Questo numero di EcoWebTown conclude la prima fase di vita della rivista, orientata soprattutto a esplorare le ricadute sul progetto dei valori di sostenibilità che ormai permeano (o meglio dovrebbero permeare) ogni atto di trasformazione dell’esistente. Abbiamo a lungo riflettuto sulla problematicità del modo d’intendere la sostenibilità, tanto più sfuggente quanto più vengano effettivamente messe in gioco le sue dimensioni costitutive, che intrecciano la complessità dei metabolismi naturali urbani con le dinamiche dell’economico e del sociale, fino a includere il biopolitico, dimensione guattariana dei territori esistenziali, che rinvia al nostro modo di abitare e di percepire il mondo da noi stessi costruito.
Siamo diventati sempre più consapevoli di quanto la linearità dei procedimenti cognitivi e progettuali di stampo positivista che inonda la letteratura sulla sostenibilità sia del tutto inadeguata rispetto alla fertile laboriosità che deve caratterizzare il processo della progettazione, chiamato a contemperare criticamente le ragioni della sostenibilità con quelle del senso, della qualità e della fattibilità degli interventi per la città e il territorio. E ci rendiamo anche conto di quanto la cultura del Sustainability Sensitive Urban Design sia debitrice nei confronti di un’accezione più totalizzante del progetto, che non può e non deve essere svuotata dal ricorso alle onnipotenti tecnologie della sostenibilità, mirate unicamente al miglioramento delle performance funzionali e ambientali della città. Come del resto l’attenzione crescente al Web, all’interazione tra mondo fisico e digitale accompagnata dall’estensione irrefrenabile dell’Internet delle cose, non può assolutamente sostituirsi alla natura critica dei procedimenti progettuali, anche quando si ammanta del nobile obiettivo di contribuire ad accrescere l’intelligenza diffusa consentendo processi di partecipazione più informati e consapevoli.
Con il prossimo numero si apre una seconda fase, in cui l’attenzione della rivista sarà rivolta in modo più accentuato ai temi del progetto urbano, avendo comunque dato per scontato che continueranno a essere importanti i principi di sostenibilità e quelli di gestione efficace resi possibili dai sistemi digitali data-driven, che tra l’altro consentono un monitoraggio in presa diretta circa gli effetti generati dagli interventi.
In effetti, è giunto il tempo di ripensare profondamente e complessivamente il progetto urbano. È sotto gli occhi di tutti la profonda crisi che negli ultimi anni l’ha investito, in Italia ma anche altrove. In breve, si può ragionevolmente affermare che la crisi è dovuta in gran parte ad alcuni difetti costitutivi, quali l’eccessiva rigidità, farraginosità e formalismo, aggravati dall’esposizione a una prolungata recessione economica, che ha scoraggiato gli investimenti urbani a medio e lungo termine. Per questi e altri motivi il progetto urbano è diventato sempre meno adatto alla ricerca del consenso e alle necessità operative delle attuali politiche, in misura crescente di carattere congiunturale e tendenzialmente rivolte a privilegiare interventi puntuali immediatamente cantierabili, non importa se al di fuori di una qualsiasi visione d’insieme.
Se si vuole tentare di recuperare la credibilità del Progetto urbano, opponendosi all’eclissi di un metodo ancora indispensabile per conferire valore aggiunto alle trasformazioni della città, occorre rivederne criticamente l’impianto di pensiero, insieme con le sue strumentazioni attuative. Si tratta di assumere ora la prospettiva più realistica dei progetti declinati al minuscolo, con una molteplicità disgiunta d’interventi di piccole e medie dimensioni, costruiti dal basso, piuttosto che progetti ambiziosi per grandi opere e pezzi di città promossi dal centro oppure dal capitale finanziario globale. In questa prospettiva si dovranno favorire per quanto possibile processi di adattamento graduale dell’esistente, attraverso cui assorbire senza troppi traumi i mutamenti epocali indotti dalle incombenti innovazioni tecnologiche, sociali ed economiche della città del Terzo Millennio.
Il Progetto Urbano dovrebbe insomma essere riconfigurato diventando una strategia flessibile sorretta da una visione d’insieme a medio termine, condivisa ma non coercitiva, capace di donare un senso complessivo alle trasformazioni dell’esistente. Dovrebbe inoltre essere articolato in una varietà congiunturale d’interventi a diversa scala, congruenti con la visione e declinati secondo le mutevoli circostanze e le differenti opportunità offerte dal contesto.
