L'attuale crisi economica globale ha drammaticamente colpito alcune delle categorie impiegate per l’interpretazione e la pianificazione delle città. Molti concetti nati in seguito allo sviluppo delle cosiddette società post-industriali hanno cambiato significato in non più di un decennio. Questo è il caso del concetto della sostenibilità. Questo concetto ha oggi contenuti diversi rispetto a quelli della celebre definizione formulata nel rapporto Bruntland.
Che cosa significano in particolare le locuzioni “città sostenibile” e “forma urbana”? Qual è il ruolo svolto dall'architettura in queste definizioni?
Le pagine seguenti esplorano questa doppia domanda, prendendo in considerazione recenti esperienze e proposte provenienti dalla Catalogna.
Molte definizioni suggeriscono tre dimensioni principali del rapporto tra sostenibilità e architettura:
- La sostenibilità urbana: riguarda i principi e le strategie principali impiegate per garantire migliori prestazioni ambientali della forma urbana, orientando città e zone urbanizzate verso un profilo climate-proof.
- Sostenibilità territoriale: comprende l'area vasta e cerca di cogliere il reale impatto di nuovi fenomeni urbani, come lo sprawl in contesto mediterraneo e le recenti intense trasformazioni del territori e del paesaggio, sia in zone urbane sia extraurbane.
- Sostenibilità culturale: è un approccio capace di integrare il patrimonio ambientale e culturale nella pianificazione e nella progettazione urbanistica, ed orienta l'architettura e l'urbanistica verso il riciclo dei paesaggi ordinari, contro l’approccio “copy and paste” di forme urbane e di programmi architettonici.
Sostenibilità urbana: la sfida della riduzione delle emissioni di carbonio e la nuova dimensione climate-proof delle città.
I dati sui parametri ambientali delle città denunciano con chiarezza la portata della crisi che colpisce le città. La sfida per la riduzione delle emissioni di carbonio impone nuove prestazioni alla città, rese ancor più ambiziose dalla nuova visione promossa dall’urbanistica, quella delle città “climaticamente intelligenti”. La sostenibilità urbana si affida così a temi quali l'ottimizzazione dell’uso delle risorse e l'efficienza energetica.
Conseguentemente il processo di dissoluzione della tradizionale forma urbana non è solo da attribuire alla trasformazione degli insediamenti, ma si misura anche con il tipo di funzioni urbane e con il metabolismo urbano che caratterizza le prestazioni ambientali della città sia alla scala locale che a quella regionale.
La questione su cui si fonda il dibattito ha a che fare con una domanda di fondo, ovvero quale sia la forma urbana più sostenibile in termini di comportamento metabolico rispetto al consumo energetico, visto dalla prospettiva delle riduzioni delle emissioni di carbonio.
Due questioni principali possono essere considerate in relazione a questo dibattito: in primo luogo il riconoscimento di come l'energia sia stata una questione chiave nella formazione delle aree urbane e metropolitane nel secolo scorso. Un sistema di infrastrutture fisiche per la produzione, lo stoccaggio, la trasformazione, la gestione e il trasporto di energia è stato realizzato a questo scopo. Si tratta di un sistema discontinuo che ha seguito di pari passo il processo di crescita delle città e quindi la loro estensione nel territorio. L'esistenza di questa rete di infrastrutture energetiche in città e nelle aree metropolitane contribuisce oggi a spiegare i fenomeni di urbanizzazione regionale che sono sotto i nostri occhi.
In secondo luogo, l'analisi del comportamento metabolico delle città, in termini di consumo energetico, pone con chiarezza il tema del rapporto tra modello di urbanizzazione e prestazioni ambientali, consentendo di distinguere due scenari principali: la città compatta e la città diffusa.
