LANDSCAPE SUSTAINABLE URBANISM. PROVE DI INNOVAZIONE. AA Londra, Alberto Clementi |
Attualità del Landscape Urbanism.
Apprendere dall’esperienza.
Modi d’intendere il rapporto tra città e natura.
Tre paesaggi all’opera. Flussi, stratificazioni, sostenibilità.
Verso nuove convergenze. Prove d’innovazione.
1/ Netscapes. 2/ Selfscapes.3/ Ecoscapes.
Attualità del Landscape Urbanism.
L’invenzione del Landscape Urbanism ha aperto nuovi orizzonti di ricerca e d’intervento sulle città. Le sue ricadute sono state generalmente feconde, almeno per ciò che concerne il modo d’intendere il progetto urbano quanto del resto il progetto di architettura e quello di paesaggio. Il Landscape Urbanism ha fatto emergere nuove visioni che ci consentono di riformulare i quadri cognitivi sull’esistente e di tematizzare in modo innovativo le strategie della pianificazione e della progettazione urbana. Le sue concezioni contribuiscono ad allontanarci ulteriormente dai paradigmi della modernità “solida”, fortemente condizionati da una nozione oggettuale dello spazio e a-temporale del progetto, oltre che da un approccio eccessivamente orientato all’imposizione dell’intenzionalità da parte dell’autore .
Molte idee lanciate anni fa dall’Architectural Association, sulla scia dei lavori pionieristici di James Corner e Charles Waldheim, sembrano tuttora attuali. Facendo riferimento alla nota pubblicazione “Landscape Urbanism. A Manual for the Machinic Landscape”, ( 2003), richiamerò sinteticamente quelle idee che a mio avviso mantengono un maggior valore seminale, e che devono essere messe ulteriormente alla prova per valutare il reale successo del Landscape Urbanism.
Innanzi tutto, il riconoscimento che “la temporalità dei paesaggi li rende continuamente incompleti, e questa incompletezza può essere vista come un antidoto alla implicita compiutezza dello zoning” ( Mostafavi, 2003). Le conseguenze per l’urbanistica di questa concezione che, in analogia con il paesaggio, privilegia la processualità alla compiutezza delle trasformazioni, sono assai rilevanti. Inducono infatti un cambiamento delle prospettive d’azione, e in particolare il “mutamento dalla programmazione teleologica alla formulazione di diagrammi aperti, dalle tecniche della imposizione a quelle della interposizione, …, dalla deliberata manipolazione di configurazione tipologiche e convenzioni regolative alla gestione sistematica di assemblaggi relazionali virtualmente aperti “ ( Najle ). Soprattutto, “permettono di integrare processi naturali e sviluppo urbano nel comune disvelamento di un’ecologia artificiale” che rappresenta la vera novità dell’epoca contemporanea.
Assumere la città come una ibrida ecologia vivente “segna la dissoluzione tra antichi dualismi come quello tra natura e cultura, e smantella le nozioni classiche di gerarchia, delimitazione e centralità. Forse, in modo ancora più importante, caratterizza un’attitudine produttiva verso l’indeterminazione, l’apertura senza fine, la mescolanza e la transdisciplinarità. In luogo della visione semplificata della città come una composizione statica, con il pianificatore come figura deputata a farsene carico, il Landscape Urbanisme considera infatti la metropoli emergente come uno spesso groviglio vivente di tessere accumulate e sistemi stratificati, priva di una singola autorità di riferimento o di controllo ( Corner).
Infine, come osserva Mertins, questo nuovo approccio “ implica un ripensamento radicale del progetto dalla riconfigurazione all’intervento, dalla prefigurazione di visioni alla stimolazione delle trasformazioni. La stessa forma va riconcettualizzata come il risultato di processi conformativi piuttosto che come un fine in sé stesso”.
Insomma, abbiamo bisogno più di landscape urbanism che della convenzionale urbanistica delle forme. E in effetti gran parte delle idee seminali per il Landscape Urbanism conservano intatta la loro carica d’innovazione, a distanza ormai di una decina d’anni dal loro apparire sulla scena.
Ma ora è il momento di chiederci se ciò che abbiamo appreso dall’esperienza maturata in questi anni, in Europa come nel Nord America, ci induce a confermare queste idee. O se, invece, non si debba metterle meglio a punto tenendo conto delle prove fatte e dei loro risultati in rapporto alla diversità dei contesti d’azione.
Il mio vuole essere un contributo alla riflessione critica sull’efficacia del Landscape Urbanism, assumendo il contesto italiano come riferimento. Un contesto che, come noto, sconta una lunga tradizione di paesaggio, per molti versi differente da quella anglosassone, e soprattutto una tradizione urbanistica difficilmente confrontabile con quella britannica.
