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I progetti del Parco Olimpico, di Massimo Angrilli

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I progetti delle opere per i prossimi Giochi Olimpici di Londra 2012 hanno l’importante compito di incarnare il coraggioso ed ambizioso proclama con cui Londra ha lanciato la propria candidatura come sede organizzatrice delle Olimpiadi: quello di essere i primi giochi sostenibili della storia.
Con queste premesse i progettisti delle sports venues hanno affrontato il proprio compito interpretando ciascuno a suo modo il tema della sostenibilità ecologica del costruire ed applicando il motto di London 2012 del “reduce, reuse, recycle”. Tutti avevano un comune obiettivo, quello di conciliare la domanda immediata, legata allo svolgimento dell’evento nell’arco di due settimane, con la domanda di lungo periodo, quella della Legacy, quando le attrezzature sportive assumeranno il ruolo di attrezzature di scala urbana. Questa doppia modalità ha imposto a tutti i progettisti un approccio inusuale al progetto, costringendoli a pensare contemporaneamente alle prestazioni dell’edificio alla scala del confronto internazionale ed alla scala della dimensione locale.
Gli esempi negativi di Sydney ed Atene, costrette ad affrontare costi enormi di manutenzione per opere che a fine giochi sono risultate poco utilizzate, hanno spronato l’ODA a ricercare forme e modi per ridurre gli sprechi, in primo luogo adottando sistematicamente la filosofia del riciclo e dell’adattamento dimensionale delle venues. Con questo approccio di “design reversibile” sono state concepite diverse attrezzature sportive del parco olimpico, opere che a fine giochi potranno essere totalmente o parzialmente decostruite. L’Arena del Basket, progettata da Wilkinson Eyre Architects e dal KSS Design Group, ne è il principale esempio. Il complesso è stato infatti concepito per essere completamente smontato e riciclato per contribuire alla realizzazione di altre opere negli UK. Il processo di progettazione e le fasi di cantiere hanno pertanto sin dall’inizio tenuto conto di questo importante aspetto, prevedendo l’assemblaggio degli elementi della struttura di acciaio in modo tale da favorirne lo smontaggio ed il successivo rimontaggio in altro luogo. Le 12.000 sedute, ad esempio, saranno riutilizzate nell’autodromo di Silverstone ed in altri impianti sportivi, mentre le strutture esterne saranno destinate ai giochi di Rio de Janeiro del 2016.
Il più noto e patinato Aquatics Centre, disegnato da Zaha Hadid e più volte modificato (in principio il progetto prevedeva l’impiego di enormi e costose quantità di un raro legno proveniente dal sud America) è stato invece progettato come un edificio parzialmente temporaneo, le cui enormi ali saranno smantellate e riciclate a conclusione dei giochi, raggiungendo la sua forma climax ed aspirando a divenire uno dei landmark di Londra.
I posti a sedere durante l’evento saranno 17.500 mentre nella fase post-olimpiade solo 3.500, quelli cioè effettivamente necessari allo svolgimento di eventi sportivi ordinari. Oltre alla metamorfosi fisica l’edificio subirà anche modifiche funzionali, divenendo un centro sportivo per la comunità locale con clubs e scuole sportive, oltre naturalmente alle piscine.

Il velodromo, ritenuto dall’ODA l’opera “più sostenibile” dei Giochi (vedi il sito ufficiale ODA http://www.london2012.com/velodrome), si distingue per la scelta, insieme architettonica ed ecologica, inerente l’utilizzo del legno. I cinquemila metri quadrati di legno di cedro rosso canadese con i quali si è rivestito il volume dell’edificio provengono da foreste certificate dal Forest Stewardship Council. Altre scelte in ordine al miglioramento delle prestazioni dell’edificio attengono alla progettazione di un sistema di ventilazione naturale che consente di fare a meno della climatizzazione; all’abbondante uso della luce naturale, che riduce il ricorso all’illuminazione artificiale, ed alla previsione di sistemi di recupero delle acque piovane. Ma sono soprattutto la forma e la struttura stesse dell’edificio a fare del velodromo un edificio ecologicamente sostenibile. La leggerezza della struttura di copertura (30kg/mq contro i 65kg/mq del Velodromo di Pechino) riduce infatti la quantità di acciaio impiegata e di conseguenza anche le emissioni di CO2 (emesso sia nelle fasi di produzione sia nelle fasi di trasporto e di cantiere) mentre la compattezza della forma riduce le dispersioni termiche e quindi il consumo di energia per il riscaldamento. Con l’opera, che è forse la più riuscita dei giochi anche sul piano architettonico, Hopkins ha vinto il premio Building of the Year al AJ100 Awards ed è stato candidato al Premio 2011 RIBA Stirling Prize, poi vinto da Zaha Hadid Architects.