Per quanto riguarda la prima questione, i diversi paesaggi dell’energia possono essere identificati con chiarezza quando si analizzi la formazione degli spazi urbani e delle regioni metropolitane a partire dalla rivoluzione industriale: i paesaggi del carbone, con le miniere e le altre infrastrutture estrattive o di trasporto; le centrali elettriche; le dighe per la produzione di energia idroelettrica... sono solo alcuni dei temi di questo energyscape discontinuo e globale, in continua evoluzione a partire dal 19° secolo.
Si tratta di un paesaggio globale dell’energia che comprende una vasta gamma di manufatti e infrastrutture, che insieme costituiscono ciò che François Béguin (2001) ha metaforicamente definito il “6° Continente”: linee di trasmissione ad alta tensione; impianti di depurazione; impianti eolici; cabine elettriche; impianti termici; impianti solari; centrali geotermiche; stazioni di trasferimento del calore; diversi tipi di centrali elettriche, da quelle idroelettriche al multi-combustibile; o le piattaforme offshore, solo per elencare alcuni esempi.
Dal punto di vista morfologico e architettonico, si può essere d'accordo con Bryan Thomas Caroll (2001) quando afferma che l'elettricità ha giocato nella modernità un ruolo importante, almeno quanto è accaduto per l'acqua nelle passate fasi della civilizzazione, costituendo un ordine architettonico ed insieme visivo che plasma l'ambiente urbano e metropolitano.
Ecco perché la cosiddetta sfida delle città low-carbon può essere particolarmente rilevante in termini di ridefinizione spaziale ed architettonica di questo sistema di infrastrutture elettriche. In tal senso nuove domande e nuove opportunità possono essere poste alla discussione: la domanda di produzione di una nuova generazione di infrastrutture elettriche eco-friendly o per l’ampliamento delle aree dedicate alla produzione di energia rinnovabile; le opportunità connesse al riciclo e al riuso di energyscapes appartenenti al recente passato, in termini di nuovi usi e programmi e nel contesto di un nuovo ambiente urbano “decarbonizzato”.
Dunque l'aggiornamento ed il riciclaggio del sistema delle infrastrutture per l’energia rappresentano per le aree urbane e metropolitane una vera e propria sfida dal punto di vista della prospettiva low-carbon, fornendo nuovi input alla pianificazione urbanistica di fronte al processo di dissoluzione della tradizionale forma della città.
Riguardo alla seconda questione, il dibattito relativo al modello di urbanizzazione ed alla maggiore o minore efficienza, dal punto di vista delle prestazioni ambientali, della città compatta e della città diffusa, la sfida della città low-carbon impone nuovi requisiti alle città, sottolineati dalla visione urbanistica delle città climate-proof.
Sostenibilità territoriale: città e paesaggi di fronte alla dispersione regionale dell’urbanizzazione
Ciò che noi oggi consideriamo “città” è l'immagine culturale costruita sull’eredità di quanto l’urbanistica ha prodotto nel corso del XIX secolo. Un’urbanistica profondamente interessata all'idea di densità urbana. Parallelamente al rafforzamento della struttura compatta delle città, nella seconda metà del XX secolo si è assistito alla loro espansione, in quasi tutto il mondo. Una forma di dispersione territoriale degli insediamenti residenziali e delle attività economiche che ha dato luogo ad una forma di urbanizzazione non più rappresentata dalla metafora della “espansione a macchia d’olio”. Nel corso degli anni novanta si produce un modello di insediamento caratterizzato dalla dispersione urbana: città a bassa densità e ex-Urbia sono immagini di città con cui gli urbanisti hanno cercato di definire l'emergere di nuovo forme urbane, alternative a quelle della concentrazione e in gran parte in contraddizione con l'immagine della città compatta e densa.
L'intensificarsi delle dinamiche della dispersione urbana ha interessato non solo gli usi residenziali, un processo diffuso di clonazione di usi del suolo e di attività presenti nella città compatta, adattati alla scala regionale, ha avuto luogo. Le attività produttive e le attrezzature servizi commerciali o del tempo libero si sono insediate in aree lontane dalla città e anche dalla sua periferia immediata.