Tenendo conto della diversità delle condizioni, l’idea della convergenza tra paesaggio e urbanistica può risultare comunque feconda, non solo in riferimento ai nostri due Paesi, ma più complessivamente per l’ Unione Europea, che sta ripensando le proprie politiche urbane, dopo la Carta di Lipsia ( 2007) e in preparazione della Carta di Toledo che verrà firmata in giugno di quest’anno.
La considerazione della specificità del caso italiano e delle implicazioni per l’Europa mi induce peraltro a formulare diversamente la stessa enunciazione del tema. Così, invece del Landscape Urbanism, preferirei assumere come riferimento il Landscape Sustainable Urbanism, che meglio traduce l’esigenza di far convergere l’insieme delle strategie di paesaggio, strategie urbanistiche e strategie della sostenibilità ai fini della revisione del progetto urbano. La prospettiva d’innovazione del progetto dovrebbe in questo senso condurre alla nuova cultura del Landscape and Sustainability Sensitive Urban Design, come superamento delle attuali pratiche progettuali che mantengono separati i diversi approcci sia all’interno delle università che nella professione.
Apprendere dall’esperienza
Il riscontro delle idee del Landscape Urbanism rispetto alle esperienze sul campo in Italia richiede una specifica attenzione ai temi del paesaggio, del progetto urbano e dello sviluppo sostenibile.
1.Paesaggio. Il peso della tradizione
Come è noto, l’Italia vanta una lunga tradizione di tutela del paesaggio, rafforzata da un esplicito riconoscimento della Carta Costituzionale. Il paesaggio è assunto come un valore primario di natura estetico-culturale, che non va subordinato ad altri valori, compresi quelli economici. Ciò consente ad esempio di imporre vincoli di tutela alla proprietà senza alcun risarcimento economico. Alla forza delle leggi e degli apparati amministrativi non hanno purtroppo corrisposto risultati altrettanto apprezzabili. Il nostro “bel paesaggio” è stato devastato dal dilagare della crescita urbana, senza qualità e senza progetto. Proprio le carenze di progettualità sono al centro delle critiche che l’architettura e l’urbanistica muovono al mondo del “benculturalismo”, responsabile di agire solo con vincoli sui paesaggi di pregio.
Le condizioni stanno cambiando a seguito dell’adozione della Convenzione europea del paesaggio e il conseguente adeguamento del nostro quadro legislativo ( 2004-2006). La Convenzione afferma un nuovo modo di intendere il paesaggio e il suo valore sociale, oltre la percezione estetica. Estende l’interesse a tutti i paesaggi, non solo quelli più pregiati. Considera i paesaggi realtà viventi in continua evoluzione, invece che quadri da conservare staticamente. Propone una visione non più statocentrica, bensì di networking tra istituzioni e società civile. Include il punto di vista della società nelle sue diverse articolazioni locali e sovralocali, insieme a quello degli esperti e delle istituzioni. Chiede strategie attive di intervento e di capacitazione degli attori, progetti e non soltanto vincoli.
Attualmente, è in corso una grande opera di ripianificazione del paesaggio italiano, forse la più importante in Europa. Le Regioni d’intesa con il ministero dei Beni culturali stanno elaborando nuovi piani paesaggistici i quali prevalgono sui piani urbanistici comunali. Purtroppo gli obiettivi di qualità del paesaggio solo raramente vengono integrati alla scala locale, e tende a permanere la atavica schizofrenia tra urbanistica e paesaggio.
Di fatto,in Italia, il Landscape Urbanism non sembra essere riuscito a permeare adeguatamente i comportamenti dei pianificatori, degli architetti e delle amministrazioni di governo del territorio.
2.Progetto urbano. Verso l’integrazione delle strategie
Intanto il progetto urbano è andato evolvendo, anche sotto la spinta dei modelli proposti dall’Europa, in particolare con i programmi Urban. Il punto di arrivo di queste sperimentazioni è stato quello di farci ripensare la stessa nozione del Progetto Urbano, oltre quella convenzionale di un insieme coerente di opere edilizie e opere pubbliche, corredate delle procedure di reperimento delle relative risorse economico-finanziarie.
Ci si è orientati ad intendere invece il Progetto urbano come combinazione finalizzata di azioni per lo sviluppo e il welfare locale, per l’ambiente, per la mobilità, insieme a quelle per l’urbanistica, l’edilizia e le opere pubbliche. Una combinazione a geometria variabile, con un grado d’intersettorialità tra le dimensioni spaziali, economiche e sociali, che dipende volta per volta dalla specificità del contesto, dalla complessità e dalla rilevanza dei problemi da affrontare localmente e dalla disponibilità degli attori in gioco.
