paragrafo 1 della Direttiva 2005/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005 relativo al riconoscimento delle qualifiche professionali. Sulle questioni indotte dai contenuti dell’elenco nell’organizzazione della didattica delle scuole italiane di Architettura, Francesco Garofalo ha dato un suo importante ultimo contributo in “Uno spettro di aggira per l’Europa”. Cfr. rif. bibl.
Riferimenti bibliografici
Campioli. A. (2016). “Tecnologia dell’architettura: un aggiornamento identitario”. In Perriccioli, M., a cura di, Pensiero tecnico e cultura del progetto. Riflessioni sulla ricerca tecnologica in architettura, pp. 65-78, FrancoAngeli, Milano.
Clementi, A. (2016). “L’ipotesi Eco Web Town”. In Forme imminenti. Città e innovazione urbana, pp. 193-215, List, Rovereto.
Di Battista, V., Giallocosta, G. a cura di, (2005). “Prolusione”. In La terra di nessuno. Tra il piano e il progetto. Alinea Editrice, Firenze.
Dierna, S. (2005). “Introduzione”. In Dierna, S., Orlandi, F. a cura di, Buone pratiche per il quartiere ecologico, pp.9-17, Alinea Editrice, Firenze.
Dorfles, G. (2008). “Horror Pleni”. In Horror Pleni. La (in) civiltà del rumore, pp. 13-49, Castelvecchi, Roma.
Faroldi, E. (2015). “Strategie regenerative per il territorio, la città, l’architettura/Regenerative strategies for land, city and architecture”. In TECHNE n.10/2015, Rigenerazione urbana/Urban Regeneration, pp. 6-10, Firenze University Press, Firenze.
Ferorelli, R., Trotti, S. (2012). Italia: un’indagine sull’accademia. In Domus n:964/2012, pp. 78-87, Editoriale Domus, Milano.
Garofalo, F. (2016). “Uno spettro si aggira per l’Europa”. In Lupano, M. a cura di, Francesco Garofalo. Cos’è successo all’architettura italiana, pp. 7-9, Marsilio Editore, Padova.
Guazzo, G. (2016). “La ricerca di una difficile identità”. In Perriccioli, M., a cura di, Pensiero tecnico e cultura del progetto. Riflessioni sulla ricerca tecnologica in architettura, pp. 55-64, FrancoAngeli, Milano.
Lo Sasso, M. (2015). “Rigenerazione urbana. Prospettive di innovazione/Urban Regeneration. Innovative Perspectives”. In TECHNE n.10/2015, Rigenerazione urbana/Urban Regeneration, pp. 4-5, Firenze University Press, Firenze.
Ratti, C. (2014). “Imparare dalla rete. Paradigmi partecipativi nel mondo digitale”. In Architettura Open Source. Verso una progettazione aperta, pp. 64-82, Giulio Einaudi editore, Torino.
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Torricelli, M.C. (2011). “Progettazione tecnologica – ricerca e pratica nel progetto di architettura”. In TECHNE n.02/2011, pp. 16-23, Firenze University Press, Firenze.