Si tratta di un modello standard della dispersione urbana, che ha caratterizzato non solo la crescita urbana delle grandi città, in relazione alle loro regioni metropolitane, ma anche più recentemente l’evoluzione delle città di medie dimensioni. Anche i centri meno abitati hanno sperimentato la crescita progressiva dell'urbanizzazione sulla base di un vasto ripensamento degli usi agricoli del suolo. In netto contrasto con le immagini idilliache, bucoliche o romantiche ereditati dall'arte e dalla letteratura dei secoli precedenti, una sorta di campagna urbanizzata è emersa come una delle caratteristiche principali dell’”urbanizzazione regionale dispersi” attualmente in atto (Muñoz, 2011).
L’urbanizzazione dispersa non interessa più le aree periferiche urbane, situate in prossimità dei consueti corridoi di ampliamento delle principali città e regioni metropolitane più mature, ma interessa una molteplicità di spazi, in precedenza denominati come spazi agricoli interclusi tra città e centri minori. In altre parole, quando l'espansione urbana investe la scala regionale i risultati della dispersione del territorio urbano acquisiscono una dimensione diversa, difficile da catturare utilizzando i concetti creati per spiegare il più noto fenomeno dello sprawl urbano, inteso come estensione suburbana delle aree metropolitane.
Ciò è particolarmente vero per quelle aree in cui il paesaggio agricolo preesistente ha ceduto il passo ad un paesaggio “r-urban”, caratterizzato dalla proliferazione della rete della viabilità locale, da centri commerciali di secondo livello, da parcheggi e banali aree residenziali con servizi; un paesaggio in cui gli elementi di periferia sono stati drammaticamente mescolati con i caratteri preesistenti, quelli che tradizionalmente descrivevano l’immagine rurale archetipica.
La dispersione nel territorio regionale mostra come l'urbanizzazione della campagna, profeticamente riconosciuta e denominata “rurbanisation” da Gerard Bauer e Jean-Michel Roux nel 1976, presenta caratteristiche morfologiche e funzionali sensibilmente diverse da quelle dei processi di urbanizzazione avvenuti in passato nelle aree più vicine alle grandi città dalla metà del XIX secolo.
In questo nuovo quadro territoriale il ruolo ed il carattere degli spazi pubblici sono profondamente mutati, la stessa nozione di spazio pubblico è stata scardinata, dando origine ad una varietà di scenari non esattamente corrispondenti a quelli canonici della città tradizionale, ma che sicuramente soddisfano le domande d’uso. Una vasta gamma di spazi, rifiuti di un processo di urbanizzazione e relegati in una condizione periferica o marginale, ha assunto, anche se in un diverso contesto, quello di una urbanizzazione regionale dispersa, i ruoli tradizionali che caratterizzano gli spazi pubblici urbani: lungofiumi interclusi tra diverse amministrazioni comunali; aree industriali e produttivi dismesse; aree residuali intercluse tra le infrastrutture; aree agricole suburbane. Costituiscono un vero e proprio patchwork territoriale di nuovi spazi pubblici alla scala territoriale regionale. Una rete discontinua di nuove 'agora' mostra le potenzialità del paesaggio, se considerato in termini di socialità metropolitana e di coesione.
Questi spazi pubblici extraurbani rappresentano inoltre con evidenza una nuova categoria di luoghi urbani che lancia una sfida alla progettazione urbana: come ibridare le formule del progetto urbano con i metodi del progetto paesaggistico? Nuovi strumenti sembrano necessari per far fronte alla corretta progettazione di questa nuova gamma di spazi pubblici.