Concepito in questo modo, il Progetto urbano tende ad assumere un ruolo che lo differenzia nettamente dagli altri strumenti urbanistici praticati correntemente. Acquista infatti “ uno statuto composito, alla confluenza tra dimensioni strategiche, spaziali, istituzionali connesse alla progettazione degli interventi più rilevanti di trasformazione della città. Si configura come uno strumento strategico, perché è l’espressione di un processo di costruzione cooperativa di un contesto d’azione comune, mirato a facilitare la risoluzione di situazioni decisionali complesse nelle quali sono implicati molteplici attori pubblici e privati. Al tempo stesso non tradisce la sua origine di strumento architettonico-urbanistico di configurazione della trama spaziale, perché nel suo disegnare i nuovi assetti e le nuove forme fisiche degli spazi urbani tende ad imprimere anche un ordine culturale alle trasformazioni, contribuendo a trasmettere lo spirito del tempo e l’idea della città voluta” ( Clementi, Ricci, 2004 ).
3. Città sostenibile. Un’ innovazione allo stato nascente
Più in ritardo appare la progettazione ispirata alla filosofia della sostenibilità ambientale. In Italia sono ancora rare le esperienze di “messa in sostenibilità della città esistente”, anche nella versione più limitata della realizzazione di nuovi quartieri ecosostenibili. Di fatto, le strategie per lo sviluppo sostenibile sono affidate generalmente alla settorialità degli approcci per l’energia, la mobilità, l’acqua, i rifiuti, e l’urbanistica appare tutto sommato marginale.
I risultati più interessanti sono stati finora raggiunti dal progetto alla scala edilizia, ormai in grado di sperimentare nuovi linguaggi architettonici, in cui architettura, ingegneria e tecnologia tendono a fondersi generando nuove configurazioni degli involucri e degli spazi costruiti. Per contro, il progetto urbano finalizzato alla sostenibilità rimane sostanzialmente poco esplorato, e per la verità anche poco frequentato. Così l’approccio all’ecosostenibilità sembra caratterizzarsi in funzione delle diverse pratiche disciplinari, e in particolare delle tecnologie ambientali, senza marcare in modo riconoscibile l’urbanistica del progetto.
In Italia l’urbanistica della sostenibilità sta muovendo i suoi primi passi. Però il dibattito è ormai maturo per un salto di qualità che dovrebbe riguardare i piani e i progetti dei prossimi anni, anche per l’impulso che dovrebbe provenire dall’Unione europea.
Modi d’intendere il rapporto tra città e natura
La prospettiva del Landscape Urbanism si misura non solo con la valutazione delle esperienze in atto, ma anche con l’evoluzione dei modi d’intendere i rapporti tra natura e città all’interno delle tradizioni nazionali di paesaggio,ambiente e urbanistica. La sua stessa efficacia dipende del resto dalla possibilità di aderire alle forme del tempo, offrendo nuovi paradigmi per l’azione, in sintonia le tendenze più avanzate della cultura e del sapere scientifico .
Già Mostafavi aveva sostenuto che la correlazione tra paesaggio e urbanistica non dovesse essere limitata alla lettura tafuriana dell’abate Laugier, in cui la città viene “ridotta” a fenomeno naturale ( Mostavafi, 2003) adottando le stesse strategie progettuali.
Più in generale, a me sembra che il mutamento dei paradigmi nella modernità possa essere interpretato, in estrema sintesi, attraverso due diversi modelli esplicativi: il modello della natura-tempio e della natura-laboratorio. Nella contemporaneità sta inoltre emergendo un terzo modello, della natura-codice, che riflette le frontiere rivoluzionarie aperte nella ricerca scientifica con le scienze della manipolazione genetica ( Marramao, 1994).
Ciascuno di questi modelli, in diversa misura, riflette una concezione della natura che ispira tuttora i modi d’intendere la città e il suo progetto.
La natura come tempio, è l’espressione dell’idea greco-romana che ha dominato fino alle soglie della modernità. Questa idea assume come fondamento l’intangibilità del contesto: la natura è un “cosmo chiuso, un tempio sacro dal perimetro inviolabile”. Spetta alla disposizione degli oggetti e delle loro relazioni il compito di definire lo spazio, mantenendo inalterato lo sfondo di appartenenza al mondo naturale.
La città chiusa, murata, che si contrappone dialetticamente all’inviolabilità della natura esterna, incarna bene il modello della classicità. Questo stesso modello sembra essere alla base anche dalle attuali visioni degli ambientalisti, come noto ostili agli interventi che alterano gli equilibri naturali del mondo fisico. Riaffermando la sacralità del tempio, il progetto diventa responsabile di perturbare quanto meno possibile l’ordine naturale esistente, assunto come valore primario da rispettare obbligatoriamente.
