Biopolitica della sostenibilità. Alberto Clementi |
Dopo il rodaggio del numero zero, si avvia EcoWebTown con questa prima edizione dedicata prevalentemente all’esperienza di Londra in preparazione dei futuri Giochi Olimpici. Candidandosi esplicitamente a diventare “capitale europea della sostenibilità”, Londra appare un buon viatico al programma della rivista, la quale intende contribuire attivamente al diffondersi della cultura del progetto urbano Sustainability Sensitive, considerandola una prospettiva obbligata per l’urbanistica e l’architettura dei nostri tempi. In questa prospettiva, le lungimiranti previsioni a lungo termine del piano per la città dei Giochi, e in particolare la dismissione e il riciclaggio programmato per fasi delle opere olimpiche, appaiono una lezione importante, da cui estrarre indicazioni significative a favore di una nuova urbanistica della sostenibilità.
Insieme alla riflessione sull’esperienza di Londra, la rivista inaugura una sua opera di scavo critico sulle posizioni influenti del pensiero progettuale sulla città sostenibile, per saggiarne la pregnanza e la stessa utilità di fronte alle sfide contemporanee.
Particolarmente illuminante appare al riguardo il contributo di Felix Guattari, ricostruito da Andrea Cavalletti attraverso il felice espediente di un’intervista impossibile. L’intervista, alimentata con la selezione e l’adattamento di testi stralciati dalle opere del grande filosofo francese, mette in guardia rispetto al rischio di schiacciare la nozione di ecologia sul solo metro dell’ ecologia ambientale, osservando in particolare come questa possa convivere ambiguamente con ideologie regressive, già affermate ad esempio sotto dittature spietate, e tuttavia idilliache nei confronti della natura. Esprimendosi decisamente a favore di un’accezione più allargata dell’ecologia, l’intervista invita a considerare contestualmente la dimensione biopolitica, -sociale ed esistenziale-, da intrecciare con quella propriamente ambientale, alla ricerca di relazioni sempre nuove tra razionalità ambientali, mutamenti sociali e organizzazione di nuove forme di soggettività individuali.
Sotto questo profilo, le intuizioni di Guattari, -che introducono un percorso di ricerca radicalmente diverso e tuttavia in linea nelle conclusioni rispetto alle teorizzazioni inaugurali di Bateson sull’ecologia come scienza delle relazioni tra variabili complesse ( G.Bateson, Steps to an Ecology of Mind, 1972) -, sembrano perfettamente in sintonia con l’esigenza di formulare una concezione più complessiva della sostenibilità, includendo in particolare dimensioni altrettanto rilevanti ai fini delle politiche quali il sociale, l’economico e il mentale. E’ quanto del resto è già avvenuto almeno parzialmente a livello europeo, dove appunto la sostenibilità assunta nei documenti ufficiali rinvia alla mediazione critica tra istanze ambientali, sociali e economiche, attribuendo al progetto la responsabilità di contemperare ogni volta i diversi valori in gioco.
La maggiore complessità del modo d’intendere la sostenibilità costringe a traguardare i temi del dibattito e della stessa ricerca futura anche oltre la prospettiva obbligata del miglioramento delle conoscenze sui processi ambientali, e del loro uso sistematico nell’impostazione /valutazione dei progetti urbani e territoriali. Né basta rafforzare la componente strategica dei piani e progetti, con una esplicita attenzione ai processi economici e sociali ( e perfino al mutamento delle preferenze e delle sensibilità individuali, per dirla alla Guattari ). Piuttosto, appare indispensabile lavorare soprattutto sulle interdipendenze reciproche tra le diverse dimensioni in gioco, che nel loro insieme strutturano le strategie d’intervento mirate alla sostenibilità.
Sotto questo profilo, va certamente riconosciuta l’urgenza di perfezionare la conoscenza teorica e operativa dei complessi metabolismi ecologici che presiedono alla trasformazione dell’ambiente insediativo, offrendo così strumenti di costruzione e valutazione dei progetti meno empirici e discrezionali rispetto a quelli adoperati attualmente. Al tempo stesso, occorre saper reintegrare in una visione comune le diverse dimensioni in gioco, -ambientale, economica e sociale-, con schemi interpretativi di maggiore complessità concettuale e di maggiore efficacia operativa.
Come ho avuto occasione di osservare recentemente, ( in P. Barbieri, a cura di, Temi per l’architettura e l’urbanistica, in corso di pubblicazione ) appare tuttora fertile, e ricca di potenzialità ancora inesplorate, la nozione di ecologia relazionale adoperata quarant’anni fa da Reyner Banham per descrivere le peculiarità di funzionamento di Los Angeles e le loro ricadute sui linguaggi architettonici locali ( R. Banham, Los Angeles. L’architettura di quattro ecologie, 1971). L’interpretazione del tutto inusuale della nozione di ecologia da parte di Banham ha aperto un percorso di ricerca profondamente innovativo, combinando creativamente dati geografici e climatici, paesaggi, pratiche sociali e stili di vita individuali, modalità d’uso delle infrastrutture, forme insediative e linguaggi architettonici, figure di senso e immaginari che caratterizzano i diversi contesti.
Rifacendoci a quell’intuizione seminale, che purtroppo non ha avuto ancora un adeguato seguito, dovremmo ripensare la città sostenibile come intreccio positivo di ecologie relazionali, facendo corrispondere ai diversi contesti modalità specifiche di uso riproduttivo delle risorse locali, di funzionamento ambientale, di stile di vita, di benessere della popolazione, di uso delle infrastrutture, di costruzione delle forme insediative, di rappresentazione sociale e di elaborazione dei linguaggi architettonici.
Combinando in modo pertinente le diverse dimensioni in gioco, sia ai fini della conoscenza che dell’azione, si porta il valore della sostenibilità al cuore delle scelte di piano e di progetto, potendo declassare il ruolo abitualmente risolutivo attribuito alle tecnologie ambientali, alla scala dell’edificio ma anche dell’insediamento. Su questa possibilità di assumere i valori della sostenibilità fin dalla fase del concept del progetto urbano, si gioca una partita importante per l’innovazione della cultura architettonica e urbanistica. Rifuggendo dalle soluzioni remediali messe a disposizione da tecnologie sempre più complesse, attraverso cui è ormai possibile –non importa a quale costo- mettere in sostenibilità edifici e interi quartieri, la sfida investe il modo stesso di concepire il progetto della trasformazione urbana. Non soltanto come un valore aggiunto che porta benefici nell’uso riproduttivo delle risorse locali, e accresce la vivibilità degli spazi urbani. Ma proprio come dispositivo per l’azione che, interiorizzando gli obiettivi della sostenibilità, conforma diversamente le scelte di assetto e di configurazione degli insediamenti di nuovo impianto.
Per la verità, c’è ancora da dimostrare compiutamente che il progetto architettonico e urbano nel segno della sostenibilità conduca davvero a nuove forme insediative. Ma gli esperimenti che si succedono sempre più frequentemente in Europa e altrove dimostrano che sta emergendo una nuova sensibilità, e che non si è lontani dall’affermazione di una nuova estetica della sostenibilità che arricchisce l’architettura e l’urbanistica contemporanea.
C’è da sperare che anche nelle città italiane non sia troppo lontano il tempo in cui si potrà discutere di esempi concreti di progettazione sostenibile, meglio se di ristrutturazione dell’esistente piuttosto che di nuovi quartieri.
EWT/ EcoWebTown |