Ancora più realisticamente, dovremmo tenere in debito conto la crescente pochezza e le insormontabili difficoltà della recente politica italiana ormai palesemente incapace di sintetizzare le diverse posizioni sulla città, tutte in sterile conflitto tra loro e sempre più colpevolmente disinteressate a misurarsi con il futuro. Lo scenario del progetto urbano tende allora a cambiare ulteriormente. La visione per il futuro a medio e lungo termine dovrà fare a meno della sua prefigurazione preventiva, pagando un prezzo molto alto per dover rinunciare al quadro di coerenza condiviso fin dall’avvio. Dovrà piuttosto essere costruita in progress, commisurando almeno gli interventi più significativi in programma (quelli su cui si è trovato un adeguato consenso) con il quadro d’insieme, dotandosi così di un’immagine guida aperta – ancorché precaria- a cui riportare la discussione sui futuri interventi. I nuovi progetti saranno comunque tenuti ad argomentare le proprie relazioni con l’insieme, esplicitando il possibile valore aggiunto o al contrario le divergenze e le contraddizioni che generano diseconomie e sprechi per le potenzialità di sviluppo.
Cambia in definitiva anche la natura del Progetto urbano: da proiezione al futuro di prefigurazioni definite rigidamente, in modo autoriale e talvolta dispotico come propugnato dalla modernità classica o da una malintesa imposizione della sostenibilità, a stimolo operativo e morfologicamente qualificato, attraverso cui innescare dialogicamente una molteplicità di trasformazioni del paesaggio urbano esistente, tendenzialmente autopoietiche e autobilanciate, inquadrate in una visione d’insieme, dinamica e adattabile, costruita in modo co-evolutivo rispetto al divenire della città.
Il Progetto urbano, in questa nuova prospettiva di città autocatalitica ( De La Pena, 2013), tende ancora a ridefinirsi preferibilmente come strategia multi-settoriale, multi-attoriale e trans-scalare, capace di combinare flessibilmente reti infrastrutturali e spazi enzimatici a elevata qualità, innescando una varietà di interventi strategici a diversa grana accompagnati da un insieme di micro-azioni complementari che hanno comunque effetto sul paesaggio (Clementi, Pozzi, 2015). Ma gli interventi in questione saranno generalmente di dimensioni assai eterogenee: grandi (pochi), intermedi (molti) e piccoli (moltissimi). Tutti comunque orientati per quanto possibile a migliorare le condizioni di funzionalità e di qualità diffusa del contesto, offrendo condizioni di accesso più egualitario al welfare locale e di uso più stimolante per gli spazi pubblici.
In ogni caso il nuovo Progetto urbano è chiamato a declinare le diverse modalità attraverso cui si realizza concretamente il principio di sostenibilità dello sviluppo, contemperando le esigenze di sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle trasformazioni, e valorizzando in modo riflessivo la sua coerenza rispetto agli obiettivi ultimi di qualità insediativa e paesaggistica delle trasformazioni urbane. La molteplicità e la complessità delle dimensioni in gioco favoriscono in alcuni casi il ricorso alle straordinarie potenzialità operative delle nuove tecnologie digitali, utili per calibrare al meglio le soluzioni scelte perché più efficaci funzionalmente, più condivise socialmente e più fertili per le ricadute sull’economia locale.
In questa prospettiva, la nuova forma del progetto urbano nasce alla confluenza operativa del Sustainability Sensitive Urban Design e del Land Smart Approach, configurandosi in definitiva come un EcoWeb Urban Design capace d’incorporare criticamente le sue diverse dimensioni costitutive che – come si è affermato in precedenza – vanno ben oltre l’ambiente e la tecnologia digitale.
Tra le molte conseguenze di questo modo d’intendere il Progetto urbano c’è anche la necessità di cambiare l’urbanistica convenzionale, impantanata attualmente in procedure e concezioni troppo vischiose e burocratiche, che deprimono la progettualità e soprattutto si dimostrano incapaci d’infondere attese e speranze per il futuro che incombe.
La nuova urbanistica dovrà diventare l’espressione di una strategia di sviluppo sostenibile che guarda con fiducia all’avvenire della città, promuovendo in modo possibilmente condiviso pochi Progetti urbani di valenza al tempo stesso urbanistica, paesaggistica, sociale ed economica, e assicurando nel contempo una gestione sostenibile del patrimonio esistente, con poche regole ben comprensibili e facili da rispettare sia nella impostazione che nella valutazione degli interventi in gioco.