Invece, la metafora della natura come laboratorio riflette una concezione più recente, resa possibile dalle conquiste scientifiche della modernità, inaugurate dall’approccio sperimentale di Galileo. La natura diventa un mondo al cui interno è possibile ritagliare spazi per l’esperimento, con l’obiettivo di catturarne i segreti e di controllarne il funzionamento. Sono ancora le relazioni tra gli oggetti la chiave per misurare lo spazio. Ma ora è la teoria della visione prospettica, con la centralità materiale e simbolica del punto di vista dell’uomo, che offre la possibilità di attribuire i valori posizionali e dunque di configurare progettualmente lo spazio.
La razionalità del naturalismo urbano che ispira la città radiosa di Le Corbusier, e più in generale l’urbanistica della modernità, confermano sostanzialmente questa visione, in cui lo spazio non è più una scena immutabile da rispettare, ma piuttosto il luogo di una sperimentazione che trasforma positivamente i rapporti tra il soggetto e il mondo. La natura viene concepita non più come lo sfondo immutabile, ma come un materiale fondamentale per il progetto; non più occasione di contemplazione, ma valore che genera la possibilità di dialogo tra progetto e contesto.
Permane la contrapposizione tra “le parti finite e la natura, … (intanto che) le parti finite sono immerse in uno spazio fluido, …che diviene protagonista dell’allestimento di una nuova scena urbana “( Barbieri, 1999). Però il progetto tende a rielaborare il senso stesso della natura, assumendola come una costruzione culturale al pari dell’architettura. Così l’architettura prende la responsabilità di ridefinire i limiti e i contenuti del sacro, non più esterno all’azione dell’uomo.
Ma è la prospettiva della natura come codice che dischiude nuove potenzialità rivoluzionarie, come rivoluzionari sono gli esperimenti in corso da parte delle biotecnologie e dell’ingegneria genetica. “ La scoperta del carattere energetico-informazionale della materia destabilizza alla radice l’opposizione tra natura e artificio… se la natura ha un codice, ossia un progetto nascosto, ne consegue che non si dà alterità, ma al contrario isomorfia tra il soggetto, la mente pensante-progettante, e l’oggetto…. La natura cessa di essere uno “stato” per divenire variabile mobile e dipendente da codici che interagiscono tra loro alterandosi a vicenda” ( Marramao, 1994).
In questa nuova prospettiva, naturale e artificiale tendono a diventare virtualmente indistinguibili. Cade così l’opposizione tra soggetto e mondo naturale, tra artificio e natura; e il fare ambiente non appare più distinguibile dal fare progetto. La città tende a trasformarsi in un’ecologia artificiale, secondo quanto del resto il Landscape Urbanism aveva già intuito da tempo. Il progetto non può più allora configurarsi come “una profezia autorealizzatrice”. Il suo compito principale diventa piuttosto il governo dei flussi di informazione attraverso cui si combinano i codici tra loro, in una totale simbiosi tra artificio e natura, tra soggetto e oggetto, tra processi di mutamento dello spazio e processi di progettazione.
Tre paesaggi all’opera. Flussi, stratificazioni, sostenibilità.
Se teniamo conto sia delle esperienze in corso che dell’ evoluzione del modo d’intendere i rapporti tra città e natura, la riflessione sul Landscape Urbanism si arricchisce di nuove possibilità interpretative. Per coglierle adeguatamente,dobbiamo muovere dall’osservazione dei mutamenti in atto nei paesaggi della contemporaneità, cercando di intercettare il nuovo che avanza e che sollecita le innovazioni del progetto.
In particolare, c’è da riflettere sul modo in cui il nuovo spazio delle reti materiali e immateriali tende a riorganizzare i rapporti tra città e natura. Al tempo stesso c’è da considerare l’infinita moltitudine delle microazioni che danno forma al paesaggio urbano contemporaneo, dominato dalla volontà di autoaffermazione del singolo individuo. E infine va tenuto conto delle nuove sfide ambientali, che inducono a ridurre in modo generalizzato il consumo di risorse non riproducibili per ridurre i rischi di sopravvivenza dei nostri ecosistemi globali.
Questi diversi paesaggi all’opera nella contemporaneità - Netscape, Selfscape ed Ecoscape- ci inducono a riformulare i principali temi al centro del dibattito urbanistico : il primato dei flussi, materiali e immateriali; la forza delle stratificazioni e del radicamento al locale; l’esigenza della sostenibilità. Interpretandoli adeguatamente, il Lansdcape Urbanism può allora diventare il banco di prova che sperimenta una possibile sovrapposizione e convergenza tra le diverse dinamiche di paesaggio, a loro volta espressione dei molteplici campi di forze all’opera.
Spetta poi al progetto il compito ( e la responsabilità) di trovare ogni volta la combinazione appropriata rispetto ai diversi contesti, dando forma agli spazi d’incrocio e di multiappartenza a Netscape, Selfscape,Ecoscape.
