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Trasformazioni leggere e sostenibilità sociale:  Dashanzi 798 a Pechino, di Massimiliano Scuderi

 

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Dashanzi, tra le mete turistiche più visitate dell’intera Cina, è certamente uno dei casi emblematici  di recupero attraverso la cultura di aree industriali  dismesse.  Questo distretto, come in passato SoHo,  rappresenta un esempio di rigenerazione urbana, per cui è stato possibile ottenere un ambiente socialmente sostenibile  attraverso un processo spontaneo di trasformazione. L’azione rigenerante è stata determinata dalla partecipazione e dal coinvolgimento diretto della comunità artistica locale, fortemente motivata dalla necessità di trovare spazi a basso costo e attratta dalla possibilità di lavorare in un  luogo interessante dal punto di vista architettonico, relazionale e  culturale.
Realizzato dai tedeschi dell’est negli anni Cinquanta come distretto per l’industria bellica, in seguito ad un accordo tra Cina e Unione Sovietica, l’intervento fu pensato su un’area di oltre 640.000 metri quadrati. Solo successivamente, intorno alla metà degli anni Sessanta,  venne  suddiviso in unità minori, come l’unità 706 e, appunto, la 798. Vent’anni più tardi ebbe inizio il declino della produzione bellica, con la conseguente riduzione del personale impegnato nelle fabbriche, che passò da 20.000 operai a soli 4.000.  In seguito la politica di apertura ai capitali esteri di Deng Xiao Ping spinse le autorità a designare proprio quella parte di Pechino come luogo ideale per la nascita di un nuovo e importante polo elettronico internazionale. Ma il processo di dismissione dell’industria bellica restituì subito solo un’immensa area abbandonata al centro della città. L’occasione che determinò la rinascita del distretto, come centro per l’arte e la cultura, fu rappresentato dal trasferimento in quella sede di parte degli spazi dell’Accademia Centrale di Belle Arti e dall’adattamento delle fabbriche in atelier e studi per artisti. I capannoni originali, progettati in Stile Bauhaus, luminosi ed ampi (mediamente 1000 mq di superficie per 9 metri di altezza), si presentarono come il contesto ideale per  la creazione di luoghi adatti alla produzione, esposizione e  fruizione dell’arte. Nel 2000 la presenza di figure importanti del panorama culturale nazionale, come il preside dell’accademia Sui Janguo e il performer Hang Rui, determinarono il definitivo spostamento di una parte della comunità artistica locale nell’ex distretto industriale. Tutto ciò avvenne in contrasto con le aspirazioni di rinnovamento tecnologico dell’area da parte delle autorità, che certo non contribuirono a facilitare l’insediamento della nuova comunità.
Mostre come Reconstruction 798 decretarono l’affermazione definitiva di questo nuovo polo culturale. Nel frattempo l’editore texano Robert Bernell trasferiva a Dashanzi la sede della sua libreria specializzata, mentre tutt’intorno fiorivano luoghi di aggregazione, bar, club e ristoranti. Tutto questo fino alle Olimpiadi del 2008, anno del declino del modello d’insediamento proposto dagli artisti. Il management, per lo più costituito da personale che non si era mai occupato di cultura, declinò la proposta culturale in quella genericamente turistica, consegnando così le sorti dell’area nelle mani di imprenditori dell’ultima ora ed al commercio dei negozi cheap.  Oggi l’incentivazione del turismo tout court sta determinando il declino del processo virtuoso iniziale e l’affermazione di un nuovo fenomeno commerciale, causando il progressivo trasferimento degli atelier e spingendo gli artisti, fortemente demotivati a rimanere a Dashanzi 798, a spostarsi in altri luoghi, quali Songzhuang, Caochangdi, Liquor Factory, zona del Today Art Museum.
I processi di gentrifricazione sembrano essere inevitabili in questi casi, sopratutto quando le comunità, che operano dal basso per acquisire spazi nelle aree abbandonate, sono fragili e non hanno alcun potere contrattuale, come quella degli artisti a Dashanzi. Facendo un parallelo con lo status delle comunità virtuali, è interessante riprendere un’affermazione di Lars Dencik sulle forme di neo-socialità nel mondo  contemporaneo: Le affiliazioni sociali, più o meno ereditate, che vengono tradizionalmente attribuite agli individui come definizione di identità – razza, (…) genere, paese o luogo di nascita, famiglia e classe sociale – stanno ora (…) diventando meno importanti, diluite e alterate, nei paesi tecnologicamente più avanzati. Al tempo stesso si assiste a un forte desiderio e a tentativi di trovare o fondare nuovi gruppi che possano dare ai membri un senso di appartenenza e facilitare la fabbricazione di un’identità. Ne deriva un crescente sentimento di insicurezza.
Il limite quindi sembra proprio dovuto alla debolezza della comunità di Dashanzi, schiacciata dal nuovo ruolo fortemente voluto dalle autorità locali per l’area, incapace di produrre  benefici per il territorio, ma solo un’ economia facile e a breve termine. Bisogna comunque  sottolineare l’importanza che, sempre di più, ricoprono la cultura e le comunità  creative nei progetti di rigenerazione urbana,  agenti sinergici capaci di innescare processi virtuosi e trasversali, sopratutto nei luoghi in cui i contrasti sociali sono aspri e le condizioni ambientali difficili da controllare, cioè quando la riqualificazione nasce da un “conflitto”.

 

Massimiliano Scuderi

 

Note

1.Con il numero 7 venivano indicate nella Cina Maoista le aree dell’industria bellica.
2.Lars Dencik ,Transformation of Identities in Rapidly Changing Societies, in Zygmunt Baumann Intervista sull’identità, editori Laterza, Roma-Bari, 2003,  pag. 25
3.Pippo Ciorra , Città e creatività Soho vs Dashanzi 798, in Urbanistica Informazioni n° 206, Marzo- Aprile 2006, INU edizioni.

 

Bibliografia:
Zygmunt Baumann Intervista sull’identità, editori Laterza, Roma-Bari, 2003,  pag. 25
Pippo Ciorra , Città e creatività Soho vs Dashanzi 798, in Urbanistica Informazioni n° 206, Marzo- Aprile 2006, INU
edizioni.
AAVV, Cina Intra/Extra Ovest, postmedia books, MIlano, 2006

sitografia:
www.798space.com

 

crediti fotografici:
Prof. Umberto Cao, Preside della Facoltà di Architettura di Ascoli
Dott.ssa Elena di Martino, sinologa  (Pechino)
Zafos Xagoraris, artista  (Atene)

 

inoltre si ringraziano per le informazioni utili dott.ssa Elena Di Martino, Alessandro Rizzi, fotografo della Fondazione J. P. Getty di Los Angeles, Mario Cristiani della Galleria Continua (San Gimignano, Le Moulin, Beijing).

 

Foto di Umberto Cao
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Foto di Elena Di Martino
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