La Dichiarazione di Toledo. Una rilettura di Edoardo Zanchini |
Puntare su una rigenerazione urbana integrata per dare risposta alla crisi economica che sta attraversando l’Europa, e al contempo rafforzare la coesione sociale e migliorare la sostenibilità ambientale. E’ questo il messaggio della “Dichiarazione di Toledo” approvata il 22 Giugno 2010 nella conferenza dei Ministri responsabili per lo sviluppo urbano e le politiche abitative dei 27 Stati membri dell’Unione Europea. L’interesse di questo documento sta in primo luogo nel tentativo di portare le città nel dibattito sull’Europa e sulle sfide che dovrà affrontare nei prossimi anni.
Si propone infatti di implementare con una specifica attenzione alle aree urbane la strategia “Europa 2020” approvata dal Consiglio UE. E’ la stessa premessa del documento a ricordare il contesto di preoccupazione sulla crisi finanziaria, economica e sociale globale nel quale si svolse l’incontro dei Ministri per l’impatto che sta determinando sull’Europa e sulla qualità della vita dei cittadini. Ma l’enfasi sull’intreccio tra la crisi economica e sociale e la rigenerazione urbana non può essere letto solo come un tentativo di catturare l’attenzione della politica. Perché è invece una riflessione che ha viene da lontano e che ha visto sempre riconoscere, anche in atti ufficiali e trattati, le città come il cuore del modello europeo di coesione sociale e benessere economico e ambientale. Per cui appare scontato guardare alle città per raggiungere, come si propone l’UE, “a smart, sustainable and inclusive growth”. Con la dichiarazione di Toledo si è provato semmai a dare respiro politico a una stagione di conferenze tematiche, impegni e documenti con i quali si sono definiti con sempre maggiore chiarezza i termini delle strategie di riqualificazione delle città europee. Ma se i riferimenti e gli obiettivi del documento possono apparire chiari sono diverse le questioni aperte sulla strada della loro realizzazione.
La prima riguarda un tema antico, di continuo e aspro dibattito, ossia l’equilibrio tra poteri degli Stati e della Commissione Europea in questo caso in materia di politiche urbane. Perché malgrado l’ampio confronto in ambito europeo e l’elaborazione di diverse dichiarazioni ufficiali e documenti condivisi , quella delle città è una politica che rimane saldamente nelle mani degli Stati. E la dichiarazione non si spinge oltre una richiesta di guardare a una futura “agenda urbana europea”, assegnando alla commissione un ruolo di supporto nella costruzione di programmi e iniziative, e di spinta alla riflessione sul futuro della città. Per cui sarà difficile vedere cambiamenti sostanziali realizzati sotto la spinta o la regia della Commissione Europea ma più probabilmente un ruolo di analisi e proposte, in ogni caso non vincolanti, agli Stati membri.
La seconda riflessione, meno di architettura istituzionale e più di merito, riguarda i contenuti del concetto di “integrated urban regeneration”. Perché i profili tracciati dalla dichiarazione sono ancora per molti aspetti da chiarire, in particolare rispetto all’integrazione alla scala urbana del concetto di rigenerazione. La tesi proposta è che occorre mantenere stretto il legame tra gli obiettivi di rigenerazione ambientale, sociale e economica nel guardare alle trasformazioni urbane, e concentrare l’attenzione nei confronti delle aree più degradate che devono essere prioritarie negli interventi.
Un margine di ambiguità è inevitabile nel tentativo di tenere assieme le diverse pressioni e interessi degli Stati, in particolare lo si può leggere rispetto all’enfasi sul modello di città compatta europeo ma allo stesso tempo nel chiarire che non si vuole in alcun modo sostenere che sia necessario fermare la crescita urbana. Ma la dichiarazione è interessante per come traccia il profilo della dimensione ambientale della rigenerazione urbana. Punto di partenza è il legame con la dimensione globale della sostenibilità e in particolare il contributo delle città alle emissioni responsabili dei cambiamenti climatici. In coerenza con gli obiettivi di riduzione della CO2 del 20% al 2020 fissati dall’Unione Europea le politiche urbane devono essere indirizzate in questa direzione, attraverso scelte infrastrutturali e urbanistiche capaci di ridurre la domanda di trasporto privato, e precisi obiettivi di miglioramento dei rendimenti energetici del patrimonio edilizio esistente e di integrazione delle fonti rinnovabili.
La rigenerazione urbana diventa dunque una chiave, in senso ambientale, per ripensare il rapporto con le risorse e in particolare nel ridefinire attraverso nuove chiavi un equilibrio nei cicli delle risorse idriche e energetiche, dei materiali e della biodiversità.
Anche per la dichiarazione di Toledo, come per tutte le più famose carte, la realizzazione delle sue ambizioni passa per la possibilità che le sue riflessioni portino a un confronto ampio, oltre che a diffuse applicazioni, in modo da diventare nel tempo un riferimento imprescindibile. Ma in questo caso c’è bisogno anche di qualcosa di più complesso, che passa per un rilancio del ruolo dell’Europa e delle sue strategie (anche urbane) capaci di disegnare un equilibrio nuovo e più virtuoso di poteri tra Stati e UE.
Un obiettivo tutt’altro che semplice, ma che guarda a un tipo di confronto politico e culturale da cui anche un Paese come l’Italia avrebbe tutto da guadagnare, non solo per le idee che potrebbe mettere in moto ma perché potrebbe finalmente ridare centralità nazionale alle politiche urbane vista la nostra anomalia di non avere un Ministero ad hoc ne una politica in materia.
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