Il primo, Netscape, è l’espressione delle nuove tecnologie di comunicazione interindividuali e interculturali, che insieme alle potenti infrastrutture per la mobilità, la logistica e l’energia ridisegnano lo spazio globale delle reti, indebolendo il potere delle distanze fisiche. E’ il paesaggio attraversato da indecifrabili campi di relazioni reali e virtuali, che sconvolgono non tanto l'ordine interno ai singoli luoghi, quanto piuttosto le loro relazioni reciproche, generando nuovi contesti di senso e nuove relazioni tra spazio e tempo. La rappresentazione di questo paesaggio sfugge allo sguardo, e sfida l’immaginazione. Non si risolve in una mappa familiare di territori-area collegati da corridoi fisici, come nella celebre immagine lecorbusiana dello spazio irrigato dalle reti. Evoca piuttosto la presenza di latenti territori-rete, dove ciascun polo si definisce come punto di incrocio e di commutazione di reti multiple, nodo di densità dentro una gigantesca intersezione di flussi. Netscape rispecchia l’artificialità di un ecosistema che s’innesta sugli altri ecosistemi viventi, creando nuovi codici e nuove relazioni spesso indecifrabili.
Il secondo, Selfscape, proviene invece dal mantenimento delle identità radicate nella storia, a cui fa riscontro l’affermazione crescente di microindividualità autocentrate, legittimate ad agire per proprio conto sul territorio locale. Ne scaturisce quell’ inarrestabile proliferazione delle urbanizzazioni pulviscolari, che ben rispecchia la distorta versione italiana dell’individualismo di massa, come driving force della città diffusa. Selfscape può rispecchiare anche la capacità di auto-organizzazione della società locale, quando riescono a prevalere i legami che trasformano le scelte individuali in progetti e azioni collettive.
Infine Ecoscape rappresenta lo sforzo di migliorare le prestazioni ambientali della città, per contrastare gli inquinamenti responsabili dei cambiamenti climatici e per fronteggiare l’esaurimento delle fonti energetiche fossili che incombe nell’immediato futuro. E’ il paesaggio che viene modellato dai processi dinamici e interrelati di codipendenza tra i diversi ecosistemi naturali e artificiali. Il suo progetto tende ad enfatizzare la qualità dell’ambiente, assunta come condizione per la qualità di vita della popolazione locale.
Netscape, Selfscape ed Ecoscape, si combinano tra loro secondo una varietà di modi, che riflettono i mutevoli equilibri di volta in volta raggiunti nei territori dove s’ intersecano i processi di condensazione dei flussi trans-urbani, l’individualismo o la volontà di protagonismo delle società locali, le strategie istituzionali di risparmio delle risorse non riproducibili.
Proprio i territori dell’incontro e del conflitto tra flussi commutati, luoghi stratificati e piattaforme cleantech possono essere interpretati positivamente come spazi enzimatici, deputati ad immettere nel territorio le potenzialità d’innovazione che orientano il mutamento verso nuove configurazioni ibride, meno dipendenti tanto dalla fluidità dei territori-rete che dall’ inerzia dei territori-area o dalla instabilità degli ecosistemi.
Spazi che tendono ad agire come catalizzatori dell’evoluzione verso nuovi assetti insediativi, organicamente associati alla propagazione diffusiva delle reti associate alle nuove tecnologie globalizzate. Spazi infine che possiamo considerare come matrici di possibilità funzionali e morfogenetiche, le quali possono trasmettersi alle altre parti del sistema insediativo, dando impulso ai processi più significativi di trasformazione dell’esistente.
La prospettiva di riferimento che meglio riflette la complessità del Landscape Sustainable Urbanism rinvia dunque alla nozione di un territoriorelativamente autocontenuto e auto-organizzato ( ecoscape), multistrato ( selfscape) e multicentrico ( netscape), dove ciascun polo associato alle reti si definisce come un possibile enzima territoriale, accumulatore-scambiatore di nuove densità relazionali. Gli spazi enzimatici, portatori di innovazione, affiorano all’interno di una gigantesca rete di intersezione di flussi, che acquista una sua realtà concreta intanto che atterra nel luogo, contaminandosi con le forme locali prodotte dalla storia e dalla natura.
Il progetto urbano è chiamato a regolare i codici di funzionamento di questi territori ibridi, risolvendo le conflittualità tra le dinamiche differenziate di netscape, selfscape ed ecoscape, e mettendo in opera il programma delle loro potenzialità di configurazione del paesaggio nel segno della contemporaneità.
Di seguito verranno presentati alcune prove d’innovazione sul tema del Landscape Urbanism sviluppate dal mio gruppo di ricerca, in gran parte incentrato sulla scuola di architettura di Pescara, ma con significative ramificazioni a Roma, Genova , Bari e Reggio Calabria (*).