Sostenibilità culturale: patrimonio e paesaggi ordinari “all’opera”
Il paesaggio è tradizionalmente inteso come la trasposizione morfologica delle caratteristiche sociali e culturali che definiscono un luogo, costituendone il cosiddetto genius loci. Tuttavia oggi in molti contesti territoriali si osserva la comparsa di paesaggi palesemente indipendenti dai luoghi, paesaggi virtualmente replicabili in qualsiasi altro contesto. In questa nuova condizione il paesaggio non traduce più semplicemente le caratteristiche di un luogo, come accadeva in passato, e non contiene neppure caratteri culturali o simbolici legati ai temi dell’identità e della coesione di una comunità.
Questo processo di disconnessione tra luogo e paesaggio, che può essere sinteticamente descritto dalla figura della “urbanalizzazione” (Muñoz, 2008; 2009), ha caratterizzato gran parte delle trasformazioni urbane avvenute nelle ultime tre decadi del XX secolo.
Anche il paesaggio urbano, con il suo linguaggio architettonico e gli elementi topologici come le strade e le piazze, che hanno storicamente caratterizzato la città compatta come un’area urbana dinamica e vitale, si trasforma seguendo un modello analogo di omologazione. Nel paesaggio suburbano i nuovi ampliamenti mostrano gli stessi fenomeni di ripetizione e clonazione del tessuto edificato, dove gli usi residenziali e commerciali rappresentano la dimensione complementare di uno stesso processo di “urbanalizazzione” che interessa le aree urbane centrali.
Alcuni casi esemplificano molto bene gli effetti di questo processo di omologazione del paesaggio urbano: in primo luogo il caso della “brandification” dei quartieri storici, dove i processi di gentrificazione e la progressiva conversione dello spazio urbano verso usi del tempo libero e del consumo sono andati di pari passo con la intensa trasformazione del paesaggio urbano. L'esempio più recente di questo processo è la riqualificazione urbana dei ghetti ebraici in Europa orientale. Questi vecchi quartieri sono stati rinnovati seguendo un modello molto simile in diverse città, conducendo ad una situazione che vede la forma urbana storica offrirsi come sfondo per usi altamente specializzati dello spazio, orientati verso il tempo libero, l'intrattenimento e il consumo (Murzyn, 2006). Il risultato è una città semplificata in termini di caratteri e contenuti.
In secondo luogo le aree della rigenerazione degli urban waterfront e riverfront, dove programmi architettonici e urbanistici standardizzati palesano un menu molto limitato di opzioni: l'acquario, la zona commerciale, l’area per il tempo libero, il cinema multisala, il museo locale o il centro culturale, le zone residenziali ad alta densità, la riconfigurazione del lungomare urbano...interventi che ci appaiono, qualora si confrontassero le realizzazioni in Europa e in America dal 1980 ad oggi, come il risultato di operazioni copy&paste.
Infine le nuove aree dell’urban sprawl nelle periferie delle città tradizionali compatte. Queste nuove periferie hanno l'aspetto di un paesaggio residenziale altamente standardizzato, facilmente riproducibile ed indipendente dallo sfondo storico e dalle caratteristiche fisiche e culturali che normalmente caratterizzano i luoghi. L'espansione urbana è diventata una sorta di motore della crescita urbana, fortemente caratterizzata da processi di urbanalizzazione.
Questi esempi di paesaggi urbani risultanti da processi di rigenerazione, di rinnovamento o da nuovi progetti di ampliamento, che palesemente mostrano gli effetti di interventi urbani copy&paste, rivelano, in modi diversi, la conseguenza più importante della urbanalizzazione: la perdita progressiva di diversità e di complessità a fronte della recente evoluzione della forma urbana.
Questo è l’attuale contesto globale in cui le strategie principali ed i progetti di trasformazione di diversi tipi di paesaggio urbano possono essere inquadrati. Allo stesso tempo, l’omologazione paesaggistica può rappresentare un’opportunità per la gestione delle specificità e delle peculiarità che definiscono i contesti locali. Alla luce di ciò la gestione del patrimonio locale urbano è diventato non solo una politica urbana settoriale ma un elemento strategico fondamentale per la definizione di una nuova agenda per la sostenibilità culturale dei paesaggi e dei luoghi.