Ma l’edificio su cui si tradizionalmente si concentrano le maggiori attese è lo stadio olimpico, nel caso di Londra poi le aspettative sono amplificate da affermazioni come quella del sindaco, il quale ha dichiarato che quello dei Giochi di Londra sarà lo stadio più sostenibile nella storia del pianeta (forse però è anche il primo a porsi questo obiettivo...). L’Olympic Stadium di London 2012 occupa il cuore del Parco Olimpico ed ha una capacità di 80.000 spettatori nella fase di svolgimento dei Giochi, di cui 25.000 permanenti (realizzati nella base della struttura) e 55.000 temporanei (realizzati su una copertura). Anche in questo caso il tema del riuso è un tema centrale, i posti eccedenti le necessità di funzionamento a regime saranno infatti venduti ad altri impianti e la struttura subirà degli adattamenti che lo avvicineranno alla comunità attraverso la creazione di spazi per la formazione, biblioteca, caffetteria ed altro ancora. Come nel caso del Velodromo anche per lo stadio si è utilizzata una quantità di acciaio inferiore al consueto (la struttura in acciaio pesa il 75% in meno degli altri stadi), inoltre il cemento impiegato  è un cemento prodotto localmente impiegando scarti delle lavorazioni industriali, trasportato in cantiere per mezzo della ferrovia consentendo così complessivamente una riduzione di emissioni di carbonio pari al 42% rispetto al processo di produzione del cemento utilizzato normalmente a Londra.
Lo staff di progettisti si è posto poi il problema dell’approvvigionamento dell’acqua necessaria per irrigare il prato del campo. Sono stati a questo scopo realizzati due laghetti artificiali di raccolta dell’acqua piovana che contribuiranno a fornire i 20.000 litri di acqua al giorno necessari per il mantenimento in condizioni ottimali del campo di gioco.
Ma l’idea più vincente sul piano della comunicazione è stata quella di utilizzare 52 tonnellate di acciaio derivante dalla fusione di pistole ed altre armi sequestrate in un anno dal Metropolitan Police di Londra.
Grava tuttavia una pesante ipoteca sul futuro dello stadio, un futuro che vede contrapposte due società calcistiche (West Ham e Tottenham Hotspur) contendersi la proprietà del campo nella fase post-Olimpiadi. I programmi di una delle società, la Tottenham Hotspur, prevederebbe infatti la demolizione dello stadio olimpico per realizzarne un altro più rispondente alle sue esigenze, uno stadio “soccer-friendly“ che non prevede la pista di atletica. L’altra società, la West Ham, propenderebbe invece per una soluzione che, pur con qualche modifica, mantiene l’impianto esistente. Se prevalessero gli interessi del Tottenham tutta l’operazione Legacy subirebbe un grave danno di credibilità. Ci auguriamo che le cose non vadano così.

Ma non sono soltanto gli edifici a dover incarnare gli importanti obiettivi di sostenibilità di London 2012; il Parco “Queen Elizabeth” rappresenta infatti uno dei principali sforzi compiuti nell’impresa olimpica. Occorre infatti ricordare che i suoli su cui sta sorgendo il Parco Olimpico erano suoli su cui per un secolo si sono svolte attività industriali. Le operazioni di bonifica hanno trasformato uno dei più vasti brown fields di Londra in un nuovo “green field” di cui il fiume Lea, anch’esso disinquinato e riqualificato, rappresenta la spina dorsale, corredato, tra l’altro da un giardino botanico di quasi un chilometro di lunghezza e di 130 metri di larghezza. Il fiume, nel disegno dei paesaggisti LDA Design e Hargreaves Associates, è un mosaico di aree umide, prati, boschi e bacini di laminazione delle piene e costituisce la spina dorsale di un sistema di percorsi e di infrastrutture che innervano l’intero parco, fungendo da elemento di connessione per le attrezzature sportive.
Un’altra opera chiave del Parco è la riqualificazione della greenway esistente che corre per 3 Km dal Victoria Park fino ai pressi della fermata della metropolitana di West Ham, attraversando tutto il Parco Olimpico ed offrendo magnifiche viste sulle sue attrezzature.Il progetto del recupero è stato aggiudicato in seguito ad un concorso ad Adams & Sutherland, che hanno proposto, anche loro coerentemente con il motto “reduce, reuse, recycle”, l’utilizzo di materiale di recupero delle demolizioni, come mattoni, tombini, sanpietrini e tralicci, questi ultimi trasformati in landmark lungo il percorso. Il progetto di recupero prevede la ripavimentazione del percorso, l’installazione di elementi di arredo, di illuminazione e segnaletica, l’incremento delle alberature (con la partecipazione dei residenti) e la realizzazione di un View Tube Café (info point) e di una community venue.
Nel corso dell’evento la Greenway sarà utilizzata dagli spettatori che arriveranno al Parco Olimpico in metropolitana attraverso la stazione di West Ham oppure, per chi lo desidererà, attraverso la pista ciclabile proveniente dal Victoria Park. A fine giochi la Greenway sarà una preziosa infrastruttura ciclo-pedonale che connetterà l’area con la Mayor’s East London Green Grid, una rete di spazi e corridoi verdi promossa da TFL (Transport for London) che innerverà l’East London attraverso la vallata del fiume Lea.
L’operazione “Queen Elizabeth Olyimpic Park” rappresenta un fiore all’occhiello per l’amministrazione londinese, erano infatti 150 anni che a Londra non si realizzavano parchi di tale grandezza. Tuttavia proprio la dimensione potrebbe costituire un problema di cui i cittadini si cominciano già da adesso a preoccupare: a conclusione dei giochi, infatti, la gestione del parco passerà da ODA alle comunità locali, i cui bilanci, soggetti in questi anni a pesanti tagli, difficilmente potranno reggere i costi di manutenzione di un parco che per dimensioni eguaglia il St. James Park. Ci si chiede allora se l’abbondanza di fiori e prati rasati, frutto dello sforzo della Garden Designer Sarah Price e del suo dipartimento di Horticulture dell’University di Sheffield, non siano stati una scelta azzardata (e fuori tempo?) e se l’eliminazione degli orti urbani, che prima occupavano una parte dell’area, non avrebbero garantito una migliore gestione post-Olimpiade?


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EWT/ EcoWebTown
Magazine of Sustainable Design (Quadrimestrale on line sul progetto di città sostenibile)
Edizione SCUT, Università Chieti-Pescara
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