Per motivi di chiarezza espositiva, gli esempi verranno riferiti alle tipologie di paesaggio sopra enunciate, Netscape, Selfscape, Ecoscape, considerando i caratteri dominanti dell’approccio adottato. Al loro interno sarà tuttavia possibile cogliere talvolta quegli spazi di interferenza che, come abbiamo detto, sostanziano la ricerca dei poli enzimatici da cui dipendono le potenzialità evolutive dei sistemi in gioco.
Farò riferimento dapprima ai progetti per Netscape, per l’importanza che questo tema ha avuto per noi nel corso del tempo, anche dopo la pubblicazione di Infracity (**). Poi verranno illustrati alcuni progetti di Selfscape, espressione di piani urbanistici e piani di paesaggio italiani. Infine richiamerò alcune sperimentazioni in corso sul tema di Ecoscape, su cui negli ultimi anni sta impegnandosi in misura crescente tutta la nostra scuola di architettura di Pescara.
Prove d’innovazione. 1/ Netscapes.
1a. Una visione per il futuro del territorio italiano
Il primo caso proviene da Itater 2020, una ricerca prodotta per il ministero delle Infrastrutture come contributo alla preparazione del Quadro Strategico Nazionale 2007-13, come richiesto dall’Unione europea (***). In Italia, le precedenti politiche di sviluppo delle reti erano ispirate dalla visione di un territorio fatto di aree urbane e metropolitane, connesse tra loro dai corridoi della mobilità autostradale e ferroviaria, non diversamente del resto dalla filosofia dall’attuale Master Plan TEN-T per le infrastrutture in Europa.
Invece, l’immagine da noi proposta assume il territorio italiano contemporaneo come uno spazio multistrato, prodotto dall’incontro-scontro ( dal conflitto, ma anche dalla combinazione creativa) tra i territori-area sedimentati localmente e i territori-rete, espressione a loro volta dei flussi disgiunti e multilivello che connettono materialmente e immaterialmente le diverse località. E’ un territorio fatto di strati ai diversi livelli che si sovrappongono, attraversati da molteplici flussi che li connettono alle reti di scambio esterne; un territorio che evolve dinamicamente nella mutevole interazione tra i diversi strati e flussi.
All’ interno di questo spazio acquistano rilevanza strategica alcune piattaforme territoriali e territori-snodo in cui si addensano flussi relazionali commutati dalle grandi reti e dai contesti locali, configurando le grandi prese sullo sviluppo competitivo, a loro volta agganciate ai circuiti internazionali ma radicate anche localmente. Piattaforme e territori-snodo, dove si ipotizza di concentrare le funzioni di eccellenza dell’economia e dell’innovazione, diventano i territori prioritari ai fini della programmazione degli investimenti pubblici sulle reti, imponendo nuovi modelli di governance multilivello che impegnano alla collaborazione le amministrazioni centrali, regionali e locali.
1b. Nuovo corridoio viario per una città di 400 km
Il secondo caso riguarda il progetto per la nuova strada “Adriatica”, a servizio di una conurbazione costiera che si estende per circa 400 km. Qui il progetto della nuova strada è assunto come occasione non solo per potenziare il corridoio della mobilità adriatica, ma anche per riprogettare l’intero funzionamento di una ipercittà a spessore variabile, un nastro ininterrotto per centinaia di chilometri di molteplici trame insediative, saldate dal comune telaio infrastrutturale longitudinale, e polarizzato in corrispondenza delle trasversali vallive dell’entroterra. Le sue relazioni ora cominciano a proiettarsi anche verso la sponda balcanica, dando corpo ad un’embrionale regione euroadriatica che tende a sovrastare le singole dinamiche locali o nazionali.
Il progetto prevede la realizzazione di una nuova grande strada interregionale dalle caratteristiche tipologiche e funzionali adattate ogni volta ai differenti contesti di attraversamento: urbani, agro-urbani ,naturali. La nuova opera consente di liberare la strada preesistente, trasformandola in un inedito corso urbano fuori scala di 400 km. Le bretelle di collegamento tra le due strade offrono inoltre l’occasione per lo sviluppo di nuove centralità, riferite alla scala urbana o regionale o interadriatica. Il telaio costruito dalle due strade longitudinali e dalle bretelle trasversali ridefinisce la forma della ipercittà adriatica, proiettandola alla scala della intera Euroregione adriatica.
Il progetto di infrastruttura, inteso al tempo stesso come progetto di territorio, si sviluppa simultaneamente alle differenti scale: intero sistema adriatico costiero, contesti territoriali locali, aree urbane, spazi di prossimità.
Prove d’innovazione. 2/ Selfscapes.
2a. San Miniato. Piano strutturale
Il piano urbanistico per San Miniato, in Toscana ( 2008) , si prefigge di riportare a coerenza le dinamiche dell’intenso sviluppo locale con le magnifiche forme del paesaggio esistente, esaltando al tempo stesso i valori impliciti nella morfologia del territorio.