Il Piano Regolatore, di valenza strategica e al tempo stesso conformativa, tenderà ad assumere di conseguenza la forma di un Quadro dinamico di coerenza dei Progetti urbani prioritari, correttamente inseriti nel paesaggio, accompagnati da verifiche preliminari di fattibilità tecnica, amministrativa, economica e sociale. Insieme ai Progetti urbani, concepiti in modo adattabile e programmaticamente evolutivo, agiranno norme prescrittive e d’indirizzo che disciplinano la trasformazione dell’esistente, mirando alla qualità diffusa degli interventi con disposizioni attuative ben calibrate e applicabili con semplicità.
Sono questi i temi che saranno al centro della seconda fase della rivista EWT, con l’obiettivo di sondarne la significatività e soprattutto la fertilità nella ricerca sui nuovi modi del progetto urbano per la città del XXI secolo.
Intanto in questo numero viene presentata una varietà di materiali che avviano la riflessione sul progetto urbano con un caso di studio particolarmente interessante sotto molteplici profili. Si tratta di Lubiana, città emergente, che ha già ottenuto il Premio del Consiglio Europeo degli Urbanisti per il suo progetto di riqualificazione delle sponde sulla Ljubljanica, il Premio Europeo per gli spazi pubblici urbani, e soprattutto l’autorevole Premio per la Capitale Verde d’Europa nel 2016. Il segreto di Lubiana non sta soltanto nell’aver inserito ai vertici dell’amministrazione con rilevanti responsabilità politiche un noto architetto come Janez Kozelj, non diversamente del resto da quanto aveva fatto Barcellona con Oriol Bohigas nei gloriosi anni Ottanta, in preparazione delle Olimpiadi; e quindi nell’aver saputo attingere intelligentemente alle risorse dell’architettura per immaginare e dare forma al futuro della città. Sta anche nell’aver dimostrato che i temi della sostenibilità possono essere declinati con rinnovata sensibilità nei confronti dell’architettura e dell’urbanistica, mettendo anzi al centro della trasformazione urbana le istanze di qualità e al tempo stesso di piacevolezza e salubrità dell’ambiente di vita, con una strategia che tende a completare il disegno prefigurato quasi un secolo prima dal grande architetto Jože Plečnik.
Come osserva Domenico Potenza, che ha curato questo numero, a Lubiana “ il progetto urbano si concretizza a partire da un’incessante opera di progettazione architettonica (….) e gli interventi di risistemazione immaginati da Plečnik, sembrano ogni volta rimandare a un disegno più ampio pensato per la città, come fossero parti autonome di un grande programma urbano alla continua ricerca di un suo complessivo equilibrio”. È insomma la prova che è possibile imboccare la via propugnata da EWT, quella di una cultura progettuale capace di coniugare la qualità dell’architettura con l’attenzione alle nuove domande sociali di sostenibilità ambientale. Che addirittura diventa così possibile riannodare i fili di una storia secolare di visioni e idee sulla città tuttora attuali, nonostante la profonda metamorfosi della città contemporanea. E che infine il rapporto tra le visioni d’insieme e singoli interventi non è affatto scontato con la derivazione unidirezionata degli uni rispetto alla altre, ma può diventare occasione per sperimentare inedite relazioni di interdipendenza reciproca, che arricchiscono entrambi.
Gran parte di questo numero è dunque dedicata alla ricostruzione della vicenda paradigmatica di Lubiana, interpretata dai suoi protagonisti che operano all’interno dell’amministrazione comunale e della prestigiosa Scuola di architettura locale. C’è poi la sezione studi e ricerche, per la quale Filippo Angelucci conclude il suo viaggio nelle università italiane completando la ricognizione sullo stato della ricerca tecnologica riferita alla tema della sostenibilità. Ne emerge un bilancio inaugurale di grande interesse, soprattutto per la volontà dimostrata da tutti i gruppi accademici di dare conto in modo trasparente della propria attività e dei risultati raggiunti, istituendo così un orizzonte comune rispetto al quale diventa possibile individuare le linee di forza della ricerca attuale e i futuri avanzamenti disciplinari.
C’è da augurarsi che nel prossimo futuro diventi possibile estendere questo bilancio critico anche all’architettura e all’urbanistica, finora apparentemente poco impegnate sui temi della sostenibilità.