Da questa nuova prospettiva la sostenibilità culturale urbana può essere definita come il recupero di valori collettivi contenuti dalla rete degli elementi del paesaggio urbano storicamente configurati, interpretato come patrimonio da parte delle comunità locali. In altre parole la gestione della sostenibilità culturale in città in questo momento non si traduce soltanto nella protezione e nella conservazione di alcune strutture chiave, come i monumenti o i frammenti più significativi del tessuto urbano antico, ma anche sulla gestione e sulla valorizzazione di un’ampia gamma di elementi urbani che non sono mai stati inclusi nei domini del concetto di patrimonio.
Nuovi orientamenti, come il rinnovato interesse per i paesaggi suburbani o l'inaspettato successo di concetti quali “paesaggio culturale” o “paesaggio ordinario” si spiegano tenendo conto del quadro generale finora descritto.
Una dimensione completamente nuova del patrimonio urbano è quindi emersa in stretta correlazione con il riconoscimento dell’importanza dei paesaggi ordinari, creati dal processo di urbanizzazione. Periferie urbane e paesaggi culturali associati al passato rurale o industriale di prima generazione, hanno acquisito un nuovo status: quello di paesaggi densi di significati che contribuiscono alla costruzione dell’immaginario e della cultura locali, allo stesso modo in cui i paesaggi naturali o urbani storici vi avevano contribuito in passato.
La gestione innovativa di queste nuove dimensioni del patrimonio urbano, che interessano sia la dimensione ambientale sia quella culturale, costituisce un approccio fortemente creativo e stimolante per la definizione operativa della sostenibilità culturale urbana.
Le tre dimensioni del concetto di sostenibilità sinteticamente presentate in questo articolo, quella urbana, quella territoriale e quella culturale, sono esplorate in modo diverso dai contributi raccolti nella sezione monografica sulla Catalogna.
Queste alternative definizioni di sostenibilità aspirano a compensare l'idea più canonica e limitata della sostenibilità ambientale. Si offre così un nuovo quadro concettuale all’architettura, che può trovare modalità alternative per riconoscere, sulla base di nuovi approcci e strategie, i rapporti mutevoli tra la società e l'ambiente urbano.
L’Architettura e l’urbanistica hanno governato il processo di ampliamento delle città e dello spazio urbano nel corso del XX secolo. Immaginare un ruolo di primo piano per esse anche per il XXI secolo comporta probabilmente avviare una comprensione molto più proficua dei confini del concetto di sostenibilità, oltre la sola dimensione ambientale dell'idea.
Riferimenti bibliografici
Bauer, Gerard, Roux, Jean-Michel (1976) La rurbanisation ou la ville éparpillée. Editions du Seuil, Paris.
Béguin, François (2001) “Offshore platforms: the sixth continent”. In 2G International Architecture Review: Architecture and Energy, num. 18 (122-127).
Carroll, Bian Thomas (2001) “Seeing cyberspace: the electrical infrastructure is architecture”. In 2G International Architecture Review: Architecture and Energy, num. 18 (129-143).
Muñoz, Francesc (2008) Urbanalización: paisajes comunes, lugares globales. Gustau Gili, Barcelona.
Muñoz, Francesc (2009) “Urbanalization: common landscapes, global places”. In The Open Urban Studies Journal, 2 (75-85).
Muñoz, Francesc (2011) “Paisaje y patrimonio territorial en un escenario de cambio global. Nuevos retos y perspectivas”. In Crisis y territorio: conclusiones y aportaciones al VI Congreso Internacional de Ordenación del Territorio. Fundicot. Ministerio de Medio Ambiente, Rural y Marino, Madrid.
Murzyn, Monika (2006) The Central European Experience of Urban Regeneration. International Cultural Centre, Cracow.