Il piano conferma l’organizzazione per fasce parallele del territorio, articolando le strategie d’intervento in funzione dei loro diversi profili potenziali. Per i territori della piana fluviale, la priorità riguarda riqualificazione paesaggistica e insediativa, e lo sviluppo di nuove centralità. Per i territori di filtro,risultano prioritarie la salvaguardia e gestione sostenibile del paesaggio. Per i territori collinari, la cura del paesaggio e la conservazione attiva , con la valorizzazione delle risorse agro-turistiche.
Il disegno del piano intreccia l’orditura longitudinale a fasce dei territori del piano con quella trasversale dei grandi segni della natura, in particolare del sistema delle acque che affluisce all’Arno. In effetti, la trama dei corsi d’acqua, trasformata in rete di greenways e parchi lineari a diversi livelli, funge da vera matrice morfogenetica del progetto di territorio, acquistando una forte riconoscibilità sia di senso che di uso.
Il telaio di infrastrutture ambientali, orientato trasversalmente secondo la giacitura delle colline e delle confluenze verso la piana dell’Arno, si contrappone figurativamente e funzionalmente al telaio delle infrastrutture della mobilità, orientato a sua volta longitudinalmente secondo il corridoio della antica via Pisana, oggi riproposto dalla ferrovia e dalla superstrada FirenzePisaLivorno. Anche in questo caso, seppure ad una scala ben più limitata rispetto alla ipercittà adriatica vista in precedenza, si prevede la realizzazione di una nuova strada urbana esterna, con il contestuale declassamento della direttrice viaria storica interna, da trasformare in un corso urbano lungo 5 km.
Contribuisce infine alla rete delle infrastrutture ambientali anche la rete degli itinerari storici. E’ una rete che ha come caposaldo san Miniato alto, nel passato snodo obbligato delle percorrenze europee lungo la via Francigena. Per tutti questi segni di permanenza della storia, come per quelli della natura, sono previsti specifici progetti di paesaggio con incentivi alla qualità delle soluzioni proposte.
Il piano istituisce le condizioni di riferimento per la progettazione dei singoli interventi, lasciando ampia libertà d’azione alle iniziative individuali. In alcuni casi, come per la trasformazione di un insediamento storico “ Cappuccini” posto in un paesaggio collinare di eccezionale qualità, favorisce il ricorso a concorsi di idee preliminari.
2b. Spoleto. Inserimento dei progetti nel paesaggio.
Il nuovo Piano Paesaggistico regionale dell’Umbria, in corso di redazione, è l’occasione per indirizzare la molteplicità dei progetti possibili, alla luce della loro compatibilità con gli obiettivi di qualità del paesaggio enunciati dal Piano.
Il Piano, in armonia con i principi della Convenzione europea del paesaggio, identifica i contesti di paesaggio riconoscibili alla scala regionale, provinciale e locale. Per ciascuno dei contesti attribuisce valori e obiettivi di qualità delle trasformazioni, imponendo vincoli cogenti di tutela per i beni paesaggistici più rilevanti.
E’ un piano di strategie, non solo di regolazioni. Infatti, per le diverse condizioni di mutamento del paesaggio ( paesaggi in abbandono, paesaggi sovrautilizzati, paesaggi ordinari, paesaggi delle reti) prevede di ricorrere a specifiche strategie d’intervento intersettoriali, condivise tra i diversi attori istituzionali.
Per migliorare la qualità dei progetti, è stata inventata un’ inedita procedura di valutazione di ammissibilità per ogni progetto di trasformazione dell’esistente che abbia impatti significativi sul paesaggio. Il progettista è tenuto ad argomentare gli effetti prevedibili dell’intervento e la loro compatibilità con gli obiettivi di qualità paesaggistica del contesto. Ne emerge un processo di negoziazione con l’ amministrazione comunale , che si conclude con la condivisione delle indicazioni per il corretto inserimento dell’intervento nel paesaggio.
Questa metodologia è stata esemplificata per il territorio di Spoleto, dove il forte sviluppo delle attività industriali e artigianali rischia di compromettere un paesaggio ricco di straordinari valori storici e culturali.
Prove d’innovazione. 3/ Ecoscapes.
3.a. Nuovo insediamento a Scurcola, L’Aquila
Il progetto, prodotto nel 2007 per la manifestazione “Primavera italiana a Tokyo dalla facoltà di architettura di Pescara con il coordinamento di Massimo Angrilli, rappresenta una sorta di manifesto del Landscape Sensitive Design – L.S.D. E’ previsto un centro per la ricerca e la produzione di energie rinnovabili, nel cuore dell’Appennino abruzzese. Il tema del progetto, mirato al confronto con la parte giapponese, era il seguente: assumendo la priorità del paesaggio e dell’autosufficienza energetica, è possibile realizzare nuove opere rispettose dei valori tramandati nel tempo e al tempo stesso capaci di dare forma al territorio della contemporaneità?
I principi dell’L.S.D. applicati nella circostanza sono i seguenti: 1.Multidisciplinarità; 2. Trans-scalarità; 3. Multifunzionalità programmatica; 4. Il paesaggio come ecologia vivente; 5. Relazioni co-evolutive tra significati storici e moderni del paesaggio; 6. Sviluppo sostenibile, per migliorare l’eco-efficienza, il rendimento economico, la coesione sociale del territorio esistente 7. Le reti della sostenibilità come catalizzatori.
3.b. Pescara Ecolab.
Il progetto è l’esito di un workshop internazionale organizzato presso la facoltà di architettura di Pescara ( 2009) con l’intento di dimostrare la praticabilità dell’idea di città sostenibile anche in Abruzzo . L’area di progetto è situata nella periferia interna, in prossimità del fiume, ed è destinata a funzioni industriali, ora in gran parte in dismissione. Sono presenti alcuni detrattori ambientali di forte impatto ( depuratore, ex inceneritore), e soprattutto un enorme cementificio ancora in funzione. Questa tipica periferia brownfield, contigua all’aeroporto nel cuore dell’area metropolitana Pescara-Chieti, rappresenta in realtà una potenziale area di nuova centralità alla scala territoriale. Non è quindi velleitario assumere che uno spazio urbano a forte degrado possa diventare il manifesto della trasformazione sostenibile, con il miglioramento radicale delle qualità paesaggistiche, ambientali e d’uso affidate alla combinazione tra interventi pubblici e processi di mercato, come proposto dal workshop.
Il programma prevede di innescare i processi della riqualificazione a partire dal fiume, realizzando dove possibile blueways e greenways, e nuovi collegamenti viari mirati a rompere le attuali condizioni di isolamento urbano. L’azione sulle reti della sostenibilità ( acqua, verde, energia, mobilità, spazi pubblici ) è mirata a trascinare la trasformazione di alcune aree-chiave, sottoposte preventivamente a progetti evolutivi di contesto.
Le azioni prioritarie riguardano: la realizzazione di una minicittà della musica adiacente al fiume (recupero dell’ex-inceneritore); la trasformazione progressiva del cementificio come nuovo insediamento direzionale, culturale e residenziale; la rimodellazione dell’area del depuratore al fine di ridurne l’impatto ambientale e paesaggistico; la trasformazione progressiva dell’area industriale in un ecovillage, destinato inizialmente ad ospitare “creativi”, artisti e giovani famiglie. Il progetto dell’ecovillage prevede in particolare la sistemazione delle coperture come un grande tetto-giardino per ridurre l’inquinamento sonoro del vicino aeroporto.
3c. Recupero urbano a St.Adrià de Besòs, Barcellona
Questo progetto è stato prodotto nell’ambito del recente workshop internazionale “Recycling Urban Industrial Landscapes”, organizzato a Barcellona dal Centro di Cultura Contemporanea per conto del Comune. Il tema riguarda in particolare il recupero di una grande centrale termoelettrica a St.Adrià de Besòs, destinata ad uscire dalla produzione nel corso dell’ anno. Si tratta di un’opera di pregevole fattura, che per i suoi forti valori simbolici è diventata oggetto di movimenti urbani che ne reclamano la salvaguardia, almeno per le tre altissime ciminiere che caratterizzano il paesaggio della periferia di Barcellona.
Il progetto si articola in una varietà di strategie alle diverse scale, imperniate sul “soft repairing” della struttura principale, trasformata in un Centro multiculturale di valenza euromediterranea ( Officina Mediterranea). Il Centro tende ad integrarsi funzionalmente con la vicina area del Forum 2004, e con le nuove aree di centralità previste nella fascia costiera di collegamento con St.Adrià de Besòs, prolungando l’effetto di rigenerazione della costa avviato da Barcellona. Il recupero dell’area industriale in dismissione è associato anche alla riqualificazione dell’estesa periferia urbana che si sviluppa alle spalle della costa, a partire dall’Ensanche di Cerdà, fungendo da attivatore dei processi di trasformazione fisica e funzionale dei territori urbani dell’entroterra. Le previste nuove reti della sostenibilità assumono un ruolo strategico, poiché sono chiamate ad agire come catalizzatori dinamici ( “enzimi” ) dei processi di recupero urbano.
Il progetto intende porsi come un’ applicazione esemplare dei nuovo principi per una città “ più sostenibile, inclusiva e intelligente” sanciti dalla Carta europea di Toledo ( 2010).
Riferimenti bibliografici
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